lunedì 29 aprile 2019

Antico Egitto, archeologa ritiene di aver trovato una nuova donna faraone: svelati altri misteri su Tutankhamon.



Tutankhamon, le sue sorelle, l'incesto tra i suoi genitori: nuovi pezzi del misterioso puzzle che avvolge l'antico Egitto sono stati messi al proprio posto.

Due delle sorelle di Tutankhamon, e non una come si pensava, sono salite insieme sul trono d’Egitto dopo la morte del padre Akhenaton. É quanto emerso da uno studio condotto dalla professoressa Valérie Angenot, egittologa e storica dell’arte presso l’Università del Quebec a Montreal (UQAM). Gli esperti avevano scoperto già 50 anni fa che nel 14° secolo a.C., una regina-faraone aveva preceduto Tutankhamon sul trono. Alcuni pensavano che fosse Nefertiti, la moglie di Akhenaton, autoproclamata “re” alla morte del marito. Per altri si trattava della figlia maggiore di Akhenaton, la principessa Meritaten.



“Fino ad ora, l’uso di documenti iconografici veniva fatto in maniera piuttosto intuitiva“, ha spiegato l’archeologa Angenot. La docente universitaria di Montreal ha quindi condotto un’analisi basata sulla semiotica, che secondo lei ha rivelato come due figlie di Akhenaton presero il potere alla sua morte, dato che il fratello Tutankhamon, che aveva solo quattro o cinque anni, era ancora troppo giovane per regnare.

Akhenaton, che aveva sposato sua figlia primogenita Méritaton per prepararla a governare, avrebbe anche associato al potere un’altra delle sue figlie, Neferneferouaton Tasherit. Le due sorelle sarebbero salite insieme sul trono, assumendo insieme il nome di Ankhkheperure al momento dell’incoronazione. Lo studio di alcune parti del tesoro di Tutankhamon, scoperto nel 1922 dall’archeologo inglese Howard Carter, ha rivelato che il re-bambino aveva usurpato gran parte del corredo funerario della regina-faraone Neferneferuaten Ankhkheperure. Lo storico dell’arte ha anche analizzato una stele esposta al Museo Egizio di Berlino che mostra due figure sedute sul trono, una che accarezza il mento dell’altra.



“Abbiamo fatto ogni sorta di supposizioni al riguardo: che fosse raffigurato Akhenaton divenuto omosessuale, Akhenaton con suo padre, o Akhenaton e Nefertiti“, ricorda. “Mi sono reso conto che questo gesto di carezzare il mento in realtà veniva fatto solo dalle principesse, nel 100% dei casi“. L’egittologo, inoltre, aveva studiato diverse sculture di teste reali anonime che sono stati precedentemente attribuite a Akhenaton, Nefertiti e Tutankhamon. “Dato che l’arte egizia funziona su sistemi proporzionali, ho fatto il confronto tra queste statue con le sculture delle principesse già note e combaciano perfettamente, ho potuto dimostrare che alcune sculture reali erano in realtà teste delle principesse che divennero faraoni“, aggiunge.



La ricercatrice ha recentemente presentato le sue scoperte ad un raduno di egittologi in Virginia, negli Stati Uniti. “L’egittologia è una disciplina molto conservatrice – ha aggiunto la studiosa – ma la mia idea è stata sorprendentemente ben accolta, con l’eccezione di due colleghi che si sono mostrati ferocemente contrari. Penso che possa progredire la nostra comprensione delle antiche questioni relative alla successione in Egitto – ha concluso la professoressa – ma soprattutto la nostra conoscenza del periodo Amarna intrigante che ha visto la nascita del monoteismo primo” oggetto di accesi dibattiti per secoli.


http://www.meteoweb.eu/2019/04/antico-egitto-archeologa-ritiene-di-aver-trovato-una-nuova-donna-faraone-nuove-rivelazioni-su-tutankhamon/1255428/?fbclid=IwAR2uvxBA42gRIV4jjOairxS0B72uukEaLmIbA3ogE72dSZGZ1Ozv9yfEKQc

domenica 28 aprile 2019

I miei glicini.




Rinnovabili, figli di Nicastri e Arata ricorrono al Riesame Chiesta restituzione di pc e telefoni sequestrati dalla Dia.



Manlio Nicastri e Francesco Arata sono tra gli indagati dell'inchiesta della procura di Palermo, che coinvolge anche il sottosegretario leghista Armando Siri. Per i magistrati, il gruppo avrebbe agito nell'interesse del re dell'eolico ritenuto vicino al boss Messina Denaro.


Restituire i computer e i cellulari sequestrati su disposizione del tribunale. Questa la richiesta fatta dai legali di Manlio Nicastri Francesco Arata, figli rispettivamente del re dell'eolico Vito - imprenditore ritenuto vicino a Matteo Messina Denaro e su cui pende una richiesta di condanna a 12 anni per concorso esterno in associazione mafiosa - e Paolo,  ex deputato di Forza Italia e oggi consulente della Lega, che per i magistrati avrebbe portato avanti gli interessi di Nicastri.
A essere coinvolti nell'inchiesta, che coinvolge anche il sottosegretario leghista Armando Siri, sono gli stessi Manlio Nicastri e Francesco Arata. Per i magistrati entrambi hanno avuto un ruolo nell'attività di corruzione che si sarebbero registrate sia all'interno dell'assessorato regionale all'Energia che nel Comune di Calatafimi. Nel mirino della Dia sono finite mazzette per oltre 130mila euro. 
La famiglia Arata, per gli inquirenti, avrebbe inoltre fatto da prestanome per Nicastri, assumendo la titolarità di una piccola galassia di società attiva nel settore delle rinnovabili. Gli interessi di Nicastri - divenuto famoso per gli ingenti investimenti nell'eolico - ultimamente si sarebbero spostati su altre fonti alternative, come la produzione del biometano. Tale tecnologia è finita anche nel contratto di governo tra Lega e Movimento 5 stelle: a spingere affinché venisse fatto un riferimento alla necessità di investire in questo settore sarebbe stato il sottosegretario Siri. Per i magistrati, il senatore leghista avrebbe agito imbeccato da Arata in virtù del loro rapporto. L'ex parlamentare di Forza Italia sarebbe stato tra i principali sponsor di Siri per la nomina a sottosegretario.
https://meridionews.it/articolo/77176/rinnovabili-figli-di-nicastri-e-arata-ricorrono-al-riesame-chiesta-restituzione-di-pc-e-telefoni-sequestrati-dalla-dia/

Spero vivamente che i giudici respingano la richiesta. Questa gente, se verrà confermata e provata la colpevolezza contestata, va condannata a vita!

Il Pd, ne vogliamo parlare?


Il Pd, contestando il reddito di cittadinanza, ribadisce che i cittadini vogliono il lavoro e non gli aiuti economici... ma hanno capito che i cittadini, tutti, non solo i loro raccomandati, hanno diritto ad avere un lavoro?
Tramite i sindacati, che altro non sono che un trampolino di lancio per gli scansafatica che ambiscono entrare in politica, i sedicenti piddini, infatti, si sono appropriati di considerevoli pacchetti di lavori precari che distribuiscono a piacimento solo a chi li sostiene economicamente e li vota.
Hanno nelle mani il potere che elargiscono a loro scelta: - inviando alle università elenchi di loro protetti che "debbono" superare le prove attitudinali per iscriversi alle facoltà a numero chiuso (la notizia è attendibile perchè ricevuta da fonte meritevole di fede); - inviando alle sedi opportune elenchi di chi, pur non essendo portatore di invalidità di alcun tipo, percepisce l'assegno di invalidità, lo stesso assegno negato a chi un'invalidità ce l'ha davvero, ma non li vota; - inviando elenchi di chi, meritevole di servilismo o di non si sa quale peculiarità, debba coprire posti di prestigio e responsabilità nelle aziende ....
E i risultati dello scempio provocato dai loro favoritismi sono sotto gli occhi. di tutti... Hanno superato ogni limite, non hanno più etica, sono lontanissimi dagli ideali di lealtà che la sinistra dovrebbe fare suoi. Altro che Partito Democratico, quella "d" tanto ed a lungo bistrattata senza ritegno, dovrebbe essere interpretata con tutt'altro significato...
Io non mi sento più rappresentata dal Pd, anzi, MI SENTO TRADITA!!!! by Cetta

venerdì 26 aprile 2019

Li chiamano “guru”: aiutano i politici a comunicare cazzate. - Alessandro Robecchi

Luca Morisi post

il Fatto Quotidiano 24 aprile 2019) – Provenienza sanscrita, termine caro agli indù, quattro lettere: Guru. Che significa più o meno maestro spirituale. Bello. Sul come e sul perché un termine così antico, denso e nobile sia – qui e ora – appiccicato a gente che maneggia Facebook e Twitter con disinvoltura da nerd ripetente sorvoliamo volentieri: l’arte di maltrattare le parole è un classico della politica italiana, si pensi alle molte volte che si è scomodato il termine “statista” per gente a cui non avreste affidato nemmeno una gelateria. Ora, dopo la foto pasquale di Salvini col mitra, eccoci di nuovo a parlare di guru, e quello di cui si discute oggi si chiama Luca Morisi a cui, sia detto per inciso, paghiamo lo stipendio tutti. Un guru statale, insomma.

COME SI SA, la vita del “guru della comunicazione” ha solitamente tre fasi. La prima: un illustre sconosciuto insegna al politico di turno come si accende un iPad, come si scrive un tweet, come si concentra un pensiero (quasi sempre debolissimo) in 280 caratteri di testo. Poi c’è la fase del trionfo: se il politico a cui il guru fa da badante ha qualche successo (anche virtuale), arriva la celebrazione. Uh, come è bravo il guru, uh, come è forte il guru, con tanto di giornalisti, commentatori e direttori che pendono dalle sue labbra, che si inginocchiano adoranti, magari in cambio di una confidenza, della promessa di un’intervista al Capo, di un segno di attenzione. 

La terza fase, triste, solitaria y final, è quella del viale del tramonto: quando le fortune del leader badato si offuscano, quando la popolarità scende perché finalmente ci si accorge che tutta quella strabiliante comunicazione era quel che era, fuffa e furbizia. E allora non solo del guru non si ricorda più nemmeno il nome, ma il politico di turno si accanisce su di lui e dice: “Non abbiamo saputo comunicare!”. Inutile riassumere le puntate precedenti, ma insomma, chi ricorda le fotine seppiate di Renzi che lo facevano sembrare un Bob Kennedy toccato dalla grazia, sa di cosa si parla. Sul guru d’importazione Jim Messina, pagato fior di migliaia di euro per perdere un referendum devastante, caleremo un velo pietoso.

Ora, da qualche tempo, c’è un nuovo guru in città, ed è questo Luca Morisi, assunto al Viminale, pagato da noi per maggior gloria di Salvini Matteo. Uno che parla di “esistenzialismo salviniano”, ossignur, e a cui i giornali dedicano articoli e riflessioni, per dire – in fondo – sempre la stessa cosa: uh, quanto è bravo il guru! Siamo insomma nella fase due, quella del trionfo, quindi basta aspettare. Naturalmente, e giustamente, molti notano che non è bello (e non ci sono esempi analoghi nella recente storia delle democrazie occidentali) un ministro dell’Interno descritto come “Armato e con l’elmetto”(testuale) e fotografato con in mano un mitra. Suona un po’ minaccioso, diciamo, ed è il solito impasto di vittimismo e aggressività: “Vi siete accorti che fanno di tutto per gettare fango sulla Lega?”, comincia il post del guru che stipendiamo tutti. Cioè: poveri noi, ci gettano fango! Che ingiustizia! Scatta poi l’elemento aggressivo e minaccioso del “Siamo armati e con l’elmetto”, con fotina del leader mitraglietta alla mano (nella foto compare pure il guru, pare preoccupato che parta un colpo, a dirla tutta). Il meccanismo comunicativo non è diverso da quello dell’ex marito stalker che aspetta sotto casa l’ex moglie: fase uno, vittimismo (“Guarda cosa mi hai fatto!”); fase due, aggressività: “Guarda che ho un coltello”.

PER FARSI perdonare, dopo qualche ora, ecco la foto di Salvini con tre pupazzi di peluche. Messaggio: è armato e con l’elmetto, ma è anche un tenero cucciolone. Una cosa che sarebbe considerata troppo scema anche in una quarta elementare, se la classe non fosse impegnata a battere le mani e a dire: “Bravo guru!”.

https://infosannio.wordpress.com/2019/04/24/li-chiamano-guru-aiutano-i-politici-a-comunicare-cazzate/?fbclid=IwAR0si9kBKhG05Z7unC6f0FPgUIzGKR-97lRrvKLDGHntUHr99J9o8goVIvc

martedì 23 aprile 2019

Ora che Berlusconi affonda, i topi fuggono. - Massimo Fini

topiPDL

Sul Fatto del 15.4 Antonello Caporale fa un divertente elenco dei transfughi di Forza Italia che lasciano ‘in articulo mortis’ Silvio Berlusconi cercando un approdo più o meno sicuro nella Lega o dalla Meloni. Fra i più noti ci sono Elisabetta Gardini, Denis Verdini, Vittorio Sgarbi, Paolo Bonaiuti, seguiti da una serqua di consiglieri regionali, comunali e altri che hanno incarichi di rilievo in quel partito. Caporale nota che fra coloro che hanno disertato e che si vergognano un po’ di questo voltafaccia, l’ipocrita formula di rito è: “Lascio Forza Italia dopo una lunga e dolorosa riflessione”.
Una menzione speciale fra questi voltagabbana meritano Bonaiuti e Sgarbi. Quando lavoravo al Giorno negli anni 80, e Silvio Berlusconi non era ancora apparso sulla scena politica, il collega Bonaiuti era più a sinistra di Satanasso e io, per lui, naturalmente un “fascista”. Sotto le elezioni del 1996 la direttrice di Annabella mi chiese di fare un’intervista al Cavaliere. Gli accordi erano che avrei mandato delle domande scritte all’Ufficio stampa di Roma e poi mi sarei incontrato ad Arcore con Berlusconi. “Telefona al capo dell’Ufficio stampa”. Telefonai. Dall’altro capo del filo mi rispose proprio Paolo Bonaiuti. Ne rimasi un po’ stupito. “Ah, sei tu?” dissi un po’ sorpreso non avendo ancora percepito –siamo ancora all’inizio dell’esperienza berlusconiana- la slavina di trasformisti, di sinistra e di estrema sinistra, che in seguito sarebbe diventata una vera e propria valanga, che si stava attaccando alla giacca del Cavaliere. L’intervista poi non si fece perché Bonaiuti farfugliò su alcune domande che potevano mettere in imbarazzo il Cavaliere. Ma non fu questo che mi colpì, mi colpì l’assoluta disinvoltura di Bonaiuti che nemmeno con me, che conoscevo i suoi precedenti, si vergognava un po’.
Comico è il pretesto preso da Vittorio Sgarbi per filarsela. Del resto in anni lontani Patrizia Brenner allora sua fidanzata e che lo conosceva bene mi aveva preavvertito: “Guarda che se Berlusconi dovesse vacillare di Vittorio si vedrà solo la polvere della sua fuga”. Qual è il pretesto preso da Sgarbi? Lo “schiaffo di Sutri” (parafrasando lo storico “schiaffo di Anagni”, noblesse oblige): aver disertato “per ben due volte” la cerimonia di intitolazione di un giardino alla madre dello stesso Berlusconi. Di Sutri Sgarbi, che come politico non ha mai combinato assolutamente nulla, è sindaco per meriti berlusconiani: l’aver attaccato per vent’anni, dalle tv del Biscione, nei modi più violenti e giuridicamente sgrammaticati, per star bassi, la Magistratura. Sutri è una cittadina di 6.000 abitanti. Come si può pretendere che un uomo di 83 anni, malato, che entra ed esce dagli ospedali, che ha ancora importanti impegni politici si sobbarchi un viaggio a Sutri per non offendere la ‘delicatezza’ di Sgarbi?
I transfughi di oggi devono tutto a Silvio Berlusconi, onori, improbabili carriere, quattrini. A me fanno più ribrezzo di Berlusconi che nella sua più che ventennale avventura politica ha messo la propria enorme energia, gli altri sono solo dei parassiti che gli hanno succhiato il sangue.
Sia chiaro che io non cambio una virgola di ciò che penso di Berlusconi, che proprio in questi giorni mi ha querelato per una dozzina di articoli che ho scritto su di lui, querela che se dovesse andare a buon fine mi ridurrebbe sul lastrico e forse al gabbio. Cosa, quest’ultima, che non mi dispiacerebbe poi tanto perché in un Paese dove Berlusconi è a piede libero il solo posto decente per una persona normalmente perbene è la galera. Ma i topi che lasciano la nave che affonda mi danno ancora più disgusto. Sto dalla parte di Alessandro Sallusti che da direttore del Giornale difende l’ultima ridotta berlusconiana, come i guerriglieri dell’Isis si sono difesi a Baghuz. Coraggio Alessandro, se si deve cadere, è molto più nobile e coraggioso cadere in piedi.
Massimo Fini

FALLIMENTO DELL'ESPRESSO. - Tommaso Merlo




Che l’Espresso (di De Benedetti) stia fallendo è davvero una bella notizia perché lascerà spazio ad altri progetti editoriali che i cittadini riterranno degni di essere letti. A far chiudere i giornali in Italia non è qualche dittatore gialloverde, sono i cittadini che non li comprano più. Evviva la democrazia! E quando il governo gialloverde taglierà gli ultimi finanziamenti all’editoria, altre testate seguiranno l’Espresso nel baratro. (sono già falliti La Padania, l'Unità, Europa, Liberazione, il Secolo d'Italia; dal 2003 ad oggi lo Stato ha versato oltre 230 milioni di euro nelle casse di 19 testate di partito, l’80% delle quali è fallito) Era ora. E così sul mercato rimarrà chi fa giornalismo all’altezza dei tempi e dei lettori. Evviva la liberà di mercato. Evviva la libertà di espressione. Nessuno dice infatti che l’Espresso debba cambiare idea o smetterla di attaccare i gialloverdi, macché, che continui puri, anzi, che alzi i toni se gli fa piacere, ad una sola piccola condizione, che lo faccia coi soldi dei suoi padroni o dei suoi lettori e non coi soldi dei contribuenti. E visto che i lettori se la sono data a gambe levate, all’Espresso sono rimaste due possibilità. O convince i De Benedetti a vendere ville e yatch e gioielli di famiglia per pagare gli stipendi dei loro giornalisti oppure abbassare la saracinesca e mandare le penne rosse a lavorare. E good luck. Sta finendo un’era. Finalmente. L’Italia ha girato pagina, è andata avanti. Il giornalismo no, è rimasto indietro politicamente ma anche culturalmente. È figlio di un mondo che non esiste più. Ed è questo il problema. La stampa dovrebbe essere una delle avanguardie della società, un luogo che informa onestamente la cittadinanza ma anche dove si ragiona, s’immagina, si contribuisce in qualche modo al pensiero e al dibattito di una comunità nazionale. La stampa italiana oggi è drammaticamente piatta e distante dalla società. È retrograda e conservatrice. Sa di muffa. È lenta, scontata e le sue parole sono vaghe e vuote come quelle di certi professoroni alla vigilia della pensione o di certi preti anziani che hanno perso la vocazione e predicano in chiese desolatamente vuote. Ostaggio di vecchi soloni rimbambiti, la stampa italiana predica e si lagna sbandierando stracci sgualciti senza avere la forza di penetrare nella realtà e soprattutto guardare avanti. Riesce solo a guardare indietro, appiccicando etichette anacronistiche, replicando ricette ormai nauseabonde. Come impedita da paraocchi ideologici che la fanno sbattere contro i muri delle proprie ammuffite convinzioni. Il perché è semplice. La stampa italiana è una delle sacche in cui si è annidato il vecchiume pre 4 marzo. È una casta reduce del vecchio regime e dal dente avvelenato che rifiuta il cambiamento perché per molti di loro significherebbe perdere carriere e status e la pestifera certezza di essere nel giusto in quanto casta intellettualmente e moralmente superiore. Ego e depravazione elitaria di categoria. Ma anche bassa politica. La stampa oggi è una protesi malconcia delle paturnie ideologiche del passato e di una fase partitica tra le più fallimentari della storia repubblicana. E ne riflette il peggio. Chi dirige la stampa sono anziani o polli di batteria che fino a ieri leccavano i deretani di qualche politicante di destra o di sinistra raccontando in giro la panzana della loro libertà e indipendenza che se ne avessero avuto anche solo un granello non li avrebbero mai fatti nemmeno entrare dalla porta di quelle redazioni. A seguito dello tsunami gialloverde, molta stampa è rimasta orfana di padroni politici e aree di riferimento. Da un giorno con l’altro. Da schiava a potenzialmente libera. Ma invece di spezzare del tutto le catene e abbracciare il nuovo corso, ha preferito rimanere incatenata al passato. Invece di smetterla di far politica e cominciare finalmente a fare giornalismo, hanno addirittura esasperato il vecchio modello politicizzato sdoganando fake news e spingendo sulle campagne diffamatorie. Hanno come avuto paura della libertà perché non la conoscono, non l’hanno mai vissuta veramente. E così si son messi in proprio, si son fatti partito. Auto imprigionandosi. Si son fatti sindacati difensori di un regime moribondo, si son fatti infami boicottatori di un cambiamento che non capiscono e non vogliono capire perché sanno benissimo che dopo aver fatto fuori i loro padroni politici, quel cambiamento farà far fuori anche loro. Come infatti sta succedendo. Naturalmente, democraticamente, pacificamente. Lasciando i loro giornali a marcire in edicola ed i loro talk-show blaterare nel vuoto. Stiamo arrivando al punto di rottura. Le crepe son sempre più profonde. I resti del vecchio regime scricchiolano e barcollano preannunciando il tonfo finale. Se i gialloverdi terranno duro, l’Espresso sarà solo il primo salubre crack di una lunga serie.

https://infosannio.wordpress.com/2018/10/07/fallimento-espresso/