venerdì 2 novembre 2012

Guerriglia ai cancelli Ikea. 5 feriti nello scontro tra operai e polizia. - Gian Marco Aimi



Per sei ore un centinaio di lavoratori ha bloccato l'ingresso dell'azienda contro il licenziamento di 12 colleghi "sindacalizzati", poi sostituiti da altri, e sulle impossibili condizioni di lavoro. La polizia ha caricato più volte davanti al sindaco di Piacenza Dosi e all'assessore al lavoro Rabuffi.


Si infiamma la protesta all’Ikea di Piacenza, con nuovi scontri e feriti iniziati alle 6 di questa mattina e durati per ore, tra gli operai in protesta e le forze dell’ordine in assetto antisommossa. Il picchetto che ha bloccato per l’intera mattina i cancelli dello stabilimento di Le Mose ha tenuto per oltre sei ore alle cariche di polizia e carabinieri, un centinaio in tutto, che hanno cercato di liberare la strada per far entrare i mezzi.
Diversi i feriti tra i manifestanti, sostenuti dai Cobas e da Rifondazione comunista. Sono almeno cinque le persone che hanno avuto la peggio – portati via dalle ambulanze – nel tentativo di sgombero, molti altri i contusi, visto che da una parte le forze dell’ordine hanno provato a forzare il blocco trascinando via i manifestanti, dall’altro si è registrata la decisione a continuare.
Non sono mancate le prove di forza, da parte delle forze dell’ordine che invece di riuscire a riportare la calma hanno scatenato la folla assiepata al cancello numero nove dello stabilimento Ikea, avamposto degli scontri.
Verso mezzogiorno, finalmente è arrivato sul posto il sindaco, Paolo Dosi che ha cercato di imbastire una trattativa (supportato dall’assessore comunale al Lavoro, Luigi Rabuffi) che però è fallita quasi subito. Il primo cittadino ha chiesto ai manifestanti, rappresentati da Aldo Milani, segretario nazionale Cobas, di sbloccare i cancelli per permettere la produzione e ha promesso un tavolo di trattativa nel pomeriggio, al quale sarebbe stato convocato anche il Consorzio Cgs che ha in appalto da Ikea la gestione dei lavoratori.
Niente da fare, scottati dalle precedenti promesse mancate, i facchini hanno tenuto duro e il questore, Calogero Germanà ha avviato immediatamente le procedure di sgombero. Così si sono svolte vere e proprie scene di guerriglia urbana, con cariche delle forze dell’ordine, manganellate per staccare i lavoratori che cercavano di rimanere uniti, lancio di fumogeni e, naturalmente altri feriti.
Scene mai viste a Piacenza, soprattutto sotto gli occhi di un sindaco e di un assessore al lavoro che, collegati a filo diretto con i rappresentanti delle cooperative non sono riusciti a farle smuovere di un passo dalle loro posizioni. “Vi chiedo un atto di fiducia, andiamo al tavolo e trattiamo” ha detto Dosi ai lavoratori. “Non ci fidiamo, o entriamo tutti o nessuno” la loro risposta. E l’epilogo è stato caratterizzato solo dalla violenza. 
“Chiediamo il rispetto dell’equità delle ore lavorate da tutti” ha spiegato un altro rappresentante Cobas, Edoardo Petrantoni che è poi tornato sulla trattativa arenatasi nei giorno scorsi con le cooperative: “Sembrava avessero accettato alcune richieste, facendo presagire un’apertura, invece dall’ultimo incontro in Provincia l’azienda è tornata al muro contro muro. Così siamo decisi ad andare avanti con la protesta”.
Tutto è nato dopo l’esclusione di 12 lavoratori dall’Ikea, iscritti al sindacato Cobas, che sarebbero stati i primi a chiedere condizioni di lavoro eque tra tutti gli operai. Ora sono in 14 sulla “lista nera”della ditta svedese e altri 70 rischiano il posto. “I problemi sorgono dalla disparità sulle buste paga – continua Petrantoni – che per alcuni sono di 400 euro e per altri di mille e 200 euro”.Cobas e cooperative sono parecchio distanti. Il sindacato chiede l’entrata da parte di tutti gli operai, anche gli esclusi, dall’altra le cooperative (San Martino, Euroservice e Crystal) vogliono che i cancelli siano liberati senza però dare garanzie ai lavoratori.
Dispersi i  manifestanti non si sono però calmati gli animi. Sempre Milani ha infatti annunciato per martedì “uno sciopero generale di tutti i lavoratori delle aziende di Piacenza. Non solo Ikea ma anche Tnt, Gls e tanti altri stabilimenti che vivono le stesse condizioni di ricatto da parte delle cooperative”. Insomma, si preannuncia un autunno rovente per la Primogenita, scossa dai venti di protesta provenienti dal Polo Logistico.

La casta dei prefetti: mai rimossi, sempre promossi. Anche dopo gli scandali. - Thomas Mackinson


La casta dei prefetti: mai rimossi, sempre promossi. Anche dopo gli scandali


De Gennaro assurto al governo nonostante il G8. Ubaldi reclutato al ministero dell'Interno dopo una condanna per peculato. Gallitto a presiedere i "Cavalieri" dopo tanti guai giudiziari. Gli alti dirigenti non pagano mai, tranne quando si scontrano coi politici. Come Carlo Mosca, troppo "morbido" coi rom, e Fulvio Sodano, che a Trapani si è permesso di denunciare collusioni mafiose.

E’ assurto, suo malgrado, a emblema dell’intoccabilità prefettizia l’ex capo della Polizia Gianni De Gennaro, già prefetto. Un anno fa veniva assolto in Cassazione dall’accusa di istigazione alla falsa testimonianza, ma il suo nome resta indelebilmente legato ai drammatici fatti del G8 di Genova. E tuttavia il governo lo ha nominato sottosegretario di Stato, per di più delegandolo alla sicurezza della Repubblica.
Sparsi per l’Italia ci sono tanti altri episodi che, in sedicesimo, raccontano dell’impunità prefettizia. Il più recente è quello dell’ex prefetto di Verbania Riccardo Ubaldi che nel 2009 ha pensato bene di farsi scarrozzare con l’auto blu e due agenti armati al mare. Non proprio dietro casa, ma a Positano, a 929 chilometri di distanza. Il procuratore capo Giulia Perrotti gli contesta anche tre viaggi a Roma in giorni in cui era in ferie. Ubaldi viene condannato per peculato a sette mesi di reclusione, pena sospesa e beneficio della non menzione della condanna (ancora non definitiva). Ma dov’è Ubaldi a fronte di tutto questo? Sbaglia chi si immagina che l’abbiano trasferito nell’ultima provincia d’Italia o in un ufficio a timbrare visti. E’ stato trasferito dall’allora ministro dell’Interno Roberto Maroni al Viminale, all’ufficio affari legislativi e relazioni parlamentari, dove oltre allo stipendio percepisce un’indennità di posizione aggiuntiva. Dal primo novembre sarà trasferito agli Affari Interni e territoriali e con la qualifica, niente meno, di vice capo Dipartimento. Insomma, condannato, protetto e premiato due volte. Un prefetto, è per sempre.
Vincenzo Gallitto. Digitando questo nome su Google saltano fuori una serie di articoli che raccontano le plurime condanne dell’ex prefetto di Livorno, concorso in corruzione in atti giudiziari per gli abusi edilizi sull’Isola d’Elbapeculato per aver portato la moglie a Montecatini Terme sulla solita auto blu. Nel 2003 la Corte dei Conti lo interdice dai pubblici uffici, ma Gallitto non demorde. Per tutti, del resto, è sempre il “signor prefetto”. E infatti lo ritroviamo quest’anno a benedire, in qualità di presidente onorario della sezione perugina, il convegno dell’Unci Cavalieri d’Italia, associazione nata per riunire cavalieri del lavoro, grand’ufficiali, commendatori e “tutti coloro che sono insigniti di onorificenze cavalleresche al fine di mantenere alto il sentimento per il riarmo morale, di tutelare il diritto e il rispetto delle istituzioni cavalleresche e di rendere gli insigniti esempio di probità e correttezza civile e morale”. Appunto.
Ma i requisiti di moralità dei prefetti, chi li verifica? Dopo la vicenda di Napoli, assurta a emblema dell’arroganza della casta prefettizia, vale solo la pena ricordare che De Martino ha preso il posto di Carlo Ferrigno, ex commissario nazionale antiracket che ha patteggiato 3 anni e 4 mesi per millantato credito e prostituzione minorile. Ferrigno chiedeva (e otteneva) prestazioni sessuali da ragazze, tra cui una minorenne, in cambio di permessi facili e posti di lavoro. Come se non bastasse, il suo nome compare anche nell’inchiesta sul caso Ruby e le bollenti serate di Arcore. A Milano il dominus prefettizio è Gian Valerio Lombardi. Il suo nome compare regolarmente nelle cronache cittadine e non sempre per meriti: l’ultima volta nell’inchiesta sulle tangenti per le Case vacanza del Comune. Lombardi, secondo i pm di Milano, era parte dello schema della “cerchia” che dispensava e consumava favori, tanto che il figlio poteva godere di un appartamento in centro a prezzi stracciati gentilmente messo a disposizione dall’Istituto dei Ciechi.
Lombardi si attiva anche per piazzare persone e favori, forte dei rapporti politici derivanti dal suo ruolo istituzionale (non a caso il suo nome era già comparso nel Ruby-gate). Dopo aver parcheggiato in uno spazio riservato ai disabili, Lombardi pensa bene di fare ricorso a se stesso (guarda il documento) per annullare un verbale da 78 euro. Per una vicenda simile il vice prefetto di Torino Roberto Rosio è stato indagato per abuso di atti d’ufficio. L’alta burocrazia di Stato è così alta che fa spesso storia a sé. 
Ma non sono tutti così, i prefetti d’Italia. Tanti hanno lasciato segni importanti nelle comunità in cui hanno operato, altri hanno pagato un prezzo altissimo per la loro resistenza alle interferenze della politica. Tre esempi, tre epiche battaglie. Nel 2009 a Venezia il prefetto Michele Lepri Gallerano finisce nel mirino della Lega perché ritenuto troppo morbido con i rom. La sua colpa? Non aver impedito il trasloco della comunità dei sinti di via Vallenari nel nuovo villaggio nella notte del 24 e 25 novembre. Il Ministro Maroni non la prende bene e lo rimuove un mese dopo. Per punizione, in accezione leghista, andrà a occuparsi della Sicilia.
Stesso destino per il prefetto di Roma Carlo Mosca destituito nel 2008 perché si era rifiutato di schedare i minori della comunità rom di Roma. Il terzo è un esempio di fermezza contro la collusione tra criminalità e politica. Fulvio Sodano, prefetto di Trapani, fu cacciato dal governo Berlusconi nel 2003 perché, nel denunciare collusioni e mala gestione dei beni confiscati alla mafia, incappò nelle ire del senatore Pdl Tonino D’Alì, allora indagato a Palermo per concorso esterno in associazione mafiosa. Il tutto fu raccontato in una memorabile puntata di Annozero del 2006 e il senatore citò tutti in giudizio, compreso l’ex prefetto. Il tempo ha dato torto a lui e ragione agli altri. E anche se fiaccato dalla Sla, Sodano è rimasto il simbolo di un certo modo di essere prefetto. Un signor prefetto.

Ferdinando Imposimato

Ferdinando Imposimato

La legge contro la corruzione è un inganno in danno degli onesti per la parte che riguarda il delitto di concussione fraudolenta prima punito da quattro a dodici anni e oggi da 3 a otto anni. Si tratta del delitto più odioso perchè il pubblico ufficiale induce il cittadino a pagare la tangente senza una minaccia palese ma con un comportamento univoco che intralcia la pratica, con ritardi e pretesti burocratici, fino a quando il povero cittadino capisce che deve pagare e paga altrimenti non ottiene ciò che gli spetta. E' un ricatto , una estorsione commessa dal Pubblico Ufficiale. Molti processi per gravi delitti di concussione, che hanno comportato lo sperpero del pubblico denaro, si prescriveranno perchè la pena è ridotta. E' una amnistia camuffata a favore dei ladri di denaro pubblico più pericolosi. No a questa amnistia mascherata.

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Giancarlo Cancelleri Portavoce a 5 Stelle.



Abbiamo già mantenuto la prima di promessa. Abbiamo portato avanti la campagna elettorale senza i finanziamenti pubblici, non toccando in questo modo le tasche dei cittadini. Abbiamo raccolto con libere donazioni ben 32.000 €, ma ne sono serviti solo 25.000 € per diventare la prima forza politica in Sicilia.
Se togli i soldi dalla politica, questa diventa passione, e quando hai migliaia di cittadini motivati, non ci sono battaglie troppo grandi per essere vinte. 
Spiegatelo ai nostri avversasi che hanno eserciti di mercenari.


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giovedì 1 novembre 2012

Grillo: “Di Pietro uomo onesto. Persona giusta per il Quirinale”.


Beppe Grillo


Il comico genovese sul suo blog lancia la candidatura del leader dell'Italia dei Valori a Presidente della Repubblica. Riconosce che ha commesso l'errore di "inserire candidati impresentabili come De Gregorio e Scilipoti" oltre ad avere "allevato piranha e squali". Ma in Parlamento è "l'unico che si è opposto al berlusconismo".

Le polemiche sull’Italia dei Valori e le proprietà acquistate dal leader Antonio Di Pietro emerse dopo l’inchiesta di Report, non hanno intaccato l’immagine dell’ex magistrato, “l’unico che ha tenuto la schiena dritta in un Parlamento di pigmei”. Beppe Grillo sul suo blog elogia il fondatore Idv e auspica la sua elezione a Presidente della Repubblica, pur riconoscendogli di avere “inserito nel suo partito persone impresentabili come De Gregorio e Scilipoti” e “allevato, forse consapevolmente, piranha e squali che pensava di tenere a bada e che ora mostrano le loro fauci”. Nonostante questo, secondo il fondatore del Movimento 5 Stelle Di Pietro è l’uomo “giusto” per il Quirinale, nonché ”l’unico in Parlamento che si è opposto in tutti questi anni al berlusconismo“. E anche se “ha un caratteraccio”, è un uomo “onesto”
Il comico genovese ripercorre la carriera politica di Di Pietro e alcuni dei suoi errori. Tra questi, oltre a candidare alcuni ‘impresentabili’, ad esempio, “ha evitato, per scelte forse tattiche, prese di posizioni nette su Tav e G8” ma riconosce che “lui solo in Parlamento ha combattuto il berlusconismo”. Lo ha fatto “con armi spuntate, con una truppa abborracciata tenuta insieme unicamente dalla sua testardaggine e caparbietà. E’ sempre stato un isolato – prosegue - , mal sopportato dai pdmenoellini e odiato da tutti gli altri. Ha confuso talvolta la politica con la realpolitike cercato un compromesso impossibile con partiti corrotti e in via di estinzione”. Inoltre “si è fidato troppo di persone a lui vicine, di signor nessuno che ne hanno sfruttato la popolarità assecondando in modo acritico ogni sua richiesta”, continua il leader del M5S. “Però – sottolinea -, in questi lunghi anni di inciucio tra il Pdl e il Pdmenoelle, senza di lui, in Parlamento si sarebbe spenta anche l’unica flebile luce rimasta accesa. La Camera non sarebbe stata differente dall’aula sorda e grigia evocata da Benito Mussolini o dall’attuale obitorio della democrazia di Rigor Montis”.
Secondo Grillo “nel peggior Parlamento dell’Unità d’Italia, un luogo immondo popolato da pregiudicati e piduisti, da nemici dichiarati della democrazia” gli “unici lampi di luce che meritano di essere ricordati” sono “il suo ‘Caro presidente che non c’è’ rivolto allo psiconano e gli attacchi ai servi del berlusconismo”. Riconosce che è possibile “che Tonino abbia lanciato dei referendum pro domo sua ma, ricordando l’impegno del leader Idv per lo scorso referendum suggerisce che “se abbiamo potuto votare contro il nucleare di CasiniBossiFini e Berlusconi lo dobbiamo a lui che ha raccolto e validato le firme necessarie”. “Solo per questo – assicura il comico – dovremmo dirgli grazie”. Non dimentica anche la dura opposizione di Di Pietro al Lodo Alfano ”che anche un bambino avrebbe dichiarato incostituzionale, ma non il presidente della Repubblica”. Opposizione che il leader Idv si trovò a fronteggiare da solo, mentre il provvedimento veniva accolto dal “silenzio dei Bersani, dei D’Alema e con il plauso dei Cicchitto e dei Gasparri”. Secondo il blogger, Di Pietro “ha un caratteraccio, non ascolta nessuno ma è onesto. Quando ha dovuto affrontare il giudizio di un tribunale lo ha fatto senza esitazioni e ne è sempre uscito prosciolto. Quanti in Parlamento possono dire altrettanto? Chi può scagliare la prima pietra? Nessuno”. E chiude il suo post tirandogli la volata per il Quirinale: “Nel 2013 Napolitano decadrà – conclude – per ora è l’unica buona notizia certa. Il mio auspicio è che il prossimo presidente della Repubblica sia Antonio Di Pietro, l’unico che ha tenuto la schiena dritta in un Parlamento di pigmei. Chapeau!”.

Di Pietro: “L’Italia dei Valori è morta con Report. Ora risorgiamo”. - Carlo Tecce


Di Pietro: “L’Italia dei Valori è morta con Report. Ora risorgiamo”


L'ex magistrato: "Mediaticamente siamo morti. Siamo isolati, speriamo nei nostri elettori". Sulle donazioni ricevute e gli affitti dei suoi appartamenti al partito ammette: "Ho commesso tanti errori, chiedo scusa e ricomincio. Ma su questi fatti sono un perseguitato". E nega ogni irregolarità.

Antonio Di Pietro ha perso qualcosa: “Dov’è la mia agenda? Venga, le faccio vedere. Io mi siedo su quella poltrona singola”. Decisionista, sempre. Uomo partito, uomo comando, uomo immobili: “Le visure catastali, fresche fresche. Guardi, leggiamo insieme”. S’accomoda, riprende punto per punto la trasmissione Report, l’incedere sofferto: “L’italiano mi punisce. E poi il taglia e il cuci di un video. Ma io stimo Milena Gabanelli”. L’ex magistrato parla con le carte in mano. Le carte non lo scrivono, non lo dicono, ma l’uomo – che attira aggettivi negativi anche dal figlio politico, l’Idv – è rassegnato. “Voglio chiarire tutto”.
Un attimo di pazienza, che succede?
(Ripone gli occhiali, chiude la cartellina) Qui a maggio andiamo a casa: non entriamo in Parlamento. La storia già la conosco. L’Italia dei Valori è finita domenica sera, a Report. Mediaticamente siamo morti. Siamo vittime di un killeraggio, di un sistema politico e finanziario che non ha più bisogno di noi.
Chi spegne la luce?
Noi, non più io. Combattiamo, ma sarà dura: porte sbarrate a sinistra, porte sbarrate ovunque. Siamo isolati, speriamo che i nostri elettori ci aiutino.
E se va male?Faremo opposizione fuori dal Palazzo. E tiferemo per Beppe Grillo.
Una domanda tormenta gli italiani, quante proprietà possiede, 54 o 56?
Mi faccia ridere un po’. I miei figli scherzano: tu perché hai 8 fabbricati e io solo 7? In realtà, entrambi hanno una casa a Milano, comprati su progetto, per risparmiare, attraverso una cooperativa, e una quota di eredità materna a Bergamo. Tutto qua.
E sua moglie? I suoi 49 terreni e 7 fabbricati a Montenero di Bisaccia?
Lei è ricca di famiglia. Non ha beneficiato dei miei guadagni, anzi. Ha uno studio fortissimo, è indipendente, è una donna intelligente e rispettabile. Non è la moglie di Di Pietro. A Montenero ho appezzamenti per gli ulivi, il grano e baracche per il trattore e addirittura la stalla. Queste sarebbero le mie ricchezze?
Non è povero.
Mica mi lamento? Ma sono soldi sudati e ricevuti vincendo cause per diffamazione.
Per due volte, a Roma e Busto Arsizio, ha comprato due appartamenti e li ha dati in affitto al partito. Non è strano?
Non c’è nulla di irregolare. Certo, non lo rifarei. Ma io ho messo in piedi una macchina quando Internet non esisteva e non avevo i capitali necessari.
Nel ’95 la signora Borletti le lasciò quasi 1 miliardo di lire in donazione.
La data è importante: non facevo politica, mi difendevo in tribunale. Ho incassato i soldi in due rate, nel ’98 e nel ’99 e in parte li ho utilizzati per l’Idv che cominciava da zero lire. Ho commesso tanti errori, lo ammetto. Chiedo scusa, e ricomincio. Ma su questi fatti sono perseguitato, e non per caso.
Cosa pensa di scontare?Quello che rompe le scatole al governo di Mario Monti e critica il presidente Napolitano per il conflitto d’attribuzione con la Procura di Palermo viene automaticamente escluso. Io lo sapevo, ma non posso rinunciare ai principi dell’Idv.
Crolla tutto.
E noi cerchiamo di riparare il tetto. Non è stato facile, però avremo regole ancora più stringenti sui soldi che gestiscono i gruppi regionali e sui candidati per le prossime elezioni.
Farete le primarie?
Subito, in rete. Chiunque potrà presentare il proprio curriculum, che sia un iscritto al partito o un semplice simpatizzante, un comitato di garanti esaminerà la candidatura e un sistema elettronico, come quelli che usa Grillo, selezionerà i migliori. Così eviteremo i casi Sergio De Gregorio. Deve sapere che io, Grillo, lo ammiro e lo copio.
E i casi Vincenzo Maruccio, l’ex capogruppo nel Lazio, indagato per peculato?
L’ho conosciuto giovanissimo, laureato, educato, preparato. Ha fatto carriera. Era insospettabile. Come potevo immaginare queste accuse? Se ci fosse la preveggenza, non ci sarebbero i divorzi. L’Italia dei Valori, però, adesso è un divorzio continuo.
Ce l’ha con Bersani?
No, per carità. Anche lui è vittima di un sistema. Se ne accorgerà, quando gli faranno le scarpe.
Si spieghi, Di Pietro.
Quando dovrà formare il nuovo governo e Monti sarà pronto per il bis.
Teme di non farcela, stavolta?
Sì, ma chi s’arrende è già perduto. E io questi adagi popolari non li dimentico.
Twitter @Tecccarlo
da Il Fatto Quotidiano di giovedì 1 novembre 2012

Idolomantis Diabolica Mantis.



Idolomantis Diabolica Mantis 
Le femmine crescono per arrivare a circa 13 centimetri i maschi a circa 10 centimetri di lunghezza. Sono native di Etiopia, Kenya, Malawi, Somalia, Tanzania e Uganda. Si tratta di una delle mantidi più rare al mondo, ed anche una delle più ricercate al mondo. credito immagine: © Igor Siwanowicz - 
Pianeta blu

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