venerdì 29 novembre 2013

Il M5S incontra Julian Assange.

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Foto: i cittadini portavoce del M5S (da sinistra a destra) Carlo Sibilia, Maria Edera Spadoni, Mirella Liuzzi, Alessandro Di Battista, Angelo Tofalo e Paolo Bernini incontrano Julian Assange presso l'ambasciata dell'Ecuador a Londra.
"Abbiamo incontrato Julian Assange, giornalista, editore, esperto di sicurezza informatica e fondatore di WikiLeaks
Da 3 anni gli USA lo hanno messo sotto accusa per le pubblicazioni di WikiLeaks. 
Su Julian incombe un mandato di arresto internazionale da parte dell’Interpol su richiesta delle autorità svedesi. 
Da 528 giorni lui vive a Londra rinchiuso nell’Ambasciata ecuadoriana che gli ha concesso asilo politico. 
La Gran Bretagna impedisce al Governo ecuadoriano di fornirgli un “passaggio sicuro” che gli permetta di lasciare il paese. Lo abbiamo trovato in buona salute e motivato, forse un po’ pallido ma d’altro canto non vede il sole da molti mesi. 
Abbiamo deciso di incontrare Assange perché con lui condividiamo le battaglie per la trasparenza dell’informazione, per la libera circolazione delle notizie e per la libertà di stampa, diritti che aumentano il livello di consapevolezza dei cittadini. 
Nascondere le informazioni è uno dei tanti modi che i potenti hanno per accrescere il proprio potere personale. 
Julian è un combattente
Qualcuno lo ha definito “comandante ribelle sotto assedio”. Lui trova informazioni, le organizza e le condivide attraverso il sito WikiLeaks sul World Wide Web. Informazioni che imbarazzano lobbies e governi. 
Quando Assange fa partire un “leak” inizia la “british dance” come la definiscono in America Latina, l’informazione rimbalza in rete e non si ferma più. 
Con lui abbiamo parlato del futuro dell’informazione, della rete e delle minacce che provengono da gruppi di potere nazionali e internazionali. 
Abbiamo discusso sul tradimento dei grandi media che hanno sacrificato sull’altare del denaro il loro meraviglioso ruolo di controllori del potere. 
Oggi ne sono controllati. 
Se tagliamo il cordone ombelicale che collega i media al regime per i potentati è la fine. Con Assange si è discusso anche dei rischi che minacciano la libertà del web come il Datagate dimostra. 
I media di regime diluiscono, annacquano, edulcorarano le informazioni scomode. 
Ad Assange abbiamo presentato le nostre idee, la nostra visione dell’informazione, il mondo che costruiremo quando il M5S sarà al governo
Abbiamo un disperato bisogno di una informazione indipendente, i media tradizionali alterano la percezione della realtà. 
E’ drammatico constatare che le dieci “media companies” più importanti del pianeta detengano quasi la totalità del mercato delle informazioni e sono capaci di omologare ed appiattire ogni notizia. 
Il M5S è al lavoro per creare norme che non permettano a soggetti privati di possedere oltre il 10% di società di comunicazione, che diffondano la rete e che impediscano il controllo dei media da parte dei partiti. Il cambiamento è dietro l’angolo, vogliono farci credere che sia irrealizzabile. 
Ma così non è, basta guardarsi più intorno. Un uomo come Assange ha messo sotto scacco le intelligence di mezzo mondo e uno stato come l’Ecuador (non è un caso che Julian si sia rifugiato nell’ambasciata ecuadoriana) ha dichiarato il debito pubblico immorale in quanto contratto da classi dirigente corrotte e non legittimate dal potere popolare. 
Siamo orgogliosi di aver incontrato Assange, lui sta cambiando il modo di vedere l’informazione e noi “cittadini nelle istituzioni” quello di vedere la politica. 
Assange continuerà la battaglia per liberare l’informazione da controlli verticistici. In molti lo detestano, lo attaccano, qualcuno vorrebbe vederlo morto ma il suo lavoro resterà nella storia del web. 
Le notizie messe in circolo da Julian, Snowden, dalla rete Wikileaks, non hanno causato danni, al contrario hanno dato acqua fresca a tutti i cittadini che hanno sete di conoscenza e che mettono in discussione il pensiero dominante. Uomini come Julian sono necessari per costruire un nuovo mondo, una nuova Europa una nuova Italia che abbia come fondamenta la libertà dell’informazione. 
Incontrare Assange significa andare OLTRE! Ci vediamo a Genova." M5S Camera

Un ringraziamento all’Ambasciata dell’Ecuador in Inghilterra e al Ministro degli Esteri Patiño per aver contribuito all’organizzazione dell’incontro con Assange.

Un giorno da veg: hamburger senza carne deliziosi. - Erika Facciolla

Chi l’ha detto che l’hamburger non può essere buono e succulento anche in versione vegetariana?
Ecco una ricetta da leccarsi i baffi per trasformare il classico burger di carne in un secondo bio salutare e gustoso, ideale per l’inverno ma ottimo anche nelle altre stagioni dell’anno.
Ecco cosa vi occorre:
  • patate medie rosse cotte a vapore
  • 1/4 di un piccolo cavolo cotto a vapore
  • 250 gr di ceci lessati
  • sale
  • erba cipollina
  • prezzemolo
  • olio extra-vergine di oliva
Preparazione. Dopo aver lessato e cotto a vapore ceci, patate e cavoli, passateli al passaverdure e metteteli in una capiente terrina. Aggiustate di sale, aggiungete il prezzemolo e l’erba cipollina sminuzzata. Impastate bene il tutto fino ad ottenere un composto omogeneo e morbido.
Lasciate raffreddare per qualche minuto e procedete con la creazione degli hamburger, che devono avere uno spessore di circa un centimetro e mezzo.
In un padellino antiaderente fate scaldare un paio di cucchiatate di olio e riponetevi gli hamburger vegetariani per 1-2 minuti, giusto il tempo che si rosolino per bene da entrambi i lati. Serviteli con una tenera insalatina di lattuga e pomodorini bio.

Il Presidente Giorgio Napolitano: Troppa libertà sul Web, ADESSO BASTA. Polizia intervenga.

Napolitano
É davvero conflittuale il rapporto tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ed il web. Nell’Italia repubblicana esiste un reato che si chiama “Vilipendio”. L’articolo 278 del Codice penale lo riporta “Offese all’onore o al prestigio del Presidente della Repubblica. Chiunque offenda l’onore o il prestigio del Presidente della Repubblica è punito con la reclusione da uno a cinque anni”.
Illustre Presidente Giorgio Napolitano,
prima che lei approdasse sul Web, avrebbe dovuto chiedere al suo ufficio stampa, cosa sono i Forum, blog o Social Network.
I Forum, Blog o Social Network, non sono controllati o gestiti da “editori o giornalisti leccaculo”, i quali scrivono solo quello che più le piace o conviene. I Forum, blog o Social Network, sono gestiti dal POPOLO, non ESISTE alcuna censura, silenzio o dittatura. Questi strumenti sono LIBERI.
Illustre Presidente Giorgio Napolitano, credo che nel nostro Paese ci siano problemi ben più seri a cui pensare, non crede?
Anziché preoccuparsi OGGI del Web, perché in questi anni non si é mai preoccupato dei tanti corrotti, collusi e mafiosi, presenti in Parlamento?
  • Illustre Presidente, chi pagava e chi prendeva tangenti, non andava candidato, non andava giustificato, non andava elogiato; ma andava semplicemente isolato, punito e CONDANNATO.
  • Illustre Presidente, i corrotti, i collusi ed i mafiosi, non andavano candidati, non andavano giustificati, non andavano elogiati: ma andava semplicemente isolati, puniti e CONDANNATI.
  • Illustre Presidente, chi usava i nostri soldi per farsi rimborsare massaggi, escort, iPhone, iPad, iPod, profumi, matrimoni, pranzi, cene, nutella e carta igienica; non andava candidato, non andava giustificato, non andava elogiato: ma andava semplicemente isolato, punito e CONDANNATO.
Illustre Presidente, quando sbattete in faccia al popolo stremato e in recessione tutti i vostri privilegi e gli sprechi pubblici, quando chiedete tasse e sacrifici per finanziare le banche estere, quando spolpate fino all’osso il popolo mentre voi ve la godete tra auto blu, escort, benefits e pensioni milionarie… beh questo non è un vero e proprio insulto a tutti noi comuni cittadini?
Illustre Presidente, avrebbe dovuto tirare i pugni sulla scrivania, urlando ai suoi Parlamentari, Onorevoli e Senatori; chi DERUBA i soldi nelle casse dello Stato, non é un furbo da imitare o invidiare, ma un CRIMINALE da punire, condannare e detestare; perché deruba i soldi di tutti NOI comuni ed onesti cittadini. Cazzo!
Adesso può ordinare ai suoi “angeli custodi”, di farmi arrestare.
A cura di Andrea Mavilla
La Polizia intervenga ed arresti "loro" che hanno distrutto la florida economia del paese per incapacità a governare e corruzione dilagante. Ci hanno vessati e continuano a vessarci, ci hanno coartato privandoci di tutti i diritti, anche quello del voto, che come si è ben capito, non ha alcuna validità perchè pilotato da una legge elettorale esecrabile e riprovevole.
Ora vogliono privarci anche della libertà di parola!

SCANDALO MPS/ Tutti gli interessi di Caltagirone, suocero d’oro di Casini, e di Letta (Goldman Sachs). - Carmine Gazzanni

Forse pochi lo sanno, anche perché nessuno, in questo periodo di facili (e legittime) accuse a questo o quel partito, l’ha ricordato. Eppure fino al 26 gennaio 2012 (precisamente un anno fa, dunque) vicepresidente e azionista (per il 4 per cento) del Monte dei Paschi di Siena era nientepopodimenoche Francesco Gaetano Caltagirone, il suocero d’oro di Pierferdinando Casini, uno dei principali finanziatori dell’Udc e sostenitori dell’operazione Monti-bis.
IL LEGAME, GLI INTERESSI, LE LEGGI AD HOC – Sui legami del trio Caltagirone-Casini-Monti ci siamo già occupati: l’ex premier, nel corso dei suoi tredici mesi di mandato, ha lavorato (e tanto) per dare nuova linfa al campo dell’edilizia dove – lo sappiamo bene – gli interessi dell’imprenditore romano sono più che forti. Leggi ad aziendam? Sarebbe troppo affrettato dirlo. Certo è che la politica economica infrastrutturale messa in piedi dall’esecutivo tecnico potrebbe avvantaggiare appunto i grandi costruttori italiani: dall’importo massimo portato fino a 40 mila euro per l’affidamento fiduciario (senza gara dunque) dei servizi di progettazione, all’obbligo di utilizzo del criterio dell’offerta economicamente più vantaggiosa nelle gare di ingegneria e architettura solo oltre i 100 mila euro; dai 224 milioni di euro già stanziati (ma si parla di un totale di 2 miliardi) per le aree degradate di alcune grandi città, al rilancio delle grandi opere pubbliche senza alcun rischio per le imprese (a rimetterci potrebbero essere invece le casse pubbliche); fino alla defiscalizzazione per le opere infrastrutturali.
Ma anche se prescindessimo da quanto detto, il legame rimarrebbe intatto dato che Caltagirone è il maggior finanziatore dell’Udc, il partito del genero Pierferdinando Casini, uno dei promotori più decisi del Monti-bis. Ecco allora che sorge qualche dubbio: perché nessuno dall’Udc ha alzato la voce sul caso Mps? E perchè Mario Monti è stato così prodigo nell’attaccare il Pd, dimentico però del ruolo che fino all’altro ieri rivestiva chi oggi lo sostiene?
CALTAGIRONE: IL SOCIO-VICEPRESIDENTE. E CLIENTE DI RIGUARDO DI MPS – Una possibile risposta potremmo averla se guardassimo a quelli che sono stati gli affari di papà Caltagirone nel periodo della sua vicepresidenza a Siena. Va precisato immediatamente un particolare: il rapporto col dimissionario Giuseppe Mussari, ex presidente di Mps, è stato più che redditizio. E dove ha inciso soprattutto? In campo edile, ovviamente. Un caso su tutti. Nel 2009 il Monte dei Paschi, attraverso Antonveneta (successivamente incorporata in Mps Immobiliare) ha venduto alcuni immobili. Indovinate a chi? Alla Immo 2006 srl, società controllata indirettamente da Francesco Gaetano Caltagirone. Costo dell’operazione: 37,58 milioni di euro.
Finita qui? Certo che no. Per il socio-vicepresidente-imprenditore-cliente gli affari sono stati d’oro durante questo periodo. E allora ecco un altro finanziamento notevole: sempre nel 2009 alla Cementir Holding (direttamente controllata dalla Caltagirone spa) sono stati erogati dalla banca di Rocca Salimbeni 49,5 milioni. Ma, probabilmente, non sono bastati. E allora, dopo solo un anno, da Siena sono arrivati altri finanziamenti per Caltagirone per oltre 200 milioni di euro, concessi ovviamente in varia forma tecnica, più mutui fondiari per 30 milioni alla Immobiliare Caltagirone, altra società di punta dell’imprenditore romano. La Immobiliare, però, nel corso degli anni, ha goduto anche di altri corposi finanziamenti provenienti proprio dalla banca diretta da Mussari. Come quello del 2008: 120 milioni di euro.
C’è da dire, però, che Mussari non ha mai fatto nulla per nulla. E allora, se la banca è stata decisamente prodiga negli anni, Caltagirone imprenditore non è stato da meno nei confonti di Caltagirone socio e vicepresidente di banca: a fine 2010 erano circa 296 i milioni depositati presso Montepaschi, per lo più appartenenti alla controllata (e quotata) Caltagirone Editore.
Un rapporto proficuo per tutti, insomma. E allora perché non allargarlo ulteriormente? Ci si pensa a maggio 2010: il cda di Mps delibera un “incremento delle linee di credito ordinarie con utilizzo secondo varie forme tecniche per 175 milioni di euro a favore di Acea S.p.A”, poi seguite da altri 15 milioni. Anche la multiutility romana, leader – come si legge sul sito – “nel settore idrico e dell’energia”, è ovviamente una partecipata da Caltagirone (allora al 13 per cento, oggi al 15).
CALTAGIRONE SI DIMETTE: PUZZA DI BRUCIATO? – Il 26 gennaio dell’anno scorso però, come detto Caltagirone dà le sue dimissioni dal consiglio di amministrazione della banca e dal suo incarico di vicepresidente. Esce dalla banca, di cui peraltro era anche socio detenendo il 4 per cento delle azioni. L’imprenditore, d’altronde, si era già autosospeso dall’incarico il dieci novembre in seguito alla condanna a tre anni e sei mesi di reclusione nell’ambito del processo per la tentata scalata dell’Unipol alla Bnl. Una scelta morale, sembrerebbe. Di onestà intellettuale. In realtà le cose non stanno così. Per due motivi. Innanzitutto perché, da quanto sta emergendo in questo periodo, Caltagirone sapeva molto di più di quanto non si pensi, soprattutto sull’operazione Antonveneta, oggi tornata di così stretta attualità. E secondo perché, come vedremo nel prossimo paragrafo, gli affari con Mps continuano ancora oggi. Nonostante tutto.
Ma cominciamo dal primo dei due punti sollevati. Proprio ieri il CorSera è andato a spulciare i verbali del consiglio di amministrazione da settembre a dicembre 2011. In quel periodo la banca appariva decisamente in affanno. Già a settembre, infatti, i consiglieri di amministrazione prendono coscienza della necessità di intervenire. Ma prima bisogna farsi i conti in tasca: capire cosa realmente ci sia nei portafogli della banca. Sebbene, almeno formalmente, non ci sia traccia nei verbali dei derivati oggi sotto la lente di ingrandimento della Procura di Siena (Alexandria, Nota Italia e Santorini), la preoccupazione è alta. “Quanti Btp abbiamo in portafoglio?”, chiede proprio lui, il vicepresidente di allora Francesco Gaetano Caltagirone.
Il capo del risk management Giovanni Conti ammette la difficoltà e risponde a Caltagirone: 28 miliardi di titoli governativi, 21,6 dei quali dello Stato italiano, il 40% dei quali “si concentra su scadenza lunghe”. Caltagirone contesta: Il portafoglio è “marcatamente sbilanciato” sia per Paese sia per le scadenze “prolungate”. Sebbene il direttore finanza Giovanni Baldassari cerchi di difendersi, non riesce a convincere il vicepresidente: “la situazione non è ulteriormente sostenibile, sia come rischiosità che come conseguenze di conto economico, si devono prendere opportuni provvedimenti per alleggerire queste posizioni”.
Insomma, nella ricostruzione di Fabrizio Massaro sul Corriere appare chiaro che Caltagirone avesse avuto sentore del rischio di restare in banca, soprattutto come socio e come dirigente di punta. Dopo pochi mesi, infatti, rassegna le sue dimissioni e cede tutte le sue azioni. Ecco perché, dunque, non è credibile la tesi secondo cui ci sia dietro un gesto nobile dopo la condanna per la scalata Unipol. Caltagirone non avrebbe voluto dimettersi. Tanto che ben presto passa ad un’altra banca: acquista l’1 per cento delle azioni di Unicredit e riesce a inserire il figlio Alessandro nel cda. Pronto, dunque, per nuovi e proficui affari.
caltagirone_letta_scandalo_mpsGLI AFFARI CONTINUANO. OCCHIO AL “TRUCCO” – Affari che, tuttavia, non sono certo stati interrotti tra Caltagirone e Mps. Prova ne è la joint venture Fabrica Immobiliare sgr, che gestisce diversi fondi che, come si evince dal sito, sono tutti intestati a grandi filosofi dell’antichità: Aristotele, Seneca, Socrate, Pitagora, Cartesio. Dietro gli impegnativi richiami al pensiero del passato, però, ci sono interessi e giochi economici di prim’ordine. Stando al bilancio 2010 della banca senese, infatti, “tra nuovo credito, mutui e affidamenti ordinari alla sgr e alla galassia di fondi chiusi gestiti da quest’ultima, Fabrica Immobiliare lo scorso anno ha ricevuto da Banca Monte dei Paschi risorse per oltre 107 milioni”. Nel corso degli anni ognuno di questi fondi è stato finanziato. Giugno 2009: per il fondo Forma Urbis mutuo da 14 milioni. Luglio 2009: 39,4 milioni per i fondi Pitagora, Etrusca Distribuzione e Socrate. Novembre 2009: “affidamenti a carattere ordinario” per 35,1 milioni di euro per il fondo Socrate.
Ma, come detto, gli affari continuano ancora oggi. Basta andare a vedere chi sono gli azionisti della Fabrica Immobiliare: per il 49,9 per cento la Fincal spa (direttamente controllata da Caltagirone spa), per lo 0,02 per cento da Alessandro Caltagirone e per l’altro 49,9 per cento proprio dal Monte dei Paschi. Cosa vuol dire questo? Che, in teoria, la società non ha un socio di controllo. Un gioco sottile, dunque, quello di affidare lo 0,02 per cento delle azioni ad Alessandro che, nonostante sia figlio di Francesco Gaetano, non ha alcun ruolo in Fincal. Ergo: grazie a questo assetto proprietario, nessuno è tenuto a consolidare la sgr sui propri bilanci. In altre parole, i relativi e possibili debiti non vengono consolidati nei conti del gruppo, ma iscritte in bilancio per la quota parte di patrimonio netto. Dunque, anche su quelli del Mps. Gli affari continuano. Anche se sottotraccia.
TUTTI COINVOLTI – Caltagirone, però, non è l’unico ad aver avuto (e ad avere tuttora) rapporti con il Monte dei Paschi. Tutta la politica, nessuno escluso, pare legata agli interessi della banca senese. A giusta ragione – ma forse troppo semplicisticamente – si dice che il Monte dei Paschi sia la banca del Pd. Vero: Mussari è uomo in orbita democratici, tanti sono stati i finanziamenti della banca arrivati al partito e, di contro, tanti sono gli amici del Pd che occupano posti dirigenziali nella banca. Dire, però, che Mps sia solo legata al partito di Pier Luigi Bersani – come fatto da Grillo, Monti e Berlusconi – è fuorviante. Significa, in altre parole, nascondere una grossa fetta di verità. Per quanto riguarda Monti esemplificativo è il caso, appena illustrato, di Caltagirone,finanziatore numero uno del partito del genero Pierferdinando Casini e uno dei più fervidi promotori del Monti-bis. Non se la scampa, però, nemmeno Silvio Berlusconi. Tutt’altro. in questi giorni, infatti, sono spuntati tutti i rapporti che, nel corso degli anni, hanno tenuto in affari Mps da una parte e il Cav dall’altra. È lo stesso Berlusconi d’altronde ad aver ammesso che “grazie a Mps potei costruire Milano 2 e Milano 3, era l’unica banca che concedeva mutui premiando la puntualità dei pagamenti”. Come ricostruito da Marco Lillo su Il Fatto, l’atteggiamento di allora della banca fu del tutto particolare. Il 9 ottobre 1981 il sindacato ispettivo del Monte dei Paschi scrive: “La posizione di rischio verso il gruppo Berlusconi ha dimensioni e caratteristiche del tutto eccezionali e dimostrano l’esistenza di un comportamento preferenziale accentuato”. Da allora, dunque, un connubio ininterrotto quello tra B. e la banca senese, come testimoniato anche dai bonifici con causale prestito infruttifero alle Olgettine del ragionier Spinelli.
L’INTRECCIO MPS, GOLDMAN SACHS E GIANNI LETTA – Un nome che finora non è uscito, però, è quello di Gianni Letta. Anche il sodale da sempre di Silvio Berlusconi è legato a doppio filo col Monte dei Paschi. E il tramite è di tutto rispetto: la Goldman Sachs.
Cerchiamo di capire. La questione, ricostruita dalla giornalista Debora Billi sul suo blog, è decisamente interessante. Anche perché riguarda proprio quello su cui sta indagando in queste ore la magistratura: l’acquisizione di Antonveneta dagli spagnoli del Santander. Per gestire l’operazione Mussari decide di affidarsi proprio alla banca americana che, insieme, a Citigroup, Merrill Lynch, Credit Suisse, Mediobanca e Jp Morgan copre anche economicamente l’operazione. Si legge sul CorSera del 21 dicembre 2007: “Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch, Credit Suisse e Mediobanca si sono impegnati a sottoscrivere fino a 2,5 miliardi di euro. Jp Morgan, Goldman Sachs e Mediobanca cureranno il convertibile. Merrill, Citigroup, Goldman Sachs e Credit Suisse garantiranno poi la sottoscrizione degli strumenti di debito subordinati. Per il finanziamento ponte, infine, che verrà utilizzato da Mps nel caso di ritardi e problemi sugli altri due fronti, Citigroup, Goldman Sachs, Merrill Lynch e anche Credit Suisse e Mediobanca per la loro parte ne assicureranno la sottoscrizione”. Insomma, l’acquisizione – proprio quella su cui si è soffermata la lente della magistratura – è stata seguita in tutte le sue parti dalle banche.
Ma ecco il punto. Soltanto pochi mesi prima – giugno 2007 – la Goldman Sachs aveva affidato all’ex sottosegretario alla presidenza Gianni Letta l’incarico di consulente per l’Italia e componente del proprio international advisory board. Ruolo decisivo dato che, a conti fatti, Letta ha seguito tutte le operazioni della banca in Italia in quel periodo. A cominciare proprio dall’acquisizione di Antonveneta da parte del Monte dei Paschi.
Insomma, tutti sono legati alla banca senese. Il fango che in questi giorni ci si getta a vicenda non ha alcuna credibilità. È come quando un bambino, dopo aver commesso la marachella, getta le responsabilità sul compagno che gli sta affianco. In fondo, lo fa solo perchè teme di essere scoperto. 

Legge di Stabilità, le misure approvate dal Senato.

Nel 2014 le prime case pagheranno (oltre alla Tari) la Tasi con un’aliquota dall’1 al 2,5 per mille. Nel caso in cui l’aliquota Imu applicata nel 2013 fosse stata più bassa, questa diventerà il tetto insuperabile. Possibili detrazioni dei Comuni. Case di lusso, ville e castelli continueranno a pagare Imu e ora anche la Tasi e la Tari. Per quanto riguarda le seconde case continueranno a pagare l’Imu cui si aggiungerà la Tasi (oltre alla Tari per i rifiuti). La somma delle aliquote di Imu e Tasi non potrà superare lo 10,6 per mille, che è esattamente uguale all’aliquota massima della vecchia Imu attualmente in vigore sulle seconde abitazioni.
Tagli al cuneo fiscale fino a 32 mila euro - Le detrazioni sul lavoro saranno concentrate nella fascia di reddito tra i 15 e i 18 mila euro annui lordi con un beneficio massimo per le buste paga dei lavoratori pari a 225 euro netti annui. A scalare, le detrazioni riguarderanno tutti fino ad arrivare alla soglia di reddito di 32 mila euro annui lordi.
Il reddito minimo verrà recuperato dalle pensioni d’oro - Una forma sperimentale di reddito minimo destinato alle grandi aree metropolitane: sarà finanziato con un contributo di solidarietà sulle «pensioni d’oro»: 6% oltre i 90 mila euro, 12% oltre 128 mila euro e 18% sopra 193 mila euro. Il gettito previsto è di 40 milioni nei prossimi tre anni.
Cartelle esattoriali: azzerati gli interessi - Interessi azzerati per “rottamare” le vecchie cartelle esattoriali di Equitalia. Si dovrà invece pagare il 100% della sanzione e della tassa dovuta. Per aderire i debitori avranno tempo fino al 30 giugno 2014. La norma, secondo i relatori, dovrebbe consentire di sbloccare una parte significativa dell’attuale contenzioso tributario.
Per le calamità fondi dai partiti - Saranno le risorse risparmiate dalla riduzione del finanziamento pubblico ai partiti politici a finanziare il Fondo contro le calamità naturali. Questo fondo interviene per contrastare emergenze come quella che si è appena verificata per l’alluvione in Sardegna. Le risorse ammontano a 68 milioni di euro.
Risorse per gli stadi solo se già esistenti - Dopo le polemiche è stata modificata la norma sugli stadi. Si prevede l’aumento del Fondo di garanzia presso l’Istituto di credito sportivo solo per ammodernamento, sicurezza e sviluppo degli impianti sportivi già esistenti e non per la costruzione dei nuovi stadi. Salta la possibilità di edificare in aree non contigue agli stadi.
Cdp compra crediti con garanzia statale - Con la garanzia dello Stato, la Cassa Depositi e Prestiti potrà intervenire acquistando titoli cartolarizzati delle imprese di ogni dimensione. Inoltre nasce il Sistema nazionale di garanzia con due fondi: uno a favore delle Pmi e uno per i mutui delle famiglie e dei lavoratori co.co.pro.
Trasferire servizi di pagamento sarà gratuito - Il cliente può chiedere di trasferire a un altro istituto bancario i servizi di pagamento connessi al proprio conto corrente, senza pagare spese aggiuntive e in due settimane di tempo. Il trasferimento a costo zero per il risparmiatore non riguarda il semplice rapporto di conto in quanto tale.
Salta la sanatoria sulle spiagge - Saltano la sanatoria sulle pendenze delle concessioni marine e la sdemanializzazione delle aree attigue alle spiagge. L’emendamento che prevedeva la delega regolamentare per rivedere le concessioni demaniali e la sanatoria sulle pendenze giudiziarie sui canoni non sono state recepite nel maxiemendamento.
Risorse per gli stadi solo se già esistenti - Dopo le polemiche scoppiate negli ultimi giorni è stata rivista la norma sugli stadi. Si prevede l’aumento del Fondo di garanzia presso l’Istituto di credito sportivo solo per ammodernamento, sicurezza e sviluppo degli impianti sportivi già esistenti e non per la costruzione dei nuovi stadi. Salta la possibilità di edificare in aree non contigue agli stadi.
 

La mappa del tesoro di B. - Gianni Dragone




"Il tesoro offshore di 1 miliardo e 277 milioni di euro di Berlusconi sarebbe solo la punta emersa di una montagna di denaro, e potrebbe spiegare una certa simpatia o sintonia con chi porta soldi all’estero. Infatti Berlusconi e Tremonti, tra il 2001 e il 2010, hanno fatto tre scudi fiscali, un’amnistia di fatto, per chi aveva esportato soldi in nero"

http://www.serviziopubblico.it/dragoni/2013/11/28/news/la_mappa_del_tesoro_di_b.html

Strage di Viareggio, il treno di fuoco che sfigurò la Versilia: anche Moretti a giudizio. - Diego Petrini

Strage di Viareggio


A Lucca via al dibattimento con 33 imputati per la morte di 32 persone avvenuta il 29 giugno 2009: sarà uno scontro tra perizie a definire le cause dello squarcio nella cisterna. L'ad di Ferrovie il principale accusato dalle associazioni dei familiari delle vittime, ma amato dalla politica: la riconferma dopo il rinvio a giudizio e il cavalierato conferito dal Quirinale. Tra le parti civili Nicola Cosentino: il carico era destinato a un'azienda della sua famiglia.

Ana, 42 anni, stava per uscire per chiedere aiuto: la tempesta di fuoco la sorprese con la mano appoggiata alla maniglia del portone. Era una badante e cercava di salvare Mario, 90 anni, che non si poteva alzare dal letto. Hamza, 16 anni, era riuscito a emergere dalle macerie. Ma voleva tornare dentro casa per salvareIman, la sorella di 4 anni. Sono morti entrambi all’ospedale, come i genitori Mohammed e AzizaLuca, 5 anni, i genitori lo avevano portato in auto perché credevano che lì si sarebbe salvato: non ebbe scampo, come sua mamma, Stefania, e suo fratello Lorenzo, 2 anni. Emanuela, 21 anni, era andata a trovareSara, 24 nella sua casa di via Ponchielli: insieme gestivano un’agenzia immobiliare. Quella sera, dopo essere stata inghiottita e risputata da fiamme e fumo, Emanuela chiamò la mamma a notte fonda: “Mamma, c’è stato un incidente, ma non ti preoccupare, non mi sono fatta nulla”. Morirà il 3 luglio, quattro giorni dopo che il vagone-cisterna di un treno merci aveva vomitato gpl sui binari della stazione di Viareggio e poi sulle strade vicine, addosso alle porte, dentro le case. La città che tutti ricordavano per il Carnevale e per le spiagge, ora, da 4 anni e mezzo, trova il suo nome legato a un disastro ferroviario, il quinto più grave di tutti i tempi. Una tragedia che ha un’ora e un giorno precisi (le 23,48 del 29 giugno 2009), ma il cui dolore – sottoforma di agonia – si prolungò per giorni, per settimane, per mesi. Per il tempo, cioè, in cui continuarono a morire i feriti, mangiati dentro dal fuoco ora dopo ora. L’ultima vittima, la 32esima, si chiamava Elisabeth Silva Teran Guadalupe, 36 anni: si arrese tre giorni prima di Natale, sei mesi dopo il disastro.
Inizia il processo: 33 imputati per la morte di 32 persone
Trentadue morti, quanti quelli provocati dal naufragio della Costa Concordia. Ma qui non c’era una nave gigantesca da togliere dagli scogli di un’isola: si fa presto a togliere un treno dall’occhio delle telecamere. E qui non c’era nemmeno un comandante preso a male parole da un ufficiale, né c’erano presunte amanti in plancia di comando, né manovre spericolate compiute per fare un favore a questo o a quello. Qui ci vogliono le squadre di ingegneri per spiegare perché l’asse di un vagone carico di gas infiammabile che dal Piemonte deve arrivare in Campania si è spezzato. E poi il treno non è semplicemente il treno: le cisterne sono di una multinazionale americana ma con insegna di un’azienda austriaca, il locomotore è di Ferrovie dello Stato, il carro è stato costruito in Polonia, revisionato in Germania e montato in provincia di Mantova. Una storia troppo faticosa da capire e per questo sfuggita spesso dalle pagine dei giornali, perfino in momenti cruciali come l’incidente probatorio su motrice e vagoni. Ora però quella storia comincerà ad avere la verità di un processo.
Il dibattimento inizierà mercoledì 13, gli imputati sono 33 e tra questi c’è l’amministratore delegato di Ferrovie dello StatoMauro Moretti. Gli altri dirigenti del gruppo a processo sono l’amministratore delegato di Rfi Michele Mario Elia, l’amministratore delegato di Trenitalia Vincenzo Soprano, l’amministratore di Fs Logistica  Gilberto Galloni, il direttore della Divisione Cargo Fs Mario Castaldo. Poi dirigenti regionali, direttori tecnici, responsabili di settore e manager di Ferrovie, di Rfi e di Trenitalia. A giudizio sono finiti anche Giuseppe Pacchioni e Paolo Pizzadini, rispettivamente amministratore delegato e tecnico della Cima Riparazioni, l’azienda di Bozzolo (Mantova) che aveva montato il carro-cisterna. Poi gli stranieri, i dirigenti di Gatx in AustriaGermaniaPolonia e dell’Officina Jungenthal di Hannover che aveva revisionato il vagone. Fra i reati ipotizzati il disastro ferroviario colposo, l’incendio colposo, l’omicidio e le lesioni colpose plurime. Ad alcuni imputati sono state contestate anche violazioni delle norme sulla sicurezza sul lavoro. Le parti civili sono un centinaio: fra loro ancora non c’è lo Stato, che ha tempo fino alla prima udienza del processo, domani, e che è in trattativa con le assicurazioni di Gatx e Fs per un accordo sull’eventuale risarcimento. Sono già state depositate le liste con le richieste di testimoni, che dovranno passare al vaglio dei giudici: in quella dei pm figurano, fra gli altri, Diego Della Valle e Luca Cordero di Montezemolo (per i loro ruoli in Italo), mentre, in quelle delle parti civili ci sono anche Nichi Vendola (per i rapporti Regione Puglia-Fs) e l’esponente del Pdl Nicola Cosentino (il carico era destinato a un’azienda della sua famiglia).
La sera del 29 giugno 2009
Il 29 giugno 2012 il treno 50325, partito da Trecate (Novara), deve raggiungere Gricignano (Caserta). Oltre alla motrice ci sono 14 cisterne cariche di gpl: all’interno di ognuna ci sono 35mila litri di gas liquido. Il convoglio va a 90 all’ora, dentro i limiti di 100: supera la stazione di Viareggio, ma dopo poche centinaia di metri il primo vagone deraglia, si sdraia sui binari, si trascina, mentre il treno continua a correre. La fontana di scintille non si vede più solo quando la cisterna viene perforata per mezzo metro. Il convoglio infuocato alla fine si ferma. Ma non le fiamme – secondo alcuni testimoni alte come gli stessi palazzi – e nemmeno il gas. Fuoco e gas corrono, saltano muri, spaccano finestre, abbattono porte, demoliscono stabili. Rastrellano, vanno a cercare le vittime una ad una. Mentre sono in scooter, mentre sono seduti a tavola o a letto. I macchinisti avevano già capito tutto. Erano corsi alla Croce Verde a dare l’allarme: finiranno incenerite anche le ambulanze. Viareggio, dopo un boato che fa morire d’infarto due anziani e devasta un intero quartiere, è illuminata a giorno, colpita al cuore, e chiede aiuto a tutti i pompieri della Toscana. Ce n’è uno di Livorno, per esempio, che è al suo ultimo turno prima della pensione: 18 anni prima era stato tra i primi a salire sul Moby Prince, carbonizzato e senza mai una spiegazione. 
La perizia sulle ragioni del deragliamento e le cause dello squarcio nella cisterna
Le prove del processo si sono già formate nell’incidente probatorio, dopo i sopralluoghi e le prime relazioni dei periti. Le conclusioni del consulente del gip sembrano aver dato ragione a Ferrovie dello Stato. Al centro del confronto non la ragione del deragliamento (l’asse del vagone che ha ceduto perché fratturato), ma la causa dello squarcio nella cisterna. Secondo la Procura fu l’effetto dell’impatto con un “picchetto”, cioè uno spezzone di rotaia piantato a terra per indicare le curve. Per i tecnici delle Ferrovie (e per il perito del gup che ha rinviato a giudizio i 33 imputati) fu un elemento dello scambio, la “piegata a zampa di lepre”. Un dettaglio nient’affatto banale. La “piegata” è indispensabile, i picchetti possono essere sostituiti con altri sistemi meno rischiosi, come ora ha ordinato – 4 anni dopo la strage – l’Agenzia per la sicurezza delle ferrovie. Nelle 150 pagine firmate dai consulenti del tribunale segnalano però che all’ultima manutenzione la “cricca” (così viene chiamata la rottura dell’asse) era già di 11 millimetri e poteva essere rilevata con gli ultrasuoni.
Le accuse all’ad Mauro Moretti
Altre questioni tecniche, secondo il gup Alessandro Del Torrione, dovranno essere chiarite nel dibattimento. ”Noi dubbi non ne abbiamo” disse il giorno del rinvio a giudizio il procuratore capo di Lucca Aldo Cicala. E secondo i magistrati lucchesi Mauro Moretti, l’amministratore delegato di Ferrovie – ad prima di Rfi e poi di Fs – non ha valutato i pericoli e i rischi del passaggio di treni carichi di sostanze pericolose da stazioni circondate da case. L’alto dirigente di Ferrovie è accusato di “inosservanza di leggi ordini, regolamenti e discipline” e di “omissioni progettuali, tecniche, valutative, propositive e dispositive”. Da una parte secondo la Procura lucchese Moretti non avrebbe valutato “il pericolo costituito dalla presenza” dei picchetti e non lo avrebbe fatto neanche quando venne emanata, a fine 2001, una specifica tecnica Rfi, “che prevedeva, sì, la sostituzione del tradizionale sistema di picchettazione” ma “per finalità solo commerciali, come quelle relative al miglioramento del comfort di viaggio ed alla riduzione dei costi e non per l’eliminazione di un elemento in sé pericoloso”. Non solo. Per i pm l’ad di Fs non avrebbe poi valutato la possibilità di ridurre la “velocità di transito lungo la tratta della stazione di Viareggio” o di adottare “meccanismi tali da garantire un’immediata frenatura del convoglio in caso di svio”. E infine non avrebbe assunto “alcuna determinazione in merito alla necessità o almeno all’opportunità, di tenere adeguatamente separata la sede ferroviaria della stazione di Viareggio” dalle abitazioni e non avrebbe proposto la “realizzazione di separazioni, di barriere”. I danni, secondo i pm, avrebbero potuto essere “potenzialmente sterminati”. Armando D’Apote, avvocato di Moretti, dopo il rinvio a giudizio assicurò: “Confido che il processo potrà diradare i dubbi, quelli che hanno fatto prevalere la scelta dibattimentale”.
Moretti, da “uno spiacevolissimo episodio” al cavalierato
E la faccia di Moretti è diventata inevitabilmente il bersaglio delle associazioni dei familiari delle vittime. Erano passati tre giorni dalla strage e le Ferrovie già escludevano qualsiasi responsabilità: “Non abbiamo attivato ancora la nostra assicurazione. Anzi, credo farebbero bene ad attivarla i proprietari del carro” disse lo stesso amministratore delegato in commissione al Senato. Il carro era vetusto, “omologato nel 2004 ma la componentistica di sicurezza risale al ’74 e risulta fabbricato in Germania Est. E’ il carro che determina l’immatricolazione ma è la componentistica a fare la sicurezza”. Ed è peraltro proprio in commissione, a Palazzo Madama, nel 2010, che Moretti – per i parenti delle vittime – passa il segno: “Vi prego di considerare – dice Moretti ai senatori – che quest’anno, per la sicurezza – a parte questo spiacevolissimo episodio di Viareggio – abbiamo ulteriormente migliorato: siamo i primi in Europa”.
Le associazioni hanno chiesto più volte le sue dimissioni. Lo seguirono perfino a Genova, per una festa democratica in cui Moretti era invitato: finì con tafferugli e denunce e con la fuga dell’ad. E la politica? Ha cambiato qualche norma per migliorare la manutenzione dei vagoni. E ha rinnovato il mandato di Moretti. Due volte. Prima con il governo di Silvio Berlusconi. Poi con l’esecutivo delle larghe intese guidato da Enrico Letta, nell’agosto scorso, pochi giorni dopo il rinvio a giudizio. E d’altra parte il 31 maggio 2010, un anno dopo il disastro, fu il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano a intervenire: conferì a Moretti il titolo di cavaliere del lavoro.