mercoledì 11 dicembre 2013

Renzi 'Rottame Team': la filo Pdl, il raccatta voti e la demitiana...

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Ecco a voi il "Rottame team" di Renzi, il camaleontismo che avanza.

Dopo essersi recato ad Arcore da Berlusconi nel 2011 ed aver ricevuto appena eletto i complimenti del condannato ("Ti avevo capito quella volta ad Arcore"),Matteo Renzi ha lanciato la sua mirabolante squadra.
Tra questi la responsabile Lavoro Marianna Madia, alla seconda legislatura. Era tra i parlamentari del PDmenoelle che non si presentò a votare contro lo scudo fiscale di Tremonti. Il 28 agosto di quest'anno dichiarava "Meglio votare Pdl che Grillo", aggiungendo "i grillini non sono fascisti, ma violenti".
Violenti? La filo berlusconiana Madia può citare un solo atto di violenza compiuto in questi anni dal Movimento 5 Stelle o dai Meet Up? Zero assoluto.
Andreottianamente innovativa la scelta per il Welfare, con il palermitano rampante Davide Faraone il quale, durante le regionali 2008 in Sicilia mentre raccatava voti a Palermo ha incontrato persone poi condannate per mafia.
Chissà cosa ne pensa di questi incontri palermitani la già seguace di Ciriaco De Mita Pina Picierno, neo responsabile legalità del Pdmenoelle. Appena eletta nel 2008 dichiarò "De Mita è il mio mito" tanto che su di lui fece la tesi di laurea.

La Picierno nell'ultimo anno si è piegata al "lato oscuro della forza". Il 16 novembre 2012 in piene primarie si schierava per Bersani contro Renzi con queste parole: "Se perdiamo primarie il partito non tocchi i rottamatori dice Renzi. E per chi ci ha preso per renziani?!". Un anno dopo, l'8 dicembre 2013 scriveva su twitter: "votare oggi Renzi significa far #cambiareverso anche a Saturno e al lato oscuro della forza, perciò datemi una mano..."
Non ci credete? Guardate qua sotto:

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Convertita anche Deborah Serracchiani, neo responsabile Infrastrutture (favorevole al TAV in Val Susa) il 7 settembre 2012 dichiarava: "Renzi dovrebbe restare a fare il sindaco di Firenze. Se fosse in lui mi sarei presa un pò più di tempo perchè magari i fiorentini vogliono un sindaco che magari resti a lungo".
Ma non è finita qui. Appena nominata responsabile della Giustizia Alessia Morani ospite di La7 ha nuovamente difeso il ministro Cancellieri dalla bufera per le sue amicizie con la famiglia Ligresti. "Il nuovo Pd non riaprirà il caso" ha dichiarato solennemente la Morani (potete ascoltare l'audio integrale QUI: Morani su Cancellieri - audio.mp3).
Ma Renzi non doveva mandare a casa la Cancellieri? Il 21 novembre 2013 dichiarò Renzi: "Il vecchio Pd l'ha difesa, il nuovo no"....
A futura memoria qualche voto in Parlamento da parte dei responsabili del Rottame team renziano. Solo per citarne alcuni come Davide Faraone, Maria Elena Boschi, Marianna Madia, Chiara Braga, Pina Picerno, Alessia Morani hanno votato a favore del progetto TAV in Val Susa e della proroga delle missioni di guerra e contro la mozione di sfiducia al ministro Cancellieri.
Questi i fatti. Tutto il resto è marketing di vecchia berlusconiana memoria, con i mass media proni a incensare il "camaleonte che avanza".
P.S.: Ai solerti benpensanti, segnaliamo inoltre gli insulti rivolti ai giornalisti ostili a Renzi, da parte del neo responsabile comunicazione del PD Nicodemo. Guardate QUI una raccolta dei suoi insulti. Ora ci attendiamo la stessa levata di scudi "democratica" riservata a Grillo ed il M5S da parte di Enrico Letta, Matteo Renzi, la presidente della Camera Boldrini ecc ecc..

Travaglio. Il Merlo martire!

           

Siccome non se n’era accorto nessuno, Francesco Merlo tiene a precisare sulla prima pagina di Repubblica che tra le vittime della “gogna di Grillo” c’è anche lui. 
Mo’ me lo segno, direbbe Troisi. 
Naturalmente quella che lui chiama gogna è un mini-post molto asciutto e asettico in cui Grillo, anziché insultarlo come sciaguratamente fece con Maria Novella Oppo, gli rende forse il servizio peggiore: lo cita. Riporta alcuni passi deliranti del suo commento al caso Oppo, paragonava il leader di 5 Stelle ai “terroristi, camorristi, mafiosi” che assassinarono rispettivamente Tobagi, Siani e Fava. Cioè usava frasi infinitamente più violente di quelle mai usate da Grillo, che pure non scherza. 
Ora però Merlo ha scoperto, con notevole prontezza di riflessi, il lato oscuro del web: cioè quell’esercito di insultatori di professione che approfittano dell’anonimato dei nickname e usano la rete come la parete dei cessi pubblici, per sfogare le prime frustrazioni offendendo e minacciando a destra e a manca. 
Sono cose che purtroppo capitano a tutti coloro che abbiano un minimo di notorietà e almeno un piede nei social network. 
Come dimostra il caso tragicomico dell’on. Giachetti, che ieri ha scritto a Grillo per denunciare il commento di uno squilibrato che chiedeva l’eliminazione fisica dei deputati nominati dal premio di maggioranza incostituzionale del Porcellum, salvo poi scoprire che l’autore è un fervente renziano proprio come Giachetti. 
Se il Merlo volesse sentirsi meno solo, potrei regalargli un’antologia di insulti e minacce che ricevo da anni sul blog (il mio) e sulla pagina facebook (la mia). 
Il picco massimo di violenza lo registrai dopo il maggio 2008, quando il giornale di Merlo, che per qualche anno fu anche il mio, inaugurò la macchina del fango riportando la voce che mi ero fatto pagare le ferie in Sicilia da un mafioso: la notizia era naturalmente falsa, come provvidi subito a documentare con le ricevute dei miei pagamenti, ma il linciaggio proseguì e prosegue tuttora, anche perché le scuse non sono mai arrivate. 
Ma Merlo è convinto che gli insulti che gli arrivano in rete abbiano un mandante. Che, tenetevi forte, non è neppure Grillo: sono io. 
“Tutto quel diluvio di scaracchi” – scrive nel suo dolce stil novo il maestrino di bon ton – è “figlio di una sola nuvola: l’editoriale di Marco Travaglio sul Fatto quotidiano che è purtroppo la casa nobile di cotanta indecenza”. Perché, “in simbiosi con i picciotti dell’odio, che sono ammaestrati pavlonianamente (si direbbe pavlovianamente, ma lasciamo andare, ndr), Travaglio possiede la tecnica di innesco”. Qualcuno potrebbe pensare che io abbia istigato le masse dei miei picciotti a odiare il Merlo e a minacciarlo di morte. 
Gli piacerebbe che qualcuno lo ritenesse così decisivo da meritare odio. In realtà stiamo parlando di un peso piuma del cicisbeismo specializzato nell’attaccare le opposizioni, anche se ama presentarsi come molto scomodo, dunque degno di odio. 
Si tranquillizzi: nel paese che pensa di far viaggiare il pm Nino Di Matteo su un Lince, manco fossimo l’Afghanistan, quelli in pericolo sono altri, anche se lui evita di parlarne. Ma il guaio più grosso del Rushdie de noantri è di giudicare gli altri come se fossero lui. 
Siccome nel mio articolo criticavo Grillo e solidarizzavo con la Oppo, ha pensato che lo facessi per “finta”. E siccome mi riferivo agli “house organ del Pd”, per esempio l ’ Unità, vi si è subito identificato, come se nella vita uno non avesse di meglio che pensare a lui. Che nel-l’articolo era citato di sguincio in una domanda retorica: “chissà dove cinguettava Merlo un mese fa, quando il neostatista Alfano chiese al padron Silvio la cacciata di Sallusti dal Giornale”. 
Lo sanno tutti dove cinguettava: altrove, come sempre. Ma, per il Linosotis catanese, quella domandina maliziosa sarebbe nientemeno che uno “spruzzo di lordume” con cui “Travaglio ha indicato alla truppa dei grillini l’obiettivo da colpire e ha fornito loro anche il lessico”. Insomma “Travaglio ha dato il la a tutto quello che poi sarebbe stato spurgato sul blog”, perché a colpi di “fuoco e lerciume” “crede di vendere qualche copia in più o di far crescere l’audience”. Per fortuna “tutti i padri nobili del giornalismo italiano di ieri e di oggi, da Montanelli a Scalfari, inorridiscono”. 
Scalfari, passi. Ma Montanelli è scomparso nel 2001: chissà, forse gli è apparso in sogno; poi però Merlo s’è svegliato troppo presto e non ha fatto in tempo ad apprendere che Montanelli assunse il sottoscritto per ben due volte in entrambi i giornali da lui fondati, trascurando colpevolmente il Merlo. 
Il bello è che pensa davvero che abbiamo atteso l’avvento di Grillo per inquadrare lui e tutta la voliera dei terzisti furbastri. 
Ma si sottovaluta. 
Quando stava al Corriere ai tempi della Bicamerale, il protomartire scriveva da perfetto cerchiobottista ton sur ton. Il 20 dicembre 1997, per esempio, alle facili critiche a Previti faceva seguire le seguenti amenità: “È anche vero quel che dice Berlusconi. Hanno cominciato a indagare quando è partita l’avventura politica di Forza Italia (falso, avevano cominciato negli anni 80 e ricominciato nel ‘ 92, ndr)… L’azione penale è stata anche accanimento politico, risentimento. La giustizia che viene dal risentimento è qualcosa di arcaico, è una soluzione predemocratica, una pratica asiatica. 
La frase che pronunciò Di Pietro… (“Io quello lì lo sfascio”) è orribilmente significante, e tradisce… una concezione mesopotamica del giustizialismo che deve inquietare tutti, tanto i colpevoli quanto gli innocenti”. Nel 2003, quando il Merlo aveva già trasferito il cerchio e la botte a Repubblica, e si divertiva a mettere sullo stesso piano coi suoi paradossi barocchi gli epurati dall’editto bulgaro e l’epuratore, mi chiamò inorridito Cesare Garboli, per chiedermi un mini-saggio per la sua rivista su Merlo e il merlismo. 
Giuliano Ferrara aveva appena insultato il direttore dell ’ Unità Furio Colombo e Antonio Tabucchi come “mandanti linguistici del mio prossimo assassinio”. Un po ’ come fa ora, mutatis mutandis, il Politkovskayo della mutua col sottoscritto. 
IL 10 OTTOBRE Merlo provvide subito a ribaltare la frittata, parlando della “polemica di Tabucchi con Ferrara”. Poi s’infilò nei consueti paradossi paraculi: “Tabucchi è berlusconiano e Ferrara è comunista… Tabucchi è berlusconiano nella maniera più sostanziale… infatti ha dato corpo alle sue ossessioni. Il regime, l’Italia imbavagliata, la fine della democrazia raccontati da Tabucchi sono come i comunisti di Berlusconi e i suoi giudici matti… Alla maniera di Berlusconi, anche Tabucchi vive e crede solo nel virtuale, in un mondo inesistente e tuttavia verosimile” (un mondo talmente inesistente che da un anno Biagi, Santoro e Luttazzi erano spariti dal video per ordine del premier). Non contento, il Merlo si fece beffe della “sindrome dell’esule” di Tabucchi, del suo “giocare a fare il Gramsci e a cingersi la testa con l’aureola del-l’eroismo civile”. E pazienza se Tabucchi, uno degli scrittori italiani più noti e tradotto nel mondo, scriveva sull ’ Unità e su Le Monde perché i giornaloni italiani respingevano i suoi articoli troppo critici con Berlusconi, con la finta opposizione e col presidente Ciampi. Per il Merlo, chi denunciava le minacce alla democrazia era affetto da “ossessione apocalittica” e “girotondina”, “spaccia l’astio per pensiero critico”, è “petulante e noioso”, ma soprattutto “ideologico”, insomma “farnetica”, insegue “fantasmi”, combatte “mulini a vento”. Invece Ferrara è “la storia vitale della sinistra”, rappresenta “una generazione che è vissuta negli ideali”, è insieme “fazione, intelligenza e fegatosità… ha creduto in Craxi e ora consiglia Berlusconi, sempre per passione e mai per calcolo”. E poi – garantiva il Merlo – Giuliano è “intelligente, vitale, sanguigno, goliardico”: uno spirito libero che “ogni giorno fatica a restare con Berlusconi”. Una fatica che dura da vent’anni. Roba da fiaccare un bufalo. Non un Merlo. 

Marco Travaglio FQ 11 dicembre 2013

https://www.facebook.com/notes/gabriele-stornellatore-lanzi/travaglio-il-merlo-martire/10152076596254629

martedì 10 dicembre 2013

«È tutto pronto»: nuova frase di Riina mette a rischio trasferta milanese di Di Matteo.

Altri frammenti di conversazione sbobinati dalla Dia e inviati con urgenza al ministro dell'Interno Alfano: mercoledì il magistrato dovrebbe essere nel capoluogo lombardo.

PALERMO - Ore e ore di conversazione intercettate. E un'altra, l'ennesima, frase intimidatoria pronunciata dal boss Totò Riina nel carcere di Opera: «È tutto pronto, e lo faremo in modo eclatante». Per gli investigatori della Dia il padrino corleonese, mentre parla con un boss della Sacra Corona Unita, si riferisce al pm Nino Di Matteo, o meglio all'attentato che Cosa Nostra starebbe preparando per fermare il magistrato che indaga sulla presunta trattativa Stato-mafia. Come riporta stamane Il fatto quotidiano, questa frase sarebbe stata captata venerdì scorso dagli investigatori che stanno sbobinando le intercettazioni di Riina. Parole, quelle del boss, che farebbero pensare che il progetto di attentato al magistrato sia giunto a una fase esecutiva. È per questo che la notizia è stata comunicata subito alle Procure di Palermo e a quella di Caltanissetta, che indaga sulle intimidazioni al pm. E potrebbe far saltare la trasferta milanese del pm in programma per domani, mercoledì.
DA ALFANO - Sabato scorso i vertici dei due uffici giudiziari si sono riuniti e hanno deciso di rivolgersi al ministro dell'Interno Angelino Alfano, che li ha ricevuti domenica. Come prevede la legge in casi eccezionali, i magistrati hanno consegnato al ministro le intercettazioni di Riina: il codice di procedura penale stabilisce infatti che l'autorità giudiziaria possa trasmettere copie di atti di procedimenti penali e informazioni al ministro dell'Interno ritenute indispensabili per la prevenzione di delitti per cui è obbligatorio l'arresto in flagranza. Nella frase sentita venerdì Riina, che in un'altra conversazione aveva anche detto al boss della Sacra Corona Unita riferendosi a Di Matteo «tanto deve venire al processo», non farebbe riferimenti specifici a Milano, dove il pm è atteso per raccogliere una deposizione del pentito Giovanni Brusca. Ma la trasferta nel capoluogo lombardo è stata organizzata ed è nota da settimane, quindi ci sarebbe stato tutto il tempo di mettere in piedi eventuali atti intimidatori. Inoltre le condizioni di sicurezza dell'aula bunker non sarebbero ritenute ottimali. Di Matteo è già sottoposto a protezioni di «livello 1 eccezionale»: nell'ultimo Comitato Nazionale per l'Ordine e la Sicurezza Pubblica che si è svolto a Palermo alla presenza di Alfano, si è discusso anche di potenziare la vigilanza attraverso spostamenti in un Lince blindato e dotando la scorta del pm del bomb jammer, un dispositivo che neutralizza congegni usati per azionare esplosivi.È per questo motivo che la trasferta di domani potrebbe saltare:all'udienza saranno in ogni caso presenti il procuratore Francesco Messineo, l'aggiunto Vittorio Teresi e i sostituti Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene.

Il cardinale rosso. Natura meravigliosa

Il cardinale rosso

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Il maschio

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La femmina


lunedì 9 dicembre 2013

Mafia, l’ultima strage silenziosa: i morti di tumore per i rifiuti interrati nelle cave. - Giuseppe Pipitone

Mafia, l’ultima strage silenziosa: i morti di tumore per i rifiuti interrati nelle cave


Inchiesta su 11 Comuni: in provincia di Caltanissetta chi vive vicino ai poli industriali ha più possibilità di sopravvivenza rispetto a chi abita nei pressi di una miniera abbandonata.

L’ultima strage di Cosa Nostra non fa rumore. Non è un omicidio, non sparge sangue a colpi di kalashnikov e non ha bisogno di tritolo. Perché l’ultimo eccidio lasciato in eredità dai boss affonda il suo potenziale di morte in profondità, decine e decine di metri sottoterra, nel silenzio della campagna siciliana. Il nuovo triangolo della morte in Sicilia dimora in lembi di terra sconosciuti: PasquasiaMussomeliBosco Palo. Tutti nomi di cave ormai dimenticate ma che un tempo rappresentavano l’industrializzazione dell’isola. Perché quelle cave all’inizio del secolo scorso erano miniere di zolfo, di salgemma, utili persino a Giovanni Verga per raccontare del suo Rosso Malpelo.
Finiti i tempi d’oro dello zolfo, cresciuti i carusi sopravvissuti allo sfruttamento, quelle miniere tornarono a diventare semplici cave. Incustodite, abbandonate. Buchi neri scavati nella salgemma e quindi utilissimi per inghiottire ogni tipo di veleno prodotto dalla superficie. Un’occasione troppo ghiotta per i manager di Cosa Nostra che d’accordo con i cugini della Camorra campana misero su la più ricca multinazionale di smaltimento rifiuti. Polveri di metallo, amianto, scorie liquide, rifiuti ospedalieri speciali e persino radiottivi attraversarono l’Europa e il Nord Italia, per finire seppellite nel Meridione. “Il sistema era unico, dalla Sicilia alla Campania. Anche in Calabria era lo stesso: non è che lì rifiutassero i soldi. Che poteva importargli, a loro, se la gente moriva o non moriva? – ha raccontato l’ex camorrista Carmine Schiavone già nel 1997 – L’essenziale era il business. So per esperienza che, fino al 1991, per la zona del sud, fino alle Puglie, era tutta infettata da rifiuti tossici provenienti da tutta Europa e non solo dall’Italia”.
Verbali subito secretati, ricorda Antimafia Duemila, e i veleni trafficati dalle cosche rimasero ancora una volta a dormire sottoterra. Non è la Terra dei Fuochi e non è la Campania, non è l’Ilva di Taranto e nemmeno il Petrolchimico di Gela: nel cuore della Sicilia, le miniere un tempo ricche di zolfo sono rimaste per un trentennio a custodire nello stomaco rifiuti di ogni specie. Che oggi continuano ad uccidere nel silenzio. Perché nel lembo di terra tra CaltanissettaEnna e Ragusa, morire di tumore è più facile che nel resto d’Italia.
Se ne sono accorti anche alla procura di Caltanissetta, dove dopo un’inchiesta archiviata negli anni Novanta, i pm guidati da Sergio Lari hanno aperto nel 2012 un’indagine per traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale. Il riserbo sull’inchiesta è massimo, in Procura le bocche sono cucite e nessun nome sarebbe ancora stato iscritto nel registro degli indagati, ma gli investigatori nisseni stanno cercando soprattutto di incrociare i dati, molti dei quali accumulati dall’ex assessore provinciale Salvatore Alaimo. Numeri sconcertanti che raccontano di come negli 11 Comuni vicini alle miniere di Pasquasia e Bosco Palo il 43 per cento dei decessi avvenga a causa di tumore, quattro volte in più di quanto accade a Gela, che pure è appestata dagli anni Sessanta dalle ciminiere del Petrolchimico.
Numeri catastrofici che peggiorano ancora se si allarga il cerchio all’intero territorio nisseno dove nel biennio 2008-2009 i malati di tumore sfiorano i 4mila casi, contro i 1.200 della media nazionale. In provincia di Caltanissetta, in pratica, chi vive vicino ai poli industriali ha più possibilità di sopravvivenza rispetto a chi abita vicino a una miniera abbandonata. Perché abbandonate quelle miniere non lo sono, nonostante parecchie siano state dismesse già negli anni Ottanta.
“Fino al 1994 gli abitanti della zona raccontano di aver visto un via vai di camion: nessuno sa cosa trasportassero, ma li vedevano dirigersi verso le miniere che invece avrebbero dovevano essere chiuse da almeno un decennio” racconta Saul Caia, autore insieme a Rosario Sardella della video inchiesta Miniere di Stato. I due giornalisti, durante un sopralluogo nei pressi della miniera di Bosco Palo, si sono imbattuti in alcuni documenti che proverebbero l’arrivo in Sicilia di rifiuti speciali ospedalieri provenienti da Forlì in maniera assolutamente clandestina. “Per anni un traffico di rifiuti speciali ha interessato la Sicilia, usata come enorme pattumiera con ingenti guadagni per i clan mafiosi, in un contesto di silenzio generale delle autorità preposte al controllo del territorio. Appare logico ipotizzare che l’area mineraria dismessa tra le province di Enna e Caltanissetta, a causa della totale mancanza di vigilanza, possa essere identificata come l’area finale dello stoccaggio illegale dei rifiuti speciali. Anche per via di una forte presenza mafiosa nel territorio” scrive il deputato di Sel Erasmo Palazzotto in un’interrogazione parlamentare del maggio scorso.
Un caso, quello delle ex cave trasformate in discariche di rifiuti tossici, che è approdato anche in Regione, dove il capogruppo del Movimento Cinque Stelle Giancarlo Cancelleri ha chiesto e ottenuto l’istituzione di una sottocommissione sulle miniere all’assemblea regionale. In Sicilia le ex cave poi diventate pozzi di morte sarebbero almeno quattro: l’ex miniera Ciavalotta a pochi metri dalla valle dei Templi di Agrigento, la cava di Mussomeli e quella di Bosco Palo, vicino San Cataldo (Caltanissetta), chiusa negli anni Ottanta ma visitata fino a pochi anni fa da anonimi camion probabilmente stracolmi di rifiuti da seppellire. Poi c’è la miniera di Pasquasia a Enna, fino al 1988 serbatoio dorato di salgemma per l’Italkali. Qui per anni lavorò come caposquadra un uomo d’onore, Leonardo Messina, fedelissimo del boss Piddu Madonia. “Cosa Nostra usava dal 1984 le gallerie sotterranee per smaltire scorie nucleari” raccontò Messina al giudice Paolo Borsellino, dopo essere diventato collaboratore di giustizia. Era il 30 giugno del 1992, pochi giorni prima che Borsellino saltasse in aria nella strage di via d’Amelio. Ventuno anni dopo in Sicilia un’altra strage continua a mietere vittime ogni giorno. In maniera più subdola, più infida, più silenziosa, ma sempre con la stessa firma: quella di Cosa Nostra.

domenica 8 dicembre 2013

Lievito per dolci fai da te con il bicarbonato: la ricetta di Stefania Rossini.

Lievito per dolci fai da te con il bicarbonato: la ricetta di Stefania Rossini


Perfetto per le pulizie di casa e per la preparazione di ricette sia dolci che salate, il bicarbonato è un ingrediente perfetto anche per la realizzazione di un ottimo lievito casalingo.

Il bicarbonato di sodio è uno di quei prodotti di cui le nostre nonne non sapevano proprio fare a meno a causa della sua incredibile versatilità.
I MILLE USI DEL BICARBONATO IN CUCINA - Molto economico, ottimo ed efficace comerimedio naturale per le pulizie di casa al posto dei comuni detersiviil bicarbonato è anche un ingrediente ideale per la realizzazione di torte, biscotti, pasta frolla e altre ricette sia dolci che salate. Basta infatti un pizzico di questa speciale polverina bianca per rendere più fragranti i prodotti da forno, ridurre l’acidità dei pomodori ed eliminare l’amaro di alcune verdure come ad esempio cicorie o broccoli.
Ma non solo: sapete che il bicarbonato è anche una valida alternativa al lievito acquistato in negozi e supermercati? Può capitare infatti di voler preparare un dolce e di accorgersi all’ultimo momento di non avere in casa il lievito. In questo caso potete tranquillamente sostituirlo con il bicarbonato di sodio.
COME FARE IL LIEVITO CON IL BICARBONATO - Per capire come fare anche questa volta ci viene incontro Stefania Rossini che ci svela come adoperare il bicarbonato come ingrediente per la realizzazione di un ottimo lievito casalingo:
  • Mescolate insieme 1/4  di cucchiaino di bicarbonato, 1/2 cucchiaino di aceto o succo di limone o 100 gr di latte.
  • In alternativa versate in una ciotola 1/4 di cucchiaino di bicarbonato  e 125 gr di yogurt, mescolate il tutto ed ecco pronto il vostro lievitante per dolci fai da te.
Il bicarbonato di per sé non è un agente lievitante come il lievito ma è in grado di agevolare la lievitazione. Per far ciò deve però essere mescolato con un altro ingrediente acido come nel nostro caso l’aceto, il succo di limone,il latte o lo yogurt.
Un consiglio:
Dal momento che si tratta di un prodotto realizzato in casa e quindi senza conservanti, è bene consumare il lievito in breve tempo.

BENI IMPIGNORABILI PURE PER LE BANCHE: STOP A OFF-SHORE DI STATO


In nome di Giovanni Guarascio, l’imprenditore vittoriese che si diede fuoco, e non solo. La Sicilia degli amministratori locali, con il sostegno del governo regionale, è in prima fila. Una missione impossibile: ottenere l’impignorabilità della prima casa e dei beni strumentali anche per le banche. Impossibile e tuttavia, in corso.
Piero Gurrieri, assessore alla trasparenza a Vittoria e coordinatore del movimento dei sindaci italiani che si battono contro le “aste” senza se e senza ma. La tragedia nella sua città, certo, ma c’è dell’altro. Le Procure cominciano a dare uno sguardo, finalmente attento, a tutto ciò che gira attorno alle aste, brutti ceffi e malandrini, insieme a comitati d’affari che speculano sulle sventure altrui. Falchi in attesa della preda, grazie a una normativa che sembra stare tutta dalla loro parte.
I municipi sono chiusi ai pregiudicati ed a malavitosi, ma le aule del tribunali sono aperte. Chiunque può partecipare ad un’asta, la fedina penale non conta nulla. La Procura di Ragusa ha ordinato le manette per un avvocato, l’inchiesta è in corso e promette importanti risultati. Ci sono 800 aste in attesa di essere espletate nel ragusano. La provincia più ricca dell’Isola. Immaginate quel che succede altrove. Un mondo opaco, spesso privo di scrupoli. Off shore amministrato dallo Stato.
Per avvantaggiare il creditore? No, nemmeno questo. Le procedure che vengono seguite – in specie le banche: il 95 per cento delle aste sono originate da loro istanze – danneggiano il più delle volte proprio i creditori, perché quel che si “arraffa” nelle aste è niente rispetto al valore dell’immobile. Il debitore viene rovinato – perché gli si toglie tutto e non può onorare il suo debito – il creditore incassa una percentuale irrisoria della sorte capitale del credito, la pubblica amministrazione perde il gettito d’imposta di un cittadino che, sostenuto, può ancora produrre reddito per sé e per lo Stato.
C’è di più: per alleggerire il lavoro dei tribunali fallimentari, si delegano le aste ai professionisti, che svolgono il loro lavoro negli studi professionali. Controlli modesti, quasi inesistenti.
Il decreto del fare ha affrontato la questione dell’impignorabilità delle case d’abitazione e dei beni strumentali, se unici, ma solo sul versante dell’ente di riscossione. Le banche sono state lasciate fuori, come al solito. La legislazione tende a tutelare le posizioni dominanti, non è una novità.
Giovanni Gurrieri e Dario Cartabellotta, il movimentio dei sindaci e l’assessore alle Risorse agricole, in rappresentanza del governo della Regione Siciliana, hanno spiegato ai giornalisti, nel corso di una conferenza stampa, che i provvedimenti emanati dal governo potrebbero essere migliorati. “Chiederemo una sospensione di sei mesi delle procedure, stop alle aste, in attesa dell’approvazione di una nuova legge, al fine di evitare che nel cinque-sei mesi previsti per il suo esame e l’approvazione della legge, vengano rovinate altre imprese”.
Svolta nella legislazione e nell’amministrazione della giustizia, dunque. Dalla parte del debitore “onesto”, dell’imprenditore inguaiato dalla crisi, di chi non paga perché non può e vuole essere aiutato a rispettare i patti e ricominciare da capo. Finora si è stretta la mano agli speculatori, avvantaggiato la nascita, crescita ed arricchimento dei comitati d’affari, gli usurai ed i “cartelli” della speculazione. Il governo regionale ha proposto una legge voto – la materia non è di competenza regionale – i sindaci hanno mobilitato i parlamentari – di maggioranza e di opposizione (M5Stelle) – credono di potercela fare. Giovanni Guarascio non sarebbe morto invano. Il miracolo gli appartiene.