Mentre in Italia divampano le polemiche sulla distribuzione della pillola abortiva RU486, il giornale Der Spiegel scopre che la Banca Pax, cattolica, investe in azioni di aziende operanti nel mercato del tabacco, della difesa, di armi e della contraccezione. La notizia, di fine maggio, è stata riportata un po’ in tutto il mondo. Il direttore della banca di Colonia, Winfried Hinzen ha fatto pubblica ammenda attraverso i microfoni di Domradio, un’emittente locale di Colonia: “Ci scusiamo con i nostri clienti per l’errore occorso” ed ha annunciato che le azioni saranno rivendute immediatamente.
Una notizia vera e propria che, in Italia, non ha trovato nessuna eco. Interessante, perché i profilattici e, in generale, la contraccezione vengano osteggiati dal Vaticano in modo sistematico: la Chiesa Cattolica considera peccato grave l’uso di contraccettivi, prescrivendo per i propri fedeli l’astensione periodica e, comunque, di avere un solo partner stabile. E’ una posizione alla base di continui motivi di scontro, in generale in merito alla prevenzione dell’AIDS, ma anche per ragioni più specifiche, come l’installazione di distributori di profilattici in due licei romani.
Ma c’è un altro effetto di questa contraddizione, che vale la pena considerare: quanti di noi navigano abitualmente nel mare della rete si saranno imbattuti in vari video di pubblicità ai profilattici.
Questi video vengono condivisi dagli utenti di Social Network come fossero video divertenti o amatoriali ma, guardandoli, ci si rende immediatamente che sono il frutto di una vera e propria produzione professionale: si tratta di spot pubblicitari veri e propri.
Come ogni prodotto pubblicitario che si rispetti, sanno parlare al “target” di riferimento: ragazzi e ragazze giovani che, guardando gli spot, appaiono anche piuttosto coscienti e responsabilizzati nell’uso dei contraccettivi. Essendo rivolti ad un pubblico giovane, gli spot sono anche divertenti: c’è il ragazzo seguito da una truppa di spermatozoi che, idealmente (e non solo), porta con sé prima di incontrare la propria compagna e che vengono “fermati” da un enorme profilattico in lattice. C’è la giovane coppia che tenta di arrangiare due stuzzichini in occasione dell’improvvisa visita dei genitori di lei e, alla frase “ho trovato dei cetrioli in frigo” di lui, lei pensa “devo ricomprare il vibratore“. C’è il lattaio insaziabile che usa profilattici al gusto di cioccolata che lasciano il segno sui denti di tutte le signore del quartiere, e così via con innumerevoli esempi di pubblicità in cui si inquadra l’uso del profilattico in un contesto privo di grandi imbarazzi.
Guardando le pubblicità non è possibile non chiedersi: perché non vengono trasmesse in Italia?
Eppure, si tratta di forme di “pubblicità progresso” che, oltre a pubblicizzare il prodotto, sono anche istruttive, soprattutto per i giovani. Guardandole ancora più attentamente, si osserva che i protagonisti non sono il classico tronista o la velina, personaggi da carta patinata più o meno appariscenti: ma ragazzi e ragazze comuni. L’impatto sociale di queste pubblicità, quindi, non sarebbe del tutto esecrabile. Educheremmo i nostri ragazzi ad una sessualità consapevole e protetta.
Si, protetta, perché il rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità non lascia dubbio alcuno: il profilattico maschile è il mezzo più efficace per la prevenzione dell’AIDS, e può salvare milioni di vite umane.
Questo ostracismo ha anche effetti economici, per lo Stato Italiano e quindi per le nostre tasche: il nostro Ministero della Salute getta letteralmente al vento denaro in campagne troppo timide, destinate a scomparire rapidamente. Nel 2008 prova a rompere il velo del silenzio con una campagna anti-Aids, campagna ripresa a fine 2009 con uno spot molto meno efficace a favore del solo test HIV, dove il preservativo non è neanche più citato.
Una delle conseguenze più gravi del veto cattolico alla diffusione delle informazioni è la completa assenza di educazione sessuale nella popolazione italiana. Quando e se si parla di sesso, a scuola e soprattutto in televisione, lo si fa con grande imbarazzo, come testimonia la sessuloga Lorena Berdun nella trasmissione di Maurizio Crozza. Il risultato è che, anche su questo fronte, il popolo italiano resta clamorosamente indietro: gli stessi temi trattati dalla Berdun si trovano in saggi di educazione sessuale di 30 anni fa.
Al di là delle contraddizioni del Vaticano, che può investire come e dove meglio crede, il vero problema è un altro: pubblicizzare l’uso del preservativo come mezzo per salvare le vite è un’operazione intellettualmente onesta solamente in parte. Bisognerebbe insegnare ai giovani ad usare il preservativo al pari delle altre forme contraccettive non per tutelarsi dal rischio di morte, ma per vivere la propria vita al meglio delle proprie facoltà e volontà, in modo consapevole.
Possibilmente, senza sotterfugi.