giovedì 4 dicembre 2014

Evasione fiscale, 65 milioni di euro sequestrati agli eredi di Grossi.


Chi evade in modo sistematico è un soggetto “socialmente pericoloso”. E in qualche modo può restarlo anche da morto, nel senso che la sua condotta fiscale, sotto il particolare profilo delle misure di prevenzione, ricade sugli eredi se la sproporzione tra i redditi dei figli e i capitali immessi nelle società familiari fa comprendere che i proventi dell’evasione del defunto abbiano arricchito le imprese guidate dagli eredi.

È questo il principio del sequestro da 65 milioni eseguito dai finanzieri del Comando Provinciale su ordine Tribunale di Milano, su richiesta del pm milanese Alessandra Dolci, di tre imprese del gruppo di quello che era considerato il “re delle bonifiche ambientali” Giuseppe Grossi, amministrate dopo la morte del padre dai suoi figli Andrea, Paola e Simona. Che sono recentemente finiti anche nel mirino della Squadra Mobile di Latina per la discarica di Borgo Montello.

Sigilli quindi anche a 136 immobili, 140 terreni, 268 auto d’epoca o di lusso, 160 moto,cinque motoscafi e tre barche a vela.
Secondo i giudici il procedimento di prevenzione può “essere iniziato anche in caso di morte del soggetto nei confronti del quale potrebbe essere disposta la confisca”, e in tal caso la misura va a colpire “i successori a titolo universale” a patto che siano trascorsi meno di cinque anni dal decesso.

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Ancora intercettazioni su Mafia Capitale, il modus operandi di Carminati sul Campidoglio.


Mafia Capitale: la malavita di larghe intese. - Marco Lillo



Ci sono intercettazioni che restano nella storia criminale di un paese. Il “mondo di mezzo” evocato da Massimo Carminati entra di diritto nella top ten assieme a grandi classici come “i furbetti del quartierino”.
Il mondo di mezzo, secondo il boss arrestato come capo di Mafia Capitale, è il luogo in cui “tutto si mischia nel mezzo perché la persona che sta nel sovramondo (politico o imprenditore, ndr) ha interesse che qualcuno del sottomondo gli faccia delle cose che non può fare nessuno”.
Sarebbe consolante dire che la terra di mezzo in cui sono fioriti 37 arresti è la destra romana. Invece in quel luogo si mischiano non solo i destini di Gianni Alemanno, un sindaco che sembrava volere diventare premier, e Massimo Carminati, condannato per un furto inquietante di miliardi e segreti nel Palazzo di Giustizia e coinvolto (ma sempre assolto) nei fatti più inquietanti della storia d’Italia: dall’omicidio del giornalista Mino Pecorelli al depistaggio delle indagini sulla strage di Bologna. No. Nella terra di mezzo si mischiano destra e sinistra, oltre che sovramondo e sottomondo. La “Mafia Capitale” guidata da Carminati secondo i magistrati aveva a libro paga anche politici di primo piano del Pd.
Nella terra di mezzo, il boss che ha ispirato il “Nero” di Romanzo criminale, il “fasciomafioso” Carminati ha come braccio destro un criminale svelto di mano, Riccardo Brugia, e come “braccio sinistro” il re delle cooperative sociali Salvatore Buzzi: già condannato per omicidio e poi riabilitato. Buzzi “il rosso” si vanta di pagare tutti e di dare 5 mila euro al mese all’ex vice capo gabinetto del sindaco Veltroni, poi nominato capo della Polizia provinciale, Luca Odevaine, anche lui indagato.
La notizia non è quindi Carminati, ma Buzzi: un ex detenuto simbolo della resurrezione dal carcere che presiede un impero da 50 milioni. Con la sua cooperativa aderente alla Lega delle coop rosse, già guidata dal ministro Giuliano Poletti, fa soldi nel business dei campi nomadi e dell’assistenza ai rifugiati e poi divide col “nero”. A maggio Buzzi chiudeva così la sua relazione all’assemblea della Cooperativa 29 giugno: “Un augurio di buon lavoro al ministro Poletti, nostro ex Presidente nazionale che più volte ha partecipato alle nostre assemblee; al governo Renzi, affinché possa realizzare tutte le riforme che si è posto come obiettivo, l’unico modo per salvare il nostro Paese”. 
La terra di mezzo non ha confini netti. Non è la destra, non è Roma: è l’Italia.

Mafia Capitale, il gip: “Soldi in contanti per la campagna elettorale di Alemanno”. - Marco Pasciuti e Giovanna Trinchella



Il gip Flavia Costantini: "Le erogazioni effettuate a favore della fondazione di cui Alemanno è Presidente" sono "documentate". Soldi, che secondo gli inquirenti, sono diretti all'ex sindaco anche come "finanziamento della sua attività politica". I finanziamenti transitavano attraverso una serie di fondazioni, che non hanno l'obbligo di rivelare l'identità dei donatori.

C’è un filo rosso che lega tra loro gran parte degli arrestati e degli indagati dell’inchiesta Mondo di Mezzo, che ha decapitato a Roma un’organizzazione mafiosa capace di orientare le decisioni di politici di destra e di sinistra, e Gianni Alemanno
Sono le fondazioni su cui transitano i soldi destinati alla campagna elettorale dell’ex sindaco o che sono il compenso per intervenire nell’assestamento di bilancio 2013/2014. 
Il deus ex machina era Salvatore Buzzi, gestore di una rete di cooperative che spaziano dalla raccolta dei rifiuti, alla manutenzione del verde pubblico, fino all’accoglienza di profughi e rifugiati.
Sono tre, secondo gli inquirenti, le “utilità” garantite dal clan ad Alemanno: soldi per le cene elettorali, claque per la campagna e “ricerca di consenso elettorale” in vista delle elezioni europee.  
Parlando con un altro indagato, Buzzi riferisce di “un pagamento di 75.000 euro per cene elettorali a favore di Alemanno” fatte arrivare alla Fondazione Nuova Italia, di cui l’ex sindaco è presidente, si legge nell’ordinanza di applicazione delle misure cautelari firmata dal gip Flavia Costantini. È ancora Buzzi a recuperare “50 uomini per formare una claque elettorale da utilizzare nel corso della campagna elettorale di Alemanno”. Sempre Buzzi parla di una ricerca di consenso elettorale per la candidatura di Alemanno alle elezioni europee, effettuata attraverso personaggi da lui definiti “amici del sud”. Sforzi risultati vani, perché alla fine l’ex primo cittadino non conquisterà il seggio.
Al centro del sistema ci sono le fondazioni, l’istituto giuridico più idoneo per gli obiettivi del clan perché in base alla legge non hanno l’obbligo di rivelare la provenienza dei finanziamenti
La “remunerazione per gli imprenditori o altri referenti della pubblica amministrazione  – ha detto il procuratore aggiunto Michele Prestipino durante la conferenza stampa – andava dai 15mila euro mensili per diversi anni a centinaia di migliaia di euro a singole persone fisiche o giuridiche una tantum fino a versamenti di denaro a enti e fondazioni legate alla politica romana”. 
Dagli accertamenti effettuati sui conti correnti delle cooperative riconducibili a Buzzi gli investigatori hanno accertato che risultava effettivamente, il 15 novembre del 2012, bonificata la somma di 30 mila euro in favore della “Fondazione per la Pace e Cooperazione Internazionale Alcide De Gasperi”. Il 6 dicembre 2012, poi, “a poche settimane dall’approvazione del successivo assestamento di bilancio che prevedeva lo stanziamento di ulteriori fondi in favore dei minori immigrati e del campo nomadi, ed in concomitanza con la cena elettorale a favore di Alemanno e con l’aggiudicazione della gara Ama, venivano disposti altri bonifici dai conti delle società di Buzzi in favore della Fondazione Nuova Italia, per l’importo complessivo di ulteriori 30.000,00 euro”.
C’è una figura a cui, secondo i pm, ruota il giro di soldi che transita attraverso le fondazioni: è Franco Panzironi, ex amministratore delegato dell’Ama. “Il dato storico emerso dalle indagini è che Panzironi, in ragione del suo ruolo in Ama – spiega il gip – è asservito agli interessi dei soggetti economici riconducibili alla coppia Buzzi-Carminati (Massimocapo del gruppo, ex Nar ed ex Banda della Magliana, ndr). (…) Le utilità percepite da Panzironi, tuttavia, non sono limitate allo stipendio che costantemente percepisce, ma sono arricchite – argomenta il gip – da erogazioni verso fondazioni delle quali egli esprime organi apicali, una delle quali, la Fondazione Nuova Italia, ha il suo presidente nel sindaco Gianni Alemanno, suo riferimento politico nel comune e suo nume tutelare, con il quale egli ha rapporti diretti, privi di mediazione alcuna, che gli garantiscono un reale potere, non solo d’interdizione, all’interno di Ama, massimamente nel periodo nel quale egli non riveste qualifiche formali. Utilità che vengono percepite anche da Alemanno, sia sub specie di finanziamento della sua attività politica, sia sub specie di erogazioni in contanti, sia sub specie di raccolta di consenso politico“.

Il gip parla di “un approccio palesemente illecito dei componenti di Mafia Capitale (così come il procuratore aggiunto di Roma Giuseppe Pignatone chiama l’organizzazione, ndr), e di uno dei suoi più significativi membri, verso la pubblica amministrazione. Un approccio che ha avuto forme di manifestazione diverse e che si è tradotto anche in contatti diretti con Alemanno e in condotte funzionali di costui che hanno oggettivamente favorito il sodalizio”. In particolare il gip fa riferimento alla nomina dell’avvocato Giuseppe Berti, secondo gli inquirenti “espressione del gruppo di interessi del sodalizio” all’interno dell’Ama, la municipalizzata per la raccolta dei riufiti. “Così come significativo  – prosegue il giudice per le indagini preliminari – il suo partecipare all’attività che ha condotto direttamente alla nomina” di Giovanni Fiscon, “anch’egli espressione diretta degli interessi del gruppo” alla direzione generale di Ama.

Il gip focalizza l’attenzione anche sui “contatti esistenti tra il capo di gabinetto della segreteria di Alemanno e il gruppo di Buzzi nonché i contatti con il medesimo Alemanno fiinalizzati a costruire le condizioni per la realizzazione dell’assestamento di bilancio del comune che, alla fine del 2012, hanno consentito di rinvenire risorse economiche utili per l’attività” di Mafia Capitale. “In conclusione – ragiona il gip – quello che può essere, allo stato dell’indagine, affermato con certezza è che vi erano dinamiche relazionali precise, che si intensificavano progressivamente, tra Alemanno, sindaco di Roma, e il suo entourage politico e amministrativo, da un lato e il gruppo criminale che ruotava intorno a Buzzi e Carminati (capo del gruppo, ex Nar ed ex Banda della Magliana) dall’altro; dinamiche relazionali che avevano ad oggetto specifici aspetti di gestione della cosa pubblica e che certamente non possono inquadrarsi nella fisiologia di rapporti tra amministrazione comunale e stakeholders”.

mercoledì 3 dicembre 2014

Da Poletti al Pdl tutti a tavola col capo clan Una foto racconta il potere di mafia Capitale. - Emiliano Fittipaldi

Da Poletti al Pdl tutti a tavola col capo clan Una foto racconta il potere di mafia Capitale

A ds Gianni Alemanno di spalle. Di fronte Poletti e Panzironi. In fondo i Marrone e Ozzimo

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Maxi operazione a Roma per "associazione di stampo mafioso" con 37 arresti, di cui otto ai domiciliari, e sequestri di beni per 200 milioni. Un "ramificato sistema corruttivo" in vista dell'assegnazione di appalti e finanziamenti pubblici dal Comune di Roma e dalle aziende municipalizzate: è quanto emerso dalle indagini del Ros che ha portato alle misure restrittive e ai sequestri da parte del Gico della Finanza. Tra gli indagati c'è anche l'ex sindaco Gianni Alemanno, accusato di associazione di tipo mafioso (416 bis) e corruzione aggravata. A capo dell'organizzazione mafiosa, secondo gli investigatori, l'ex terrorista dei Nar, Massimo Carminati. Tra gli arrestati anche l'ex ad dell'Ente Eur, Riccardo Mancini, l'ex presidente di Ama, Franco Panzironi, e Luca Odevaine, a capo della polizia provinciale (ansa)

Mango, il frutto che riduce il rischio di cancro

Un alimento che porta molti benefici al nostro organismo. 

Mango, il frutto che riduce il rischio di cancro.

Imango è un frutto meraviglioso, non solo per il suo gusto succoso, ma anche per gli enormi benefici che porta al nostro organismo in termini di salute e per le sue proprietà anticancro. Le fibre, le vitamine e i sali minerali in esso contenuti, infatti, aiutano a ridurre le infiammazioni, che sono il principale fattore di rischio di varie malattie, tra cui i tumori. Uno studio del 2010 realizzato dagli scienziati del Texas AgriLife Research ha rilevato che il mango è in grado di prevenire la crescita dei tumori nel caso di cancro al seno e al colon. Tutto questo nonostante questo cibo abbia una capacità antiossidante di altri frutti come l’uva

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5 ottimi motivi per mangiare il mango

1) Può prevenire certi tipi di cancro
Gli studi hanno dimostrato che il mango contiene abbondanti quantità di polifenoli, che svolgono un ruolo importante nel combattere i radicali liberi e proteggono dal danneggiamento delle cellule, che potrebbe portare al cancro.
In particolare, si è scoperto che molti dei composti del mango hanno la capacità di combattere il cancro al seno e al colon-retto. Inoltre questo frutto ha un’alta concentrazione di flavonoidi come il beta-carotene and alfa-carotene, che aiutano a proteggere contro il tumore alla bocca e ai polmoni.
2) Fa bene agli occhi e alla pelle
Il mango ha un alto contenuto di vitamina A, che è utile per mantenere in un buono stato le ossa, la pelle e gli occhi. Mangiare una tazza di questo frutto fornisce al corpo circa il 35% della vitamina A che è necessaria per il funzionamento ottimale dell’organismo
3) Aiuta ad abbassare la pressione sanguigna
Il mango contiene una buona quantità di potassio, perciò mangiarlo è un ottimo modo per abbassare la pressione del sangue.
4) Fa bene al cervello
Il mango fa migliorare l’umore e le abilità del cervello. Contiene vitamina B-6 in gran quantità, così come l’acido glutammico che migliora la funzione dei neurotrasmettitori, così il cervello rimane sano e al tempo stesso trae vantaggio dal miglioramento della memoria e della concentrazione.
5) Fa bene al cuore
Secondo l’Institute of Medicine le donne dovrebbero mangiare come minimo 25 grammi di fibre al giorno. Mangiando una tazza di mango se consumata insieme a cibi ricchi di fibre aiuta a raggiungere questo obbiettivo.

Quereliamo il Corriere della Sera! - Andrea Cecconi e Alberto Airola


"Ieri il Corriere della Sera ha provato a infangare il Movimento 5 Stelle su uno dei temi a noi più cari, da sempre fiore all'occhiello delle nostre battaglie politiche: la lotta alla Casta. 
E lo ha fatto attraverso uno dei giornalisti simbolo, almeno fino a ieri, della lotta ai privilegi dei politici, Sergio Rizzo.
Così facendo, il Corriere della Sera e Rizzo hanno tradito questa battaglia due volte. La prima: andando a colpire con un articolo scorretto e ingannevole l'unico gruppo che in Parlamento si è dimezzato lo stipendio e restituisce in maniera trasparente tutto ciò che non utilizza per la propria attività parlamentare.
La seconda: negando alla replica del MoVimento 5 Stelle lo spazio e la visibilità che pure per legge avremmo dovuto avere. L'articolo di Rizzo ieri è apparso a pagina 5, con richiamo in prima pagina, accompagnato da un titolo che contiene in sè già tutta la notizia diffamatoria: 'Le poche rinunce degli eletti di Grillo. 
Intascano oltre il 90% dei rimborsi'; la nostra risposta, invece, oggi viene relegata a pagina 49, accompagnata dal titolo 'Interventi e repliche'. Facile per i lettori del Corriere accorgersi dell'articolo di Rizzo, che per tutta la giornata di ieri è stato anche sul Corriere.it; più difficile che oggi abbiano visto la nostra replica, nascosta nelle retrovie del giornale.
Così, nei lettori, anche in quelli che ieri si saranno limitati a leggere solo il titolo dell'articolo, rimarrà indelebile l'idea che gli eletti del M5S "intascano" i rimborsi, con tutta l'accezione negativa che il termine 'intascare' implica, come lo stesso Dizionario on line del Corriere conferma: "Intascare=Guadagnare denaro rapidamente o in modo poco lecito". 

Per questo fa male e indigna ognuno di noi, deputati e senatori del MoVimento 5 Stelle, leggere che 'intaschiamo i rimborsi', quando sin dal primo giorno abbiamo rendicontato con scontrini e fatture tutto ciò che abbiamo speso per lo svolgimento della nostra attività e tutto il resto lo abbiamo RESTITUITO al Fondo per le piccole e medie imprese. Nelle nostre tasche, i rimborsi non ci sono mai andati a finire.
Fa male e indigna che Rizzo scriva 'in 31 non hanno ritirato l'indennità di ufficio', lasciando intendere a chi legge che tutti gli altri deputati, invece, se la intascano. Rizzo sa benissimo (ma i suoi lettori, grazie a lui, non lo sapranno mai) che tutti gli altri deputati l'indennità di carica non la ricevono: cosa avrebbero dovuto ricevere?
Oggi Sergio Rizzo, invece di ammettere l'errore e chiedere scusa, ha replicato piccato, perseverando nella sua azione di disinformazione che colpisce non solo i deputati, ma l'intero MoVimento 5 Stelle, tutti i suoi eletti e i suoi attivisti, che fanno dell'onestà e della trasparenza un proprio vanto e un proprio segno di riconoscimento.
Alla luce di questo articolo falso, offensivo, insinuante, scorretto e denigratorio, che lede l'immagine, la reputazione, il decoro professionale e la dignità, sia privata che pubblica, di ognuno dei parlamentari del MoVimento 5 Stelle, e alla luce della mancata rettifica, procederemo con la querela nei confronti del Corriere della Sera nella persona del proprio Direttore Responsabile e nei confronti del giornalista Sergio Rizzo.
Per i parlamentari che volessero agire anche a titolo personale è disponibile un fac-simile per procedere con la denuncia-querela e la relativa documentazione."
Andrea Cecconi e Alberto Airola, Capogruppo Camera e Senato M5S