Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 30 settembre 2011
D'Avanzo, Berlusconi e la vertigine dell'onnipotenza
Un documento speciale: un'intervista video a Giuseppe D'Avanzo, giornalista sempre esposto ma che non amava apparire, morto all'improvviso a 58 anni due mesi fa. In questa registrazione del dicembre 2001 parla alla tv olandese Rtl e analizza il secondo governo Berlusconi, insiediatosi sei mesi prima. Leggi ad personam, giudici nemici e processi milanesi, progetti per riforme incostituzionali: è già l'Italia del Cavaliere
di Paulina Valkenet e Francesco Viviano
http://tv.repubblica.it/politica/d-avanzo-berlusconi-e-la-vertigine-dell-onnipotenza/77113?video&ref=HRER2-1
Giulio tira uno scherzo da prete a Silvio e Marina: si, quella norma fiscale su Mondadori era ad personam. di Franco Bechis
Per una volta chi pensava male ci ha quasi azzeccato. Quando nel marzo 2010 fu approvato un emendamento parlamentare per estinguere le liti fiscali pendenti da più di dieci anni in Cassazione con il pagamento di una somma pari al 5% del valore della controversia, quasi nessuno ci fece caso. Poi i giudici dell’inchiesta sulla P3 ipotizzarono pressioni in Cassazione per ottenere una sentenza fiscale favorevole alla Mondadori, e il fatto fu smentito proprio dall’esistenza di quella legge. Insorse l’opposizione, sia pure in ritardo, sostenendo che allora la norma votata era “ad personam”. Replicò Marina Berlusconi, presidente della Mondadori spiegando che decine e decine di aziende ne avrebbero usufruito come la Mondadori e fra i beneficiari c’era pure il gruppo di Carlo De Benedetti. A sollevare un velo su cosa davvero è accaduto è stato il ministero dell’Economia guidato da Giulio Tremonti. Che ha inviato alla commissione Finanze del Senato una nota delle Agenzie delle Entrate che rischia di mettere in un certo imbarazzo il premier Silvio Berlusconi e la sua primogenita. Perché è vero che a richiedere di pagare quel 5% per chiudere il contenzioso non fu solo la Mondadori: le domande sono state 191 e quelle accolte per regolare pagamento nei termini della somma solo 67. La nota spiega che il valore delle controversie condonate in quel modo ammontava a 225 milioni di euro, senza tenere conto di “interessi, indennità di mora ed eventuali sanzioni collegate al tributo”. Secondo il ministero dell’Economia “le somme complessivamente versate all’erario per effetto delle predette istanze ammontano a circa 13 milioni di euro”. Quindi sono state 67 le società che hanno beneficiato del piccolo condono fiscale, la Mondadori ha versato 8,7 milioni di euro (i 2/3 del condono), le altre 66 società hanno versato 4,3 milioni di euro (1/3 del condono). Scherzo da prete quello tirato da Tremonti ai Berlusconi con questa noterella: perché senza dirlo espressamente, ha mostrato quella contestata legge (per cui volevano dimettersi gli autori Mondadori) come una legge se non proprio ad personam, per due terzi sì…
http://www.libero-news.it/blog.jsp?id=1721#.ToSdtqRpUbY.email%20
Gruppo scultoreo di potenti che si salvano.
Dopo il voto alla Camera che ha respinto la sfiducia a Romano, l'abbraccio plastico fra il ministro e Silvio Berlusconi, immortalato dai fotografi
Il telefono bollente del ministro Romano. - di Andrea Cottone
Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”. Nella massima di Wolfgang Goethe, il grande scrittore tedesco dell’Ottocento autore del Viaggio in Italia, c’è una piccola verità. Soprattutto quando si applica a esponenti politici con responsabilità ministeriali. Prendiamo Saverio Romano.
E torniamo indietro nel tempo. Attorno all’ora di pranzo del 9 novembre 1997, quando i carabinieri del suo paese, Belmonte Mezzagno, fermano per un controllo quattro persone. Mario Vittorio Bacione, di cui ha parlato il pentito Nino Giuffrè. Giacomo Greco – genero di Ciccio Pastoia, braccio destro di Bernardo Provenzano, morto suicida in carcere subito dopo l’arresto nel 2005 – oggi pentito. Pietro Martorana, ucciso nel 2000, ritenuto legato all’altro capomafia di Belmonte, Benedetto Spera. E con loro viene fermato anche Francesco Saverio Romano, già all’epoca presidente dell’Ircac (Istituto regionale per il credito alla cooperazione) e consigliere provinciale di Palermo.
L’informazione è contenuta in un appunto tramesso ai pm palermitani il 7 luglio 2003 dall’allora consulente della procura Gioacchino Genchi. L’uomo dei telefoni, infatti, aveva fatto la sua parte anche nelle indagini sull’attuale ministro dell’Agricoltura, concludendo che nelle elaborazioni dei dati di traffico di persone indagate per reati di mafia risultavano rilevate le utenze di Romano. Il gip, nel provvedimento di rigetto della richiesta di archiviazione del caso Romano, si chiede “cosa esattamente significhi che le utenze dell’on. Romano ‘risultano rilevate nelle elaborazioni dei dati di traffico’”. Andiamo a vedere.
Secondo la consulenza di Genchi, il cellulare intestato e in uso a Romano era in contatto con tutta una serie di soggetti che, a loro volta, erano finiti in inchieste antimafia. Si tratta di Vincenzo Randazzo, titolare della Co.Ge.Co., condannato per turbativa d’asta e corruzione. Vincenzo Virga di Marineo, paese a 30 chilometri da Palermo, col quale “Romano ha avuto strettissimi e continuativi rapporti” come scrive Genchi. Imprenditore edile “chiacchierato” per una presunta vicinanza al boss Pastoia, è stato assolto dalle accuse.
Da ultimo il Consiglio di Stato, nel 2010, ha rigettato un ricorso presentato dall’azienda di famiglia contro il provvedimento del comune di Palermo di estromettere la ditta da un appalto, in seguito a una relazione negativa della prefettura per rischio di infiltrazioni mafiose. Romano risultava in contatto, tra gli altri, anche con la “Costruzioni Salamone di Aragona” di cui Genchi, nella sua consulenza, sottolinea “l’importanza in relazione al ruolo di raccordo che l’usuario dell’utenza ha rappresentato fra gli imprenditori agrigentini, palermitani, nisseni, trapanesi in vario modo collegati a Cosa Nostra”. Ancora nei contatti di Romano c’è pure Gaetano Chinnici, imprenditore di Belmonte, fratello dell’Antonino ucciso nel maggio del 1999. È stato indagato per mafia a causa delle dichiarazioni dei pentiti Brusca e Siino, ma non risulta avere condanne. Nei tabulati risulta pure Giovanni Pavone, della “Società Cooperativa il Progresso” di Misilmeri, paese poco distante da Belmonte, condannato in via definitiva a 6 anni e sei mesi per associazione mafiosa. Poi c’è Giuseppe Cordone che, in quanto funzionario del comune di Trabia, sarebbe stato a disposizione della locale organizzazione mafiosa e per questo è stato indagato e poi archiviato. Infine, in questa breve rassegna, c’è anche Salvatore Lanzalaco, con cui Romano si tiene in contatto nell’aprile del 1992. L’ingegnere Lanzalaco, arrestato nel 1993 e passato nelle fila dei pentiti, ha svelato ai magistrati il sistema mafioso-politico delle tangenti in Sicilia.
I pm palermitani sottolineano, a buon ragione, che in questi dati non ci sia nulla di penalmente rilevante. Lo stesso Genchi, autore della consulenza, concorda con la procura di Palermo. “Quando gli elementi non sono utili e sufficienti a sostenere l’accusa – dice – è un atto di onestà intellettuale e di grande correttezza che il pm richieda l’archiviazione del procedimento. Certo non sono titoli di merito per diventare un ministro della Repubblica”.
http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/09/30/il-telefono-bollente-del-ministro-romano/161045/
La procura indaga sui Cie galleggianti.
Dopo l'esposto - firmato tra gli altri da Fulvio Vassallo Paleologo, Pietro Milazzo e Zaher Darwish - il procuratore aggiunto Leonardo Agueci apre un fascicolo sulla vicenda delle navi Moby Vincent, Audacia e Moby Fantasy utilizzata dal Governo per trattenere circa 340 tunisini. “Non ci sono problemi a bordo delle navi” assicura Maroni.
di Giuseppe Pipitone
di Giuseppe Pipitone
Da una settimana vivono su tre grandi navi ancorate al porto di Palermo. Sono migranti, quasi tutti tunisini, provenienti da Lampedusa, dove si trovavano durante l'incendio del Cie di contrada Imbriacola. A piccoli gruppi di poche decine sono arrivati all’aeroporto di Sigonella e allo scalo militare palermitano di Boccadifalco. Poi, sistemati su alcuni bus delle forze dell’ordine, sono stati tradotti al porto. I primi sono arrivati giovedì scorso, di notte, quando il porto di Palermo era deserto, fatta eccezione per alcune pattuglie della polizia che recintavano la zona Fincantieri, i pontili a sinistra proprio di fronte – ironia della sorte – il carcere dell’Ucciardone.
Ora sono circa 340 persone, tra loro anche una donna e minori, imbarcati sine die sulle navi Moby Vincent eAudacia, che il Governo ha affittato per farne dei veri e propri Cie sul mare. Fino a sabato le navi erano addirittura tre, ma una – la Moby Fantasy – ha levato gli ormeggi per portare i suoi passeggeri al centro di prima accoglienza di Elmas, vicino Cagliari.
Una modalità di trattamento non proprio canonica quella dei Cie marini. Ed anche irregolare, almeno secondo diversi cittadini palermitani che hanno presentato un esposto alla procura di Palermo.
Il documento - firmato tra gli altri da Fulvio Vassallo Paleologo, professore di Diritto d’Asilo all’università di Palermo, e dai responsabili immigrazione della Cgil Pietro Milazzo e Zaher Darwish – ha messo la procura palermitana nelle condizioni di aprire un fascicolo a carico d’ignoti sulla vicenda.
“Vogliamo denunciare l'assenza di provvedimenti formali e la tempestiva convalida dei provvedimenti da parte di un giudice come previsto dall'articolo 13 della Costituzione” spiega Fulvio Vassallo Paleolico, tra i firmatari del documento. "Ci sono perplessità – aggiunge il docente di Diritto d’Asilo - sulle operazioni condotte dal governo e dalla polizia”.
Adesso il procuratore aggiunto Leonardo Agueci dovrà verificare se esistono fattispecie di reato nella vicenda prima di poter aprire una vera e propria inchiesta.
Nel frattempo il ministro dell’Interno Roberto Maroni ha assicurato che “non ci sono problemi a bordo delle navi”.
Come se fosse normale obbligare la gente a vivere ormeggiata di fronte il carcere dell’Ucciardone.
Come se fosse normale obbligare la gente a vivere ormeggiata di fronte il carcere dell’Ucciardone.
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