mercoledì 3 aprile 2019

L’Europa dell’austerity è il paradiso dei miliardari. - Rosanna Spadini



Jean Claude Juncker nel suo incontro odierno con il Presidente Conte ci ha mazzolato ben bene: “Preoccupato per l’economia italiana. Servono altri sforzi”. Servirebbe dunque altro sangue della classe media diversamente asfaltata. Vuoto di memoria però, impossibile crescere mentre si è sottoposti a vincoli di deficit e mentre tutta l’Eurozona si sta rivelando come un’area di depressione economica permanente, provocata dalle stesse condizioni imposte dai trattati e dalla scarsità di moneta circolante.
Anche l’altra sera, chez Fabio Fazio, aveva tirato in ballo i problemi di debito pubblico italiano, trascurando da sbadato che il suo piccolo Lilliput è lo Stato più indebitato al mondo, nel sottobosco del debito privato in particolare.  Dichiarazione apparentemente sobria: “Penso che l’Italia sappia quali sono i suoi problemi. La crescita italiana è in ritardo rispetto all’Europa, e da vent’anni a questa parte, bisognerà dunque che l’Italia torni a scoprire gli strumenti che le permetteranno di rilanciare la propria crescita, ma dire che l’Italia costituisce un rischio mi sembra un’esagerazione, anche se i livelli del debito pubblico sono pericolosamente alti. Il 130% è uno dei livelli di debito pubblico più alti al mondo e bisognerà correggerlo, ridurlo“.
Però, nel mondo androide dell’Unione europea avvengono cose strepitose, neppure ipotizzabili dai lontani bastioni di Orione, tanto che nei bilanci delle casse statali mancano all’appello ogni anno più di mille miliardi di euro, tra elusione ed evasione fiscale. Infatti mentre i comuni mortali pagano fino all’ultimo centesimo di tasse, le multinazionali smistano decine di miliardi verso altri paradisi, grazie a contratti finanziari inaugurati in Lussemburgo, i famigerati ‘tax ruling’, strumenti finanziari che consentono alle corporations di concordare preventivamente il trattamento fiscale per un periodo predeterminato.
Così gli accordi preventivi provvedono ad evitare possibili contenziosi con gli Stati su alcune pratiche societarie tipicamente elusive, come quella che manipola i prezzi infra-gruppo (transfer mispricing), o ricorre a trasferimenti di utili da uno Stato all’altro sotto forma di dividendi, interessi, royalties e altri ingredienti del reddito d’impresa.
Il Pil pro capite del Granducato di Lilliput-Lussemburgo è di 105.918 mila dollari, il più alto al mondo, quasi il triplo di quello italiano. Un Paese molto ricco, nonostante sia pressoché privo di un comparto industriale di spessore, la cui unica fortuna è rappresentata dalle tasse, naturalmente quelle degli altri, e in particolare quelle delle numerose multinazionali che vi detengono la sede legale.  Il cui motto identitario è ‘Vogliamo rimanere ciò che siamo’… ettelocredo!! E la cui sorte è stata forgiata dal vecchio borgomastro Jean-Claude Juncker, oggi presidente della Commissione europea, e in visita settimanale in Italia.
Ebbene nel 2014, immediatamente dopo l’elezione al suo mandato europeo, il nostro lillipuziano era già sotto attacco mediatico, per un’inchiesta giornalistica di 28 mila pagine di documenti raccolti da un network americano, The International Consortium of Investigative Journalists (Icij), e pubblicato in contemporanea da 26 testate, che inauguravano lo scandalo definito ‘LuxLeaks‘.
L’inchiesta denunciava la sporca abitudine del Granducato di aver favorito multinazionali, quali Pepsi, Ikea, FedEx, Accenture, e anche 31 società italiane o con attività in Italia, attraverso una miriade di accordi fiscali.
A quel punto quaranta media di tutto il mondo poterono accedere ad un archivio smisurato di migliaia di documenti, sottratti da due impiegati, della sede lussemburghese di PriceWaterhouseCoopers (Pwc), un colosso di consulenza e revisione societaria, provocando in seguito interventi parlamentari, denunce e indagini giudiziarie.
Il sistema dei ‘tax ruling‘ si è sviluppato proprio in Lussemburgo, dando avvio ad intese riservatissime che garantiscono a 340 multinazionali di pagare meno del 1% di tasse, da Amazon ad Abbott, da Deutsche Bank a Pepsi Cola.
Il nodo del sistema prevede «accordi fiscali anticipati», una pratica legale che permette di conoscere in anticipo le imposte da pagare e ottenere garanzie giuridiche, così il sistema può influenzare la ripartizione dei profitti e consentire di minimizzare il gettito.
Il meccanismo finora ha funzionato benissimo secondo un tacito accordo, per cui le aziende spostavano nel Granducato flussi finanziari per centinaia di miliardi di dollari e in cambio ottenevano la possibilità di un trattamento tributario d’eccezione. Naturalmente, a farne le spese sono stati i Paesi d’origine delle società, costretti a rinunciare al gettito fiscale dirottato opportunamente verso altri lidi, ma anche gli altri Stati membri dell’Unione, che in questo modo entravano in una spirale viziosa di concorrenza sleale. Il danno complessivo è notevole: dai conti dell’Unione spariscono annualmente 1.400 miliardi di euro.
L’elusione di fatto vale miliardi di euro di base imponibile, nascosta dalle grandi multinazionali al fisco di Paesi come Germania, Francia e Italia. Dunque per compensare l’ammanco versano più tasse i lavoratori dipendenti o autonomi, i pensionati e anche – attraverso l’Iva sui beni di consumo – tutti i consumatori, compresi quelli i cui redditi dovrebbero essere esenti da tassazione, visto che sono così bassi da restare al di sotto delle soglie tassabili.
Ma oltre al Lussemburgo anche Olanda e Irlanda, che hanno poco più del 6% della popolazione dell’Eurozona, rappresentano nel complesso quasi metà dell’elusione fiscale internazionale delle grandi aziende. Così i tre più grandi paradisi fiscali non sono annidati in qualche isola dei Caraibi o del centro America, al contrario, prosperano indisturbati proprio nel cuore dell’Europa.
In pratica questi tre Paesi operano direttamente a danno degli altri, gli stessi con i quali condividono le loro severe regole di vigilanza sui bilanci pubblici, politiche di austerity, fiscal compact, etc etc.
L’Irlanda per esempio è il Paese dove Apple gode di sconti confezionati su misura, per cui le due consociate irlandesi di Apple funzionano da società offshore perché pagano solo l’1% di tasse, nel 2014 addirittura lo 0,05%.
Finché nel 2016 Dublino ottenne dalla Apple il pagamento di 14,3 miliardi di euro in tasse arretrate e interessi, a due anni dalla decisione con la quale Bruxelles aveva stabilito che il regime fiscale garantito all’azienda Usa violava le leggi dell’Unione europea.
L’occasione per parlare del problema è arrivata a Davos nel 2018, in un incontro sui paradisi fiscali, quando sono stati presentati i risultati di uno studio pubblicato da tre economisti: Thomas Tørsløv e Ludvig Wier dell’Università di Copenaghen, insieme a Gabriel Zucman dell’Università di California a Berkeley.
I tre segugi finanziari hanno calcolato l’impatto dell’elusione da parte di grandi gruppi come Apple, Facebook, Amazon, Google-Alphabet o Nike…  evidenziando che In ciascuno di questi gruppi, la somma dei profitti realizzati dalle società controllate, bizzarramente risulta pari a una frazione minima dei profitti consolidati globali. Il caso più estremo è Facebook, i cui profitti del 2015 sono stati di circa 11 miliardi di euro ma la somma dei ricavi tassabili di tutte le sussidiarie resta a zero.
Secondo i tre economisti, le distorsioni fiscali stanno diventando sempre più insostenibili, perché circa i due terzi dei profitti esteri delle multinazionali americane in genere (e il 45% di quelle di tutto il mondo) slittano verso i paradisi fiscali.
Ad esempio il Double Irish with Dutch sandwich, il doppio irlandese con panino olandese, lungi dall’essere una specialità gastronomica irlandese, costituisce un raffinato schema di pianificazione fiscale, che verte sull’impiego di due consociate con sede in Irlanda (di cui una registrata in un paradiso fiscale) e una terza “società veicolo” con sede in Olanda, al fine di abbattere il reddito imponibile.
Proprio la tecnica utilizzata da Google, che in pratica, avrebbe trasferito i ricavi da una controllata irlandese a una società olandese senza dipendenti, e poi a una casella postale alle Bermuda di proprietà di un’altra società registrata in Irlanda.
Ma il nostro lillipuziano la sa parecchio lunga, ricompensato per i suoi servigi con la presidenza dell’Eurogruppo nel 2004, trascurò con benevolenza i ‘trucchi di bilancio’ della Grecia, salvo poi acconsentire alle insistenti richieste di austerità che venivano dal Nord Europa per il Sud spendaccione.
«Se si guardano i numeri, probabilmente ha fatto più danni alle finanze pubbliche europee Juncker che qualunque evasore fiscale. Eppure era tutto noto: basta leggere la brochure promozionale del Luxembourg Stock Exchange, la Borsa del Granducato, per vedere che questo ricchissimo staterello non ha pudore nel presentarsi come uno snodo fondamentale per le imprese che devono eludere il fisco» dice Stefano Feltri sul Fatto Quotidiano.
L’Europa dell’austerity e degli apologeti pseudo democracy permette la pratica dell’arbitraggio fiscale o ‘beggar thy neighbour’ (frega il tuo vicino), e la prosperità delle nazioni eticamente ‘nobili’, rispetto ai Piigs eternamente indebitati, si fonda quasi esclusivamente su queste porcate fiscali.
In conclusione mentre i poveri cittadini europei sono tartassati da tasse sempre più insostenibili, le grandi corporations mondiali vengono favorite con pratiche e agevolazioni finanziarie sempre più creative e geniali, tanto che potrebbero superare ogni genere di avanguardia artistica. E per la gioia di un’Europa faro della democrazia, che inneggia all’unione tra i popoli, in uno dei tre grandi paradisi fiscali membri dell’UE, Apple nel 2014 pagava lo 0,005 di tasse sui nostri iphone da 1000 euro l’uno. Dissonanza cognitiva?

martedì 2 aprile 2019

Caserta, medici e infermieri assenteisti: 28 indagati. Uno era in viaggio all’estero e il figlio timbrava il cartellino.

Caserta, medici e infermieri assenteisti: 28 indagati. Uno era in viaggio all’estero e il figlio timbrava il cartellino

"Qua o ci arrestano a tutti quanti, o stiamo tutti in grazia di Dio. Tanto, come si dice, chi è senza peccato scagli la prima pietra". Parlavano così due dirigenti medici dell’ospedale "San Rocco" di Sessa Aurunca intercettati dai Carabinieri che indagavano sull'assenteismo nella struttura pubblica su ordine della Procura di Santa Maria Capua Vetere.

Il dono dell’ubiquità. Essere in viaggio all’estero, ma risultare presente al lavoro: in ospedale. C’è anche questo episodio nella miriade di casi di assenteismo accertati dai Carabinieri che in due anni di indagini hanno filmato medici, infermieri e dipendenti dell’ospedale San Rocco di Sessa Aurunca (Caserta) mentre sgattaiolavano via da un’uscita secondaria dopo aver timbrato il badge e a volte non rientrare neanche. Alcuni in verità, contando sulla complicità dei colleghi, in corsia o sala operatoria neanche ci arrivavano. Perché in ospedale non ci mettevano piede. Non solo assenteisti: ad ascoltare le intercettazioni i camici bianchi pensavano anche di poterla fare franca nonostante avessero capito che c’era un’indagine in corso dopo un controllo dei militari dell’Arma.
Sono 28 le persone indagate: sedici medici dell’ospedale casertano e due del Policlinico dell’Università Federico II, a Napoli. Gli altri dieci indagati sono dipendenti amministrativi ed infermieri. A 18 indagati è stata applicata dal tribunale la misura dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria del luogo di svolgimento del lavoro, immediatamente prima e subito dopo l’ingresso alla sede lavorativa. In pratica saranno costretti ad andare a lavoro. sono stati raccolti elementi indiziari riguardo al reato associativo per la commissione di truffa e false attestazioni ai danni della Asl di Caserta.
Caserta, medici-infermieri assenteisti, 28 indagati “Uno era in viaggio all’estero, il figlio timbrava”
Volume 90%
L’intercettazione: “Io ho detto e allora l’ospedale rimane vuoto”.Tra i medici esistevano un vero e proprio patto secondo gli inquirenti che contestano l’associazione a delinquere e la truffa aggravata. “Qua o ci arrestano a tutti quanti, o stiamo tutti in grazia di Dio. Tanto, come si dice, chi è senza peccato scagli la prima pietra” dicevano due dirigenti medici. Durante una telefonata – dopo un controllo amministrativo effettuato dai militari dell’Arma – i due camici bianchi ridono e pensano di poterla fare franca, contando sul fatto che molti colleghi sono coinvolti: “Quello dice che si rischia il posto di lavoro… e ho detto, e allora l’ospedale rimane vuoto, ci licenziano a tutti quanti“. Tra i medici sette sono in servizio al reparto di Anestesia, gli altri lavorano Psichiatria, Pediatria e al 118. Le frasi captate dimostrano “il clima di illiceità presente all’interno delle strutture oggetto dell’indagine” e “la spregiudicatezza con cui venivano poste in essere le condotte criminose”.
Per gli indagati obbligo di firma prima e dopo il lavoro. Il danno complessivo alle case dello Stato è stato stimato in 21.406 euro, che sono stati sequestrati sui conti correnti degli indagati. La misura emessa dal gip è stata eseguita in varie località di residenza dei sanitari indagati, a Napoli, Caserta, Carinola, Sessa Aurunca, Mondragone, Cellole, Casagiove, Teano, tutte in provincia di Caserta, e a Gragnano (Napoli). L’inchiesta è iniziata nel febbraio 2017: oltre alle intercettazioni i carabinieri hanno installato telecamere vicino a tutti gli orologi presenti nell’ospedale e vicino all’uscita secondaria  sul retro della struttura che molti usavano per andare via durante l’orario di lavoro. Secondo gli investigatori tra medici esistevano un accordo per timbrare il cartellino ed assentarsi. Anche per tutto l’intero turno. In alcuni casi timbravano e andavano via in altri casi non varcavano neanche la porta dell’ospedale mentre altri colleghi timbravano per loro. Per sei posizioni – fanno sapere i carabinieri – sono stati raccolti elementi indiziari riguardo al reato associativo per la commissione di truffa e false attestazioni ai danni della Asl di Caserta.

Questo è quello che è stato fatto fin’ora dal M5S in 9 mesi di governo. - Viviana Vivarelli

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– Legge spazza corrotti
– Legge Reddito di cittadinanza
– Taglio delle pensioni d’oro
– Taglio dei vitalizi
– Aumento pensioni minime
– Pensioni di cittadinanza
– Decreto Sblocca-cantieri
– Decreto emergenze territorio
– Riduzione delle tariffe di gas e luce dal prossimo trimestre
– Rimborso ai cittadini truffati dalle banche
– Progetto Salario minimo orario garantito ai lavoratori
– Decreto Dignità del lavoro
– Fondo milionario per le start-up
– Taglio del 30% delle tariffe INAIL alle imprese
– Riduzione IVA per medie e piccole imprese
– Blocco aumento IVA per i consumatori
– Progetto di taglio del 100% IMU su capannoni per le           imprese
– Blocco trivellazioni
– Sblocco assunzioni Sanità
– Progetto Acqua pubblica
– Incentivi per i veicoli eco-sostenibile
– vietati i pignoramenti della prima casa….
– corrotti immediatamente cacciati dal Movimento
– candidati scelti dalla base
- parte degli emolumenti dei parlamentari dati a un fondo che fa da garanzia alle medie e piccole imprese
Voi che odiate tanto il M5S, cos’è che non vi piace?

UN ESPRESSO AVVELENATO. - Gianluca Ferrara

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In un articolo di questa settimana “L’espresso” ha definito noi parlamentari del Movimento Cinque Stelle: “incapaci”, “umiliati”, “vessati”, “palude”, “gregge fantozziano”, “anime morte”. 
Un attacco durissimo. In realtà, tale virulenza è solo l’ultimo rantolo di un giornalismo servizievole, ma morente, senza più alcuna dignità avvinto ai partiti e ai loro padroni. 
Eppure in un tempo non molto lontano questa testata ha prodotto inchieste davvero interessanti, prima di divenire strumento asservito a quel sistema che vede nel M5S un pericolo mortale. 
E’ evidente che noi siamo l’unica forza politica davvero innovativa, l’unica realtà in grado di sovvertire certe dinamiche consolidate da anni da quella miscela inquietante di massoneria, mafia, potentati economici finanziari e servizi segreti stranieri, falsamente divisi in destra e sinistra. Commetteremo degli errori, ma noi le mani le abbiamo pulite e libere.
Scrivo questa breve riflessione pensando ai miei colleghi del Senato che sento più come familiari che donne e uomini con cui condivido un’esperienza lavorativa così intensa e importante. Persone meravigliose che hanno messo da parte la loro professione e le loro famiglie per servire il Paese attraverso questo strumento a servizio dei cittadini che è il M5s.
A differenza delle menzogne veicolate nell’articolo dell’Espresso che ci descrive come dei trogloditi, il nostro gruppo parlamentare ha il più alto numero di laureati, il “problema” è che siamo stati scelti non da segretari di partito ma dai nostri iscritti. Il nostro “difetto” è che non abbiamo, prima delle elezioni, dovuto stipulare un contratto con cui ci impegnavamo a versare, in caso di elezione, alcune decine di migliaia di euro al proprio partito. Perchè i valenti giornalisti dell’Espresso non fanno un’inchiesta su questa forma di tangente? 
Perchè non hanno scritto che dall’inizio della nostra esperienza parlamentare tagliandoci lo stipendio abbiamo versato quasi 100 milioni di euro al fondo del microcredito che ha generato 16.000 posti di lavoro? Perché, invece, non hanno ricordato, che personaggi quali Matteo Renzi (tanto apprezzati dalla proprietà dell’Espresso) non ci viene quasi mai in quel Senato della Repubblica che voleva abrogare? E’ noto che Renzi è dedito a viaggiare in giro per il mondo tenendo conferenze a pagamento come ex presidente del Consiglio. Eppure io che ho circa il 99% delle presenze il signor Renzi, non l'ho quasi mai visti seduto negli scranni del Senato. 
Renzi e tanti altri lo stipendio lo incassano integralmente, noi “onorevoli nessuno” lo condividiamo con chi vuole creare un’attività o con i colpiti da alluvioni.
Mi sembra inaccettabile che siano scritte certe falsità, offese da giornalisti che ricevano finanziamenti pagati anche da quegli 11 milioni di italiani che ci hanno votato alle elezioni. L’Espresso (ma anche Repubblica entrambi del Gruppo Editoriale Gedi) se ne facesse una ragione serve molto di più per fermarci, perchè “è difficile vincere contro chi non si arrende mai”.


(Gianluca Ferrara - portavoce M5S in Senato, laureato in Scienze politiche.)

https://www.facebook.com/Gianluca.Ferrara.Saggista/photos/a.360932784031626/1415864211871806/?type=3&theater

Leggi anche l'articolo di "L'Espresso" di Repubblica.it:

http://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2019/04/01/news/m5s-onorevole-nessuno-gaffe-1.333135?ref=HEF_RULLO

Agricoltura, il primo eco-diserbante è italiano: “Tutto è nato per salvare le api”. - Silvia Bia

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Si tratta di un composto a base di scarti di malvasia, lana e olio d’oliva scoperto da un team di ricercatori e imprese capitanato da Daniela Ducato, responsabile della filiera “Edizero Architecture for peace”. L’idea, maturata dopo anni di sperimentazioni e ricerche, è nata da un’esigenza molto concreta: salvare le api che morivano a causa degli agenti chimici dei diserbanti tradizionali.

Niente additivi chimici, glifosati e sostanze che avvelenano l’ambiente. Dall’Italia, e in particolare dalla Sardegna, arriva il primo eco-diserbante che promette di sostituire i tradizionali preparati sintetici considerati nocivi per coltivazioni, animali e anche per l’uomo. Il segreto? Un composto a base di scarti di malvasia, lana e olio d’oliva scoperto da un team di ricercatori e imprese capitanato da Daniela Ducato, responsabile della filiera “Edizero Architecture for peace”, che da anni lavora nel campo della bioedilizia e dell’agricoltura con innovazioni a zero impatto sull’ambiente che vanno dall’isolamento termico alle tinture o ai filtri marini.
“Nella realtà di tutti i giorni siamo sedotti da tutto quello che è chimico, ma le soluzioni alternative ci sono e possono dare risultati anche migliori, è soltanto una questione culturale” spiega Daniela Ducato, che con i suoi progetti è stata premiata recentemente in India tra i rappresentanti delle dieci migliori realtà più innovative al mondo. Il problema, chiarisce, “è che non ci rendiamo conto del pericolo delle sostanze che vengono utilizzate con tranquillità per esempio per il trattamento del verde urbano, e che invece nascondono seri rischi per gli animali domestici come cani e gatti, ma anche per i bambini che frequentano i parchi, o per noi stessi che mangiamo determinati prodotti”.
“Non ci rendiamo conto del pericolo delle sostanze usate per il trattamento del verde urbano. Nascondono seri rischi per gli animali domestici e per i bambini”
Una delle ultime trovate della squadra di lavoro messa insieme dall’innovatrice sarda è stato proprio l’eco-diserbante Natural Weed Control, un diserbante completamente naturale prodotto all’interno della filiera Ortolana, primo al mondo nel suo genere e già sperimentato con successo dall’Italia agli Stati Uniti. “Con Ortolana eravamo già impegnati nel campo degli agritessili, in cui utilizziamo prodotti tessili per il risparmio idrico e la rigenerazione del suolo – racconta Ducato – Volevamo fare un passo in più per creare qualcosa di naturale che potesse contribuire alle coltivazioni senza nuocere agli addetti ai lavori e ai consumatori finali, ma soprattutto che potesse essere messo in commercio e risultare competitivo sul mercato”.

Nel caso del bio-diserbante di Ortolana, tutto è cominciato dalle api. L’idea infatti, maturata dopo anni di sperimentazioni e ricerche, è nata da un’esigenza molto concreta: salvare le api che morivano a causa degli agenti chimici dei diserbanti tradizionali e salvaguardare allo stesso tempo l’agricoltura dagli effetti nocivi delle sostanze. “In Sardegna ci sono moltissimi apicoltori che chiedevano aiuto in quel senso, l’input è arrivato dall’associazione nazionale Città del Miele – racconta l’ideatrice del progetto –. Le api e le farfalle sono le prime a risentire delle conseguenze sui trattamenti del terreno, ma hanno la funzione importantissima di impollinare. Volevamo qualcosa che potesse risolvere il problema senza danneggiare l’equilibrio della natura”.
“Le api e le farfalle sono le prime a risentire delle conseguenze sui trattamenti del terreno, ma hanno la funzione importantissima di impollinare”
risultati hanno richiesto ricerche, studi e confronti con altre realtà che hanno collaborato alla realizzazione del prodotto finale, grazie anche alla sinergia creata da Coldiretti tra i vari attori in campo. Si è arrivati così a un mix virtuoso: dall’ingrediente della Malvasia di Bosa delle cantine Silattari alle macchine dell’azienda Cavalli&Cavalli, fino a Marco Cau, il laboratorio Agritettura e naturalmente alla linea Ortolana, che si occupa di agritessili e di produzioni agricole bio.

Fulcro dell’eco-diserbante è la lana di pecora, a cui si aggiungono scarti di olio d’oliva e altri ingredienti come le eccedenze delle lavorazioni vitivinicole e gli estratti dalla pulizia delle arnie, tra cui propoli o miele. Tutti elementi di scarto insomma, in grado di creare insieme un diserbante al cento per cento naturale che svolge la sua funzione non grazie agli agenti chimici, ma attraverso il vapore e il calore.
“Mettendo insieme questi elementi la pianta intrappola il calore e si secca già dopo due giorni dal trattamento. Inoltre le altre sostanze– chiarisce Ducato – favoriscono un effetto prolungato senza creare problemi al suolo o alterare il suo ph”. A seconda della composizione, il bio-diserbante può essere sfruttato per la protezione di orti, vigneti, frutteti e per il trattamento del verde urbano. E tutto, senza inquinare e con la massima sicurezza di dei consumatori e degli agricoltori, che possono utilizzarlo senza mascherine o protezioni, in quanto tutti gli elementi sono naturali. “Non possiamo permetterci di essere uguali agli altri – continua Ducato – la nostra ‘chimica verde’ deve avere migliori prestazioni di quella tradizionale”.
“Non possiamo permetterci di essere uguali agli altri la nostra ‘chimica verde’ deve avere migliori prestazioni di quella tradizionale”
Le performance del nuovo prodotto ideato dal team di impresericercatori hanno già ricevuto apprezzamenti non solo in Italia, ma anche in Francia e perfino negli Stati Uniti. L’eco-diserbante è stato utilizzato con successo per debellare le erbacce che crescevano incontrastate nelle aree urbane di Cagliari: “Il Comune ha provato di tutto, alla fine hanno chiamato noi e sono stati soddisfatti”.

Ma Sardegna e Italia non sono i soli a fare uso del primo diserbante bio al mondo. In Francia i viticoltori, ancora prima di quelli italiani, hanno già fatto incetta del prodotto e negli Usa l’eco-diserbante è impiegato da Gea Group, leader nella coltivazione di piante farmaceutiche, tra cui la pervinca del Madagascar, che serve per la cura della leucemia. Per ora i macchinari modificati ad hoc per il prodotto sono tre, ma il mercato è destinato a crescere insieme agli impieghi del diserbante, come dimostra l’interesse dimostrato in tutto il mondo per l’innovazione. Uno dei prossimi passi sarà quello dell’utilizzo pensato per le famiglie, magari per la coltivazione di piccoli orti casalinghi. Ma è solo l’inizio. “Nel settore c’è ancora molto da fare – conclude Ducato – Noi abbiamo avuto il ruolo di apripista e non ci tiriamo indietro, siamo fiduciosi che si possa andare sempre più avanti in questa direzione”.

lunedì 1 aprile 2019

COME PARLARE SEMPRE MALE DEI 5 STELLE E VIVERE FELICI (SOPRATTUTTO IN TIVÙ). - Andrea Scanzi

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Ti hanno invitato a un dibattito? A cena si parla del governo? Al bar non ti danno il cappuccino se prima non dici come la pensi su Paola Taverna? Niente paura: corri in edicola e acquista “Come parlare sempre male dei 5 Stelle anche se in realtà stai parlando di filosofia teoretica”. Autori vari, EdizioniCarofiglio Umile, costo 180 euro (però ben spese). E’ un libro irrinunciabile, che parte dall’unico assioma della politica attuale: i 5 Stelle hanno torto anche quando hanno ragione. Oppure, se preferite, “i grillini ci hanno la rogna”. E’ un po’ la versione nostrana del noto paradosso di Edward Lorenz: "Può, il batter d'ali di una farfalla in Brasile, provocare un tornado in Texas?". Oggi la frase è diventata così: “Può un ruttino di Mario Giarrusso provocare la Terza Guerra Mondiale?”. La risposta è “sì”, perché l’unica certezza nella vita è che i 5 Stelle sono il Male e il Pd il Bene. Ce lo ha ricordato due giorni fa a Otto e mezzo anche Alessandro De Angelis, autoproclamatosi “quirinalista” per mancanza di prove, che mentre si parlava di quel troiaio del Congresso delle Famiglie di Verona (su cui la pensa come i 5 Stelle, ma non può dirlo), ha buttato la palla in tribuna dicendo che “però il M5S ha appoggiato il Dl Salvini e la legge sulla legittima difesa, quindi sta uccidendo i diritti”. Tutte cose che in quel momento non c’entravano nulla, e dunque per De Angelis andavano benissimo. Raggiungere il talento dei “sermonisti” catodici oggi di moda non è facile, ma il libro vi aiuterà a muovervi nell’agorà politica con esempi concreti. Eccone tre.

Sessismo e Toninelli. I 5 Stelle si stanno battendo per aumentare le pene sul femminicidio, varare una legge ad hoc sul revenge porn e contrastare i troppi Gandolfini. Però non si può dire, perché i grillini sono - per antonomasia – omofobi e sessisti: garantiscono Cirinnà e Costantino della Gherardesca. Quindi, se qualche odioso Travaglio vi sta ricordando alcune mosse in apparenza condivisibili dei 5 Stelle, voi non fidatevi. E spostate subito a caso il tema del dibattito. Tipo: “Sì, però diciotto anni fa mi han detto che Toninelli guardò il culo di un ragazza mentre faceva la fila per comprare due etti di migliaccio in una macelleria di Crema, quindi è sessista. C’era anche Severgnini che può confermare”. Se lo direte, non mancherà una Marianna Aprile ad applaudirvi, per aggiungere poi che (testuale) “i 5 Stelle hanno un’idea ancillare della donna”.

Povertà e Di Maio. Non conta nulla che i 5 Stelle abbiano varato Decreto Dignità, reddito di cittadinanza e (si spera) salario minimo, tutte cose che se le avesse fatte Zingaretti oggi Giannini lo paragonerebbe come minimo a Bordiga. Non conta: i grillini restano – per antonomasia – fascisti e schiavisti. Quindi, anche qui, dovete spostare l’attenzione. Per esempio: “Queste sono armi di distrazioni di massa della propaganda grillina. La verità è che Di Maio, quando faceva il bibitaro, una volta rubò una Zigulì allo stadio ed è stato proprio il mancato gettito di quell’acquisto a provocare la crisi mondiale”. Se poi aggiungerete che a 17 anni Di Maio trafugò pure un UniPosca in una tabaccheria di Afragola “ed è per questo che oggi mancano le coperture”, Giannini vi erigerà una statua equestre.

Corruzione e Bonafede. La Spazzacorrotti è (più o meno) quella legge che milioni di elettori avrebbero voluto dal centrosinistra nell’infinito lasso di tempo intercorso tra il 1994 e il 2018, ma anche questo non si può dire. Quindi confutate tutto, possibilmente senza argomenti. Tipo: “La deriva giacobino-grillina è un pericolo per le libertà faticosamente conseguite col sangue dei nostri avi”. Pausa. Poi (con l’aria di un Augias che ti rivela il senso della vita): “Mio nonno era partigiano con Pertini. Fu proprio Sandro, durante i lunghi anni della prigionia, a dirgli che il problema del Paese non era il fascismo bensì Bonafede. Che non era ancora nato, ma già rompeva i coglioni”.
Cosa aspettate? Comprate il libro e, nel dubbio, date sempre la colpa ai 5 Stelle: i tanti Zucconi, nel senso di Vittorio (ma forse non solo), ve ne saranno grati.

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