sabato 10 febbraio 2018

Salvate il soldato Rosato. Editoriale di Marco Travaglio da Il Fatto Quotidiano 10 febbraio 2018



Lo dicevo che prima o poi, per Ettore Rosato, ci sarebbe voluta la scorta. Non per difenderlo dai terroristi, ma dai pidini. Più le elezioni si avvicinano, più il pericolo del fuoco, anzi del linciaggio amico, si fa probabile. 
Tutti ricordano come e perché nacque il Rosatellum: siccome i 5Stelle sono sempre primi nei sondaggi e il Pd e Forza Italia sono secondo e terzo, bisognava trovare il modo di far perdere i primi e far vincere i secondi e i terzi. 
Non esistendo al mondo, nemmeno nell’Africa nera, un sistema elettorale che arrivasse a tanto, i cervelloni renzusconiani si spaccavano la testa alla ricerca di un’ideona originale.

Mettere fuorilegge il M5S? Troppo forte, poi la gente se ne accorge. 
Assegnare l’incarico per il nuovo governo in base all’ordine alfabetico, ignorando i voti? B. è perfetto, ma Renzi no perché la R viene dopo la Di di Di Maio. 
Andare in ordine di anzianità? Gli 81 anni di B. sommati ai 43 di Renzi fanno 124, esattamente il quadruplo dei 31 di Di Maio, ma c’è il rischio che la Consulta bocci tutto. 

A quel punto saltò su Rosato con un’idea meravigliosa per la testa, meglio di quella di Cesare Ragazzi: una legge che sottrae i voti ai 5Stelle e li moltiplica a Pd e FI, grazie a finte coalizioni valevoli fino al 4 marzo, ma solubili e biodegradabili la sera stessa. 
Il pregiudicato prende i voti con Salvini e Meloni e li porta a Renzi. Renzi, a sua volta, prende i voti con la Bonacci (un mostriciattolo nato dall’unione fra Bonino e Tabacci), la Lorenzin e tale Santagata, e li porta al pregiudicato.
Tanto gli italiani – pensavano lorsignori in perfetta sintonia con Di Battista – sono rincoglioniti e ci cascano. Anzi, siccome la legge è fatta apposta per creare ingovernabilità, sondaggisti e politologi lanceranno l’allarme ingovernabilità, come se non fosse un effetto studiato, ma un accidente causato dalle condizioni climatiche sfavorevoli. E si potrà ricattare la gente col solito “voto utile”, che però stavolta non deve andare al partito maggiore (chiamato M5S). 
Intanto si riabilita il pregiudicato ineleggibile e incandidabile come “argine” e “baluardo” contro il “populismo antieuropeo” (essendo il più grande populista antieuropeo dell’orbe terracqueo). 
Gli si fa scrivere sulla scheda “Forza Italia Berlusconi Presidente” (come “acqua asciutta”, “zucchero salato”, “vegetariano carnivoro”). Si tace sulle sue corruzioni, frodi fiscali, regali alla mafia, conflitti d’interessi e si spera che gli elettori si bevano pure questo. Il Pd, in un eccesso di generosità, candida nei collegi una ventina di ex berlusconiani travestiti da seguaci della Lorenzin, coi petali di peonia in testa.

Già, perché B. è in overbooking e non può farli eleggere tutti. Quel volpone di Renzi invece sì, al posto della sinistra Pd, rasa al suolo per buttar via un altro po’ di voti.
Poi purtroppo Frankenstein sfugge al controllo dei suoi creatori. I sondaggi danno il finto centrodestra sempre più vicino al 40%, soglia di autosufficienza, il finto centrosinistra sempre più prossimo al 25 e dunque il Renzusconi sempre più impossibile. Tant’è che B. inizia a domandarsi se non sia meglio andare al governo con gli alleati della campagna elettorale, che hanno i voti, anziché con Renzi che non li ha. 
È l’eterogenesi dei fini, tipica delle leggi elettorali incostituzionali che: studiate per fregare l’avversario, finiscono per fottere l’autore. Era accaduto nel 2006 col Porcellum: B. lo impose per far perdere Prodi, invece lo fece vincere grazie agl’italiani all’estero (col vecchio Mattarellum avrebbe rivinto B.). E riaccade ora col Rosatellum. È vero, al centrodestra potrebbe mancare una ventina di seggi. Ma, come nota Diego Pretini sul nostro sito, a riempire quel vuoto in nome della governabilità potrebbero essere proprio i 20 ex berlusconiani, cuffariani e lombardiani (nel senso di Raffaele) candidati da Renzi
Gente a cui basta un fischio, ma soprattutto una poltrona sfusa, per sentire il richiamo della foresta, scattare sull’attenti e votare qualunque governo pur di conservare il seggio, l’immunità e il vitalizio.
Ed eccoli, i potenziali “responsabili”, come lui chiama chi passa dal centrosinistra al centrodestra (da non confondere con i ladri di voti, traditori, voltagabbana e ribaltonisti che fanno il percorso inverso) Beatrice Lorenzin, Pierferdy Casini, Sergio Pizzolante (tre volte deputato Pdl), i ciellini Gabriele Toccafondi, Angelo Capelli e Paolo Alli (già braccio destro di Formigoni), Maurizio Bernardo (forzista dal ’94), Nico D’Ascola (socio di Ghedini), Guido Viceconte (ex eurodeputato FI e sottosegretario in due governi B.), Gioacchino Alfano (tre volte parlamentare Pdl), Federica Chiavaroli (ex Pdl), Giuseppe De Mita (ex Udc), Giacomo Mancini jr. (primo dei non eletti FdI in Regione Calabria); Paolo Ruggirello (già luogotenente del governatore siciliano Lombardo), Nicola D’Agostino (ex capogruppo regionale del partito di Lombardo), Valeria Sudano (ex deputata regionale col forzista Saverio Romano), Salvo Lo Giudice (già eletto con la lista Musumeci), Giuseppe Sodano (figlio dell’ex sindaco di Agrigento e senatore di destra), Leopoldo Piampiano (ex Pdl), Luca Sammartino (ex Udc), Franco Manniello (ex Udc), Francesco Spina (ex FI e Udc), Benedetto Della Vedova (ex FI), Valentina Castaldini (ex Ncd), Cosimo Ferri (ex pm, sottosegretario con Letta in quota FI e lì rimasto con Renzi e Gentiloni fino alla candidatura nel Pd).
Molti nel 2011 votarono festosi la leggendaria mozione “Ruby nipote di Mubarak”. Quindi hanno uno stomaco abbastanza forte per digerire di tutto. Anche un governo B.-Salvini. Nel caso, ragazzi, ricordatevi dell’amico Rosato e dei pericoli che corre. E fatelo ministro, ad honorem.

venerdì 9 febbraio 2018

Ovociti umani nati in provetta pronti per la fecondazione. - Francesca Cerati

(Afp)

Per la prima volta ovociti umani sono stati coltivati in laboratorio dal primissimo stadio fino a essere pronti per la fecondazione. Un traguardo importante per una tecnica che fino a questo momento aveva avuto un’alta percentuale di insuccesso, nel senso che gli ovociti non arrivavano a maturazione.
Pubblicata sulla rivista Molecular Human Reproduction, la ricerca è stata condotta all'Università di Edimburgo e costituisce un grande passo in avanti verso possibili cure sia per la fertilità, ad esempio per le donne malate di cancro che vogliono salvaguardare la possibilità di avere figli, sia per la medicina rigenerativa.
Un risultato che è stato preceduto da altri studi importanti, come quello del team giapponese di Katsuhiko Hayashi della Kyushu University, che nel 2016 è riuscito per la prima volta a far crescere in laboratorio cellule uovo fertili di topo partendo da cellule staminali. Le uova hanno poi dato origine a cuccioli dopo essere state fecondate e impiantate in roditrici adottive. Il metodo - che produceva uova difettose e aveva una percentuale di successo inferiore all'1% - è stato decisivo per identificare i geni chiave coinvolti nello sviluppo e nella maturazione dell'uovo.
«Tuttavia, qualsiasi applicazione alle cellule umane è molto lontana» aveva commentato lo stesso Hayashi, a cui la prestigiosa rivista scientifica Nature aveva dato ampio risalto.
Invece, a soli due anni di distanza, l’Università di Edimburgo, che da anni porta avanti questo tipo di ricerca in collaborazione con l’Harvard Medical School di Boston, ha raggiunto l’obiettivo.
Un risultato «interessante e bello», reso possibile dalla lunga ricerca che ha portato a trovare il mix ideale di sostanze utili per far maturare gli ovociti: così il direttore del Laboratorio di Biologia dello sviluppo dell'università di Pavia, Carlo Alberto Redi, ha commentato l'esperimento che per la prima volta ha dimostrato la possibilità di coltivate in laboratorio ovociti umani.
«Adesso si aprono molte opportunità, che vanno dal laboratorio al letto del paziente», ha detto pensando alle donne infertili o che soffrono di menopausa precoce, o ancora alle donne colpite da un tumore che intendono preservare la fertilità dopo avere affrontato la chemioterapia, o ancora alle donne che decidono di posticipare il momento in cui avere figli.
Importanti, ha proseguito Redi, anche le ricadute nel campo della medicina riproduttiva e della ricerca. «Diventa possibile, ad esempio, ottenere in laboratorio grandi quantità di ovociti da utilizzare nella ricerca, cosa che attualmente pone seri problemi etici a causa delle dolorose stimolazioni cui debbono sottoporsi le donne o dell'eventuale commercio di ovociti».
Per Redi è particolarmente interessante che i ricercatori guidati dall'università di Edimburgo abbiamo trovato le condizioni ideali per il terreno di coltura capace di far sviluppare gli ovociti: «Una sorta di terreno nutriente per far crescere frammenti prelevati dalla parte più superficiale dell'ovaio. È ancora difficile dire se questi possano essere follicoli ovarici primordiali oppure cellule staminali perché in proposito c'è ancora grande disparità di vedute nel mondo della ricerca. Quello che è certo è che il terreno di coltura per ottenere gli ovociti umani funziona ed è probabile, ha aggiunto, che le agenzie regolatorie vorranno avere dettagli in modo da verificare eventuali problemi».

Elezioni, il padre è condannato: Forza Italia candida il figlio. Che offendeva magistrati e pentiti: “Figli di pulla”. - Giuseppe Pipitone

Elezioni, il padre è condannato: Forza Italia candida il figlio. Che offendeva magistrati e pentiti: “Figli di pulla”

Il partito di Silvio Berlusconi candida Andrea Mineo, consigliere comunale a Palermo e figlio di Franco, storico braccio destro di Gianfranco Micciché, ex consigliere regionale condannato nel giugno del 2014 a otto anni e due mesi in primo grado per intestazione fittizia aggravata dall'aver favorito Cosa nostra e peculato. Il processo d'appello in corso, ma nell'inchiesta a suo carico era stato intercettato anche il figlio.

Della pm Anna Maria Palma non aveva una buona opinione: “Minchia, questa è una pulla“. Non era migliore l’idea che si era fatto sul pentito Francesco Campanella: “Sta combinando danni con tutti“. Ma, più in generale, negativo era il giudizio sull’intero fenomeno dei collaboratori di giustizia: “Quei figli di pulla dei pentiti“. Non ci sono solo ex aspiranti Miss Italia o integerrime magistrate tra i candidati di Forza Italia in Sicilia. Nossignore. Gianfranco Micciché, da coordinatore del partito azzurro, si ritiene “assolutamente insoddisfatto dalle liste”. Il motivo? “Per la prima volta – dice – mi hanno mandato troppa gente da fuori. Non era mai successo prima, si vede che sono invecchiato”. Mistero su quali siano i candidati “mandati da fuori” al viceré di Silvio Berlusconi sull’isola.
Di sicuro non è un nome segnalato dall’alto quello di Andrea Mineo, inserito al secondo posto nella lista degli azzurri ad Agrigento. Capolista nel proporzionale per la Camera è Giusi Bartolozzi, giudice in corte d’appello a Roma e compagna di Gaetano Armao, pupillo di Berlusconi e vice del governatore Nello Musumeci. Bartolozzi ha preso il posto di Ylenia Citino, ex tronista di Uomini e Donne, depennata dalla lista nelle ultime ore e probabilmente spostata in Lombardia. Fisso al numero due è, invece, Mineo, un candidato evidentemente voluto dallo stesso Micciché. Consigliere comunale a Palermo, Andrea Mineo è figlio di Franco, storico braccio destro del leader di Forza Italia, ex consigliere regionale condannato nel giugno del 2014 a otto anni e due mesi in primo grado.

Pesanti le imputazioni per Mineo senior, condannato a cinque anni per intestazione fittizia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra e a tre anni e due mesi per peculato legato all’uso di un’auto del comune. Per l’accusa Mineo senior era il prestanome di Angelo Galatolo, rampollo e volto pulito dell’omonima famiglia mafiosa dell’Acquasanta, borgata marinara di Palermo. “Sei una persona certamente esuberante ma non mafioso, però se scopro che per vent’anni mi hai preso in giro e che sei davvero un gran mafioso, ti do una testata”, era stato il moderato commento di Micciché quando al suo braccio destro era stato recapitato l’avviso di garanzia. Il processo d’appello di Mineo è ancora in corso: il viceré di Berlusconi, quindi, non ha ancora potuto decidere se dar seguito o meno alla promessa avanzata nei confronti del suo fedelissimo. Nel frattempo ha deciso di candidargli il figlio.
Estraneo a qualsiasi imputazione o indagine, Mineo junior era però finito intercettato, quand’era appena ventenne, nell’ambito dell’inchiesta che poi porterà alla condanna del padre alla fine del processo di primo grado. A raccontarlo, qualche tempo fa, era stato il giornalista Salvo Palazzolo su Repubblica. È il 5 febbraio del 2007 e all’agenzia di assicurazioni di Mineo senior – all’epoca assessore al comune di Palermo – si presenta Pietro Scotto, condannato per traffico di droga, processato e assolto per la strage di via d’Amelio. È il fratello di Gaetano, anche lui coinvolto nell’inchiesta sull’eccidio di Paolo Borsellinoscarcerato dopo anni di carcere solo in seguito al pentimento di Gaspare Spatuzza, ma indicato da alcuni pentiti come il trait d’union tra Cosa nostra e gli ambienti dei servizi segreti. “Nel quartiere ci si conosce tutti, sin da bambini. E io poi sono l’assicuratore di centinaia di persone all’Arenella”, è sempre stata la versione di Mineo senior davanti ai magistrati che gli chiedevano conto di quelle frequentazioni.

Il giorno in cui Scotto va a fare visita al politico, però, le cimici degli investigatori registrano anche il parole pronunciate dal giovane Mineo. Un dialogo in cui quello che oggi è un aspirante parlamentare non risparmia offese a magistrati e pentiti. Dice Scotto intercettato: “Minchia un pericolo è questa… “. Mineo senior suggerisce: “Anna Maria Palma…”. Cioè uno dei pm che ha indagato sulla strage di via d’Amelio. “Mi ci sono litigato”, spiega Scotto. Il giovane Mineo fornisce la sua opinione: “Minchia, questa è una pulla. A quel punto – come scrive la Dia nel rapporto poi finito nell’atto d’accusa del pm Pierangelo Padova -“entra nell’ufficio la segretaria dell’assessore e gli passa il cellulare, c’è una persona al telefono”.  A discutere rimangono solo Scotto e Mineo junior. Che propone subito un nuovo argomento di discussione: il pentito di Villabate, Francesco Campanella, grande accusatore – tra gli altri – di politici importanti come Totò Cuffaro e Renato Schifani. “Ora c’è questo Campanella”. Scotto rilancia: “È un cornuto questo Campanella”. “Sta combinando danni con tutti”, spiega Mineo junior, prima di rivolgersi genericamente a tutti collaboratori di giustizia: Quei figli di pulla dei pentiti“, si lascia scappare. Giudizi pesantissimi per i quali il giovane politico non ha mai chiesto scusa. “Purtroppo quando si è forti certi attacchi sono ormai una prassi”, si era limitato a scrivere su facebook nel giorno della pubblicazione di quelle intercettazioni. La speranza è che in caso di elezione in Parlamento non proponga una qualche riforma sul sistema dei collaboratori di giustizia.

Le buone regole del convivere civile.

Elezioni, non c’è la maggioranza? I Responsabili li porta il Pd I candidati ex di Berlusconi pronti a un governo (qualsiasi). - Diego Pretini

Elezioni, non c’è la maggioranza? I Responsabili li porta il Pd I candidati ex di Berlusconi pronti a un governo (qualsiasi)

Nelle liste del centrosinistra almeno 20 tra ex Pdl, ciellini, ex seguaci di Cuffaro, Lombardo e Musumeci. Facili da convincere nel caso di larghe intese. O addirittura sensibili al richiamo alla "casa madre".

Coi baffi posticci come in un romanzo di Agatha Christie. Col volto travisato come in Point Break. Ciellini per scuola e curriculum, berlusconiani accaniti, ex compari di Cuffaro, ex sodali di Raffaele Lombardo, ex collaboratori di Saverio Romano, ex campioni di preferenze per il Pdl, e poi democristiani devotissimi, socialisti col garofano, avvocati di Berlusconi ex soci di Ghedini. Hanno indossato le nuove maschere e ricominciano a respirare. Il Partito Democratico li ha fatti accomodare, fate come foste a casa vostra. Col rischio di diventare un taxi, di portarsi dentro un virus trojan. Ilfattoquotidiano.it ne ha contati almeno 20: ex duri e puri berlusconiani, casiniani, alfaniani. A loro se ne possono aggiungere altri 7-8 che, pur avendo abbandonato il centrodestra da un po’ o magari avere da tempo garantito lealtà ai governi delle intese medio-larghe, in quell’area sono nati all’alba del berlusconismo e sotto quella stella sono cresciuti in Parlamento. Hanno il pedigree dei Responsabili, il partito che non manca mai lo sbarramento. Al primo occhiolino, al primo richiamo dalla casa madre, al primo posto in un cda, non si farebbe fatica a vedere garantito il pacchetto di voti (20-25) che, secondo i sondaggi, mancano al centrodestra per formare una maggioranza. D’altra parte – per strategia o per conseguenza – si riconosce di nuovo in filigrana l’operazione fortino di Renzi: portare in Parlamento chi di certo limiterà i mugugni, le resistenze, anche in caso di “momenti di responsabilità istituzionale”. Chi c’è di più facile da convincere di un ex berlusconiano nel caso di un patto con Berlusconi?
Di molti di loro ilfatto.it ha già parlato. Dal collegio di Rozzano, vicino a Milano, fino a Trapani: alcuni devono sudarsela nei collegi uninominali, altri – comodi come su un sofà – in cima ai listini proporzionali, altri ancora un po’ più impanicati perché sono nei listini, sì, ma in fondo.
A partire dai candidati di Civica Popolare, il partitino guidato da Beatrice Lorenzin. A parte la ministra della Salute (un tempo leader dei giovani forzisti), ci sono Sergio Pizzolante (per tre volte legislature parlamentare del Pdl), ma anche i ciellini Gabriele ToccafondiAngelo Capelli e Paolo Alli (quest’ultimo per anni braccio destro dell’ex governatore Roberto Formigoni). C’è anche Domenico D’Ascola detto Nico, ex avvocato dell’ex presidente della Calabria Giuseppe Scopelliti e dell’ex ministro Claudio Scajola, ma anche di Giampaolo Tarantini. D’Ascola è stato anche socio di studio di Niccolò Ghedini, oltre ad essere stato sempre su posizioni vicine a quelle di Jole Santelli, già sottosegretaria alla Gustizia nel governo Berlusconi. Su Guido Viceconte, invece, i dubbi sono proprio pochi: fu eletto europarlamentare di Forza Italia per la prima volta nel 1994. Da allora ha fatto il sottosegretario in due governi Berlusconi, prima dal 2001 al 2006 (ai Trasporti) e poi dal 2009 al 2011 (prima all’Istruzione poi all’Interno, è eclettico).
Gioacchino Alfano è solo omonimo, ma come il suo ex leader autorottamato è stato a lungo simbolo delle nuove leve berlusconiane. Eletto 5 volte sotto i simboli del centrodestra: due volte dal sindaco del suo paese, Sant’Antonio Abate, e altre tre da parlamentare (2001, 2006, 2008). Federica Chiavaroli è stata una delle parlamentari più fedeli di Alternativa Popolare nei quattro anni di governi di Renzi e Gentiloni. Ma prima di entrare in Parlamento fu anche consigliera regionale in Abruzzoper il Pdl e per lo stesso partito anche coordinatrice a Pescara. Abituato alla spola è, invece, Giuseppe De Mita, nipote di Ciriaco, che partì dalla Democrazia Cristiana, poi finì nel Partito Popolare, infine nella Margherita e poi nel Pd. Ma si stufa presto e riparte dall’Udc, con la quale tenta l’elezione una prima volta (fallendo) e poi una seconda insieme a Scelta Civica (riuscendoci). Dopo vari zigzag che risparmiamo ai lettori, si è convinto di tornare a sinistra, subito dopo aver fondato un nuovo movimento, L’Italia è popolare, insieme allo zio. Da un ex Dc a un ex Psi, ché la Prima Repubblica non finisce mai: Giacomo Mancini junior si chiama così perché è nipote di Giacomo senior (già ministro, segretario del Psi e sindaco di Cosenza). Ma poiché l’eredità politica non è necessariamente legata al sangue, si può ricordare solo che Giacomo junior potrebbe finire eletto in Parlamento col centrosinistra, ma se gli va male può comunque entrare in consiglio regionale in Calabria perché è il primo dei non eletti nelle liste del centrodestra delle elezioni del 2014.
E’ il prezzo pagato dal Pd pur di avere una coalizione, anche se un po’ male in arnese. Ma gli ex berlusconiani si nascondono fin dentro il midollo del Pd. Il record è, come per abitudine, in Sicilia. Sono candidati democratici Paolo Ruggirello (per anni luogotenente dell’ex governatore Raffaele Lombardo, leader del Movimento per le Autonomie), Nicola D’Agostino (che dell’Mpa è stato capogruppo all’Ars), Valeria Sudano (ex deputata regionale del Cantiere Popolare guidato dall’ex ministro Saverio Romano), Salvo Lo Giudice (già eletto con la lista di Nello Musumeci), Giuseppe Sodano (figlio dell’ex sindaco di Agrigento e senatore di centrodestra e cresciuto nell’area di Fini), Leopoldo Pianpiano (per anni consigliere comunale col Pdl e prima ancora con An), Luca Sammartino (mister preferenze alle Regionali ex dell’Udc). Candidato in Lombardia è il formigoniano Maurizio Bernardo, già democristiano e berlusconiano dal 1994 con un lungo cursus honorum: a luglio Cupido lo ha fatto incontrare col Pd e lui si è trasferito armi e bagagli. In Campania, un altro posto dove i confini a volte si fanno poco definiti, c’è Franco Manniello, presidente della Juve Stabia e gran collettore di voti – con l’Udc – alle Regionali 2010 in sostegno di Stefano Caldoro. Percorso analogo ha fatto Francesco Spina, candidato nella sua Puglia, svolazzante dal Ccd a Forza Italia fino all’Udc e poi entrato in area Emiliano.
A tutti questi vanno aggiunti gli insospettabili e i lealisti. Per esempio ci sono i candidati del M5s che molti anni fa erano con Forza ItaliaPdl o ancora Lombardo. Ma anche gli altri “moderati” sempre pronti alla “responsabilità”. Pierferdinando Casini non ha bisogno di presentazioni, l’ex radicale Benedetto Della Vedova ha già sostenuto un governo Berlusconi, Valentina Castaldini è stata portavoce del Nuovo Centrodestra e la consigliera del ministro Enrico Costa (tornato al centrodestra con Noi con l’ItaliaCosimo Ferri, figlio dell’ex leader del Psdi Enrico, fratello del vicecoordinatore di Forza Italia in Toscana Jacopo (che ha rinunciato alla candidatura proprio per evitare lo scontro diretto) e entrato nel governo Letta da indipendente ma in quota centrodestra, quando era segretario di MagistraturaIndipendente, la corrente conservatrice dell’Anm. Di sicuro è finito il tempo delle toghe rosse.

Rose rosse

martedì 6 febbraio 2018

Madia, dottorato con 4 mila parole copiate nella tesi. - Laura Margottini


Sul sito – Sul fattoquotidiano.it tutte le 50 slide

Nella ricerca finale del 2008 all’Imt la futura ministra prese ampi brani da testi altrui senza indicare la citazione.

La tesi di dottorato di Marianna Madia, ministro per la Semplificazione e Pubblica amministrazione nei governi Gentiloni e Renzi, non pare essere tutta frutto della sua creatività. In 35 di 94 pagine della tesi (al netto di bibliografia, figure e tabelle) – titolo: “Essays on the Effects of Flexibility on Labour Market Outcome” – ci sono passaggi pressoché identici a quelli presenti in altre pubblicazioni. La fonte di quei passaggi non risulta citata laddove il ministro li riporta nella sua tesi. Col risultato che spesso non è possibile distinguere le parole originali della Madia da quelle di altri autori. Da un’indagine del Fatto, risultano essere circa 4mila le parole senza chiara attribuzione nei tre capitoli della tesi.
A fine 2008, la Madia (già parlamentare Pd) ha conseguito il titolo di dottorato alla Scuola Imt di Alti Studi di Lucca. Fabio Pammolli, allora rettore dello stesso Imt, e Giorgio Rodano, già professore di ordinario di Economia all’Università Sapienza, erano i relatori della tesi. Che dovrebbero essere garanti della sua originalità e della conformità alle regole che l’accademia si dà per preservare’ l’integrità della ricerca.
Nell’analisi, il Fatto ha escluso dal conteggio tutte le frasi che ha riconosciuto di uso comune nell’ambito delle scienze economiche e anche i passaggi che appaiono identici in altre pubblicazioni, ma attribuite tra parentesi dalla Madia alla fonte originale, nel punto in cui sono riportate. Tali passaggi sono stati esclusi dal conteggio anche quando ripresi parola per parola, ma senza virgolette (le regole accademiche impongono di virgolettare se le frasi sono riprese letteralmente). La tesi della Madia è sul sito dell’Imt.
Nel lavoro del ministro passaggi anche di centinaia di parole risultano identici ad altri già apparsi in pubblicazioni scientifiche peer reviewed (cioè certificate dal controllo della comunità scientifica), o in articoli che nel 2008 erano ancora in progress, in rapporti della Commissione europea, del Fondo monetario internazionale e di centri di ricerca (come l’Istituto Iza per l’Economia del Lavoro di Bonn, in Germania, o il National Bureau of Economic Research di Cambridge (Nber), Massachusetts, negli Usa). “Anche articoli in progress, working paper, o i rapporti di istituzioni vanno assolutamente citati,” spiega Gerhard Dannemann, direttore del Centro di Studi britannici a Berlino, membro del VroniPlag, il gruppo di accademici che ha analizzato le tesi di dottorato di decine di politici e professori tedeschi.
La pratica di riprendere interi passaggi senza citare la fonte all’interno del proprio testo è giudicata molto severamente nel mondo accademico. Anche il codice etico che Imt si è dato, con Pammolli rettore, definisce come plagio accademico “la presentazione delle parole o idee di altri come proprie”. E questo “può assumere varie forme” come “appropriarsi deliberatamente del lavoro di altri o non citare correttamente le fonti all’interno del proprio lavoro accademico.” Dal 2011 Imt ha messo a disposizione dei docenti un software anti-plagio, in grado di smascherare le parti copiate nelle tesi degli studenti.
In tre sottocapitoli della tesi del ministro, la quantità di passaggi che risultano originariamente presenti in articoli di altri autori non citati dove appaiono nella tesi, è rispettivamente del 40%, del 56% e del 79%. E in sette pagine su 95 si va dal 56% all’89% di testo identico a quello di altri autori, senza virgolette né attribuzione della fonte. In alcuni casi, si cita in parentesi il lavoro di un autore, ma si riprendono intere parti da un altro lavoro del medesimo autore, che però non è citato dove i passaggi sono riportati. Alcune pagine appaiono come collage di più articoli di diversi autori, senza fonte né virgolette, inframezzate da frasi scritte dall’autrice della tesi. Oppure, in una serie di frasi riprese verbatim (senza fonti né virgolette) vengono cambiate solo alcune parole: “question” nella fonte originale diventa “issue” nella tesi, “step” diventa “stage“, “those” diventa “these”. “In generale, segnali di questo tipo possono indicare l’intenzionalità da parte dell’autore di non citare correttamente”, spiega Dannemann al Fatto. È una tecnica nota come “shake and paste”, mescola e incolla.
Un altro modus operandi riscontrato è quello chiamato pawn sacrifice, “l’arte del concedere poco, per nascondere molto”. Si cita la fonte all’inizio di un passaggio, ma nel testo che segue — anche per centinaia di parole nel caso della tesi della Madia — non si specifica che si tratta di un testo tratto dalla medesima pubblicazione, né si utilizzano virgolette. E questo rende impossibile riconoscere le frasi scritte dal ministro da quelle di altri autori. Le pubblicazioni da cui sono ripresi i passaggi senza attribuzione tra parentesi e senza virgolette sono elencati nella bibliografia della tesi. Ma non sono citate nel punto esatto in cui vi si attinge.
La mancanza di correttezza nel citare le fonti può spingere le università a revocare il titolo di dottorato o le riviste scientifiche alla revocare la pubblicazione di un articolo qualora si riscontri che la mancata attribuzione sia deliberata. In Italia, la legge 475 punisce con pene fino a 3 anni di reclusione chi “in esami o concorsi, prescritti o richiesti da autorità o pubbliche amministrazioni per il conferimento di lauree o di ogni altro grado (…) presenta, come propri, dissertazioni, studi, pubblicazioni, progetti tecnici e, in genere, lavori che siano opera di altri”.
Alcune delle criticità riscontrate dal Fatto nel caso Madia sono analoghe a quelle trovate nella tesi di dottorato di Karl-Theodor zu Guttenberg, ex ministro della Difesa tedesco che si è dimesso e ha rinunciato al dottorato dopo le accuse di plagio nel 2011. A questo primo scandalo, rivelato dalla Süddeutsche Zeitung, ne seguirono altri, riguardanti ministri del governo Merkel e una decina di politici. Fu aperta un’inchiesta dall’Università di Bayreuth, dove Zu Guttenberg aveva conseguito il dottorato, e dalla magistratura, che finì con un patteggiamento e un ammenda.
Tre settimane fa in Francia L’Express ha scovato una decina di passaggi copiati da autori celebri, ma non citati neanche in bibliografia, nell’ultimo libro di Etienne Klein, fisico, filosofo e divulgatore francese. Due mesi prima Klein era diventato presidente dell’Istituto di Alti Studi Scientifici e Tecnologici francese che vuole rafforzare la fiducia dei cittadini nell’impresa scientifica. Sul caso Klein, il ministero della Ricerca francese ha aperto un’inchiesta.