lunedì 2 dicembre 2013

I call center ora restano in Italia. Contro le delocalizzazioni stipendi ridotti. - Salvatore Cannavò

I call center ora restano in Italia. Contro le delocalizzazioni stipendi ridotti


Un accordo sindacale di agosto prevede contratti a progetto con salari ridotti al 60% dei minimi. E la legge del governo Monti sospende l'erogazione degli incentivi per le aziende che trasferiscono le proprie attività all'estero.

Delocalizzare o restare in Italia? Questo è il problema. Almeno per i call center, settore simbolo del precariato. Il trasferimento delle attività all’estero è noto da tempo e ha riguardato marchi come Sky, Fastweb, Vodafone oppure realtà del settore importanti come Almaviva. Tra i paesi preferiti la vicina Albania, con circa 60 aziende tra Durazzo, Valona e Tirana. Ma anche la Romania o la Tunisia. Se negli anni Duemila, come nel caso di Atesia, i lavoratori manifestavano soprattutto per regolarizzare il proprio lavoro, ora la protesta è contro le delocalizzazioni: lo hanno fatto quest’estate i dipendenti Fastweb oppure l’Almaviva di Palermo e, ancora, i dipendenti di E-Care.
In tempi di crisi ogni lavoro è essenziale, anche quello meno professionale dei call center, per quanto si tratti ormai di una occupazione rilevante. In Puglia, ad esempio, Teleperformance è la seconda azienda dopo l’Ilva con 3.000 dipendenti, mentre Almaviva (ex Atesia) ne occupa 24 mila in Italia. Contro le delocalizzazioni si sono affermate due soluzioni: una legislativa, l’altra sindacale.
La prima, ha posto dei limiti al processo con apposite restrizioni. La soluzione sindacale sembra invece aver adottato il principio: se il call center si sposta in Albania portiamo l’Albania qui da noi. Cioè, riduciamo drasticamente i salari. È quanto appare dalla lettura dell’ultimo contratto di settore siglato da Cgil, Cisl e Uil con le due strutture padronali, Assotelecomunicazioni e Assocontact in cui si prevede una sorta di “salario di ingresso” al 60 per cento della paga minima.
Con i 100 mila occupati – senza contare quelli interni alle aziende – i call center sono la vetrina per clienti in cerca di informazioni oppure da assoldare con proposte “allettanti”. Il contratto si riferisce a questi ultimi, i lavoratori a progetto (co.co.pro.) in outbound, cioè coloro che effettuano chiamate verso l’esterno (telemarketing e televendita, ricerche di mercato, ecc.). Si tratta di 30 mila addetti per i quali la riforma Fornero ha richiesto il ricorso alla contrattazione per determinarne la retribuzione. E così i datori di lavoro e i sindacati di categoria, Slc-Cgil, Fistel-Cisl, Uilcom-Uil, hanno siglato un contratto che prevede il riconoscimento del minimo tabellare (circa 1.000 euro netti al mese) ma ridotto al 60 per cento fino a gennaio 2015. Da quella data, poi, si risale di anno in anno fino a raggiungere il 100 per cento del minimo nel 2018. Una forma originale di “salario di ingresso” prolungato nel tempo. Inoltre, per le nuove assunzioni al termine del contratto, l’azienda utilizzerà i lavoratori già assunti sulla base di una graduatoria. Ma per potervi accedere i collaboratori dovranno sottoscrivere “un atto di conciliazione individuale conforme alla disciplina prevista dagli articoli 410 e seguenti del Codice di procedura civile”. Si tratta della rinuncia a diritti pregressi che non vengono nemmeno specificati.
Sai da parte datoriale, sia da parte sindacale, l’accordo è stato difeso come “una importante novità nel panorama delle relazioni industriali”. Le parti hanno addirittura siglato un comunicato congiunto al Fatto, il presidente di AssTel, Cesare Avenia, spiega che “non era mai avvenuto prima che si stipulasse un accordo avente come oggetto dei lavoratori non dipendenti”. Avenia poi, insiste sull’importanza di “aver fissato una retribuzione minima” in un accordo che “amplia le certezze per i lavoratori”. Allo stesso tempo, però, fa notare una fonte sindacale, “si istituzionalizza una contrattazione separata per i co.co.pro che impedisce loro di accedere al contratto generale”.
L’altra misura, quella legislativa, è stata introdotta dal decreto del governo Monti del giugno 2012. Prevede che il cliente contattato da un call center sia immediatamente informato della collocazione estera di chi raccoglie i suoi dati. Ma soprattutto sospende l’erogazione degli incentivi “ad aziende che delocalizzano attività in Paesi esteri”. Norma in parte mitigata dalla circolare interpretativa del 2 aprile di quest’anno con la quale il ministero del Lavoro ha limitato le restrizioni solo alle delocalizzazioni verso “paesi extracomunitari” in analogia con la legislazione Ue.
Nati impetuosamente agli inizi degli anni Duemila, i call center si sono evoluti confusamente con contratti “selvaggi”. La vertenza dell’Atesia nel 2005 ha costituito uno spartiacque, anche per la durezza dello scontro. Contemporaneamente sono usciti i film di Ascanio CelestiniParole sante (basato proprio sull’Atesia) e, in particolare, Tutta la vita davanti di Paolo Virzì tratto dal libro di Michela Murgia, Il mondo deve sapere. Il call center sembra la catena di montaggio degli anni Duemila. Nel 2006, l’allora ministro del Lavoro, Cesare Damiano, uno dei pochi che si occupa ancora di lavoro, con una circolare riuscì a stabilizzare “circa 24 mila lavoratori”. Lavoro distrutto dal successivo governo Berlusconi. Nel frattempo si è ampliato il fenomeno di delocalizzazione alla ricerca del costo del lavoro più basso. Fino a scoprire che quel costo si può ridurre anche qui.
Oltretutto, i call center rappresentano un buon, anzi, ottimo bacino di voti per i partiti, e a buon prezzo.
La politica è riuscita nel suo intento, schiavizzare i cittadini rendendoli formiche facilmente dominabili. E pensare che abbiamo sostenuto in passato dure lotte per ottenere qualche diritto in più, ma questa è un'altra storia.

La doccia ‘spaziale’ che consuma il 90% in meno d’acqua!.

Ogni giorno consumiamo grosse quantità di acqua senza che ce ne accorgiamo neppure, dallo sciacquone del wc alla doccia, al bucato. Una ricerca condotta dall’US Environmental Protection Agency (EPA) ha stimato che ogni anno negli Stati Uniti vengono consumati 1,2 miliardi di litri di acqua a livello domestico.
Cosa sarebbe di noi esseri umani se un giorno l’acqua dovesse essere così scarsa da mettere seriamente a rischio la nostra sopravvivenza? Se ci pensate questa è la situazione in cui si trovano gli astronauti quando partono per le loro missioni nello spazio. Gli ingegneri spaziali hanno risolto il problema tramite il riciclo continuo dell’acqua contenuta in un apposito bidone.
Il designer industriale Mehrdad Mahdjoubi, lavorando ad un progetto presso l’Università di Lund, in Svezia, in collaborazione con la NASA, ha pensato di applicare lo stesso concetto di riciclo anche nella nostra realtà.
Del resto la filosofia del design spaziale punta a massimizzare le risorse disponibili, un atteggiamento che forse dovremmo iniziare ad applicare ognuno nel proprio piccolo.
E’ da queste riflessioni che è nato OrbSys, un sofisticato metodo di depurazione dell’acqua che funziona con un sistema a circuito chiuso: l’acqua calda scende dal rubinetto, viene purificata all’istante e poi è subito reimmessa in circolo. Inoltre la pressione del getto è superiore alla media ed è sempre costante, non essendo vincolata dal flusso delle tubature.
Grazie a questo sistema si ottiene un risparmio di energia pari all’80% (perchè l’acqua è sempre la stessa quindi non ha bisogno di essere scaldata) e un risparmio di acqua pari al 90% . Ma i vantaggi sono anche di tipo economico, si stimano almeno 1.000 euro in meno all’anno per le bollette.
Se in una doccia normale consumiamo circa 150 litri di acqua, con OrbSys ne andremmo a consumare solo 5. Davvero un buon risultato, non credete? Queste docce per ora sono state installate con successo a Ribersborgs Kallbadhus, una struttura balneare in Svezia.
Pensate che rivoluzione se questo sistema venisse utilizzato nelle nostre case o, meglio ancora, nei Paesi in via di sviluppo che ogni giorno devono fare i conti con la penuria di acqua e con le malattie ad essa correlate.

domenica 1 dicembre 2013

Sta succedendo, ma nessuno ne parla...



Crotone questa mattina.



Lungomare Metaponto.



Cirò Marina.



Polignano a Mare (BA) - 1 dicembre 2013
Vittoria Bellini: «Grazie a Dio non ci sono vittime. C' era solo l'autista ed é stato salvato dai vigili del fuoco.»




Polignano a Mare (BA) - 1 dicembre 2013
foto di Vittoria Bellini


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Imprigionati.



Gli inetti che ci governano hanno compiuto scempi, innalzando a dismisura l'età pensionabile della plebaglia cittadina che lavora e produce, hanno operato tagli su tutto quanto riguardava il benessere di quest'ultima, ma non hanno minimamente intaccato i loro privilegi. 
Loro sono cittadini di serie A, il resto del popolo non ha alcuna connotazione: noi siam formiche.
Vuoi curati un cancro che loro ti hanno provocato per incuria sul territorio?
Pagatelo!!
O muori...
Per loro sei un niente, un nessuno.

Vuoi studiare facendo fare sacrifici economici ai tuoi? Non puoi, perchè ai test di ingresso alle facoltà universitarie ci entrano solo i loro raccomandati, gli stessi che provvederanno a creare ulteriori danni alla società.

Vuoi mettere su un'azienda? Benvenuto nel mondo dell'impossibile: burocrazia e corruzione te lo impediranno e se ci riuscirai ti costringeranno a chiudere l'azienda gravandoti di un numero esagerato di tasse, che non verranno utilizzate per il bene comune, ma finiranno nelle tasche di qualche politico corrotto.

Come siamo arrivati a questo punto?


Dando credito alle stesse persone che nel corso degli anni hanno depauperato il nostro paese rubando a più non posso e senza alcun ritegno.
C'è gente nel nostro paese che della politica ha fatto la sua professione abituale, non ha mai lavorato e si è creato uno stile di vita più che agiato, lussuoso.
Votarli ancora significa solo una cosa: o si è corrotti o si è idioti!
Non ci sono alternative.

Genova a 5 Stelle la diretta.



http://themyworld2.blogspot.it/2013/12/diretta-v3day-oltre.html

Claudio Bizzozero: "se voti i partiti che hanno governato o ci guadagni o sei un cretino".

sabato 30 novembre 2013

Palazzo Grazioli, il condomino Berlusconi non paga l’affitto a FI. E cerca casa. - Carlo Tecce

Palazzo Grazioli, il condomino Berlusconi non paga l’affitto a FI. E cerca casa


Negli ultimi sette mesi non è stato pagato il canone delle sale occupate dal parlamentino del Pdl. Il tesoriere smorza le polemiche: "Abbiamo sforato di qualche giorno". Ma il padrone di casa li denuncia per morosità.

Non è senatore neanche a casa sua. Il decaduto Silvio Berlusconi lo sfrattano pure dal “parlamentino” di palazzo Grazioli, un emiciclo di legno intagliato che ha ospitato memorabili conferenze stampa, riunioni plenarie e simulazioni di governo. Perché il conte Emo Capodilista, ereditario assieme a Saverio (detto Lallo) Caravita di Sirignano, ha denunciato il defunto Pdl per morosità: abusivi, non pagano l’affitto da sette mesi, occupano l’aula di un finto Montecitorio, l’ex redazione del Mattinale (primo Piano) compreso l’ufficio di Paolo Bonaiuti e spergiurano di aver disdetto il contratto. E poi il fatidico 27 novembre dopo le fatidiche 17:42 e 30 secondi, il sofferente Berlusconi ha radunato le truppe di Forza Italia proprio nel “parlamentino”. Il tribunale civile di Roma dovrà valutare il danno.
Tra scissioni e riesumazioni, il tesoriere ha bloccato i bonifici: “Quanto sono pignoli, sciocchezze!”, assicura Maurizio Bianconi, toscano, cassiere. E l’avvocato (e deputato) Ignazio Abrignani, costretto a negoziare spiccioli, non vuole passare per taccagno: “Vi posso anticipare che l’accordo è vicino. Non capiamo l’azione di Capodilista. Abbiamo sforato di pochi giorni…”. D’un colpo, l’impunità di Silvio da Arcore evapora.
Ora va scoperto il Cavaliere parsimonioso, che non vuole saldare arretrati di un partito gestito da un tale Angelino Alfano e che la fidanzata Francesca Pascale ha iniziato al risparmio casalingo: inaccettabili i fagiolini a 80 euro per un chilogrammo. E così Berlusconi ha spedito l’architetto Gianni Gamondi in missione per le residenze più blasonate di Roma: caccia alla nuova magione, riservata, immune ai fotografi e ai giornalisti.
LA SCARSA PASSIONE per il giardinaggio di Francesca e Mariarosaria Rossi, senatrice e badante, ha scosso il pigro Silvio. L’episodio viene ricordato come determinante. Le virtù di palazzo Grazioli impongono che i fiori siano cambiati quasi ogni settimana, sempre freschi, impettiti, in salute. Per limare un piccolo spreco, Francesca e Mariarosaria ordinano pacchi di gerani di plastica, talmente ben truccati che il botulino è roba da dilettanti, e i commessi li sistemano nel cortile: la furia dei vicini, fra principi senza regno e duchi senza ducati, non va scritta perché andrebbe ascoltata. Evitato un trauma al barboncino Dudù, molto amico di un pari taglia di Saverio Caravita di Sirignano, Pascale era pronta al trasloco, a liberare anche il piano nobile con balcone su via del Plebiscito dove Berlusconi ha un paio di uffici e segretarie, tre sale da pranzo e dieci camere da letto. Addio Palazzo Grazioli, addio ricordi con Gianpi Tarantini e Patrizia D’Addario e con gli ex illustri coinquilini: il dalemiano Claudio Velardi e la tivù dalemiana, Red.
CALMA, IL CAVALIERE ha predicato calma. Perché il fidatissimo Gamondi, scultore di ville berlusconiane da Antigua a Lampedusa sino a Villa Certosa, non ha trovato il pezzo giusto più che il prezzo: adesso ha occhi solo per Palazzo Taverna. Per un po’ di pigrizia, raccontano gli amici di Fininvest, Silvio s’è fatto sfuggire il Pecci-Blunt, il palazzo con lo sguardo al Campidoglio. Dove Denis Verdini, anni fa, riuniva avventurieri e (Marcello Dell’Utri) per cercare di arrivare alla Consulta chiamata a decidere sul prezioso Lodo Alfano. Ma il Cavaliere, forse, avrà preferito ignorare quei mattoni pregiati e storici che sanno di sconfitta. Le ispezioni di Gamondi vanno avanti, piano: il decaduto non vuole abbandonare la Capitale, anche se non vuole più confondere politica e Pascale: “Per gli incontri di Forza Italia – rivela soddisfatto Abrignani – il presidente ci ha più volte consigliato di vederci nella sede di San Lorenzo in Lucina. Io sono felice perché l’ho scelta io. Ha apprezzato molto: è comoda, elegante, ma non di lusso; grande, ma non enorme; organizzata, ma non dispersiva. E dunque non andremo più a Grazioli”. 
Ovvio, non pagate da sette mesi… “Sì, mi sembra un’analisi corretta”, aggiunge Abrignani. Per i servizi sociali o i domiciliari, anche su suggerimento di Francesca, Berlusconi ha indicato Roma. Il prossimo palazzo dovrà avere un cancello molto imponente, numerose entrate, più verde (chissà se sintetico) e, soprattutto, tanta erba per Dudù. Dismesso da senatore e dismesso il “parlamentino”, il Cavaliere parsimonioso ricomincia da Roma 2.