Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
venerdì 27 giugno 2014
Cardinali in festa.
E il cardianale Sepe va alla festa di Marinella, mentre arriva il feretro di Ciro Esposito a Scampia.
Bell'esempio. Ascanio Filomarino era un signore al confronto, ai tempi di Masaniello.
Almeno ci ha lasciato l'altare di Borromini.
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giovedì 26 giugno 2014
Giustizia, il piano del governo: torna il falso in bilancio. - Liana Milella
Lunedì prossimo le linee guida della riforma al consiglio dei ministri. Le misure per il processo civile più veloce e la riforma del Csm.
ROMA - Detto, fatto. La riforma della giustizia si è materializzata a palazzo Chigi 48 ore fa. A sbirciarci dentro, già alcuni titoli, come la riforma delle intercettazioni e quella del Csm, sono più foriere di scontro che di incontro. Tant'è che i magistrati già sono in pre-allarme e oggi, in una riunione dell'Anm, butteranno giù il loro programma alternativo delle emergenze. Così, sul tavolo, ci saranno le loro "linee guida" accanto alle "linee guida" del governo.
Intendiamoci, nel piano sulla giustizia di Renzi e Orlando ci sono interventi che piacciono alle toghe, basti pensare all'allungamento della prescrizione, ai nuovi reati economici come il falso in bilancio in chiave anti-Berlusconi, e l'auto-riciclaggio. Ma su quei due capitoli - la responsabilità civile dei giudici e soprattutto la responsabilità disciplinare, nonché sulle intercettazioni - già s'avverte un diffuso malpancismo. D'altra parte, come vedremo, il tempo per discutere c'è, un tempo "ampio e congruo", come lo definiscono a palazzo Chigi, visto che per la riforma della giustizia di Andrea Orlando il premier Matteo Renzi ha deciso di seguire la stessa via utilizzata per quella sulla pubblica amministrazione di Marianna Madia.
Prima le "linee guida" e la discussione sulle medesime. Poi le misure, decreti o disegni di legge che siano. Per la giustizia, nell'entourage stretto del Guardasigilli, si ipotizza che gli interventi legislativi, i singoli articolati, possano anche arrivare subito dopo le ferie, che quest'anno saranno assai brevi. Del resto, la ressa dei decreti in Parlamento è tale che i tempi di discussione sarebbero ugualmente lunghi.
I PROCESSI TROPPO LUNGHI
Non può che stare al primo posto, ovviamente, il dato innegabile della giustizia italiana. La coda infinita di 9 milioni di processi pendenti tra penali e civili. Se non si parte da qui, ha sempre detto Orlando, non ci si raccapezza più. Per questo sono necessarie cinque mosse. La prima: uno snellimento sia nel penale che nel civile, con interventi sui codici di procedura penale e di procedura civile. Le commissioni Canzio e Berruti hanno lavorato o stanno lavorando. La seconda: potenziamento della magistratura ordinaria e onoraria. La terza: una sterzata ai tempi del Csm. La quarta: punizioni e responsabilità. La quinta: garanzia effettiva che i processi non cadano nel vuoto con la prescrizione, come avviene adesso.
LA RESPONSABILITÀ CIVILE
A seguire, non si può che anticipare il capitolo più discusso, quello della responsabilità civile dei magistrati. Il governo esclude quella diretta, la versione del leghista Pini per intenderci, pur approvata alla Camera. Annuncia un intervento che limita fortemente l'attuale filtro e rimodula la rivalsa dello Stato sulla toga fissandola al 50% invece di un terzo. Se ne discuterà, ma non è affatto detto che, alla fine, Orlando intervenga direttamente, perché potrebbe mandare avanti il ddl in discussione al Senato. D'un colpo però, tra responsabilità civile e disciplinare, la vita dei magistrati cambierebbe.
LA STRETTA SULLE INTERCETTAZIONI
Qui siamo su un crinale sottilissimo. Su cui le toghe sono guardinghe. Nessuno ha dimenticato il braccio di ferro con Berlusconi che, se fosse andato in porto, avrebbe comportato il bavaglio per i giornalisti e le unghie decisamente limate per i pm. Orlando è cauto. Gli annunci sono due: vietare che le telefonate finiscano subito nelle ordinanze di custodia cautelare, dove le intercettazioni verrebbero riassunte. Una misura che piace al Garante della privacy Antonello Soro. Poi l'altro divieto, non dare le copie alle parti prima dell'udienza stralcio. Gli avvocati potrebbero solo ascoltare le registrazioni. Le toghe però sono già dubbiose, soprattutto per processi con tantissimi imputati.
LA MANOVRA PENALE
Tre capisaldi, intervento sulla prescrizione, con l'idea di fermarla al primo grado. Mannaia sulle impugnazioni, che verrebbero drasticamente ridotte. Archiviazione per tutti i processi di lieve entità. Si discute anche sui tempi di iscrizione dei reati, con l'idea di renderli contestabili per le parti. Ma anche qui si rischia un fuoco di sbarramento delle toghe.
... E QUELLA CIVILE
Al responsabile del Massimario della Cassazione Giuseppe Maria Berruti è stato affidato di recente il ruolo di presidente della commissione che deve riscrivere il codice di procedura civile. Piatto ricchissimo, dalle misure per ridurre l'arretrato, alla progressiva "degiurisdizionalizzazione", come la chiamano i tecnici, che si risolverà nel sempre minor ricorso al giudice a tutto vantaggio della negoziazione assistita e al giudizio di fronte a un arbitro. Entrano a pieno titolo gli affidavit, la fase esecutiva del processo vedrà penalizzato il debitore che cerca di perdere tempo. Nasce il tribunale della famiglia e della persona e si assesta quello delle imprese. In Cassazione si snellisce il processo civile.
NUOVI REATI ECONOMICI E MAFIOSI
Annunciati da tempo, e da tempo già portati da Orlando a palazzo Chigi, ecco il nuovo falso in bilancio (punito fino a 5 anni), ancora con un ultimo tira e molla sulla procedibilità a querela o d'ufficio (ma si propende per la seconda via), l'auto-riciclaggio (fino a 6), le maggiori pene per il 416-bis (fino a 15). Ma anche misure d'esecuzione della pena più stringenti per i boss, nuove regole sul sequestro e la confisca dei beni. È la parte della riforma della giustizia su cui, di certo, le polemiche saranno minori, se non addirittura inesistenti.
IL CSM
È il capitolo che preoccupa molto i magistrati. Le "linee guida" non entrano nel dettaglio, ma già i principi creano allarme, soprattutto per i tempi. Tra il 6 e il 7 luglio i togati votano per il nuovo Consiglio e una mossa del governo che svuoti e metta sotto tutela l'autogoverno dei giudici non può che preoccupare. È certo che Orlando intende cambiare proprio il sistema di voto, introducendo un meccanismo di panachage (è possibile il voto disgiunto) che sconvolge gli equilibri delle correnti. È altrettanto certo che il Guardasigilli mal vede i tempi lunghi delle decisioni di palazzo dei Marescialli e intende renderle più stringenti. Ma è soprattutto il capitolo della giustizia disciplinare a essere rivoluzionata. Innanzitutto una sezione autonoma del Csm tratterà i "processi" delle toghe. E poi, in seconda istanza, in luogo del ricorso in Cassazione, i magistrati condannati potranno rivolgersi alla famosa Alta corte, tante volte sollecitata da Luciano Violante. Si tratterebbe di una Corte mista, che avrebbe competenza per tutte le magistrature. Ma come sarà composta? Con che percentuali? Anche qui toghe in fibrillazione.
http://www.repubblica.it/politica/2014/06/26/news/riforma_giustizia_intercettazioni-90026255/
Giuseppe Pipitone
Oggi pagina 26 del Corriere della Sera è piena di messaggi d'affetto per Marcello Dell'Utri, l'uomo trattino tra B e la mafia. Prossimo passo i pizzini tra Messina Denaro e soci pubblicati live sull'edizione on line.
Giuseppe Pipitone
La dice grossa sulla tendenza del giornale che antepone il guadagno alla morale e all'etica del settore dell'informazione.
https://www.facebook.com/photo.php?fbid=10204131422509242&set=a.1597254414696.2087700.1336071063&type=1&theater
Ecco il bestiario delle tasse dall’ombra al fungo per spremerci centosette volte. - Salvatore Cannavò
Non solo è una sfida capire quante sono nella loro totalità le imposte da pagare, ma anche gli stessi adempimenti tributari ci costano caro. La consulenza fiscale in Italia è la più costosa di altri paesi europei. Niente sfugge al fisco, mentre si moltiplicano le imposizioni più assurde.
L’ impresa eccezionale per un contribuente è sapere quante sono le tasse da pagare. Un elenco ufficiale non esiste. Il ministero dell’Economia e Finanze, alla richiesta via mail, non ha saputo rispondere: “Quante? Bella domanda”. Qualche tempo fa l’ex ministro Giulio Tremonti, all’inizio della sua inconcludente carriera legislativa, di tasse complessive ne ha contate 107. Le associazioni dei consumatori e delle imprese parlano genericamente di cento, ma non ci sono certezze. Intanto, le tasse sono tutte lì: tante, complicate, introvabili.
La seconda impresa è riuscire a pagarle. Nel dossier sui Balzelli d’Italia, la Confesercenti, non ha solo pubblicato Il Bestiario delle 100 tasse che fanno tribolare imprese e famiglie ma ha fornito un dato poco noto. Pagare le tasse, riuscire cioè a mettersi in regola con il fisco, ha un costo considerevole: gli adempimenti tributari ammontano a circa 18 miliardi di euro l’anno. Chi esercita un’attività in Italia paga 4. 495 euro contro i 1. 320 dei francesi, i 1. 290 dei britannici, i 1. 210 dei tedeschi. Soldi che finiscono nelle tasche della consulenza fiscale, pervasiva e avvolgente.
L’impresa di sopravvivere. La terza impresa è sopravvivere. Per essere travolti da balzelli, gabelle, imposizioni improbabili o vere e proprie truffe, basta stare fermi. Al di là dell’Irpef, l’Irpeg, l’Irap o l’Iva esistono le tasse “assurde”, conosciute solo quando ci si inciampa sopra. Come la tassa sull’ombra che scatta quando la tenda di un locale invade il suolo pubblico. Oppure la tassa sugli spettacoli nei pubblici esercizi, la tassa sulle concessioni. La tassa per iniziare lavori edilizi, la tassa sulle cambiali. A i privati si applica la tassa sui gradini, dovuta quando le case hanno l’accesso dalla pubblica via. I lavoratori dipendenti, poi, subiscono una tassa occulta, il Fiscal drag: l’imposizione aumenta all’aumento dello stipendio senza considerare il contestuale aumento dell’inflazione.
Le tasse si pagano non appena si mette il piede fuori di casa. Letteralmente. Esiste, infatti, la tassa sui passi carrai, i varchi aperti sui marciapiedi per uscire dalle abitazioni. Si determina moltiplicando la larghezza del passo per un metro lineare convenzionale. Per uscire in auto, però, bisogna avere la patente per il cui rilascio occorrono ben cinque versamenti postali e un certificato, naturalmente in bollo. Non basta. C’è anche la tassa di iscrizione al Pubblico registro automobilistico (il Pra), importo che le province possono aumentare fino al 30 % (solo Bolzano, Aosta, Trento e Prato non lo hanno fatto). C’è il bollo dell’auto, il costo della targa, i diritti del Dipartimento Trasporti terrestri e, se si sceglie di comprare un’auto usata, il passaggio di proprietà. Con uno scooter cambia poco. Meglio andare a piedi o in bicicletta. Anche perché al primo distributore di benzina potremmo imbatterci nelle micidiali accise.
La benzina dell’Abissinia
L’ultima rilevazione del ministero dello Sviluppo economico, della scorsa settimana, segnala che il prezzo medio della benzina è di 1, 754 euro; l’accisa interviene per 0, 728 centesimi e l’Iva per i restanti 0, 304. Senza le imposte la benzina costerebbe 721 centesimi al litro. Il 41 % se ne va in accisa, cioè l’imposta che si è accumulata nel tempo sommando spese straordinarie sostenute dai vari governi. Fu la guerra in Abissinia di Mussolini a far aumentare di colpo il prezzo della benzina nel 1935, poi sono venute la crisi di Suez, il disastro del Vajont, l’alluvione di Firenze, il Belice e tutti gli altri terremoti fino a quelle emiliano. Ma nella voce vengono conteggiati anche il contratto degli autoferrotranvieri, le missioni all’estero o l’emergenza immigrati. L’intera storia italiana passa dalla pompa al nostro serbatoio e si fa pagare cara.
L’ultima rilevazione del ministero dello Sviluppo economico, della scorsa settimana, segnala che il prezzo medio della benzina è di 1, 754 euro; l’accisa interviene per 0, 728 centesimi e l’Iva per i restanti 0, 304. Senza le imposte la benzina costerebbe 721 centesimi al litro. Il 41 % se ne va in accisa, cioè l’imposta che si è accumulata nel tempo sommando spese straordinarie sostenute dai vari governi. Fu la guerra in Abissinia di Mussolini a far aumentare di colpo il prezzo della benzina nel 1935, poi sono venute la crisi di Suez, il disastro del Vajont, l’alluvione di Firenze, il Belice e tutti gli altri terremoti fino a quelle emiliano. Ma nella voce vengono conteggiati anche il contratto degli autoferrotranvieri, le missioni all’estero o l’emergenza immigrati. L’intera storia italiana passa dalla pompa al nostro serbatoio e si fa pagare cara.
Lasciamo stare, quindi, la benzina. Torniamo a casa e portiamo a spasso il cane. Putroppo il governo Monti, nel 2012, ha provato a istituire un’imposizione anche sul possesso di animali ma ha dovuto fare marcia indietro cause proteste. La legge, però, prevede la facoltà di imposizione per i comuni i quali ora, in tempi di magra, stanno pensando seriamente di introdurre l’imposta. Meglio lasciare il cane a casa e andare in banca a occuparci dei nostri risparmi. Magari per aprire un conto corrente “a costo zero”, finalmente qualcosa di gratis. Ci si mette poco, però, a scoprire che al “costo zero” occorre aggiungere l’imposta minima di 34, 2 euro più lo 0, 15 % delle somme depositate se si apre un conto deposito (su cui sono conservati i titoli). Se poi acquistiamo o vendiamo titoli azionari, scatta la la Tobin tax con lo 0, 12 % di imposizione.
Via anche dalla banca. Andiamo alla posta, ci sono le bollette. che attendono. Siamo stati molto attenti con i consumi, abbiamo utilizzato al minimo le forniture. Ma nella tariffa del gas le tasse incidono per il 43 % mentre per l’energia elettrica le imposte pesano per il 13, 29 %. La bolletta Enel, però, comprende anche i “servizi di rete” che incidono per il 33, 44 % e comprendono i i costi per gli incentivi alle fonti rinnovabili, la promozione dell’efficienza energetica, gli oneri per la messa in sicurezza del nucleare, i regimi tariffari speciali per le Fs, le compensazioni per le imprese elettriche minori, il sostegno alla ricerca di sistema. Un diluvio di tasse nascosto in bolletta. Su cui,dulcis in fundo, si paga anche l’Iva. La tassa sulla tassa. Il giochetto viene ripetuto per le tassazioni locali, ad esempio la Tares, che vengono rubricate come “tariffe” in modo da aggirare il divieto.
Casa cara casaVia anche dalla posta. Dove andare? A cercar funghi si deve pagare il bollettino postale. A casa c’è il canone Rai anche se la Rai non la si guarda mai. E poi sulla l’accanimento sfiora il sadismo. Prima dell’Imu, infatti, abbiamo già pagato la tassa per l’acquisto (3 % se è un’abitazione principale), l ’ imposta ipotecaria e quella catastale. Oltre al costo del notaio. Se l’avessimo presa in affitto avremmo pagato l’imposta di registro mentre la proprietà concorre a formare il reddito complessivo. Sulla casa, infine, si paga la Tares, la tassa sui rifiuti che si calcola sui metri quadri.
Tasse ovunque, tasse di ogni tipo. Per seppellire i defunti e accendere i lumini. Per fare un biglietto aereo o sbarcare in un porto. Anche per soggiornare in Italia. La tassa per i comuni con centrali nucleare anche se il nucleare non c’è più. Le tasse sul fumo, sulla sigaretta elettronica e sugli alcolici. Non si può nemmeno provare a impietosire le autorità perché si pagherebbe la tassa sulle suppliche, quella per “istanze, petizioni, ricorsi diretti agli uffici dell’amministrazione dello Stato tendenti ad ottenere l’emanazione di un provvedimento”. Tra le imposizioni improvvise va compresa anche la giustizia: per un ricorso ai tribunali si paga in base al valore dei processi, da 33 a 1.200 euro. Esiste l’imposta sulla birra e quella sui giochi; le concessioni governative e la tassa per studiare; i diritti alle Camere di commercio e la tassa sulle affissioni, l’imposta sugli spiriti e quella sugli zuccheri. Non si può nemmeno inventare un sistema alternativo: esiste, infatti, anche la tassa “sulle invenzioni” per brevettare nuove scoperte. Oltre ai diritti di brevetto ci sono quelli di segreteria e l’immancabile marca da bollo. Anche il desiderio di cambiare le cose è sottoposto al balzello.
Fondi europei, il tesoretto di D’Alema: alla sua Fondazione 3 milioni di euro l’anno. Salvatore Cannavò
L'ex presidente del Consiglio guida la Foundation for European Progressive Studies (Feps), che dal 2008 ha ricevuto dall'Ue 16,7 milioni di euro. La dirige fin dalla nascita e al suo interno ha portato sempre una cerchia ristretta di fedelessimi.
Ad Alan Friedman che lo intervista per La7, Massimo D’Alema risponde orgoglioso: “Abbiamo fatto questa fondazione, legata al Parlamento europeo, sul modello tedesco, e io ne sono il presidente”. La fondazione in questione è la Feps, Foundation for European Progressive Studies, pensatoio del progressismo europeo, più prosaicamente, l’area dei socialisti europei. D’Alema ne è il presidente fin dalla nascita, nel 2008-2009 e, come vedremo, al suo interno ha portato sempre una cerchia ristretta di fedelessimi.
Il “modello europeo” significa, di fatto, il finanziamento pubblico da cui, come le fondazioni dei partiti in Germania, proviene la maggior parte dei fondi. Nel caso in questione, il finanziamento europeo, circa 3 milioni di euro l’anno, copre, come da regolamento, l’85 per cento delle spese documentate, lasciando ai soci fondatori delle fondazioni sovranazionali l’onere di recuperare il restante 15 per cento.
Dalle casse di Bruxelles, dal 2008 a oggi, i soldi affluiti nelle casse della Peps ammontano a 16,7 milioni di euro. Per il 2014 la previsione di entrata è di 3.086.695 euro che andrà poi confermata nella seconda metà dell’anno. Negli anni precedenti lo scarto tra quanto previsto e quanto poi effettivamente incassato è sempre stato molto minimo. Nel 2012, ultimo anno di liquidazione accertata, le entrate furono di 2.794.525 euro e l’anno precedente 2.709.255. Cifre in rapida ascesa rispetto ai fondi di inizio avventura: nel 2008, infatti la Feps ebbe dall’Europa “solo” 1.208.436 euro ma erano riferiti solo a una parte dell’anno.
Come ovvio, questi soldi non sono di proprietà diretta di Massimo D’Alema che, in quanto presidente di una Fondazione pluri-nazionale e pluri-partitica è solo il rappresentante ufficiale. Nel team che lavora alla Feps, ad esempio, c’è solo un italiano, il segretario generale viene dal potente sindacato tedesco, Dgb, i fondi sono destinati per un terzo agli stipendi, ma una buona fetta, 1.162.727 euro, sono stati spesi per “Meeting e costi di rappresentanza”, quindi orientati dal presidente.
Per ottenere i finanziamenti il regolamento prescrive che, oltre ad avere personalità giuridica “diversa da quella del partito” e non “promuovere fini di lucro”, la fondazione deve “essere affiliata a un partito politico a livello europeo riconosciuto dal regolamento” e deve avere un “organo di gestione con una composizione equilibrata a livello geografico”. Il rapporto con i partiti, quindi, esiste e non esiste, nella classica sfumatura di grigio che si utilizza in questi casi. Formalmente siamo di fronte a un progetto dal profilo culturale che vede come partner le fondazioni culturali di tutti i paesi europei, alcune molto illustri come la Fabian Society inglese, la francese Jean Jaurèso l’Olof Palme International centre svedese. L’affiliazione a un partito, in questo caso il Pse – che, come vedremo ha i suoi fondi – è però decisiva e solo l’abilità dell’ex segretario Ds è riuscita a portare la fondazione nella propria orbita esclusiva.
La mano di D’Alema è evidente nella cerchia di sigle e uomini che figurano nella Feps. Nel “bureau” della fondazione, oltre al presidente, ai vice-presidenti, ai membri di ufficio ci sono i rappresentanti delle fondazioni nazionali. Tra questi, come segretario di ItalianiEuropei, c’è Andrea Peruzy, che costituisce un solido braccio destro dell’ex presidente del Consiglio tale da aver fatto parte di consigli di amministrazione importanti come l’Acea di Roma, da cui è uscito, o la Banca del Mezzogiorno creata da Giulio Tremonti. Le altre fondazioni che affiancano quella di D’Alema, e di Giuliano Amato, costituiscono una sorta di “unità della sinistra” in sedicesimo: la Fondazione Socialismo presieduta dall’ex craxiano Gennaro Acquaviva, il Centro per la Riforma dello Stato, fondata da Pietro Ingrao, lo storico Istituto Gramsci, ma anche l’associazione Bruno Trentin di proprietà della Cgil. Per ognuno di queste componenti c’è un posto nel Consiglio scientifico della Peps: da segnalare, sempre per ItalianiEuropei, la presenza del viceministro allo Sviluppo Economico, Claudio De Vincenti, dal peso politico oggi rilevante soprattutto nelle crisi industriali.
La fondazione dalemiana non è l’unica a ricevere fondi europei. Tutte le varie componenti godono del ricco privilegio. La più ricca è quella del Ppe, Martins Centre con circa 4,5 milioni di euroall’anno; i liberali, con il Liberal Forum, ne ricevono 1,3 mentre i Verdi, con la Green Europe Foundation, arrivano a 927 mila euro l’anno. Anche la sinistra “radicale” ha i suoi fondi con la fondazione Trasform, che ha un suo corrispettivo in Italia la cui attività, da quanto risulta dal sito, non è consultabile.
Nel bilancio europeo, relativo al 2014, sono stati stanziati, per tutte le fondazioni, oltre 14 milioni di euro. A questi vanno aggiunti i 27,7 milioni destinati, invece, ai partiti europei, quelli cioè che sono rappresentati “in almeno un quarto degli stati membri da membri del Parlamento europeo o da membri dei parlamenti nazionali o regionali”. Il più grande, il Ppe, riceverà per quest’anno circa 9,5 milioni di euro, il Pse ne prenderà 6,3, i Verdi 1,9 mentre 1,2 milioni di euro andranno al Partito della sinistra europea di cui fa parte Rifondazione comunista. Ma ci sono anche i 2,8 milioni per i liberali e l’1,9 per i Conservatori e Riformisti. Ci sono 650 mila euro annui che vanno al Partito democratico di François Bairou e Francesco Rutelli (oltre a 300 mila euro alla loro fondazione), 454 mila euro all’Alleanza europea per la libertà di Marine Le Pen e Matteo Salvini. Anche per loro l’Europa è una manna dal cielo.
Rc Auto, oltre la media europea il 95 % delle polizze assicurative.
Lo annuncia il presidente dell’Ivass. La media del costo delle polizze in Italia è di 500 euro. E il prezzo sale di circa 100 euro se si vive in una grande città.
I prezzi delle polizze Rc Auto in Italia sono superiori alla media europea. Un problema, fa sapere il presidente dell’Ivass Salvatore Rossi nelle considerazioni sull’attività del 2013, ancora «irrisolto dopo tanti anni» e dovuto, con ogni probabilità, anche alla mancata riforma del settore dovuta al cambio di governo. Solo il 5 per cento degli assicurati, continua Rossi «paga un premio paragonabile a quello medio europeo di 250 euro», con il prezzo medio effettivo pari in Italia a 500 euro nel primo trimestre dell’anno (se pur con un calo del 3,8 per cento). La mediana invece è di 450 euro (-3,4%).
Il prezzo sale, in media di oltre 100 euro, se l’assicurato vive in una grande città e scende con l’età. Chi in passato ha avuto incidenti può arrivare a pagare il triplo di chi non ne ha avuti. Infine il prezzo sale con il grado di concentrazione del mercato, che varia da provincia a provincia (a Caserta, solo per fare un esempio, la concentrazione è più che tripla rispetto a Teramo). A livello aggregato i primi cinque gruppi detengono il 70 per cento del mercato. È da notare che nel settore del credito le prime cinque banche detengono invece meno della metà della raccolta.
Il settore delle Rc Auto, spiega ancora il presidente dell’Ivass, ha avuto una contrazione record pari al -8 per cento. Una dinamica negativa dovuta alla crisi: spostarsi in auto costa e il suo utilizzo si riduce molto, insieme al calo del numero dei sinistri (-30 per cento negli ultimi 4 anni). Sale invece il costo medio totale di ciascun sinistro da 3900 a 4700 euro per i maggiori accantonamenti.
Entro il 2015- fa sapere Rossi - sarà anche creata la banca dati unica anti frode nel mercato Rc Auto (Aia). «La lotta alle frodi - spiega - così diffuse nel mercato RC auto, è il principale presupposto di una stabile riduzione dei prezzi». Il progetto Aia ha interconnesso finora 5 banche dati (Motorizzazione civile Ania, Pra, Consap, Ivass) e sta proseguendo il suo cammino. Entro l’anno saranno interconnessi altri archivi rilevanti e entro il 2015 l’opera sarà compiuta. Si punta a coinvolgere anche quattro ministeri (Economia, Sviluppo, Trasporti, Interni), la Banca d’Italia, il Casellario centrale infortuni, l’ufficio centrale italiano «L’obiettivo - aggiunge - è ricavare un numero per ogni sinistro denunciato, che esprima la probabilità di frode. Una valutazione basata sulla storia pregressa del veicolo e di tutti i soggetti coinvolti: proprietario, conducente, danneggiati, testimoni, periti, avvocati, medici».
Francia, assolto medico che ha aiutato a morire sette pazienti terminali.
In Francia si torna a discutere di eutanasia. Una sentenza quella arrivata ieri, destinata a fare scuola. Il dottore Nicolas Bonnemaison è stato portato in tribunale a Pau, nel sud ovest della Francia, con l’accusa di aver aiutato a morire sette paziente in stato terminale. La giustizia francese ha prosciolto il medico e la sentenza è stata seguita da un lunghissimo applauso della platea. “Ho agito da medico fino all’ultimo. – ha spiegato il dottore Bonnemaison – Fa parte dei doveri del medico accompagnare i pazienti fino alla fine”.
L’uomo era accusato di avere “avvelenato” sette pazienti terminali somministrando massicce dosi di sedativo e farmaci in grado di provocare la morte. I fatti che hanno portato il medico a processo, sono accaduti tra il 2010 e il 2011. Il medico dal 2011 non può più esercitare la professione ed è stato radiato dall’ordine dei medici nel 2013. Nicolas Bonnemaison rischiava una condanna all’ergastolo. Ma secondo quanto sosteneva la difesa, e anche l’accusa, il dottore “non può essere considerato un assassino nel senso comune del termine”.
Dopo la sentenza di ieri, la Francia torna dunque a riflettere sull’eutanasia. Come ha sottolineato anche il legale di Bonnemaison, questa decisione “obbligherà i politici ad intervenire più rapidamente” per avviare il processo di riforme sulla legislazione del fine vita. Un anno fa, infatti, anche i medici si dichiararono favorevoli a modificare l’attuale legge sul fine-vita: la legge Leonetti del 2005 contro l’accanimento terapeutico, che, già ora, autorizza il medico a somministrare, con il consenso del paziente, “dosi terapeutiche in grado di alleviare il dolore, anche se rischiano di abbreviare la vita”. Se il “lasciar morire” (con il ricorso alle cure palliative) è permesso, l’eutanasia continua di fatto a essere illegale in Francia, diversamente da quanto accade da anni in Olanda, Belgio, Lussemburgo e Svizzera. Ma, evidentemente, la legge Leonetti non basta più.
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