lunedì 25 giugno 2012

Trattativa. Ezio Cartotto si accorda con B. - Monica Centofante


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E ai magistrati ricorda i misteri sulla nascita della Fininvest.

Spuntano le intercettazioni tra Ezio Cartotto e la segreteria di Silvio Berlusconi nell’inchiesta sulla trattativa tra Stato e mafia. Una serie di telefonate effettuate per fissare appuntamenti tra l’ex premier e il suo ex consulente politico, tra i fondatori di Forza Italia, prima e dopo gli interrogatori dei pm di Palermo e di Firenze che avevano convocato più volte Cartotto per sentirlo come persona informata dei fatti.
E’ il 4 dicembre scorso quando Marina Brambilla, segretaria del Cavaliere, chiama il consulente per annunciargli che Berlusconi non sarebbe stato disponibile per un incontro evidentemente richiesto dallo stesso Cartotto. Ma la ragione di quella esigenza avrebbe fatto presto cambiare idea all’ex premier.
Va bene, risponde il politologo alla Brambilla, annunciandole che avrebbe nel frattempo inviato via fax “una convocazione che mi è stata fatta dall’autorità giudiziaria di Palermo (il 25 novembre 2011, ndr.)... e che riguarda quel famoso problema degli accordi tra la mafia...”. La segretaria è turbata: “Oh Madonna!” esclama e il suo interlocutore rassicura: “Sì, sì, sì... e come testimone naturalmente... credo che riguardino sempre quel famoso problema degli accordi tra la mafia eh... ecco, io non riesco a capire perché questi signori si ostinino a chiedere a me cose che io non sono assolutamente in grado di sapere...”. “Né in un senso, né in un altro”. All’interrogatorio, comunque, non ha intenzione di andare: “Sono caduto recentemente e mi sono fatto un enorme ematoma profondo tre centimetri e largo trenta... la vita non è facile per una persona malata come me... e allora sicuramente il 5 dicembre si sognano che io vada giù e, probabilmente, anche il 5 gennaio, anche il 5 febbraio, anche il 5 marzo, perché... gli manderò una regolare.... marea di certificati medici...”. E aggiunge: “Però volevo che lui fosse informato di questo...”.
Il giorno successivo, alle 19.09, il cellulare del politologo squilla. La chiamata arriva da Palazzo Grazioli, all’altro capo del filo, la signora Claudia: “Lei mi ha chiesto un appuntamento con il Presidente, è vero? ...Fissiamo per domani ad Arcore... Alle ore 17,30 va bene?”. “Per me va benissimo, grazie”.
E’ evidente, annota la Dia, che esiste “un interesse particolare da parte di Berlusconi nei confronti della vicenda che riguarda Cartotto”. Niente di più facile considerato che fu proprio lui l’uomo a cui Dell’Utri si rivolse per creare Forza Italia, interrogato dai magistrati per riferire quanto a sua conoscenza sulla nascita del partito che fu poi appoggiato dagli uomini di Cosa Nostra nel periodo che seguì la stagione delle stragi del ’92 e ’93. E gli inquietanti accordi tra lo Stato e la mafia.
Cartotto, nonostante l’iniziale intenzione di non recarsi dai pm, viene sentito il 10 dicembre successivo e, tra le altre cose, ai magistrati di Palermo racconta che subito dopo l’omicidio Lima, quando si incontrò con Dell’Utri, questi gli disse che a suo modo di vedere il politico era stato assassinato perché ritenuto inaffidabile. Sottolineando, in via confidenziale, la necessità di non disperdere i voti siciliani formando un nuovo partito politico.
Finito l’interrogatorio chiama un cellulare e lascia un messaggio in segreteria chiedendo di essere richiamato con urgenza per fissare, come precedentemente concordato, un appuntamento “prima del periodo natalizio”. Chi chiama Cartotto? Il 31 gennaio del 2012 l’ex consulente viene nuovamente interrogato a Palermo e il 2 febbraio riceve una telefonata dalla segretaria di Berlusconi che conferma un appuntamento fissato al 6 febbraio ad Arcore. E posticipato poi al giorno successivo.
Nascita di un impero. I fantasmi del passato.
Cosa abbiano concordato e di cosa abbiano discusso i due interlocutori non è dato sapere.
Certo è che a colloquio con i magistrati Cartotto è tornato sui misteri del Cavaliere e sulla nascita del suo impero. Su “Berlusconi e la mafia” il politologo ha detto di non sapere nulla “a parte alcuni strani rapporti con il finanziere Filippo Alberto Rapisarda”. Poi, in riferimento alla Edilnord, l’azienda con la quale Berlusconi costruì Milano2, ha dichiarato di essere in possesso di compromettenti carte “conservate nel baule di una zia”. “Berlusconi – si legge nel verbale pubblicato da Repubblica - era il socio accomandatario, mentre l’accomandante era una domestica svizzera. Lui voleva trasformare tale società in accomandita semplice in una società di capitali, ma se l’avesse fatto attraverso i soliti giri poteva richiamare l’attenzione. Allora era proibito mandare i capitali all’estero”. Fu lo stesso Cartotto a trovare una soluzione al problema: “Il favore glielo fece l’avvocato Ferruccio Ferrari, amministratore della finanziaria Cefin, proprietaria di un pacchetto azionario della Banca Italo Israeliana. Attraverso questa banca abbiamo fornito in Svizzera a Berlusconi il denaro per fare l’aumento di capitale. Il denaro ricevuto in Svizzera fu poi restituito in Italia”. “Non so cosa ci abbia guadagnato Ferrari. Non era il tipo da fare gratis queste cose”. Certo però, ha concluso Cartotto, non è “un’operazione che dà una bella immagine di Berlusconi”.
Poi, in risposta i pm, ha raccontato che “Il rapporto con Berlusconi è proseguito in modo conflittuale”: “L’anno scorso, gli avevo rappresentato la mia grave situazione finanziaria. Allora è intervenuto sulla Mondadori, ho scritto un libro sui personaggi che fondarono la repubblica. Poi, gli ho detto: ‘Io devo vivere tutti i giorni’, ma non c’era ricatto, perché, altrimenti, o sarei morto ammazzato, o sarei ricchissimo”. Comunque sia, il politologo ha alla fine ammesso di ricevere da Berlusconi “una rimessa di denaro, mensile”.
E la storia di certo non finisce qui.

La vergogna dello Stato. - Giorgio Bongiovanni


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Ormai è sufficientemente provato: la trattativa c’è stata. Parti dello Stato italiano si sono vendute a Cosa Nostra, hanno negoziato, hanno sacrificato la vita di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in perfetta linea di continuità con una gestione del potere che dalla strage di Portella della Ginestra in poi non è mai cambiata. E dopo settant’anni che il nostro Stato scende a patti con la mafia sarebbe ora di dire: basta!
Non sembrano averne intenzione i rappresentanti delle nostre Istituzioni, se solo ieri, di fronte ai rivoltanti sviluppi dell’indagine sulla stessa trattativa e sul ruolo del Quirinale, il presidente del Senato Renato Schifani ha avuto il coraggio di dichiarare che “attaccare Napolitano significa danneggiare il nostro Paese”. Dichiarandosi onorato di aver potuto collaborare con il presidente della Repubblica, un uomo caratterizzato da “un grandissimo senso dello Stato, una grandissima trasparenza, correttezza e saggezza”. “Valori” che “sono un patrimonio del Paese”.
Come mantenere la calma di fronte a simili, squallide dichiarazioni da parte del senatore Renato Schifani, indagato per concorso esterno in associazione mafiosa?
Come non vedere la grande ipocrisia che si nasconde dietro quella facciata perbenista che tanto ricorda gli scribi e i farisei del biblico sinedrio?
E come non domandarsi cosa ci sia di vero in questa sbandierata trasparenza del presidente Napolitano?
Con tutto il rispetto per l’istituzione, che tengo ogni volta a ribadire, non posso costringermi a non guardare in faccia la realtà. E a chiedermi quale correttezza e rigore morale possano esserci in un uomo che riveste la prima carica dello Stato mentre esalta la figura di un latitante come Bettino Craxi (deceduto), un criminale condannato in via definitiva dalla Corte di Cassazione. In un Presidente della Repubblica che interferisce pesantemente nel lavoro della magistratura per soddisfare le richieste private di soggetti della portata di Mancino, indagato in una delle più gravi inchieste che la nostra storia ricordi.
Dall’altra parte della barricata, a subire quelle pressioni, i coraggiosi eredi di Falcone e Borsellino che tentano faticosamente di fare luce sulle stragi che nei primi anni Novanta hanno insanguinato il nostro Paese. E che un’Istituzione sana, Napolitano in primis anche in quanto Presidente del Csm,  dovrebbe appoggiare in ogni modo: proteggendoli e mettendo a loro disposizione uomini e mezzi.
Invece no, ancora una volta. In nome di una fantomatica ragion di Stato che obbliga a coprire, insabbiare, depistare cedendo il passo ad un pericoloso clima di isolamento istituzionale che rischia di essere preludio di nuove tragedie.
“Mantenere gli equilibri” è la cosa più importante, in particolare ora che il nostro Paese ha estremo bisogno di una stabilità, poggiata sulla figura di Monti, “creatura” dello stesso Napolitano. Ed ecco che il potere, compreso quello dell’informazione di regime, si stringe intorno al Quirinale e si ripresentano le stesse dinamiche già vissute nella metà degli anni Novanta quando per “amor di patria” si fermò il lavoro della procura di Palermo capitanata da Giancarlo Caselli, che con la delicatissima inchiesta sui sistemi criminali stava puntando dritta al cuore dei rapporti tra mafia, politica, imprenditoria e poteri occulti.
Eliminato l’ostacolo l’Italia rientrò tranquillamente nei parametri di Maastricht e successivamente fece il suo ingresso trionfante nell’Euro. Ma a quale prezzo? Al  prezzo della verità che oggi si decide di schiacciare di nuovo sotto il peso delle scelte politiche perché il nostro Paese possa rimanerci nell’Euro o perché non debba seguire il triste destino della Grecia o della Spagna.
E’ giusto? Io dico: no e mille volte no! Non sono disposto a negoziare ancora la verità con l’illusione di una crescita che non vedremo mai. E in ogni caso preferirei vivere in un Paese capace di resuscitare con onestà e trasparenza da una qualsiasi crisi democratica o economica piuttosto che proseguire su questa strada, tentando di evitare scelte estreme, ma tenendo chiusi nell’armadio tanti, troppi scheletri.
I magistrati impegnati oggi a scoprire quelle scomode verità sono in tutto una ventina, una decina dei quali ufficialmente titolari di quelle indagini, ostacolati dalle istituzioni, dal loro massimo rappresentante, dall’interno della stessa magistratura in buona parte prigioniera delle logiche correntizie e più propensa a soddisfare interessi di parte che al raggiungimento della verità.
Fuori dalle aule di Giustizia, dai Palazzi, il popolo, schiacciato da un’informazione per la maggior parte malata e asservita al potere, non ha gli elementi per valutare, vittima della confusione generale creata ad arte per soffocare sul nascere ogni pensiero critico, ogni protesta di massa.
È il clima ideale per una nuova strage. I magistrati messi all’indice, pubblicamente insultati sono un chiaro segnale per Cosa Nostra, come per certi ambienti nei quali convergono gli interessi della politica, dell’alta finanza, dei servizi segreti deviati, della massoneria. Fermare quelle indagini che stanno arrivando alla meta è il gioco che vale la candela e se contraccolpi ci saranno a pagare il prezzo sarà soltanto la manovalanza criminale che, come sempre, è l’unica a cui viene presentato il conto.
E’ questo che sta accadendo oggi sotto i nostri occhi mentre il Presidente Napolitano tenta di confondere le carte, proteggendo i traditori dello Stato. La domanda è: perché lo fa? Cosa veramente vuole nascondere? E qual era la sua posizione negli anni bui delle stragi quando ricopriva la carica di presidente della Camera?
Forse, o senza forse, lui sa nulla o poco di quella trattativa, ma lo stesso non vale per molti dei personaggi che ha al suo fianco. D’Ambrosio, per esempio. Non abbiamo diritto, noi cittadini, di sapere chi sia davvero questo signore che interferisce, per conto del Capo dello Stato, su una delle inchieste giudiziarie più gravi degli ultimi 50 anni? A quale corrente di potere appartiene?
Mi associo per questo a Salvatore Borsellino e al presidente della Commissione europea antimafia Sonia Alfano nel chiedere l’impeachment di Napolitano o, ancora meglio, le sue dimissioni. Per dare un segnale forte al Paese, per prendere le distanze da questa faccenda sporca della trattativa, per far sentire il suo sostegno ai magistrati che indagano su quelle vicende e che rischiano di diventare i protagonisti di una drammatica storia che troppo spesso si ripete.

Il Dalai Lama in Emilia visita i terremotati: "Siate forti".




"Dovete essere determinati, lavorare duro, non perdere la speranza, solo questo vi aiuterà a costruire una nuova casa e a tornare a guardare al futuro". Così il Dalai Lama ha esortato la folla che lo ha accolto nella sua visita a Mirandola, uno dei centri più colpiti dal sisma in Emilia.

"Ho visto case e industrie distrutte arrivando qui. E' un disastro. Ho pregato per voi da quando ho saputo del terremoto e mi trovavo a Udine", ha poi detto rivolgendosi agli sfollati del 'campo Friuli'. "Appena ho avuto l'occasione sono venuto qui. Vedendo questa distruzione - ha aggiunto - ho provato profondo dispiacere. In passato ho visitato altri posti dove ci sono stati disastri naturali e ho sempre convinto le persone a pensare al futuro". 
"Non è giusto venire a mani vuote in un posto colpito da questo disastro. Per questo motivo donerò altri 50.000 dollari a queste popolazioni" ha detto ancora il Dalai Lama.
Già al momento dell'annuncio della visita a Mirandola, lo staff del Dalai Lama aveva reso nota una prima donazione di 50.000 dollari alla Croce Rossa dell'Emilia-Romagna per le operazioni di soccorso.

Il Dalai Lama, nel corso della sua visita in Italia, sarà a Milano il 26 e 27 giugno. Nell'occasione interverrà nel Consiglio comunale del capoluogo lombardo, ma non riceverà la cittadinanza onoraria. La votazione sull'onorificenza è infatti saltata dopo le proteste della Cina, che ha fatto sapere che avrebbe interpretato l'iniziativa del Comune come un gesto di inimicizia nei confronti del popolo cinese. 



http://tg24.sky.it/tg24/cronaca/2012/06/24/dalai_lama_visita_popolazioni_colpite_sisma_emilia_mirandola.html

"Preferisco non dare difficoltà alle istituzioni, per me non è un problema": così, a Matera, dove poco fa ha cominciato la sua visita in Basilicata, il Dalai Lama ha risposto alle domande dei cronisti sul rinvio della cittadinanza onoraria di Milano.
Il sindaco di Matera, Salvatore Adduce, ha poi ufficialmente invitato il Dalai Lama alla riunione ufficiale del Consiglio comunale della Città dei Sassi per conferirgli la cittadinanza onoraria che ieri è stata votata all'unanimità dall'assemblea municipale: "La invitiamo ufficialmente - ha specificato - a seconda dei suoi impegni. Noi siamo disponibili comunque a raggiungerla - si è rivolto il sindaco al Dalai Lama - in qualsiasi parte del mondo per consegnarle l'onorificenza".
All'incontro ha partecipato anche il Premio Nobel per la Pace del 1976, Betty Williams, che accompagna il Dalai Lama nella visita in Basilicata: domani a Scanzano Jonico (Matera) visiteranno la Città della Pace. (ansa)

I poliziotti condannati insultano la madre di Aldrovandi su Facebook. - Marco Zavagli




"Se avesse saputo fare la madre non avrebbe allevato un cucciolo di maiale", e ancora "faccia da culo (...) speriamo non si goda i risarcimenti dello stato". Paolo Forlani, fresco di condanna in Cassazione (tre anni e mezzo), si scatena sul social network nella pagina di Prima Difesa, contro Patrizia Moretti. E lei lo querela.

“La “madre” se avesse saputo fare la madre, non avrebbe allevato un “cucciolo di maiale”, ma un uomo!”.  Sono le parole che si leggono su Facebook. Le firma tale Sergio Bandoli sulla bacheca di Prima Difesa Due, l’account dell’omonima associazione che si prefigge la difesa a oltranza delle forze dell’ordine. Nel processo Aldrovandi era presente sia in Appello che in Cassazione, dove ha portato addirittura il legale di Silvio Berlusconi, Niccolò Ghedini, a perorare la causa dei quattro poliziotti condannati con sentenza definitiva per l’omicidio colposo di Federico Aldrovandi.
Prima difesa tutela gratuitamente per cause di servizio tutti gli appartenenti alle Forze dell’Ordine e Forze Armate, noi tuteliamo i primi difensori” scrive nella presentazione la presidente Simona Cenni, che in un post di commento alla sentenza della Cassazione del 21 giugno “grida” in maiuscolo il proprio disappunto – qui usiamo noi un eufemismo – per l’intervista di Patrizia Moretti, la madre del ragazzo ucciso nel settembre del 2005 a Ferrara: “Avete sentito la mamma di Aldrovandi… fermate questo scempio per dio… vuole che i 4 poliziotti vadano in carcere… io sono una bestiaaaaa”.
L’amo è lanciato. Il primo ad abboccare è questo iscritto al gruppo, Sergio Bandoli. Avatar con foto e cappello di alpino con penna nera. Ma la penna che gli fa paragonare Federico a un “cucciolo di maiale” riesce a gelare le vene ai polsi. I commentatori continuano sulla stessa lunghezza d’onda, fino a uno dei poliziotti condannati, Paolo Forlani, che interviene direttamente.
“Che faccia da culo che aveva sul tg – così descrive la madre orfana del figlio su cui lui e i suoi colleghi hanno rotto due manganelli -… una falsa e ipocrita… spero che i soldi che ha avuto ingiustamente (il risarcimento da parte dello Stato, ndr) possa non goderseli come vorrebbe… adesso non sto più zitto dico quello che penso e scarico la rabbia di sette anni di ingiustizie…”.
Forlani fortunatamente premette di avere “massimo rispetto per Federico”, ma sui suoi genitori usa il pugno duro. Come ha fatto d’altronde con loro figlio: “non vi auguro nulla di simile – scrive sulla pagina di Prima Difesa – ma vi posso dire che siamo stati calpestati nei nostri diritti e ripeto prima di parlare dovete leggere gli atti e non i giornali […], io sfido chiunque a leggere gli atti e trovare un verbale dove dice che Federico e morto per le lesioni che ha subito… […] noi paghiamo per le colpe di una famiglia che pur sapendo dei problemi del proprio figlio non hanno fatto niente per aiutarlo e stiamo pagando per gli errori dei genitori”.
Quanto agli atti, forse bastano le sentenze per rispondere all’agente. In quella di primo grado il giudice Caruso parlò di “grossolanità, incontrollato e abnorme uso della violenza fisica da parte degli agenti, dissociata da effettive necessità”; “un furioso corpo a corpo tra gli agenti di polizia e Federico, durante il quale vennero rotti due manganelli, con i quali colpirono l’Aldrovandi in varie parti del corpo, continuando dopo che lo stesso era stato costretto a terra e qui immobilizzato al suolo, nonostante i verosimili ma impari tentativi del ragazzo di sottrarsi alla pesante azione di contenimento che ne limitava il respiro e la circolazione”.
Stesso discorso per gli atti del secondo grado: i giudici della Corte d’Appello sottolinearono la “manovra di arresto, contenimento e immobilizzazione” attuata “con estrema violenza e con modalità scorrette e lesive, quasi volessero ‘punire’ Aldrovandi”.
Ora si aprirà inevitabilmente un altro capitolo della vicenda, con la querela per diffamazione che la Moretti ha depositato oggi pomeriggio davanti ai carabinieri di Ferrara. Destinatari Forlani, Bandoli e Cenni.

“Grandi banche tornano a speculare. Rischio per i derivati”: l’allarme della Bri.




BASILEA, 24 GIU – Le grandi banche mondiali sembrano tornate alle “vecchie maniere”: la maggior parte degli utili deriva dalla negoziazione sui mercati finanziari, si indebitano sempre più e confidano sui salvataggi pubblici. Secondo il rapporto annuale della Bri, c’è un forte rischio per le ”enormi posizioni in derivati” e serve una stretta sulle regole. Insomma i rischi sono di nuovi quelli di prima dell’esplosione di Lehman Brothers che nemmeno tutte le misure straordinarie delle banche centrali, su cui si appuntano aspettative ”irrealistiche” per il sostegno all’economia, potranno risolvere.
La Bri, la Banca dei regolamenti internazionali che funge da banca centrale delle banche centrali, attacca duramente le reticenze del sistema finanziario (ma anche l’incapacità dei governi) di porre fine alle rischiose pratiche sul mercato e i derivati di cui le maxi perdite subite da Jp Morgan sono solo un assaggio. Ai banchieri centrali di mezzo mondo convenuti nella citta’ svizzera per l’assemblea di bilancio in un momento in cui su di loro si moltiplicano le richieste di fare piu’ sforzi per far ripartire l’economia, il direttore generale della Bri Jaime Caruana rileva come gli istituti centrali possono comprare tempo per evitare il tracollo ma non senza rischio.
Piuttosto nel rapporto della Bri si evidenzia come dagli istituti di credito non sia stata fatta pulizia di bilancio e ricapitalizzato a dovere confidando sempre sull’aiuto di stato e per questo invocano una ”sana azione pubblica” che faccia dimagrire il settore, imponga regole su controllo dei rischi e dei bonus dei vertici oltre che una partecipazione di azionisti e obbligazionisti alle perdite e non piu’ sui contribuenti.
Sistemare il settore bancario (anche a costo di un possesso temporaneo dello stato che imponga il cambiamento in alcuni gruppi, sembra suggerire in alcune parti il rapporto) e’ il primo passo per rompere i circoli viziosi creati fra banche, famiglie e imprese e governi ”dove i problemi e i tentativi di soluzione di uno di questi gruppi peggiora la posizione degli altri due”.
Circoli che costringono le banche centrali a tenere bassi i tassi di interesse e iniettare liquidita’ nel sistema e che a lungo andare rischiano di far ripartire l’inflazione. Ma soprattutto le misure delle banche centrali non sono gli strumenti adatti ma ”palliativi e con limiti” sebbene la pressione del mercato, della politica e del’opinione pubblica (e anche all’interno di qualche autorita’ centrale) e’ sempre piu’ forte con aspettative irrealistiche.
Per questo, dopo aver sistemato il settore finanziario, andranno portate avanti le tappe successive, ossia il risanamento dei conti pubblici e la riduzione dell’indebitamento nei settori non finanziari dell’economia. Solo una volta ripristinata la solidita’ dei bilanci di tutti i settori, potremo sperare di ritornare su un sentiero di crescita equilibrata.
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"Confessioni di un sicario dell'economia. - John Perkins




Per oltre 20 anni economista in una delle principali società di consulenza ingegneristica, la Chas.T.Main, di Boston. Successivamente imprenditore nel settore della produzione di energia elettrica e scrittore. Il suo libro più conosciuto è Confessions of an Economic Hit Man (2004), pubblicato in Italia da Minimum fax nel 2005 e in una nuova collana nel 2010(in occasione dei 15 anni dell'editore) con il titolo "Confessioni di un sicario dell'economia - La costruzione dell'impero americano nel racconto di un insider" (www.minimumfax.com), che rappresenta una straordinaria testimonianza di come un "pezzo" di potere politico ed economico americano abbia pianificato e praticato lo sfruttamento dei paesi, cosiddetti in "via di sviluppo", dall'America Latina all'Indonesia, attraverso una nuova forma di colonialismo che al potere delle armi, antepone quello della finanza e dei "progetti di sviluppo". Dal libro: “I sicari dell’economia sono professionisti ben retribuiti che sottraggono migliaia di miliardi di dollari a diversi Paesi in tutto il mondo. Riversano il danaro della Banca Mondiale, dell’Agenzia Statunitense per lo Sviluppo Internazionale (USAID) e di altre ‘organizzazioni umanitarie’ nelle casse di grandi multinazionali e nelle tasche di quel pugno di ricche famiglie che detengono il controllo delle risorse naturali del pianeta. I loro metodi comprendono il falso in bilancio, elezioni truccate, tangenti, estorsioni, sesso e omicidio. Il loro è un gioco vecchio quanto il potere, ma che in quest’epoca di globalizzazione ha assunto nuove e terrificanti dimensioni”. Parole che racchiudono l’argomento del libro di John Perkins - uno di loro - che lavorando come economista per la sua società, a fronte della costruzione di grandi lavori pubblici, tramite proiezioni economiche volutamente falsificate, portavano quei paesi ad indebitarsi oltre le loro reali capacità di rimborso, per costringerli, in una sorta di ricatto, a rimanere fedeli politicamente agli Stati Uniti e a cedere le proprie risorse naturali alle condizioni imposte dalla multinazionali L’autobiografia di Perkins è raccontata con la vivacità di un romanzo e consente di rileggere la storia della politica estera americana dalla seconda guerra mondiale agli anni novanta attraverso un punto di vista molto particolare, di un uomo "dall'interno". La presa di coscienza delle conseguenze catastrofiche del proprio operato lo porterà dapprima ad uscire dalla società (pur essendone divenuto, nel frattempo, socio), per fondare un'impresa attiva nella produzione di energia elettrica da fonti alternative, per poi ritornare in quel mondo attraverso rapporti di "collaborazione" e "consulenza", per lo più offerti, come afferma lo stesso autore, per disincentivare eventuali ripensamenti, confessioni o denunce. L’11 settembre, però, incide pesantemente sulla vita di Perkins, convincendolo dell'ineluttabilità del proprio "pentimento", che troverà manifestazione nella pubblicazione di questo coraggioso libro; il leit motiv è che l'odio che milioni di persone covano nei confronti degli Stati Uniti, infatti, è del tutto incomprensibile se non si prende coscienza delle reali politiche intraprese da governo, società petrolifere, CIA, potere politico locale corrotto; e ben più grave è che gran parte dell'opinione pubblica americana e degli stessi collaboratori diretti delle diverse società coinvolte risultano, a detta dell'autore, agiscono per lo più inconsapevolmente. Il suo successivo libro del 2007 La storia segreta dell'Impero Americano fornisce un'ulteriore testimonianza delle conseguenze catastrofiche per i paesi coinvolti di queste politiche attuate con sapiente organizzazione e spietatezza. Il suo lavoro più recente è Hoodwinked: An Economic Hit Man Reveals Why the World Financial Markets Imploded – and What We Need to Do to Remake Them (2010).


http://it.wikipedia.org/wiki/John_Perkins_(economista)

Trattativa, Formigoni: “Splendide parole da parte di Napolitano”. - Francesca Martelli



Il presidente della regione Lombardia indice una conferenza stampa al ritorno dal suo viaggio a Rio de Janeiro per promuovere Expo 2015. Formigoni vuole parlare di questo argomento (accompagnato da alcune diapositive di fotografie scattate in loco): gli chiediamo conto dell’inchiesta sulla Trattativa, da cui emergono contatti tra il governatore lombardo con il capo del Ros, Mario Mori, e il suo braccio destro Giuseppe De Donno. Formigoni prima cita il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che ha pronunciato “splendide parole” in merito alle intercettazioni pubblicate in questi giorni, poi propone una sua rielezione alla presidenza della Repubblica.


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