Il flop - Doveva essere la parata in difesa del leader più perseguitato dopo B. Invece è diventata un caffè con il duo Meloni-Tajani.
Una lastra a ciel sereno, solo un caffè con gli amici, e un saluto dal Gup: arrivederci in tribunale al prossimo 20 novembre.
Il processo a Matteo Salvini si chiude in ortopedia per via del marmo di una parete dell’aula di giustizia che collassa sulla caviglia di Giulia Bongiorno, la donna che lo difende in Parlamento e davanti ai giudici. L’adunata siciliana finisce così, col finale amputato in ragione dell’imprevisto e ridotto carico emozionale che ha spompato un po’ il finale della kermesse leghista. Doveva giungere il popolo da ogni luogo d’Italia e duemila erano i posti prenotati nell’arena del porto dove il leader leghista avrebbe dovuto celebrare la cerimonia sotto il titolo “Processate anche me”. T-shirt, manifesti, video propulsivi per una chiamata di popolo, per dare al Capitano ciò che gli spetta: il leader più perseguitato d’Italia dopo Silvio Berlusconi.
C’è da dire che Silvio, causa Covid, ha mandato Antonio Tajani in solidale vicinanza, anche se ben altra fu la risposta dei parlamentari di Forza Italia, e lì la Lega mancò, che si strinsero al loro Capo occupando le scale del Tribunale di Milano dentro cui i giudici, colpevoli di volerlo processare, erano asserragliati. Altri tempi e altre Procure. Questa di Catania infatti non voleva neanche mandare a processo Salvini, anzi ha chiesto anche ieri l’archiviazione. Ma il Gup, come ha raccontato la Bongiorno dopo le cure mediche al pronto soccorso, vuole capire e approfondire. Ha accolto le richieste della difesa e saranno ascoltati anche il premier Conte, l’allora suo vice Di Maio e l’attuale ministro dell’Interno Lamorgese.
“Gli faccio perdere solo mezz’ora, poi tornano al loro lavoro”, ha detto Salvini dopo una mattinata che doveva essere gagliarda e si è rivelata moscia. Giorgia Meloni è venuta a Catania, come anticipato, ma subito ha escluso che potesse parlare dal palco insieme a lui. Processate lui, non me.
Stando così le cose, anche Tajani si è convertito all’idea, più sparagnina, di un caffè da prendere in piazza. Una photo-opportunity con il buongiorno che si sarebbe visto fin dal mattino.
L’idea non è piaciuta alla questura e per motivi di ordine pubblico il caffè con allegato selfie di stringente amicizia è stato bevuto sulla terrazza dell’albergo di Salvini. Cinque minuti e via. Camicia bianca e cravatta blu. Salutati gli amici, ecco il tribunale. Il marmo cascato sui piedi della Bongiorno (immediata interrogazione parlamentare della Lega sulle condizioni dei palazzi di giustizia in Italia) ha ravvivato una giornata che, in assenza, si sarebbe accorciata molto.
Tant’è che sul palco leghista l’attesa del leader, che poi purtroppo nessuno ha visto, ha prodotto un surplus oratorio. I dirigenti hanno iniziato ad allungare il brodo, e a furia di allungarlo il comizio si è sfilacciato, i pensieri si sono doppiati e anche le parole hanno perso di smalto.
“Sono stanchissimo, vado a Milano dai miei figli”, ha detto Salvini, che è parso di un umore appesantito per via della defaillance di popolo che non era attesa. Sulle spalle del povero Stefano Candiani, il varesino mandato in Sicilia a fare il capo dei siciliani leghisti, tutto il peso di un’organizzazione che fino a due sere fa si era dimostrata all’altezza delle attese. Centomila euro spesi per allestire la grande sala dove la Lega, riunita in assise, avrebbe salutato il processo facendosi un po’ anche processare.
“Processate anche me”, era e doveva restare il filo conduttore della resistenza. Invece la tre giorni, che come detto si è ridotta a due, ha preso la piega solita: molte parole, pochi fatti. Nessuna federazione con gli autonomisti isolani, principalmente col movimento del governatore Nello Musumeci che ha invece continuato a nicchiare, e qualche proposta in controtendenza. Giorgetti, che guida l’ala moderata, ha spiegato che Salvini o si butta al centro o rimane fregato.
C’è da dire che da un po’ di tempo Matteo si mostra meno ardimentoso e anzi persino più compassionevole con gli avversari: “Non odio nessuno”. L’ex odiatore è ora certo che “la cattiveria sia dei buoni, di quelli che voi definite buoni”.
Il tribunale non è perciò stato circondato dai leghisti, come pure nelle scorse settimane pareva possibile, e nessuna parola di fuoco, ma mille di amore. Certo, l’accusa di sequestro di persona (il reato per il quale è sotto processo) conduce a pene che, se inflitte, travolgerebbero la sua leadership. Ha chiamato il suo popolo alla resistenza, trovandosi egli nella parte del perseguitato, parendogli il minimo. Perciò la precettazione a Catania. Tutti si sono annunciati. Anche Giorgia, anche Silvio, seppure per interposta persona. Ma sul più bello, cioè nell’ora esatta del processo, se la sono squagliata.