martedì 10 febbraio 2015

Galassie a spirale in collisione

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Immagine di credito Debra Meloy Elmegreen (Vassar Collegeet al.,
& the Hubble Heritage Team (AURA/STScI/NASA)


Spiegazione: Miliardi di anni da oggi, solo una di queste due galassie rimarranno. Fino ad allora, a spirale galassie NGC 2207 e IC 2163 lentamente tirare l'altro a parte, creando le maree della materia, fogli di gas scioccato, corsie di polvere scura, esplosioni di formazione stellare, e flussi di fusione-away stelle. Gli astronomi prevedono che NGC 2207, la galassia più grande a sinistra, alla fine incorporare IC 2163, la galassia più piccola a destra. Nella più recente incontro che ha raggiunto il picco circa 40 milioni anni fa, la galassia più piccola sta oscillando intorno in senso antiorario, ed è ora leggermente dietro la galassia più grande. Lo spazio tra le stelle è talmente vasto che, quando le galassie si scontrano, le stelle in loro di solito non si scontrano.

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lunedì 9 febbraio 2015

Roma, Eur Spa vuole vendere patrimonio per pagare la Nuvola di Fuksas. - Marco Pasciuti

Roma, Eur Spa vuole vendere patrimonio per pagare la Nuvola di Fuksas

L'ente ha convocato per lunedì 9 un'assemblea degli azionisti per cambiare lo statuto e mettere in vendita parte degli immobili di proprietà allo scopo di ripianare i debiti, tra cui quelli generati dalla costruzione del centro congressi non ancora terminato. Il Comitato di Quartiere Eur insorge e i dipendenti temono per i posti di lavoro. "E' un'operazione pericolosa", conferma il presidente Borghini.

Cambiare lo statuto e mettere in vendita parte del patrimonio allo scopo di ripianare i debiti dell’ente, tra cui quelli generati dalla costruzione della Nuvola di Fuksas. E’ lo scopo dell’assemblea degli azionisti convocata da Eur spa per il 9 febbraio: vendere i gioielli di famiglia, un pregiato portafoglio di opere monumentali del razionalismo italiano con oltre 70 ettari di verde, uscire il prima possibile dal concordato in bianco ed evitare che parte degli edifici finiscano alle banche. “Si vende il patrimonio pubblico per pagare debiti fatti da amministratori poco lungimiranti”, protesta il Comitato di quartiere Eur. “E’ un’operazione pericolosa“, spiega Pierluigi Borghini, presidente dell’ente.
Il momento è difficile, non solo per il clamore mediatico suscitato dal coinvolgimento di Riccardo Mancini, ex amministratore delegato, e di Carlo Pucci, ex direttore commerciale dell’Ente, nell’inchiesta Mafia Capitale. Il problema è che l’ente attraversa da tempo un mare di difficoltà finanziarie che lo scorso dicembre hanno portato il consiglio di amministrazione a chiedere l’ammissione al concordato in biancoEntro il 24 aprile gli amministratori sono chiamati a presentare al giudice delegato un piano che prevede due possibilità: la ricapitalizzazione o l’alienazione di parte dei beni. Ovvero, la vendita dei beni immobili di proprietà che sono pubblici, in quanto l’ente è al 90% controllato dal ministero delle Finanze e al 10% dal Comune di Roma. L’individuazione degli immobili da alienare è affidata a Invimit, società del Tesoro che sta censendo gli edifici che Eur Spa affitta alla pubblica amministrazione. La lista degli immobili, così come quella dei possibili acquirenti, non è ancora nota, ma una certezza c’è: si tratta di opere architettoniche di pregio dal valore elevatissimo, dagli edifici che ospitano i vari musei dell’Eur all’Archivio Centrale dello Stato. Immobili preziosissimi e vincolati.
“Ora devono evitare la bancarotta – spiegano dal Comitato di quartiere Eur, che nei giorni scorsi ha scritto una lettera a sindaco Ignazio Marino, al presidente del municipio e a Borghini per chiedere che i beni non vengano venduti  – ma quando anni fa decisero di costruire la Nuvola sapevano benissimo che non c’erano fondi sufficienti. Non dovevano sperare di vendere un albergo costruito nelle vicinanze per trovare i soldi per fare i lavori (i ricavati della messa sul mercato del super hotel “La Lama” avrebbero dovuto coprire parte dei costi, ma la vendita è ferma, ndr)”.
Gli azionisti “sono convocati –  come da annuncio dato sulla stampa locale – in assemblea ordinaria e straordinaria” “il giorno 7 febbraio in prima convocazione e lunedì 9 in seconda convocazione”. Quello che interessa è l’ordine del giorno della parte straordinaria: “Interventi per garantire la continuità aziendale e la copertura finanziaria delle opere in corso” e “modifica allo statuto sociale (art. 4)”. Ovvero l’articolo che elenca le attività svolte dall’ente. “Lo scopo è quello di modificare lo statuto in modo da consentire la vendita di parti del patrimonio per pagare i debiti della Nuvola”, è la voce che corre in azienda. La Nuvola, il mega polo congressuale la cui costruzione è andata avanti a singhiozzo per anni, ostacolata da un incessante fuoco di veti incrociati tra l’archistar e i vertici di Eur spa.
Di alienazioni in casa Eur spa si parla ciclicamente. “Ma questa volta c’è il concordato da rispettare. I debiti? Noi non dobbiamo ripianare le perdite – conferma il presidente Borghini a IlFattoQuotidiano.it - l’Eur spa chiude da sempre i propri bilanci in utile. Solo che quando uno costruisce un edificio di quel genere e un albergo da 439 stanze, da qualche parte i soldi deve trovarli. Il Comune di Roma 10 anni fa ci ha affidato il pesante incarico di fare questa grande opera e ci ha dato circa 140 milioni sapendo che l’opera costava, da preventivo del 2006, 277 milioni. Più iva, più oneri concessori, più la parcella di Fuksas. Quindi ci ha messo sul collo 400 milioni da pagare dandocene 140. Ora ci servono 133 milioni per completare l’opera”.
I malumori in azienda serpeggiano neanche troppo silenti. Il timore è che l’alienazione di una parte degli immobili di proprietà possa avere ricadute sull’occupazione: “Se vengono venduti gli edifici che amministriamo, una parte dei dipendenti rischierà il posto”. “Sì, è una possibilità – continua Borghini – è un’operazione pericolosa, noi aspettiamo che l’azionista ci indichi la strategia per uscire dal concordato. Se gli azionisti decideranno in questo senso, mi adeguerò”.

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domenica 8 febbraio 2015

E il premier "rifiuta" 120 miliardi di euro.- Renato Farina (Betulla)



Truffa dello spread, il governo rinuncia a costituirsi parte civile contro le agenzie di rating.

«Non ti pago», dice una commedia di Eduardo. In questo caso bisognerebbe cambiare il titolo, e trasformarlo in tragedia: «Non pagarmi!». Chi non vuole il conquibus di spettanza non è un danaroso cittadino, ma uno Stato pieno di debiti: l'Italia.
Ma il nostro governo nelle persone di Matteo Renzi e Pier Carlo Padoan non ne vuole sapere. Non è questione di misericordia verso i miseri. A dover mettere mano al suo gigantesco portafoglio non sarebbero quattro poveri pirla in bancarotta, ma alcune tra le multinazionali più danarose al mondo che hanno manipolato il mercato rischiando di mandarci tutti in malora e comunque consentendo agli speculatori di infilare le zampe ungulate nelle tasche dei risparmiatori. Qual è la cifra? Minimo 5 miliardi. L'Italia invece non vuole essere risarcita. Il perché è insondabile. Due possibilità: distrazione e dunque incompetenza o complicità. Intanto i fatti sono i seguenti.
Le agenzie di rating Standard & Poor's e Ficht nel secondo semestre del 2011 (occhio alla data) declassarono i nostri buoni del Tesoro valutandoli quasi come spazzatura. Conseguenze due.
La prima finanziaria: balzo in su del famoso spread, ingenti interessi (circa 5 miliardi) pagati in più dallo Stato. Svalutazione dei risparmi degli italiani. Sfregio all'immagine del sistema Italia. Necessità di manovre finanziarie sanguinose.
La seconda politica. La valutazione ufficialmente imparziale di S&P e Fitch diventò l'arma di Merkel e Sarkozy, nonché del Partito democratico, per sostituire Berlusconi con Monti. Siamo alla triplice messa tra parentesi della democrazia.
C'è un però. La Procura di Trani ha avuto la faccia tosta di investigare non i ladri di mele e pere, ma si è procurata la foto della rapina del secolo ai danni dell'Italia. E l'ha descritta a un giudice terzo, che ha constatato che il mercato in quel 2011 fu manipolato. La Repubblica e la sua democrazia gambizzate dalle agenzie di rating per favorire la speculazione e un corso politico più gradito ai grandi poteri esteri e interni. Insomma la valutazione sulla solvibilità dell'Italia è stata un crimine. Merce intossicata, analisi farlocche.
Insomma il giudice per le indagini preliminari ha ritenuto le prove fornite da un pm coraggioso, Michele Ruggiero, per andare a processo. Il reato: «Manipolazione del mercato». E del resto il Giornale ha pubblicato un volumetto che ripropone la requisitoria di Ruggiero («Un golpe chiamato rating»). Si poteva anche intitolare: Davide di Trani contro Golia di Wall Street.
La prima udienza del processo c'è stata il 4 febbraio. La vittima del reato, la parte offesa, è lo Stato italiano. Pur informata di tutto, la presidenza del Consiglio ha rifiutato di costituirsi parte civile e così pure il ministero dell'Economia. Il processo potrebbe finire in due soli modi. 1) Ipotesi maggiore. Gli imputati, cioè i dirigenti italiani delle due agenzie, sono assolti, perché non hanno agito con dolo. Benissimo, contenti per loro. 2) Ipotesi subordinata. Hanno sbagliato in buona fede, e dunque il risarcimento va trattato in sede civile. In entrambi i casi, un tesoro da portare a casa Italia.
C'è un precedente istruttivo. In America, pochi giorni fa, S&P ha patteggiato una multa da un miliardo di dollari con il Dipartimento della giustizia per essersi sbagliata nella valutazione di obbligazioni di Lehman Brothers acquistate da finanziarie coperte da assicurazioni federali. S&P si è dimostrata collaborativa. In Italia a non collaborare è invece il governo. Perché? Boh. Interessi oscuri? Paura di veder emergere complicità indicibili in quel secondo semestre del 2011? Accordo tacito di non belligeranza con le agenzie, per timore di vendette?
Intanto buttiamo via un sacco di soldi. Il procuratore generale del Lazio della Corte dei Conti ha stimato che «il danno che lo Stato italiano ha subito, pagato da tutti, con manovre finanziarie», a cui vanno aggiunte le ferite morali, va oltre i 120 miliardi di euro (cen-to-ven-ti). Esagerato? Forse. Ammettiamolo. Vogliamo dividere per cinque? Sono 24 miliardi. In sede di patteggiamento sono minimo 10.
Questa omissione, se non vuole trasformarsi in complicità morale intollerabile, si può forse sanare. La seconda udienza è il 5 marzo prossimo. E con bravi avvocati dello Stato è possibile farsi riammettere come parti civili. Ma non lo faranno, né Renzi né Padoan. Forse da Londra non vogliono la nostra costituzione di parte civile. A proposito di Costituzione, sulla quale Renzi e Padoan hanno giurato, ci sarebbe però anche l'art. 47 che dichiara: «La Repubblica... tutela il risparmio in tutte le sue forme». Non c'è scritto che tutela le agenzie di rating .

Figli d'arte e parenti di politici, ecco i padroni delle 200 nuove farmacie. - Giusi Spica

  

La Regione ha pubblicato la graduatoria per l'apertura dei punti vendita in tutta la Sicilia. Le domande erano state oltre 1800 Nell'elenco professori universitari, figli e nipoti di deputati dell'Ars e molti rampolli delle dinastie storiche dei professionisti del settore.

Professori universitari sulla via della pensione, rampolli di storiche dinasty di farmacisti, figli e sorelle di deputati regionali e persino l'ex dirigente dell'assessorato che ha partecipato alle fasi iniziali di stesura del bando. La lista dei 222 vincitori di nuove farmacie che apriranno i battenti in Sicilia premia i candidati in avanti con gli anni e un solido bagaglio di titoli accademici alle spalle, ma anche i delfini di affermati farmacisti che hanno fatto pesare il nome e i loro legami per costruire a tavolino società "acchiappa-punti". Perché, come previsto dal decreto Monti che nel marzo 2011 stabilì i criteri, il concorso era per soli titoli e favoriva chi decideva di mettersi in società accumulando i riconoscimenti.

La commissione nominata dall'assessorato ha applicato la griglia nazionale e ha stabilito il range di punti da attribuire a titoli accademici, master universitari, pubblicazioni. Criteri da incrociare anche a quello anagrafico (più punti ai più giovani). Ma a guardare l'età media dei candidati (erano 1854 società), sembra la rivincita degli cinquantenni. I nomi di peso non mancano. A partire da quello di Rosalia Traina, che fino a maggio del 2012 era dirigente del servizio Farmaceutica dell'assessorato, lo stesso che ha predisposto gli atti del concorso bandito a gennaio di quell'anno. Sei mesi dopo è andata in pensione, ma è rientrata in gioco come consulente a titolo gratuito in carica fino a tre mesi fa. La sua partecipazione aveva sollevato mal di pancia e un'interpellanza dei grillini che hanno puntato il dito sull'incompatibilità. Lei si è difesa sostenendo di non avere mai firmato un solo atto relativo al concorso. Oggi è al quarantesimo posto della classifica insieme con Salvatore Di Marco, figlio di un farmacista di Baucina. Età media: 57 anni.

ECCO LA LISTA DEI VINCITORI

Tra i nuovi farmacisti c'è anche il figlio del deputato messinese del Pd Giuseppe Laccoto, ex presidente e oggi membro della commissione Sanità all'Ars. Il figlio di Laccoto è al 25esimo posto con altri tre soci, capofila Tindara Fioravanti. Alla posizione numero 35 c'è Patrizia Cascio, sorella dell'ex presidente dell'Ars e oggi deputato regionale di Ncd  Francesco Cascio. La mamma aveva una farmacia in viale Regione siciliana, poi messa in vendita.

E poi ci sono i figli d'arte. Al quinto posto si piazza Lara Giambalvo: il padre Giacinto è titolare a Bagheria ma in casa il nome che pesa di più è quello del marito, Riccardo Listro, titolare di una sede in città, e del cognato Orazio, il più "ricco" farmacista di Palermo. Rampolli di storiche dinasty sono anche Alice Pantò, figlia del farmacista di via Pacinotti, Giovanna Pensabene (il papà aveva una sede notturna in centro) e Maria Mantione, figlia dell'ex sindaco democristiano Salvatore che aveva farmacia in via Ausonia. Nomi noti sono anche Emanuele Termini (sua madre Rosa Alba Randazzo ha una sede vicino a Villa Serena), Luisa Venuti (suo padre Giuseppe è titolare a Cinisi) e Rino Calì (fratello di Gabriella che ha farmacia vicino al teatro Massimo).

Il concorso ha fatto gola soprattutto ai baroni universitari. Il primato va a Catania, che piazza una sfilza di prof della facoltà di Farmacia. Al primo in classifica c'è uno di loro, Francesco Paolo Bonina, docente ordinario in coppia con la collega associata Valeria Pittalà. Il suo nome è noto alle cronache: è stato imputato e poi assolto al processo sui veleni alla facoltà di Farmacia. Al nono posto figura un altro degli imputati di quel processo (furono tutti assolti in primo grado), ovvero Giovanni Puglisi, recordman di incarichi: insegnare Tecnologia farmaceutica, è presidente dell'ordine dei farmacisti di Catania e membro nazionale dell'ente previdenziale Enpaf. A lui spetta il primato della società più anziana: 63 anni. L'ateneo fa il pieno con Maria Angela Siracusa, Anna Maria Panico, Orazio Prezzavento, Giovanna Maria Scoto e il figlio dell'ex preside di farmacia Giuseppe Roncisvalle, al 78esimo posto con Antonino Privitera.


http://palermo.repubblica.it/cronaca/2015/02/07/news/ecco_i_padroni_delle_200_nuove_farmacie-106764968/

Se non ci fosse, la dovrebbero inventare...



https://www.facebook.com/scherzimbarazzanti/photos/a.243076385861027.1073741828.242942912541041/419600291541968/?type=1&theater

sabato 7 febbraio 2015

Dichiarazione bomba di un Generale francese al Senato: “L’Isis è stato creato dagli Stati Uniti”.



Si parla tanto delle porcate commesse dall’Isis in questi giorni. Ma è passata sotto silenzio la dichiarazione fatta dal Generale francese Vincent Desportes, generale di divisione a riposo e professore associato presso la facoltà di Scienze Politiche di Parigi, che davanti alla commissione per gli Affari Esteri, per la Difesa e per le Forze Armate, ha dichiarato: “L’Isis è stato creato dagli Stati Uniti.” Ecco tutti i dettagli. 

Il 17 dicembre 2014 la commissione per gli Affari Esteri, per la Difesa e per le Forze Armate ha dibattuto in seduta pubblica la proroga dell’operazione “Chammal” in Iraq.
Presieduta da Jean-Pierre Raffarin, la commissione ha sentito − durante la discussione – il generale di seconda sezione Henri Bentégeat, ex capo di stato maggiore delle forze armate, il generale di corpo d’armata Didier Castres, vicecapo operativo di stato maggiore, l’on. Hubert Védrine, ex ministro degli Esteri, il generale di divisione a riposo Vincent Desportes − professore associato presso la facoltà di Scienze Politiche di Parigi − e l’on. Jean-Yves Le Drian, ministro della Difesa.
ISIS CREATO DAGLI USA
Iniziando il suo discorso con una breve presentazione dell’ISIS (Daech), nel mettere soprattutto in evidenza il vero pericolo di questo gruppo terroristico rispetto ai nostri interessi vitali, ha detto senza mezzi termini: “Chi è il dottor Frankenstein che ha creato questo mostro? Diciamolo chiaramente, perché ciò comporta delle conseguenze: sono gli Stati Uniti. Per interessi politici a breve termine, altri soggetti – alcuni dei quali appaiono come amici dell’Occidente − hanno contribuito, per compiacenza o per calcolata volontà, a questa creazione e al suo rafforzamento, ma le responsabilità principali sono degli Stati Uniti. Questo movimento, con la fortissima capacità di attrarre e diffondere violenza, è in espansione. È potente, anche se è caratterizzato da punti profondamente vulnerabili. È potente, ma sarà distrutto. Questo è certo. Non ha altro scopo che quello di scomparire.”
LA GUERRA LAMPO NON ESISTE
Mettendo in guardia i membri della commissione sulle implicazioni di una guerra in un contesto di ridimensionamento delle nostre forze, il generale Desportes ha aggiunto: “In bilancio, di qualsiasi esercito si tratti, ci siamo impegnati oltre situazioni operative standard, nel senso che ogni esercito sta usando le proprie risorse senza avere il tempo di rigenerarle. In termini reali abbiamo forze insufficienti: per compensare, a livello sia tattico che bellico, le facciamo girare a un elevatissimo ritmo di utilizzo. Vale a dire che, se continua questo sovraccarico di impiego, l’esercito francese si troverà nella situazione dell’usurato esercito britannico in Iraq e in Afghanistan, costretto da alcuni anni a interrompere gli interventi e rigenerare le proprie risorse “a casa”. Il notevole sforzo prodotto ora a favore degli interventi avrà ripercussioni forti e quantificabili sulle forze nel nostro Paese, in particolare in termini di prontezza operativa. Il senso di responsabilità impone di sfatare definitivamente il mito della guerra breve”.
I CINQUE PRINCIPI PER LA STRATEGIA MILITARE
Dopo alcuni cenni sulle basi della strategia militare, il generale Desportes ha delineato una serie di cinque principi che dovranno guidare qualsiasi decisione di intervento.
Secondo il primo principio, ci si deve impegnare solo se si può controllare il livello strategico. Se questo precetto non è rispettato, è evidenziato il rischio di usare le proprie forze armate col discredito e la perdita d’immagine che ne conseguono.
È il caso della Francia in Afghanistan: ha fatto una “guerra americana” senza un controllo strategico d’insieme, senza controllo sullo svolgimento delle operazioni e senza controllo sulla direzione della coalizione.”
Il secondo principio dice che si deve intervenire solo laddove ci sia “senso strategico”.
La Francia è grande nel mondo, in particolare per il suo posto nel Consiglio di sicurezza dell’ONU, ma poiché questo posto le viene contestato ogni giorno, deve difenderlo e legittimarlo ogni giorno. E può farlo solo attraverso la sua capacità di gestione utile dei focolai di tensione del mondo. Il che, tra l’altro, richiede assolutamente la necessità di rafforzare la nostra capacità di agire come “nazione guida” e di “entrare per primi”. Non ci sono dubbi: il nostro posto tra i cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU e la nostra influenza nelle questioni mondiali si basano in primo luogo sulla nostra capacità di agire concretamente nelle situazioni di crisi (capacità e credibilità).”
Terzo principio: occorre definire obiettivi raggiungibili. Prendendo l’esempio dell’Afghanistan, Desportes dice che«gli obiettivi hanno assai rapidamente deviato e superato i mezzi di cui disponeva la coalizione (soprattutto in termini di tempi e di capacità di controllo dello spazio terrestre)».
Quarto principio: intervenire solo quando l’azione considerata è compatibile con i mezzi a disposizione, immediatamente e nel lungo termine.
Essendo uno dei primi ad avere criticato pubblicamente il Libro bianco sulla difesa del 2013, il generale Desportes ha dichiarato: “Il Libro bianco 2013 parla di «volume di forze sufficienti». In effetti, come è noto, l’operazione “Serval” è stata una scommessa estremamente rischiosa, a causa del basso volume di forze dispiegate combinato con la grande obsolescenza della maggior parte delle attrezzature impiegate. L’operazione “Sangaris” un azzardo finito male, poiché la scommessa fatta sulla “sorpresa iniziale” non è stata vinta. Poi la negazione della realtà unita alla nostra mancanza di risorse ha impedito l’adattamento della forza alla reale situazione sul campo e allo schieramento immediato dei cinquemila uomini che erano indispensabili.”
Quinto principio: non fare il primo passo senza considerare l’ultimo.
Ciò significa che si devono valutare − senza condizionamenti ideologici, senza essere ciechi − le conseguenze di un intervento, soprattutto se non si intende arrivare fino in fondo”.
LA GRANDEUR FRANCESE È FINITA
Al termine del suo discorso, il generale Desportes ha continuato a mettere sull’avviso i membri della Commissione sul decadimento delle forze armate francesi.
L’evidente sottodimensionamento della spesa operativa produce significativi effetti negativi di cui deve essere consapevole chi decide. Anzitutto, apprendere dai media − senza una chiara smentita − che i corpi militari spendono ingiustificatamente il magro bilancio francese evidenzia il fallimento morale, dal momento che i nostri soldati combattono su tutti i fronti, per la Francia e ai suoi ordini, con risorse veramente troppo scarse. Inoltre c’è che siamo sempre sotto il livello della “massa critica”: questo sottodimensionamento del budget ha un impatto diretto sia sul successo delle operazioni sia sulla sicurezza dei nostri soldati, che finiscono per ritrovarsi messi in pericolo”.
L’OPERAZIONE CHAMMAL UN FALLIMENTO
A proposito dell’operazione “Chammal”, il generale dichiara: “Giungo a Chammal dopo un paio di giri, lo ammetto, ma non si perde mai tempo a prendere un momento di distanza strategica, in un’epoca in cui la tendenza è proprio quella di ragionare in fretta, in termini di spese di cassa, su problemi che richiedono tempi lunghi e investimenti pesanti. Non mi trattengo sull’attuale sconcertante contraddizione tra, da un lato, il conflitto del mondo alle nostre porte, nel nostro est, nel nostro sud-est, nel nostro sud, la moltiplicazione dei nostri interventi e, dall’altro lato, il deterioramento rapido e profondo delle nostre capacità di bilancio con, a valle, quello delle nostre capacità militari. A destra e a sinistra lo sanno tutti; alcuni, troppo pochi, lo dicono. [...] E allora? Atteniamoci al ben noto principio della guerra, il principio di concentrazione… o alla sua versione popolare: “chi troppo vuole nulla stringe”. Smettiamo di espanderci! Guardiamo in faccia la realtà. Stato islamico. “ISIS delenda est”: certamente! Siamo profondamente solidali, ma non siamo in alcun modo responsabili. I nostri interessi esistono, ma sono indiretti. Da quelle parti le nostre capacità sono limitate e irrisorie, rispetto agli Stati Uniti, e la nostra influenza strategica è estremamente limitata”.