sabato 19 settembre 2020

Una tempesta più grande della nostra Terra: la foto incredibile pubblicata dalla Nasa. - Nico Riva

 


Una tempesta talmente grande che potrebbe inghiottire la nostra Terra senza problemi. Fortunatamente, è lontana circa 400 milioni di miglia da noi: su Giove. La nuova foto della Nasa e dell'Esa (Agenzia Spaziale Europea) è mozzafiato. 

«Un nuovo ritratto delle tempeste di Giove», scrive la Nasa su Instagram. Il telescopio dell'agenzia spaziale Hubble ha catturato uno scatto incredibile di quanto sta avvenendo sul pianeta distante 406 milioni di miglia da noi. La Grande Macchia Rossa di Giove è visibile al centro dell'immenso pianeta. La Grande Macchia Rossa infatti altro non è che una tempesta di dimensioni per noi impensabili: circa 10mila miglia di diametro. Tradotto: grande abbastanza da inglobare tutto il nostro pianeta. 
 


L'atmosfera su Giove, spiegano gli scienziati, è molto turbolenta. E ciò ha portato alla formazione (in alto a sinistra) di una nuova grande tempesta, bianca e luminosa. Questa, al momento dello scatto dello scorso 25 agosto, viaggiava sul grosso pianeta a 560 chilometri orari. Tuttavia, non si tratta di un fenomeno unico: ogni circa 6 anni, si verificano eventi metereologici di questo tipo. Ciò che ha colpito gli scienziati sono le dimensioni insolita della nuova tempesta. 

Nella foto della Nasa è inoltre possibile vedere, in lontananza sullo sfondo, la Luna di Giove, un satellite completamente ghiacciato chiamato Europa. Questa è leggermente più piccola della nostra Luna e fu scoperta da una delle menti più brillanti della storia: lo scienziato italiano Galileo Galilei. 

https://www.ilmattino.it/tecnologia/aerospazio/tempesta_terra_giove_nasa_esa_spazio_scienza-5470874.html?fbclid=IwAR1pFpxqymel3nQoPC9i5K-6ugRBTWhmlVm0sy4IZxOyJL_ren5jGLzqLM4

Un sacrosanto sì. - Tommaso Merlo

 


Tutta la stampa al guinzaglio delle lobby è schierata per il “no” al referendum. Davvero impressionante. Invece che avamposto della società, il giornalismo italiano si è ridotto a megafono dei parrucconi. Quelli dei potentati che gli pagano lo stipendio e quelli dei vecchi partiti a cui s’ispirano. Davvero sconcertante. I resti di un regime politico ma anche culturale morente che non si vuole rassegnare alla sua fine. Il quesito referendario non c’entra. La posta in gioco è tutta politica. Parlano di difesa della Costituzione quando han sempre cercato di manometterla maldestramente. Parlano di rappresentanza quando han sempre fatto di tutto per sottrarla ai cittadini con leggi elettorali vergognose e inciuci acrobatici durati anni. Dicono che servirebbe chissà cos’altro quando i loro tentativi di riforma sono sempre sistematicamente falliti. Ancora meno gli importa delle 345 poltrone in meno, di risparmiare soldi pubblici o di adeguarsi alle altre democrazie europee. Hanno sguazzato per decenni negli sprechi più aberranti moltiplicando poltrone a dismisura. La posta in gioco è tutta politica. Il vero e unico motivo per cui sono schierati per il “no” è spegnere una volta per tutte l’onda anomala del 4 marzo e ristabilire un ordine a loro più congeniale e vantaggioso. Un ordine in cui le loro lobby e i loro partiti di riferimento tornino al centro della vita politica, tornino a comandare. Vogliono che si spenga la stagione della lotta alle caste e alle sue abbuffate a sbafo. La stagione della trasparenza e della legalità e della sobrietà. La stagione del cittadino che ritorna protagonista a discapito degli appetiti delle lobby e dei rigurgiti ideologici dei vecchi partiti. La loro è ingordigia ma anche paura. Non vedono l’ora di tuffarsi a bomba nella mangiatoria europea del Recovery, ma temono anche che l’onda anomala del 4 marzo continui arrivando ad intaccare altri nervi nevralgici del vecchio regime come il conflitto d’interessi o una vera libertà di stampa. Il loro è egoismo ma anche orgoglio. Difendono col mignolino alzato il loro confortevole status ma anche la loro immaginaria superiorità culturale e intellettuale con cui riuscivano ad indirizzare le masse prima che scappassero dalle caverne le orde populiste. Non era mai successo che l’Italia cambiasse nonostante loro e perfino contro di loro. Erano ad un bivio. Potevano adeguarsi ai tempi, potevano levare il disturbo ma nella gerontocrazia italiana non se ne parla nemmeno ad un passo dalla fossa. Ed ecco le motivazioni di un regime morente che non si vuole rassegnare alla sua fine. Ed ecco le motivazioni del “no” al taglio. Tutte politiche. Spegnere una volta per tutte l’onda anomala del 4 marzo cercando di abbattere il suo principale artefice e cioè il Movimento. Ma su questo hanno ragione. Se si è arrivati così vicini allo storico taglio dei parlamentari dopo decenni che se ne parla a vanvera, il merito è tutto del Movimento che non ha mollato costringendo prima le Lega poi il Pd a seguirlo e trascinandosi poi dietro controvoglia tutto l’emiciclo. Se con un sacrosanto sì andasse in porto anche questa riforma, i reduci del vecchio regime dovranno ammettere che i cavernicoli a 5 stelle hanno cambiato di più l’Italia in due anni che loro in venti. E non finirebbe qui.

https://repubblicaeuropea.com/2020/09/19/un-sacrosanto-si/

La voce dei padroni. - Marco Travaglio


La voce dei padroni squilla forte e chiara a edicole unificate. “No”, dice il Sole 24 Ore (Confindustria). “No”, tuonano Repubblica, Stampa, Espresso, Secolo XIX, Huffington Post e giornali locali Finegil (Agnelli-Elkann-Fca). “No”, strilla il Giornale di B.. “No”, ripetono Messaggero, Mattino e Gazzettino (Caltagirone). “No”, pigola Domani, giornale senza padroni nel senso che ne ha uno solo (De Benedetti). “No”, spara Libero (Angelucci). “No”, ringhia il Riformista (Romeo). “No”, fa eco Avvenire (vescovi). I problemi nascono quando lorsignori devono spiegare perché mai si oppongano alla riduzione dei parlamentari, promessa e voluta da tutti per 40 anni, in linea col resto d’Europa: si arrampicano sugli specchi, violentano la logica, dicono e contraddicono, sommano le mele con le patate, agitano fantasmi e spaventapasseri, sparano supercazzole che oggi Zagrebelsky smonta a una a una nella magnifica intervista a Silvia Truzzi (pagine 2 e 3). Più parlano e meno convincono. Perché si capisce benissimo che dietro i loro No non c’è né la difesa della Costituzione, della democrazia, del Parlamento, della rappresentanza, dei territori, del popolo, tutti valori che la riforma non sfiora neppure.

C’è dell’altro che nessuno osa mai confessare per non gettare la maschera. Almeno fino alla discesa in campo di Billy Costacurta che, siccome era un ottimo stopper del Milan, Repubblica ha promosso a padre ricostituente. E lì, come il bambino davanti al re nudo, ha detto senza tante ipocrisie ciò che lorsignori nascondono: “Voto No perché non voglio più vedere i 5Stelle”. Evviva la faccia: finalmente, fra tanti Tartuffe, un tipo sincero. Qualcuno dovrebbe spiegargli che la riforma costituzionale è stata votata da tutti i partiti (13 volte nelle precedenti legislature, quando il M5S non c’era, e quattro in questa) e nessuno l’attribuirebbe ai 5Stelle se tutti i partiti che l’han votata fossero coerenti e la sostenessero. Peraltro il M5S non è la prima forza parlamentare in virtù di un golpe militare o di una marcia su Roma, ma di libere elezioni previste da quella Costituzione che i signori del No dicono di difendere (quando fa comodo a loro). Dunque chi vuole liberarsene può votargli contro alle elezioni regionali, comunali e politiche. Ma chi pensa di sbaragliarlo bocciando una riforma che condivide è come quel coglione che, per far dispetto alla moglie, si tagliò i coglioni. E, se nel novero ci fosse solo Costacurta, poco male. Ma c’è pure tutto il fior fiore del potere, con giornalisti al seguito. Ieri al partito di Costacurta s’è iscritto il riportino più amato dal Sistema: Stefano Folli, il quale su Repubblica ci ammonisce che “Il referendum è un voto sui 5Stelle”. Apperò.

La prosa, al solito alquanto sepolcrale, è la consueta accozzaglia di nonsense: il M5S è “lacerato”, “schiacciato”, fallito, praticamente morto (infatti governa da due anni e mezzo col suo premier); e ha pure “rinnegato buona parte dei suoi principi” (infatti sta portando a casa anche il taglio dei parlamentari: e poi non è Folli a ripetere ogni giorno che al governo i 5Stelle fanno quel che vogliono e il Pd subisce?). Ma il meglio deve ancora venire: il referendum è “una zattera di salvataggio da afferrare come ultima salvezza prima che sia troppo tardi”, anzi “un plebiscito sul ‘grillismo’”. Questo notista politico che bivacca nei palazzi da 40 anni non s’è neppure accorto che i 5Stelle del referendum avrebbero fatto volentieri a meno: l’hanno voluto contro di loro 71 senatori, quasi tutti di FI e Lega che, subito dopo aver votato il taglio in Parlamento (l’ultima volta col 98%), hanno raccolto le firme per indire il referendum e rinviare l’entrata in vigore della riforma: speravano che intanto accadesse qualcosa, tipo una crisi di governo che ci mandasse al voto prima del referendum con 945 posti in palio anziché 600. Tutto volevano fuorché regalare la “zattera di salvataggio” e il “plebiscito” ai 5Stelle.
Ma ormai i fatti sono un optional e la logica un fastidioso impaccio sulla strada della Grande Restaurazione sognata da tutti i poteri, palesi e occulti. Che infatti sperano in una disfatta del centrosinistra alle Regionali e del Sì al referendum per abbattere l’ultimo diaframma che separa le loro zanne dal bottino del Recovery Fund (e magari del Mes): il governo Conte a trazione 5Stelle in alleanza col Pd tornato a sinistra dopo le sbornie napolitan-renziane. Si spera che gli elettori “grillini” l’abbiano capito e in Liguria, Puglia, Marche e Toscana votino di conseguenza. Del resto come spiegare l’incredibile campagna contro il Reddito di cittadinanza fondata sulla fake news che ne beneficiassero i presunti assassini di Willy? La verità è che lo ricevevano tre genitori; sono stati scoperti perché i controlli funzionano; e ora chi non ne aveva diritto restituirà fino all’ultimo cent. Ma questo vale per tutte le misure di welfare, in un paese ad altissimo tasso di criminalità, evasione e lavoro nero. Che si fa: si aboliscono le pensioni, la cassa integrazione, il sussidio di disoccupazione, gli sconti e i bonus ai poveri perché qualcuno potrebbe truffare o ammazzare? Anche qui, come sul No al referendum, ci si arrampica sugli specchi pur di non dire la verità: il Reddito di cittadinanza non piace perché funziona e l’han voluto i 5Stelle. Che restano l’unico ostacolo da rimuovere dalla scena politica, malgrado gli scandali che stanno emergendo sulla Lega e sono già emersi su FI. Anzi, proprio per quelli.

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/19/la-voce-dei-padroni/5936649/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=commenti&utm_term=2020-09-19

#salvinibocciato dai suoi stessi banchi. In Puglia voto disgiunto (senza offesa per Laricchia). - Andrea Scanzi

 


I banchi “datati” di Salvini

Matteo Salvini è proprio un asino. Politicamente asino. Ieri pubblica su Twitter e su Facebook un video in cui si vedono alcuni studenti che giocano all’autoscontro con i banchi a rotelle. Lo accompagna con il testo: “No comment- #Azzolinabocciata“.

Ovviamente parte la gara all’insulto dei baccelli lessi che pendono adoranti dalle sue labbra. Piccolo particolare: il video risale al 21 settembre 2017. La Azzolina non c’entra nulla, i banchi a rotelle venivano già usati nelle scuole e il ministro era (la disastrosa) Valeria Fedeli. Già questo basterebbe, ma Salvini bissa. E Toti gli va subito dietro.

Sempre ieri condivide su Twitter e su Facebook una foto, definita “emblematica”, di alunni che fanno lezione seduti in ginocchio usando le sedie come banchi, accompagnata dalla scritta “Roba da matti – #Azzolinabocciata“. La foto in questo caso è reale. È scattata il 14 settembre 2020 all’interno della Scuola primaria “Maria Mazzini”, a Genova. È però falsa l’interpretazione data da Salvini e Toti. Così ha spiegato il dirigente scolastico della scuola Renzo Ronconi: “I banchi, ordinati con largo anticipo, arriveranno domani pomeriggio (il 15 settembre, ndr) e nel primo giorno di scuola, che è stato un giorno di festa, abbiamo solo evitato di rimettere quelli vecchi. La foto ritrae bambini che, durante un’attività didattica, stanno disegnando sereni in libertà”. Non solo: sono stati i genitori dei bambini a chiedere al preside di cominciare la scuola il 14 e non il 15 settembre, senza cioè aspettare per forza che arrivassero tutti i banchi.

Che dire? Quello che potremmo dire quasi sempre: #salvinibocciato. Lui e quei giuggioloni che credono a ogni suo avvincente peto mentale.

Mister “Taiquipirinha” e la polmonite

“Tutto questo allarmismo sul Covid_19 è ridicolo, sono stato peggio quando ho avuto la polmonite”.

Lo ha detto il re delle babbucce affrante e delle prostatiti polmonari, Mister “Taiquipirinha” Flavio Briatore.

Vallo a raccontare ai tanti che in questi mesi hanno perso e pianto i loro cari.

Fenomeno.

Oppure vallo a dire al barman del tuo Billionaire, quello che per la stessa malattia – e per la decisione insensata e folle di aprire le discoteche – è stato intubato.

Fenomeno.

Con don Roberto stiamo morendo tutti. Di ignoranza

Ormai la nostra è una contemporaneità scandita dalla tragedia. Ogni giorno è come se morisse un pezzetto di speranza. Un altro, e poi un altro ancora.

Don Roberto Malgesini era “il prete degli ultimi”. A Como lo conoscevano tutti. È stato ucciso stamani a coltellate proprio da un “ultimo”, quasi a voler aggiungere tragedia alla tragedia.

L’assassino è un 53enne tunisino. Attorno alle 8 si è presentato in caserma dai carabinieri e si è costituito. È un senzatetto. Don Roberto lo conosceva, gli forniva assistenza, sembravano in buoni rapporti.

“Aveva problemi psichici e dei provvedimenti di espulsione non eseguiti fin dal 2015”, dice ora il direttore della Caritas di Como. La Questura non ha confermato i problemi psichici, ma il provvedimento di espulsione sì.

L’ultimo, datato 8 aprile, è stato sospeso per l’emergenza Covid. Un fatto semplicemente inaccettabile, non tanto e non solo per l’ultima sospensione, ma perché il primo provvedimento è ormai vecchio 5 anni.

Com’è stato possibile? Ci rendiamo conto che la gestione dell’immigrazione deve trovare per forza un punto di ricaduta tra il razzismo di certa destra e l’iper-tolleranza di certa sinistra? Sarebbe bastato applicare la legge, e oggi don Roberto sarebbe ancora vivo.

Stiamo morendo tutti. Di ignoranza, ignavia, arroganza, cinismo e follia.

Che brutti tempi.

Thiem, US Open, Roma e altro

Thiem. Sono felice che abbia vinto Thiem: era l’ora e lo meritava. La mia previsione era una finale Djokovic-Medvedev. Il primo si è comicamente suicidato e il secondo ha vissuto la mitraglia in semi con Thiem (vittoria enorme, per certi versi più della finale, perché un 3-0 a Medvedev agli Us Open è proprio roba da campioni). Dominic è gran giocatore e bella persona. La sua è una vittoria che deve rendere felici tutti.

Antitennis. Thiem ha anche salvato il mondo, perché un trionfo Slam dell’irricevibile Mangullone Zverev sarebbe stato indecente, empio e aberrante (esagero, lo so: ma neanche tanto). La semi tra lui e Carreno Busta è stato il punto più basso dell’estetica umana dai tempi di La Russa in mutande nere nel tramonto di Ciggiano (qui invece non esagero per niente). Una semifinale così andava vietata, o quantomeno vietata ai minori. Vergogna. Lo spagnolo è certo lodevole sul piano dell’abnegazione, ma è anche esteticamente impresentabile a livello proprio ontologico. E “Sasha” Zverev è il Renzi del tennis. Finto nuovo, finto simpatico, vero gattopardo. Chiunque lo sconfigge salva il mondo.

I colpevoli. Adoro Kyrgios, Tsitsipas e Shapovalov. Ma hanno colpe bibliche. Il primo è troppo intento a farsi le pippe su Instagram, il secondo si è decapitato – nell’ignominia generale – con Coric e il terzo ha perso l’ennesimo treno della vita nei quarti con l’orrido Carreno Busta. Le colpe di questi esteti stanno davvero divenendo non emendabili e gridano vendetta dinnanzi alla Storia.

Berrettini. Agli Us Open ha fatto tutto quello che poteva e non ha rimpianti. Prima settimana in scioltezza, poi la prevedibilissima sconfitta con Rublev (oggi più forte di lui). E nei quarti avrebbe comunque trovato Medvedev: quindi no way. L’Atp, con il Covid di mezzo, ha di fatto “congelato” la classifica fino a dicembre e dunque il mio Pupillo non scenderà in classifica. Non più di tanto, almeno. Occorre però restare nei 10/15 anche coi fatti e non solo coi punti (che per legge può conservare) del 2019. A Roma ha subito Struff (che lui soffre parecchio) o Coria (pericoloso su terra). Il suo tabellone è difficile, ma non impossibile. Può uscire subito come arrivare in semi, e lì vivere la gogna martirizzante con un Djoko a cui gireranno ancora parecchio gli zebedei dopo l’harakiri di New York. Io dico che Matthew (lo chiamo così perché “Matteo” di questi tempi anche no) deve continuare a lavorare sodo e non avere patemi. Daje, sì, ma con calma.

Peccatore. Il ragazzo altoatesino non è forte: è fortissimo. Può fare sfracelli autentici. Però sin qui Peccatore (means “Sinner”) non si è capito quanto – e se – sia in forma. Inspiegabile la stesa con Djere a Kitzbuhel, a due facce la sconfitta con Khachanov: per due set ha ballato nel sangue del rivale, con una ferocia belluina francamente quasi eccessiva. Sangue ovunque, schizzi in ogni dove. Macello. Poi però si è fatto male come un bimbo e (pur nell’eroismo del quinto set) ha perduto un’occasione enorme. Avesse vinto col russo, avrebbe addirittura potuto issarsi nei quarti come ha poi fatto De Minaur (da lui vilipeso un anno fa nelle Next Gen Finals). C’è comunque tempo: stiamo calmi. La vittoria di ieri con Paire non dice assolutamente nulla: il francese è uno dei tennisti più insopportabili e respingenti dell’ecosistema, ha un dritto che fa schifo all’intestino crasso e i suoi comportamenti malamente scellerati sono da Kyrgios che non ce l’ha fatta. Può serenamente andare a zappare. Molto più divertente, e ancor più provante, sarà il prossimo match con Tsitsipas.

Musetti. Classico tennista italico tutto talento e poco agonismo. A Roma ha superato le quali: bravo. Troppo bello e piacione (sin qui almeno) per poter essere un campionissimo, di sicuro è splendido da vedere. Stasera può far bella figura con Wawrinka, anche se ovviamente come pronostico parte chiusissimo (salvo suicidi elvetici, e chi lo sa!).

EDIT. È suicidio c’è stato (nel primo set), con un Musetti straripante nel secondo. Dajeeee!

Nadal. Non lo si vede dal pre-Covid e c’è curiosità. Se sta bene, sulla terra rossa è di un altro pianeta. E può avere il tempo di raggiungere il massimo della forma per questa strana edizione del Roland Garros, che si giocherà a ottobre. Forse a Roma può concedere qualcosa. Forse.

Fognini. Reduce da una brutta operazione, al rientro una settimana fa è stato demolito da un carneade. Anche a Roma, se non sta bene, può perdere subito con Humbert. Spero di sbagliarmi.

Cos’altro dire? Ah sì. Sempre più bravo Caruso, che ha annullato un match point oggi a Sandgren e si è qualificato al secondo turno, dove verrà scorticato da Djoko. Ma a fine match sarà comunque felice, perché Salvatore sta traendo il massimo da se stesso. E non è cosa da tutti. Lo stesso vale per Travaglia, ieri eversore di Fritz. Bravi!

Alla prossima.

Le frasi di Osho? No, le frasi del fasho!

Conoscerete in molti “Le più belle frasi di Osho”.
Tanti tra voi però non sanno chi si celi dietro quelle frasi e quella satira. Ve lo dico io.
Federico Palmaroli. 47 anni, impiegato. Nato a Roma. Cresciuto a Monteverde. Tifoso della Lazio. Padre dirigente d’azienda, madre casalinga. Da giovane (lo ha raccontato lui stesso a Repubblica) vota prima per il Movimento Sociale e poi per la destra sociale.
Intervistato un anno e mezzo fa dal Corriere della Sera, il Palmaroli frignò così: “Io, autore delle frasi di Osho, di giorno faccio l’impiegato. Dicono sia di destra e mi emarginano”.
Attenzione: “dicono sia di destra”. Ma lo dicono gli altri, eh, perché mica è vero. Palmaroli – ce lo garantisce lui – è uomo libero e super partes.
Ora, per carità: è giusto che chiunque abbia le sue simpatie. Ma se c’è un ambito che deve essere libero, quello è la satira. Puoi essere di sinistra o di destra, ma NON PUOI partecipare a eventi elettorali. Non se fai satira. È secondo me neanche se sei giornalista (in questi giorni ho detto “no” a tutti gli inviti ricevuti per moderare eventi elettorali di sinistra e M5S). Altrimenti presti la satira al potere, qualsiasi potere, e questo fa di te un cortigiano.
Puoi fare tutto, ma gli eventi elettorali a favore di una lista (qualsiasi lista) NO. Puoi schierarti per un quesito referendario, ma per una lista (qualsiasi lista) NO. È qualcosa di grave e imperdonabile.
E invece il Palmaroli, l’uomo libero Palmaroli, il satirico integerrimo Palmaroli, quello che al Corriere della Sera frignava perché “dicono sia di destra” ma non è vero mica, che fa?
1. Lavora e scrive per Il Tempo, ovvero il giornale più marginale e caricaturale nella galassia del sovranismo de noantri, e sui social difende a spada tratta il suo Dux Bechis. Il che, di per sé, mette malinconia, perché se diventi una sorta di “Bondi di Bechis” fai tenerezza.
2. Soprattutto: il Palmaroli, cioè “Le più belle frasi di Osho” (come fa scrivere sui manifesti), sta facendo campagna elettorale per Fratelli d’Italia in Toscana (e magari non solo in Toscana). Partecipa proprio a eventi e cene elettorali (vedi foto 2 e 3) per i post-fascisti.
Palmaroli finge di fare satira, ma non è che un fiancheggiatore della destra.
Se siete iscritti alla sua pagina e vi va bene così, ottimo. Vi accontentate di poco. Se non lo sapevate e lo credevate libero, qualche domanda ponetevela. Questa non è satira: è propaganda para-fascista. Null’altro che Istituto Luce 2.0.

Omaggi a Laricchia, ma fate il voto disgiunto

Per avere osato consigliare in Puglia il voto disgiunto agli elettori 5 Stelle, sto ricevendo vagonate di insulti. E menomale che sarei “grillino”.
Poveri casi umani.
Questo è uno dei commenti più “garbati”. Lo pubblico perché contiene i 3 cavalli di battaglia dei duri&puri.
1) “Fitto ed Emiliano sono la stessa cosa”. Una frase politicamente criminale, schifosamente qualunquista e moralmente empia.
2) “Non parlare della Puglia”. Grande forma di democrazia: può parlare solo chi vota tal Laricchia, perché la Verità la conoscono solo loro. Daje!
3) (la mia preferita). “Laricchia vincerà le elezioni”. Meraviglioso. E il bello è che lo pensano davvero Citano pure fantomatici sondaggi segretissimi che vedrebbero i tre candidati a pari merito. Come no. Ovviamente è la stessa gente che nel 2014 scriveva #vinciamonoi (furono umiliati da Renzi) e nel 2019 diceva “non è vero che stiamo calando nei sondaggi” (infatti crollarono).
Ora: pensare VERAMENTE che tal Laricchia possa vincere significa vivere in un mondo parallelo. Però facciamo così.
1) Se tal Laricchia vince in Puglia, mi candido con la Lega.
2) Se tal Laricchia arriva seconda, mi iscrivo a Fratelli dei Fasci Palmaroli.
3) Se tal Laricchia prende più del 15%, invito a cena la Boschi.
Se invece tal Laricchia prende (molto?) meno del 15% e regala la Puglia alla destra, mando a quel paese tutti i talebani di questo mondo e – soprattutto – faccio un post al giorno per una settimana con la foto di tal Laricchia e il seguente testo: “Questa è quella che, insieme a Scalfarotto, ha regalato la Puglia a Fitto. Fatele i complimenti”. Ogni giorno per sette giorni.
E non scherzo.
Votare tal Laricchia come governatrice è l’unica cosa in natura più inutile di Sgarbi. Se siete elettori 5 Stelle, in Puglia fate il voto disgiunto: X su Emiliano e X sulla lista M5S. Tutto il resto è Fitto, Salvini e Meloni. Ovvero la morte politica di una splendida regione (e di un meraviglioso paese).

Primo! (Per il quinto mese consecutivo)

“Per il quinto mese consecutivo Andrea Scanzi è primo nella classifica dei giornalisti più popolari sui social stilata da Sensemakers per Primaonline sulla base dei dati di Shareablee. In agosto ha totalizzato 7,8 milioni di interazioni (like, commenti, condivisioni su Facebook, Instagram, Twitter e YouTube), più del doppio del secondo classificato. E ha sbaragliato tutti anche nelle video view, il numero di volte cioè che i suoi video sono stati visti su YouTube e Facebook: 17 milioni. Da diverse settimane la firma del Fatto Quotidiano sta primeggiando anche nelle classifiche dei libri più venduti con la sua ultima opera ‘I cazzari del virus’ (ovvero Renzi e Salvini), che ha bissato il successo del libro precedente ‘Il cazzaro Verde’, un ‘ritratto scorretto’ del leader della Lega (..) Scanzi stravince anche nella classifica dei best performing post (terza foto): sette su dieci dei post più popolari sono suoi”. (Articolo di PrimaOnline)

Viva!

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/18/salvinibocciato-dai-suoi-stessi-banchi-in-puglia-voto-disgiunto-senza-offesa-per-laricchia/5934844/?utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=scanziquotidiani&utm_term=2020-09-18

“Ecco perché molte ragioni del No non stanno in piedi”. - Silvia Truzzi

 


L’Intervista a Gustavo Zagrebelsky. Il professore “Dopo la riduzione dei seggi cosa vieta di mettere mano al bicameralismo paritario differenziandone le funzioni?”

Il 23 agosto su Repubblica, Gustavo Zagrebelsky ha concluso così un suo articolo sul referendum: “Alla fine si deciderà per ragioni che hanno poco a che fare con quelle propriamente costituzionali: fare un favore a questo o un dispetto a quello; rafforzare un partito rispetto ad altri; consolidare la maggioranza o indebolirla; mettere in difficoltà una dirigenza di partito per indurla a cambiare rotta e, magari, a cambiare governo o formula di governo”.

Ma sono motivi sensati per votare Sì o No a una riforma, per quanto piccola e puntuale, della Costituzione?

“Ha ragione nel dire che siamo chiamati a votare su una questione specifica, non su altre. I cittadini devono sentirsi liberi di votare indipendentemente dalle indicazioni e dalle prospettive politiche dei partiti. I referendum, abrogativi o costituzionali che siano, sono fatti per questo. Non sono elezioni. Per come si sono messe le cose in questa occasione, ma anche nelle due precedenti, sembra invece che si sia chiamati a votare la fiducia ai promotori o agli oppositori. Il voto sembra interessare non la modifica costituzionale, ma le prospettive politiche, che oltretutto sono nelle mani di un futuro d’incertezze. Per sgonfiare le speculazioni politiche sul voto referendario e restituirgli il suo significato di atto di libertà non pregiudicato dai giochi di partito, ci sarebbe stato un modo semplicissimo: dire fin dall’inizio che l’esito del referendum non avrebbe avuto alcuna conseguenza sulla vita del governo”.

Professore, come spiega il cambio di rotta di molti parlamentari? La riforma è stata votata, in ultima lettura, con una maggioranza bulgara. I cittadini possono avere fiducia in persone che cambiano opinione tanto facilmente?

La coerenza e la connessa fiducia non albergano nelle stanze della politica. Valgono le convenienze e le tattiche, cioè i calcoli secondo le mutevoli circostanze. In politica, fidarsi è forse bene, ma non fidarsi è certamente meglio. Per questo, è bene non farsi mettere nel sacco.

Ad esempio?

Il “taglio” dei parlamentari sarebbe malfatto perché “lineare”. Quante volte l’abbiamo sentito dire? Premesso che non mi piace sentire il linguaggio triviale di chi parla di tagli di poltrone, mi vien da dire: meglio forse un taglio cubico o sferico?

Parliamo di cose serie. È vero che con meno deputati e senatori ci sarà un vulnus di rappresentanza?

Riducendo i numeri, si alza implicitamente la soglia per accedere al seggio parlamentare. Ciò crea difficoltà per i piccoli partiti e porta con sé un effetto maggioritario. Questo è un argomento serio, ma non necessariamente a favore del No. Dipende da quel che si pensa in tema di rappresentanza politica. I piccoli e piccolissimi partiti sono un bene o un male per la democrazia? Non abbiamo detto negli ultimi lustri che sono una complicazione e che meglio sarebbe la semplificazione? Semplificare non vuol dire annullare, ma promuovere confluenze e concentrazioni in gruppi più vasti con i quali esistano affinità.

C’è poi un argomento, sostenuto dal fronte del No, che bisogna chiarire: la rappresentanza dei territori.

I deputati e i senatori non sono i rappresentanti dei territori. Questa idea è una reminiscenza d’un tempo antico, l’Antico Regime. Lei ricorda certamente che cosa era la rappresentanza agli Stati generali riuniti a Versailles nel 1789. Se insistiamo sulla rappresentanza dei “territori” (qualunque cosa questa parola suggestiva voglia dire), ritorniamo a una concezione pre-democratica e corporativa, ai cahiers de doléance e ai baillages, le circoscrizioni feudali amministrative e giudiziarie nelle mani dei “balivi” o – come disse un tempo Massimo D’Alema – dei “cacicchi” locali. La rappresentanza territoriale significa oggi soprattutto favorire i faccendieri locali che dispongono di pacchetti di voti clientelari, i lobbisti che intrallazzano a Roma.

I territori e le loro esigenze non hanno da avere rappresentanza?

Al contrario. Ma devono esprimersi politicamente. Sottolineo: politicamente. I deputati e i senatori “rappresentano la Nazione senza vincolo di mandato”. Non lo dice solo la Costituzione, ma lo dice la concezione moderna della politica come cura di interessi generali. Per esempio, lei sa che se si ha “sul territorio” il proprio rappresentante nella politica centrale (parlamentare, ministro, sotto-ministro, ecc.) è facile farsi costruire la strada o l’autostrada che interessa in loco (pensi all’autostrada Voltri-Gattico-Sempione), oppure promuovere l’assunzione di schiere di dipendenti nelle amministrazioni locali (pensi ai postini in Abruzzo, regno d’un famoso ministro delle Poste). Questo è caciccato. Diversa è la gestione dei trasporti o dell’impiego pubblico all’interno di una visione generale nella quale anche le esigenze locali possono trovare il loro giusto spazio. Questa è la rappresentanza politica.

Lorenza Carlassare ha scritto che la legge elettorale ideale è fatta così: proporzionale con soglia di sbarramento non superiore al 3% senza liste bloccate e pluri-candidature. Ma poi che fine fa la governabilità?

La governabilità – parola truffaldina: ne abbiamo parlato più volte – dipende dalla struttura del sistema politico, molto meno dal sistema elettorale. Ne abbiamo avuto la riprova pratica con le riforme degli anni 90 che miravano, per l’appunto, a costruire solide maggioranze di governo come effetto di leggi elettorali. È andata così?

Quindi la legge elettorale ha poca importanza?

Nient’affatto. Ne ha poca per la governabilità, ma ne ha molta per altri importanti aspetti. Come tutte le leggi, anche questa deve ispirarsi a un qualche concetto di giustizia, di giustizia elettorale. Mescolare elementi contraddittori, un po’ di proporzionale e un po’ di maggioritario, liste e candidature singole, liste bloccate e preferenze, voto congiunto e disgiunto, eccetera, può incontrare l’interesse di questo o quel partito, ma non degli elettori che alla fine non ne capiscono più nulla. Lo stesso Parlamento risulta un guazzabuglio di legittimazioni diverse. Insomma: il primo requisito d’una buona legge elettorale è la chiarezza nella quale l’elettore possa ritrovarsi facilmente.

E dell’idea della professoressa Carlassare?

Francamente, tra proporzionale e uninominale a doppio turno, sono incerto. Di primo acchito, sarei per la proporzionale con qualche ragionevole sbarramento. Di secondo acchito, mi rendo conto dei pregi, ma anche dei difetti delle liste con preferenze. Insomma, sospendo il giudizio. L’unica cosa è che, una volta scelta la legge elettorale, non la si modifichi tutti i momenti, secondo le occorrenze e le convenienze.

Si discute molto sul modo di migliorare la qualità della rappresentanza.

È il grande tema che dovrebbe occupare il dibattito pubblico, infinitamente più importante della quantità della rappresentanza. Bisognerebbe incominciare con l’abbandono della falsa visione della democrazia di coloro che dicono: siccome siamo un Paese intaccato dalla corruzione, non possiamo stupirci che anche la corruzione venga rappresentata in Parlamento, sulla base dell’assunto che le Camere sono lo specchio del Paese. Una posizione smaccatamente giustificazionista del peggio. Nella vecchia tradizione costituzionale, si diceva che il Parlamento dovrebbe rappresentare il meglio del Paese. Se è il contrario, possiamo stupirci del discredito dell’istituzione parlamentare, discredito diffuso non solo tra gli antiparlamentaristi per principio, ma anche tra tante persone, diciamo così, “perbene” democraticamente parlando.

Secondo alcuni è grave che non siano state contestualmente corrette le maggioranze per l’elezione del presidente della Repubblica: così, dicono, i delegati delle Regioni peseranno troppo (passano dal 6 al 10 per cento circa).

L’aumento del peso dei delegati delle Regioni è semplicemente un effetto indotto della riforma. Non mi pare un aspetto di chissà quale importanza. Nell’elezione del presidente della Repubblica i delegati regionali hanno sempre svolto un ruolo trascurabile. Ciò che conta è l’appartenenza partitica, che non fa differenza, che si sia parlamentari o delegati dei consigli regionali. Piuttosto, c’è un aspetto politico, in presenza di un’avanzata della destra nelle regioni. Questa avanzata può attribuire un peso maggiore a quei partiti nell’elezione presidenziale. Ma è questione tutta politica, non costituzionale.

Un altro grande argomento a sostegno del No è che ad accompagnare questa piccola modifica non ci sia una grande riforma, a iniziare dal bicameralismo paritario. Che ne pensa?

Non si era detto, dopo la débâcle delle due gradi riforme del 2006 e del 2016, “d’ora in poi solo modifiche puntuali della Costituzione”? E comunque: siamo di fronte all’ennesimo argomento specioso. Mi spiego: tutti i precedenti progetti di revisione della forma di governo prevedevano una riduzione del numero dei parlamentari. Ma se si procede per ora su questo punto, che cosa vieta che, dopo, si metta mano al bicameralismo paritario? Il meno, che è già qualcosa, impedisce un più. Dove sta la logica?

Lei è favorevole a ritoccare il bicameralismo, vero?

Sono favorevole al mantenimento di due Camere, differenziate per composizione, procedure e funzioni. Naturalmente non a quel pasticcio, che è stato sventato con il referendum di quattro anni fa. L’ho anche scritto, con proposte che si sono perdute in un bailamme.

Con il Sì verrà rafforzato l’esecutivo a discapito del Parlamento?

E perché mai?

Alcuni sostengono che la scelta del Sì rafforza i sentimenti, perniciosi, dell’antipolitica.

Anche questa obiezione mi pare una sciocchezza. Se i sentimenti antipolitici e antiparlamentari ci sono – e ci sono – non è che la prevalenza del Sì li rafforzerebbe. Semplicemente a loro darebbe espressione e costringerebbe i partiti a prenderne atto e ad agire di conseguenza per neutralizzare i fattori che l’antipolitica alimenta e che, assai spesso, dipendono da loro. Il referendum è semplicemente una conta numerica che serve a dare l’immagine di ciò che c’è nella nostra società. Far finta di niente, come per anni s’è fatto, è solo politica dello struzzo. Non è che con il No quei sentimenti si indebolirebbero. Semmai, il contrario. Poi, è chiaro che una netta vittoria del Sì con il Movimento 5 stelle che da solo si è mobilitato per quel risultato giustificherebbe che se la intestasse come un proprio successo politico. Insomma, paradossalmente il No di chi vuol dare una lezione al Movimento 5 Stelle rischia di provocare un effetto boomerang: noi soli contro tanti, direbbero, l’abbiamo voluta e abbiamo vinto.

Ma quindi lei alla fine come voterà?

Secondo lei?

https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2020/09/19/ecco-perche-molte-ragioni-del-no-non-stanno-in-piedi/5936652/

venerdì 18 settembre 2020

“La riforma passerà anche se molti dei No l’avevano approvata”. - Luca De Carolis

 


Lo ripete più volte, come a rivendicare lo spirito grillino che fu: “Se prevarrà il Sì non sarà la vittoria del M5S, ma quella dei cittadini, la Costituzione è di tutti e va aggiornata con riforme puntuali”. Il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Riccardo Fraccaro giura che non è questione di bandiere da sventolare, “votare Sì servirà per rendere il Parlamento più efficiente e la legislatura più solida”.

A poche ore dal voto, il Partito democratico è sempre più diviso sul referendum. Ieri su Repubblica si è espresso per il No anche Walter Veltroni, primo segretario e fondatore del partito. Teme conseguenze?

Si tende a confondere la posizione dei cittadini e la loro libera espressione con quella dei partiti e dei politici, e per me fare questa confusione è un errore. La direzione del Pd si è espressa a netta maggioranza per il Sì, e la riforma è stata approvata quattro volte in Parlamento da quasi tutti i partiti.

Esprimere un’opinione diversa è lecito.

Certo, ma non si può approvare una riforma e poi invitare a votare No al referendum. È un atteggiamento bipolare. E comunque girando per l’Italia la mia impressione è che i cittadini siano fortemente per il Sì.

Anche il centrodestra ha votato la riforma, ma in questi ultimi giorni è ambiguo sull’orientamento, senza dimenticare il No esplicito del leghista Giorgetti. Mettendo assieme i contrari trasversali magari i cittadini potranno essere influenzati, no?

È vero, ufficialmente i leader del centrodestra invitano a votare Sì per coerenza, ma i loro eletti ammiccano al No con l’obiettivo di far cadere il governo. Ma per la mia esperienza ormai questi giochi da vecchia politica non funzionano più.

Il solo taglio dei parlamentari, senza una riforma più complessiva dell’assetto istituzionale, rischia di essere una mossa solo propagandistica. Lo dicono tutti i sostenitori del no: hanno proprio torto?

Molti costituzionalisti hanno sempre detto che è meglio varare riforme puntuali, piuttosto che un pacchetto di norme, così da sottoporre ai cittadini quesiti chiari. Meglio procedere per singoli passi.

Ma una legge elettorale è indispensabile, no?

Serve, ma a prescindere dalla riduzione dei parlamentari. Dobbiamo restituire ai cittadini la possibilità di scegliere chi li rappresenta, indipendentemente dal numero degli eletti.

Due giorni fa Alessandro Di Battista ha invocato una legge con le preferenze.

È una storica richiesta del Movimento. Noi siamo assolutamente a favore delle preferenze, ma la legge elettorale è pertinenza del Parlamento, e il governo farebbe meglio a non entrarci.

Per capire: il Pd le vuole o no?

Spero e penso di sì. Noi 5Stelle non siamo maggioranza da soli. Se ne discuterà.

Da giorni non si parla altro che di rimpasto dopo le urne. Lei che ne pensa?

Tutti, me compreso, vanno valutati in base al proprio operato e ai risultati, e non in base al fatto che un candidato governatore abbia perso o meno. Non ci può essere correlazione tra le Regionali e il governo. Un’eventuale valutazione andrebbe fatta solo sul merito. E comunque io penso che il governo stia lavorando bene.

Per il ministro degli Affari regionali, il dem Francesco Boccia, “sul Mes il M5S dovrà decidere se stare con Meloni e Salvini oppure con l’Europa e il Pd”.

Per noi del Movimento non è e non può essere un tema ideologico. Il Mes è un prestito, ma presenta delle criticità per i trattati su cui si basa. Ora dobbiamo occuparci di utilizzare al meglio i soldi del Recovery Fund, che non dà questi problemi.

Ma sul Fondo salva-Stati dovrete decidere prima o poi…

Lo ripeto, non può essere una questione ideologica: se ci sarà un confronto bisognerà valutare se è utile al Paese. Noi diciamo di no.

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