lunedì 21 novembre 2011

La Contri e l'auto blu" privilegiata. - di Marco Preve






NEL 1992, come segretario generale della Presidenza del Consiglio era stata soprannominata la "bestia nera" dei benefit, visto che in due settimane aveva tagliato ben 56 macchine di servizio ad altrettanti alti burocrati di Stato. Ma oggi Fernanda Contri, 76 anni, vicepresidente emerito della Corte Costituzionale, è proprio una di quei privilegiati che all'auto blu non vogliono rinunciare. Intendiamoci, la macchina con autista è assolutamente legittima, ma in questi tempi di crisi l'opportunità si fa sostanza oltreché motivo di scandalo. Tanto che lo hanno capito pure al palazzo della Consulta. Proprio pochi giorni fa è stata decisa la clamorosa abolizione di un diritto: agli ex giudici costituzionali niente più auto a vita ma solo per un anno a partire dal momento dell'abbandono della carica.
Per chi invece ne disponeva già da diversi anni i dodici mesi scattano dall'11 settembre giorno dell'approvazione della modifica al regolamento.
Avvocato Contri, è la fine di un'era? «Visto che non ho mai approfittato di alcuna situazione e non ho mai rubato un centesimo, anzi ho sovente sacrificato il mio tempo e ci ho rimesso pure del mio, in qualche maniera, certo mi sono sentita privilegiata, però...» AVVOCATO Contri, non approfittare e non rubare dovrebbe essere la regola, specie per un giudice Costituzionale.
«Certo, lo dico perché purtroppo non è così. Perchè è ben diverso il comportamento disinvolto di alcuni parlamentari che hanno continuato a fare il ministro e l'avvocato. Io da ministro non ho messo piede in tribunale.
E per due volte mi sono cancellata dall'Albo per alcuni anni perdendo così tutti i clienti».
Torniamo all'auto blu che lei ha dal 2005, da quando ha lasciato la Consulta.
«Certamente questi sono momenti in cui dobbiamo cercare di contribuire ad uscire da una situazione di grave crisi economica e la decisione della Corte Costituzionale mi trova d'accordo.
Io però l'auto di Stato l'ho sempre utilizzata per ragioni legate al ruolo. Anche quando ero in servizio mi servivo della mia. A Madonna di Campiglio, dove ho in affitto un appartamentino sono sempre andata con la mia Musa ».
Però all'auto blu - benzina e manutenzione incluse - non ci rinuncia e di questi tempi un diritto può apparire come un privilegio.
«Si è vero, alla disponibilità non ho mai rinunciato. Oddio, devo dire che la macchina mi è molto utile, andando spesso a Roma ci metto meno che con l'aereo. Certo è stata una comodità e l'ho vissuta come un privilegio ma, ripeto, necessario per certe incombenze. Io ad esempio le tessere per il treno, per le partite di pallone o il cinema non le ho mai ritirate».
Sono rinunce pesanti. Lei però appartiene alla sinistra (segretario alla presidenza del consiglio con Giuliano Amato, ministro con il governo Ciampi) e i privilegi lì non dovrebbero essere di casa.
«Ripeto, l'ho sempre usata in relazione ad impegni istituzionali, ad esempio per andare alla festa della Repubblica o a quella dei Carabinieri».
Lei però non è una semplice pensionata: è tornata ad esercitare l'avvocatura, è presidente onorario del gruppo Italbrokers, consulente dell'Autorità Portuale, consigliere della Porto Antico. «E' un'attività assai ridotta.
Guardi, più che altro presiedo enti benefici, oggi ho partecipato a tre consigli di questo genere.
Comunque credo di poter dire che dell'auto blu ne ho approfittato nel senso buono, visto che mi spettava. E siccome qualche anno fa mi sono trasferita a vivere in riviera, e raggiungere Genova in treno è un problema, la macchina di servizio mi è servita».
E tra un anno, pendolare della Fs? «Non penso. Credo che mi fermerò un po', forse è il momento».



Gli sprechi di Palazzo Silvio. - di Emiliano Fittipaldi






Lo scorso anno la presidenza del Consiglio ha speso 4,7 miliardi. Con un aumento record tra staff, viaggi, show, indennità, mobili, jet e auto blu. Ecco la lista inedita.


Mario Monti ha promesso "sacrifici". Ma ha detto pure che chi governa deve avere il coraggio di metter finalmente mano ai "privilegi". Da premier incaricato non ha specificato a chi o cosa si riferisse, ma è assai probabile che ce l'avesse con le lobby, le corporazioni, gli evasori fiscali e, soprattutto, con i politici e le loro prebende. "Monti non è uno stupido, e sa che se vuole far trangugiare l'amara medicina agli italiani, dovrà innanzitutto tagliare le franchigie e gli sperperi della Casta", chiedono in coro commentatori ed economisti.

Qualcuno consiglia l'abolizione immediata delle Provincie, altri puntano sul dimezzamento dei parlamentari, ma di sicuro il professore potrebbe cominciare a fare le grandi pulizie cominciando dalla sua nuova casa. Palazzo Chigi è infatti un mostro succhiasoldi, l'istituzione più costosa d'Italia: "l'Espresso" ha letto le spese (inedite) della presidenza del Consiglio del 2010, scoprendo che la corte di Silvio Berlusconi è costata oltre 4,7 miliardi di euro in 12 mesi, con un aumento del 46 per cento rispetto alle uscite registrate nel bilancio 2006.

La crescita può in parte essere spiegata con la decisione di Romano Prodi di trasferire alcune competenze sotto la presidenza del Consiglio (che così ha inglobato le politiche per lo Sport, per la Famiglia e la Gioventù), né bisogna dimenticare che una grande fetta dello stratosferico budget viene mangiata dagli interventi "attivi" dei vari dipartimenti, Protezione civile su tutti: nel 2010 l'emergenza per il terremoto in Abruzzo ha pesato sui conti per oltre 800 milioni di euro. Ma l'anno scorso - come, va detto, succedeva anche ai tempi dei governi di centrosinistra - una valanga di denaro è servita anche a far sopravvivere il Palazzo: centinaia di milioni di euro sono partiti per il funzionamento dell'ufficio del presidente Berlusconi e del sottosegretario Gianni Letta, dell'ufficio stampa retto da Paolo Bonaiuti e dei vari "servizi" controllati dal segretariato generale, senza dimenticare le strutture di diretta collaborazione e i dipartimenti guidati da sottosegretari e ministri senza portafoglio. Alla fiera degli sprechi hanno partecipato tutti.



Andiamo con ordine. Per il solo "funzionamento" di Palazzo Chigi nel 2010 lo Stato ha impegnato quasi mezzo miliardo di euro, che se ne vanno in stipendi ai dipendenti, indennità, missioni, affitti e comitati di ogni forma e specie. Eppure, nel maggio di un anno fa, in piena crisi economica, il Cavaliere aveva promesso solennemente di ridurre la spesa pubblica. "La spesa è ingente, capillare e non più sostenibile, soggetta a pessime gestioni e malversazioni". La colpa? "I governi consociativi" della Prima Repubblica e "il governo della sinistra" che avrebbe fatto esplodere i costi. Che fare, dunque? La ricetta migliore, spiegava l'ex capo del governo, è semplice: "Limare gli sprechi degli enti, dell'amministrazione pubblica e della politica".

Se l'ex presidente del Consiglio predicava bene, la sua presidenza del Consiglio ha razzolato male. Per fare un confronto tra le spese di Berlusconi e quelle dell'ultimo governo di centrosinistra basta prendere il bilancio del 2007, l'ultimo gestito da Prodi e il suo staff. Per il segretariato generale (l'ufficio comandato da Manlio Strano che gestisce le funzioni istituzionali, le spese di rappresentanza, i voli blu, la biblioteca di Palazzo Chigi e il servizio per "il raccordo organizzativo tra le varie strutture della Presidenza") nel 2010 la spesa corrente è arrivata a 631 milioni di euro, di cui 363 milioni inghiottiti dai costi fissi per stipendi e uffici vari. Sono cifre degne di una reggia imperiale, che non conoscono freni: così l'anno scorso per il funzionamento del segretariato il Cavaliere ha speso 80 milioni in più rispetto al 2007.

L'ufficio stampa di Palazzo Chigi, che già con Prodi costava mezzo milione l'anno, con il Cavaliere è schizzato a quota 645mila: i comunicati di Paolo Bonaiuti e dei vari collaboratori per diffondere il credo di "Silvio" e le opere del primo ministro ci sono costati in pratica 1.700 euro al giorno. Altri 81 mila euro sono finiti nell'acquisto di giornali, 77 mila per le pubblicazioni on line della Biblioteca Chigiana.



http://espresso.repubblica.it/dettaglio/gli-sprechi-di-palazzo-silvio/2166761

domenica 20 novembre 2011

«Società e posti di lavoro ai figli: così pagavano i politici». - di Fiorenza Sarzanini

Un'immagine di archivio di Guido Pugliesi (sito Enav)
Un'immagine di archivio di Guido Pugliesi (sito Enav)


Le accuse: con la valigetta nell'ufficio dei centristi. Matteoli, Brancher e Tremonti referenti dell'ad.


ROMA - Posti di lavoro e consulenze affidate ai figli e ad altri familiari di politici. Quote di società private intestate a parlamentari oppure a loro parenti che ottengono appalti dalle aziende pubbliche. Eccolo il «sistema di illegalità» illustrato dal giudice Anna Maria Fattori che porta all'Enav e ad aziende del Gruppo Finmeccanica. Ecco come «il potere politico, distratto dalla cura della res pubblica, esige di trarre dall'esercizio del potere economico di cui individua i detentori, utilità per i singoli e per i partiti che li sostengono». Sono le rivelazioni del consulente Lorenzo Cola, dell'imprenditore Tommaso Di Lernia, del commercialista Marco Ianilli a delineare «con dichiarazioni ripetute e concordanti la serie di rapporti, relazioni, cointeressenze e conflitti di interessi personali e imprenditoriali». E così a descrivere il meccanismo delle «frodi fiscali da cui generano risorse extracontabili utilizzate per erogare somme non dovute a infedeli apparati e uomini dello Stato e delle imprese per ottenere appalti e nomine».
I politici di riferimento
Nell'ordinanza vengono citati come politici di riferimento di Guido Pugliesi, l'ex ministro dell'Economia Giulio Tremonti, il senatore Giulio Andreotti, l'ex ministro dei Trasporti Altero Matteoli. Ma la lettura delle carte processuali fa ben comprendere come gli «omissis» nei verbali dello stesso Cola, apposti dal pubblico ministero Paolo Ielo, nascondano un quadro ben più ampio nel quale sono inserite personalità tuttora al centro di verifiche e accertamenti. Una ricerca che, dice il giudice, è invece già terminata in maniera positiva per ricostruire quanto accadde il 2 febbraio 2010 nella sede dell'Udc in via Due Macelli a Roma.


È Di Lernia a raccontare di aver versato 200 mila euro al tesoriere Giuseppe Naro alla presenza di Pugliesi. Scrive il giudice: «Nell'interrogatorio del 25 maggio 2011 l'imprenditore afferma che Pugliesi aveva sempre rifiutato le offerte di denaro, tuttavia "nell'ultimo periodo" gli aveva sollecitato un'offerta di denaro presso l'ufficio dell'onorevole Casini; che a tale richiesta aveva aderito prelevando 200 mila euro da un conto acceso presso un istituto della Repubblica di San Marino dove si era recato accompagnato dalla segretaria Marta Fincato; che la consegna era avvenuta negli uffici dell'Udc dove era potuto accedere solo dopo che il Pugliesi, che ivi già si trovava, era sceso e lo aveva con sé sopra condotto; che a ricevere il denaro era stata una persona che gli veniva presentata come tesoriere dell'Udc, "forse un parlamentare"; che a questi Di Lernia era stato presentato dal Pugliese come "uno che lavora con Selex". Tali dichiarazioni sono state ribadite e circostanziate nel corso dell'interrogatorio del 13 luglio 2011 durante il quale Di Lernia riconosceva nell'effige fotografica di Naro Giuseppe la persona alla quale aveva consegnato il denaro e che non lo fece accedere nello studio personale in quanto vi era in corso una "bonifica"».


Date e incontri nell'agenda di Pugliesi
Questa versione viene confermata da Cola, che aggiunge un dettaglio: della tangente si parlò durante un incontro avvenuto a casa sua proprio con Pugliesi e Di Lernia. La segretaria di quest'ultimo conferma di averlo accompagnato in via Due Macelli «e in quell'occasione aveva con sé la valigetta solitamente utilizzata per il trasporto di documenti e denaro». Secondo le verifiche effettuate dai carabinieri del Ros «il 29 gennaio 2010 Di Lernia ha effettuato un prelievo per 206 mila euro dal conto corrente "Ciclamino" acceso in San Marino presso la banca commerciale Sammarinese».


Ma l'ultimo e più importante riscontro, secondo il giudice, è arrivato dall'agenda di Pugliesi perché «le annotazioni danno contezza sia di un pregresso appuntamento del 19 gennaio 2010 con Naro e altri due soggetti l'uno dei quali Di Lernia (come può agevolmente dedursi dal nominativo Naro collegato con due barre l'una al nome Di Lernia l'altro a nominativo che sembra indicare "Optimatica"), sia di un appuntamento il giorno 2 febbraio 2010 alle ore 9.30 con Naro, e alle 12.30 dello stesso giorno ancora con il Di Lernia e il Cola presso l'abitazione di quest'ultimo».


Nella «rete» Matteoli e Tremonti 
Per misurare «il grado di potere di Pugliesi» il giudice evidenzia «il numero di appuntamenti riportati sulla sua agenda, nonché lo spessore dei politici di riferimento dall'allora ministro dell'Economia Giulio Tremonti al senatore Andreotti nel cui studio effettua incontri, oltre che da annotate frequentazioni con i deputati Brancher e Naro». Poi si sofferma sul ruolo dell'ex ministro dei Trasporti Altero Matteoli: «Giova osservare, sebbene potrà essere oggetto di approfondimento investigativo, che secondo quanto dichiarato da Di Lernia nel corso dell'interrogatorio del 26 luglio 2010 nella vicenda "Optimatica" vi era l'interesse del ministro Matteoli in quanto tale società avrebbe finanziato una fondazione che a quello faceva capo, così come di interesse investigativo potranno essere gli altri emersi riferimenti sui rapporti tra società collegate a Enav da elargizioni a partiti attraverso rapporti personali dei quali Pugliesi si rendeva promotore».


In questo quadro Di Lernia e Cola, in due diversi interrogatori, indicano «i vantaggiosi incarichi a parenti di uomini politici, nonché la titolarità di quote». E che altri nomi altisonanti possano essere contenuti negli atti ancora segreti si capisce quando il giudice afferma: «Se è vero che i rapporti, gli incontri, gli appuntamenti tra Pugliesi e Naro sono di per sé privi di valenza indiziaria, tuttavia proprio in considerazione delle modalità di influenza politica delle quali Pugliesi deriva la propria nomina, tali rapporti - calati come si deve in un contesto ambientale che denuncia continui interessi privati nelle scelte imprenditoriali dell'Enav e delle società da essa controllate, perdono siffatta neutralità significando piuttosto atti preparatori di concrete forme di "ringraziamento" di Pugliesi a coloro i quali, a ragione del ruolo politico parlamentare ricoperto, doveva il permanere del suo potere in Enav».


«Borgogni è un ladro di polli»
Altre tangenti, dunque, un fiume di denaro. Un meccanismo che, dice l'accusa, aveva tra i suoi snodi la Selex Sistemi Integrati amministrata dall'ingegner Marina Grossi. «Braccio operativo» per il sistema di false fatturazioni che avrebbero consentito di creare "fondi neri" sarebbe stato Manlio Fiore, direttore commerciale di Selex. È stato Cola, durante l'interrogatorio del primo settembre scorso, a indicare in Lorenzo Borgogni, responsabile delle relazioni istituzionali di Finmeccanica, «colui che conferì a Manlio Fiore il sistema delle sovrafatturazioni». E al termine delle verifiche effettuate dal pubblico ministero il giudice sottolinea come «Fiore costituisse lo snodo operativo in Selex per la costituzione del "sistema Enav" inteso come meccanismo di attribuzione di commesse che attraverso sottesi illeciti rapporti personali con sviamento dei poteri pubblici e privati garantiva illecite contribuzioni di denaro a singoli e a partiti». E quando motiva la scelta di detenzione in carcere sottolinea come fosse proprio lui «a indicare i soggetti a cui corrispondere utilità senza giusta causa».


Un sistema che anche Borgogni avrebbe gestito. In questo filone gli viene contestato di aver convinto gli imprenditori Di Lernia e De Cesare a pagare le rate della barca del parlamentare Pdl Marco Milanese, allora stretto collaboratore del ministro Tremonti. Si tratta di 224 mila euro per cui Milanese sarà processato con rito immediato a febbraio per illecito finanziamento. Il giudice non crede che Borgogni sia coinvolto nell'affare illecito e per questo ha negato il suo arresto. Tra gli elementi a discarico cita un verbale di Cola durante il quale il consulente indagato «riferisce, sia pure incidentalmente, della disistima di Milanese verso Borgogni, definito dal primo "un ladro di polli"». Del resto già le intercettazioni allegate al fascicolo processuale sull'operazione Digint avevano rivelato i contrasti tra i due con lo stesso Borgogni, che dopo aver accusato il ministro Tremonti di essere l'ispiratore delle inchieste contro Finmeccanica, citava Milanese tra «i suoi scagnozzi». 


Fiorenza Sarzanini


http://www.corriere.it/cronache/11_novembre_20/sarzanini-societa-posti-lavoro-ai-figli_e0e40114-134d-11e1-8f9c-85bd5d41d537.shtml

Mille anni alla 'ndrangheta del N0rd Condannati 110 affiliati alle cosche.



Il magistrato Ilda Boccassini (Newpress)

Dagli imputati applausi ironici e urla contro il giudice
«Danni di immagine a Regione e Comuni»

MILANO - Dagli arresti alla sentenza di primo grado in appena 14 mesi: quasi mille anni di carcere, inflitti dopo 32 ore di camera di consiglio dal giudice dell'udienza preliminare Roberto Arnaldi a 110 imputati su 119, hanno chiuso la prima metà processuale dell'operazione di 'ndrangheta «Infinito», istruita dalla Procura con zero pentiti ma 1 milione e 494mila contatti intercettati in due anni su 572 utenze, 25mila ore di telefonate, 20mila ore di colloqui registrati in auto-casa-campagne-ristoranti-lavanderie, e 63mila ore di video.
IL FILMATO - Compreso il filmato, «storico» non solo sul versante giudiziario, dei 22 partecipanti ripresi dai carabinieri il 31 ottobre 2009 mentre proprio dentro un centro sociale per anziani intitolato a Falcone e Borsellino nel Comune di Paderno Dugnano - e sotto l'egida del boss incaricato di "commissariare" i clan lombardi dopo i tentativi "autonomisti" stroncati con l'assassinio di Carmelo Novella - eleggevano il temporaneo referente della 'ndrangheta in Lombardia e il capo della "locale" di 'ndrangheta a Milano.
LE COSCHE IN LOMBARDIA - La sentenza riguardava due terzi dei 170 arrestati nel luglio 2010 dall'Antimafia milanese del procuratore aggiunto Ilda Boccassini e dei pm Alessandra Dolci e Paolo Storari nel blitz coordinato con il fermo di altre 130 persone da parte della Procura di Reggio Calabria di Giuseppe Pignatone: una operazione che, a detta allora dei gip Ghinetti e Gennari, «a dispetto dell'apparente "non visibilità" del fenomeno 'ndranghetista in terra lombarda» comprovava «che la Lombardia è già da tempo sede stanziale di gruppi organizzati anche con modalità militare, che rivendicano e purtroppo realizzano un controllo del territorio antagonista a quello dello Stato», intuibile nei 130 attentati incendiari a danno di imprenditori e nei 70 episodi intimidatori negli ultimi tre anni in Lombardia pur senza denunce. 
I DANNI D'IMMAGINE - Significativo appare il riconoscimento dei danni d'immagine (seppure non quantificati dal giudice, che non ha concesso provvisionali immediatamente esecutive ma ha rinviato alla determinazione in sede di cause civili) a favore non solo del ministero dell'Interno e della presidenza del Consiglio, ma anche della Regione Lombardia, dei Comuni di Pavia, Bollate, Paderno, Desio, Seregno e Giussano, e della Federazione antiracket, costituitisi parti civili per le ripercussioni patite dal territorio a causa dei traffici delle 'ndrine.
LA REAZIONE - Applausi ironici, un battere sulle sbarre e sfottò di «buffone-buffone» e «lega lombarda» si sono sollevate alla lettura del verdetto, che non ha assolto alcuno degli imputati ai quali il pm che si è sobbarcata il peso del dibattimento, Dolci, muoveva l'accusa di associazione di stampo mafioso. Il giudice ha invece limato l'entità delle richieste di pena perché ha concesso le attenuanti generiche ai soli "partecipi" (non ai capi e promotori) e agli incensurati.
LE CONDANNE - Le pene più alte ad Alessandro Manno che ha avuto 16 anni, Pasquale Varca 15, Pasquale Zappia (che alla lettura si è sentito male) e Cosimo Barranca e Vincenzo Mandalari 14, e poi via via condanne da 12 a 4 anni: tutte incorporano lo sconto di un terzo legato alla scelta del rito abbreviato (cioè allo stato degli atti) anziché del dibattimento ordinario, in corso invece per altri 39 degli arrestati del luglio 2010. Tolti 6 proscioglimenti per «ne bis in idem» e uno per morte, gli unici assolti sono Francesco Barbaro, Rinaldo La Face, e su richiesta del pm l'ex assessore provinciale (indagato per corruzione) Antonio Oliverio nella giunta Penati 2007-2009 e poi nell'Udeur, mentre è stato condannato a 1 anno e 4 mesi per turbativa d'asta l' ex sindaco pdl di Borgarello (Pavia), Giovanni Valdes. Confiscati ai condannati molti dei beni sotto sequestro, che fino a 3,6 milioni di euro andranno a pagare le spese processuali, tra cui quelle per le intercettazioni.

L’ennesimo avviso a pagamento sul Corriere.



http://www.giornalettismo.com/archives/170267/lennesimo-avviso-a-pagamento-sul-corriere/

Berlusconi: “Se Monti mette la patrimoniale non potrà andare avanti”.



“Se Monti prenderà misure in contrasto con la linea dei partiti che lo sostengono, come per noi la patrimoniale, non potrà andare avanti”. Lo dice Silvio Berlusconi, in un’intervista al Corriere della Sera. L’ex premier ribadisce che “il governo è composto datecnici di elevata competenza, ma questo non significa che avranno carta bianca su tutto”. Quanto alla durata dell’esecutivo, Berlusconi sottolinea che il governo “deve arrivare al 2013. I provvedimenti che deve portare in Aula non sono pochi – afferma – e con i tempi e le regole vigenti richiedono un periodo non brevissimo. Così si completano i cinque anni e poi ci si rivolge agli elettori”.

Rispetto alla reintroduzione dell’Ici, l’ex presidente del Consiglio fa sapere che potrebbe accettare la formulazione di una imposta in linea con i parametri europei. “Monti ha fatto intendere che porterà la tassazione degli immobili – sottolinea Berlusconi – in linea con la media europea, mentre ora è al di sotto. E’ possibile che questo comporti l’introduzione di un’imposta simile all’Ici, da noi già prevista con il federalismo”. Sul tema della legge elettorale, Berlusconi aggiunge che “c’è molta ipocrisia” perchè “chi critica il parlamento dei nominati – rileva l’ex premier – finge di non sapere che se si tornasse ai collegi uninominali i candidati sarebbero indicati sempre dai partiti” e poi precisa che nel 2013 non si ricandiderà mentre, sin da ora, lavorerà in Parlamento “per assicurare la governabilità e le buone leggi” e nel partito “per prepararlo alle prossime elezioni e vincerle”. Alle prossime consultazioni elettorali il candidato premier del Pdl verrà scelto attraverso le primarie e Berlusconi dice di avere “la ragionevole convinzione che a vincere sarà Angelino Alfano”. Infine, a proposito di una eventuale candidatura di Monti alle prossime politiche, l’ex premier ripete: “Monti mi ha detto che se il governo andrà avanti è logico che lui non approfitterà della situazione per candidarsi. Un impegno assunto alla presenza del Capo dello Stato”. L’intervento del Cavaliere arriva a meno di 24 ore dalla presa di posizione del segretario politico Pdl Angelino Alfano, che ha avvertito: “Sosterremo il governo ma non saremo subalterni. No a forzature”.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/20/berlusconi-monti-mette-patrimoniale-potra-andare-avanti/171987/

Pier Silvio Berlusconi detta le condizioni al governo. Obiettivo: salvare Mediaset. - di Stefano Feltri



Il figlio dell'ex premier manda messaggi chiari al nuovo presidente del Consiglio. In sintesi: lasciate stare le televisioni di famiglia e tutto andrà bene. Sottinteso: toccatele e all’improvviso la base parlamentare del governo potrebbe dimostrarsi parecchio fragile.





Nessun pasto è gratis, dicono gli economisti. E la massima funziona anche in politica. Chi pensava che dietro il fair play istituzionale di Silvio Berlusconi nei giorni della transizione dal suo governo a quello di Mario Monti ci fosse soltanto senso dello Stato e percezione della crisi, deve ricredersi. Sul Corriere della Sera di ieri, in un’intervista al vicedirettore Daniele Manca (interlocutore di fiducia per Marina Berlusconi, di solito), manda messaggi chiari al nuovo premier. In sintesi: lasciate stare Mediaset e tutto andrà bene. Sottinteso: toccate Mediaset e all’improvviso la base parlamentare del governo potrebbe dimostrarsi parecchio fragile. Visto che Monti è ancora poco abituato al linguaggio della politica attiva, almeno in Italia, gli può essere utile una traduzione.

SOLLIEVO. “Se devo essere sincero questo governo Monti per noi di Mediaset potrebbe rappresentare una boccata di ossigeno”. Traduzione: Mediaset conta che il governo non approfitti della debolezza di Berlusconi per fare una legge sul conflitto di interessi. E spera che l’andamento in Borsa del titolo non sia più condizionato dalle performance politiche del Cavaliere.

TIMORI. “Quello che temo è che in una situazione di mercato così delicata, una classe politica ideologica possa utilizzare trovate regolamentari per danneggiare un’industria italiana che si fa onore anche all’estero”. Traduzione: Caro Monti, non lasciare che quella piccola parte del Pd (con l’appoggio dell’Idv) che ancora si pone il problema del conflitto di interessi tenti qualche blitz in Parlamento.

SPOT.”Ho letto dichiarazioni riferite a Mediaset in cui si sosteneva che non è normale avere il 30 per cento di ascolti e una quota più alta dei ricavi pubblicitari tv. A parte che i nostri ascolti sono intorno al 40 per cento nonostante tutta la nuova concorrenza, ma che ragionamento è?”. Traduzione: cari investitori pubblicitari, continuate a mantenere i vostri budget. Il fatto che Berlusconi non sia più a Palazzo Chigi non è una ragione sufficiente per tagliare le inserzioni.

BEAUTY CONTEST. A proposito delle frequenze digitali regalate dallo Stato, con la procedura del beauty contest ancora in corso, Pier Silvio dice: “Se ottenessimo quelle frequenze dovremmo cominciare a spendere mettendoci contenuti altrimenti sarebbe come non averle. E visto che siamo in giornata di paradossi ne segnalo un altro: se l’assegnazione delle frequenze dovesse avvenire con un’asta a rilanci, vorrei vedere quale operatore tv sarebbe disposto a partecipare davvero”. Traduzione: meglio, caro Monti, che non Le salti in mente di rimettere in discussione il gran regalo del beauty contest. Se dovesse decidere di fare un’asta, per fare cassa, sappia che Mediaset ha più soldi degli altri. E quindi il risultato finale potrebbe essere che il Biscione si pappa tutta la torta. Vale la pena rafforzare così tanto la posizione delle tv berlusconiane per i prossimi decenni in cambio di qualche miliardo?

PREZZO. “Spero solo che da ora Mediaset sia valutata realmente per i suoi meriti e i suoi errori, e non con il pregiudizio che tutto sia merito o colpa non di chi ci lavora, ma di qualcun altro”. Messaggio ai mercati. Sappiate, dice Pier Silvio, che oggi il titolo Mediaset è sottostimato perché sconta la fine del governo. Quindi correte a comprarlo finché è un buon affare.



http://www.ilfattoquotidiano.it/2011/11/20/mediaset-pier-silvio-detta-le-condizioni-al-governo/171918/