domenica 8 agosto 2010

Caro Flores, scaviamo la fossa alla Seconda Repubblica




Caro Flores d’Arcais, ho apprezzato molto la tua lettera, così appassionata e intelligente. Siamo ad un punto davvero opaco, sporco, indecente della vita pubblica italiana. Vediamo il Paese avvitarsi in una spirale di scandali, di violenze, di ricatti, di veleni. Il disegno di attacco alla democrazia costituzionale è esplicito, la cultura del bavaglio e dell’intimidazione ha camminato a lungo dentro le viscere del sistema informativo ma anche dentro l’intero spazio pubblico, il garantismo appare come la foglia di fico con cui si intendono coprire le vergogne di un regime fondato sui clan e sulle cricche, mentre per chi vive nei labirinti del lavoro subordinato e precario non esiste garanzia né garantismo possibile.

Criminali e galantuomini
Anche a Pomigliano o a Melfi funziona il bavaglio, l’operaio torna ad essere stritolato alla sua catena, come funzione neo-servile chiusa in una dimensione di solitudine totale. Un migrante è sempre potenzialmente un criminale, così va gestita la sua utilità sociale (come badante o come raccoglitore di pomodori), così va narrata mediaticamente la sua indicibile fatica di vivere e di integrarsi; mentre Caliendo, Verdini, Cosentino, Dell’Utri sono galantuomini diffamati dalla sinistra del rancore. E poi su tutto splende il sole di un Re così palesemente insofferente di controlli e controcanti, un sovrano modernamente legibus solutus, che teorizza il primato del consenso popolare su qualsivoglia norma di legge.
L’Italia è una Repubblica televisiva fondata sul sondaggio e sulla depenalizzazione dei reati dei ceti possidenti. La crisi pirotecnica di questo regime rende visibili i buchi neri e i protagonisti indecenti della fiction berlusconiana. Un fiume di fango tracima dal Palazzo mentre il severo Tremonti, dismessi gli abiti dell’inventore della finanza creativa, si trasforma nel fustigatore degli sprechi e delle spese pazze (con l’esclusione degli sprechi e delle spese pazze che servono al dio Po e alla Lega Nord).

Caro Paolo che dolore vedere il nostro Belpaese brutalizzato e umiliato! Vederlo andare alla deriva, vederlo smarrire i suoi codici civili e il suo sentimento della decenza, vedere la comunità nazionale frammentata in satrapie localistiche, vedere il lavoro regredire agli standard di una modernità ottocentesca. Si può fare qualcosa per curare queste ferite? Io penso che sia doveroso chiedere ad una grande coalizione democratica di seppellire il cadavere putrescente della Seconda Repubblica. Scaviamo subito la fossa, evitiamo che l’infezione si propaghi ulteriormente. C’è in Parlamento una maggioranza disponibile a cambiare la vigente e repellente legge elettorale? Magari, che si organizzi! C’è in Parlamento una maggioranza disposta a regolamentare in maniera seria il conflitto d’interessi? Magari, che si proceda! Mi sia consentito di dubitare di queste condizioni certo auspicabili.

Il bisogno di un orizzonte largo
Ovviamente tocca a tutti sentirsi responsabili del passaggio drammatico che stiamo vivendo. Occorre muoversi. Mobilitarsi. Una manifestazione va bene, purché sia la più ampia possibile: ma anche quella della Fiom del 18 ottobre è un appuntamento decisivo! Aprire un processo democratico, animare una battaglia culturale e politica in ogni angolo d’Italia. Ma occorre avere il respiro lungo e l’orizzonte largo. Non possiamo lottare per noi stessi e per le nostre fazioni, ma per ridare una prospettiva di futuro a questo povero Paese. Io ho molte critiche e molte obiezioni da rivolgere al Pd e in genere non taccio. Soprattutto trovo sbagliato che alla fine ingloriosa della Seconda Repubblica si replichi con ricette fresche fresche di Prima Repubblica. E poi trovo nauseante il cumulo di politicismo, di cattiva realpolitik, con quella ciclica tentazione di cercare ancore di salvezza di negozi improbabili.

Dobbiamo aiutare i democratici a non avere paura, a cominciare da quella ridicola paura per il fantasma delle primarie. Il Pd e il suo popolo sono una immensa e indispensabile risorsa per costruire il cantiere dell’alternativa, e per rimettere in campo quella cosa smarrita che chiamavamo “sinistra”. Lo dico con amicizia a Di Pietro e a quanti, fuori dal Pd, sentono la gravità del momento: non perdiamo la bussola e non perdiamo la rotta. Facciamoci carico della costruzione di un’alleanza nuova, plurale, larga, popolare, giovanile, riformatrice nella politica e innovativa nelle idee. Facciamo che ogni nostra differenza venga agìta come arricchimento, sfuggiamo alla tentazione del piccolo cabotaggio e chiediamo a noi stessi e a tutti e tutte di mettere in campo una grande narrazione. Che, con semplicità, sappia dire: c’è un’Italia migliore!

di Nichi Vendola

Da
Il Fatto Quotidiano del 7 agosto 2010



domenica 1 agosto 2010

La Verità di un Cittadino



Dove porta il paese l'avventura del cavaliere di EUGENIO SCALFARI





SI VOLEVA la prova di quale fosse la democrazia concepita da Silvio Berlusconi e dai suoi accoliti della «cricca»? Ebbene, basta aver seguito i suoi comportamenti nei confronti del presidente della Camera, reo ai suoi occhi di dissentire su alcuni temi importanti e soprattutto sulla concezione, appunto, della democrazia e delle istituzioni che dovrebbero esserne il presidio. Per Berlusconi il presidente della Camera, eletto a suo tempo dalla maggioranza parlamentare di centrodestra, è semplicemente un funzionario alle sue dipendenze che se perde la fiducia del padrone deve andarsene senza fiatare.

Questo modo di concepire lo Stato, che Berlusconi ha esteso a tutte le istituzioni nelle quali lo Stato si articola, dal presidente della Repubblica alla Corte costituzionale, alla magistratura, rappresenta una gravissima deformazione della nostra democrazia repubblicana e un continuo attacco alla Costituzione.
L'incompatibilità del premier con lo Stato di diritto era del resto nota da tempo e da tempo denunciata. La rottura con l'ala finiana del Pdl ne ha dato una conferma talmente plateale che non è più possibile ignorarla senza diventarne complici. Quell'incompatibilità costituisce una pregiudiziale che va al di là delle distinzioni tra destra, sinistra e centro. Fino a quando non sarà eliminata il rischio d'un regime autoritario incombente resta di altissimo livello e richiede decisioni dettate ormai dall'emergenza.


Non si tratta di non mettersi l'elmetto, come per tanto tempo e tuttora esortano quelli che si bendano gli occhi per non vedere e si turano le orecchie per non sentire. Si può combattere anche a testa nuda purché si sia consapevoli che il peggio è già avvenuto e non può essere arginato cedendo ulteriormente terreno. Questo hanno scritto nei giorni scorsi Ezio Mauro, Massimo Giannini, Stefano Rodotà e questo voglio anch'io ripetere perché sia chiaro il discrimine tra chi si accuccia sperando non so in quale «stellone» che ci porti in salvamento e chi invece sostiene che il peggio è già accaduto e non ci resta che combatterlo a schiena dritta con i mezzi che la democrazia repubblicana può utilizzare per recuperare la sua essenza e il popolo la sua sovranità confiscata.

Credo che Berlusconi abbia fatto un grave errore scatenando l'attacco contro il co-fondatore del Pdl. Governo e maggioranza si sono cacciati in una sorta di vicolo cieco; l'opinione pubblica che finora gli ha assicurato un largo appoggio assiste sbigottita allo sfaldamento del Pdl. I sondaggi segnalano questo stato d'animo e non sono certo incoraggianti per il Cavaliere. L'errore di Berlusconi ha comunque una causa che l'ha determinato o almeno fortemente incoraggiato. Sono stati infatti Bossi e lo stato maggiore leghista ad incitare il Cavaliere a licenziare Fini ed hanno contemporaneamente interposto una barriera contro ogni ipotesi di aggregare Casini al centrodestra.

Bossi sapeva di rischiare una posta molto alta se Fini e Casini avessero acquistato maggior peso all'interno del centrodestra. Si sarebbe acuita la pressione in favore delle Regioni e dei Comuni meridionali, il federalismo fiscale e la valutazione dei «costi standard» sarebbero diventate questioni di alta criticità; così pure tutta la politica di accoglienza dell'immigrazione. Perciò Bossi ha puntato la sua partita sulla rottura con Fini e sull'irrilevanza di Casini, accompagnando gli incitamenti con la minaccia di cercare per conto proprio altri appoggi alla sua politica. Resta ora da vedere se l'errore sia stato commesso anche da Bossi. La Lega non vuole che si parli di elezioni anticipate fino a quando i decreti attuativi del federalismo fiscale non saranno stati emanati.

Con la sua consueta eleganza Bossi ha risposto alzando il dito medio alle domande dei giornalisti su eventuali elezioni anticipate. Ma il protrarsi della situazione attuale espone l'intero schieramento di centrodestra, Lega compresa, ad un processo di continuo logoramento. Quanto potrà reggere il governo ad una cottura a fuoco lento qual è quella cui Fini e Casini possono sottoporlo graduando con sapienza l'intensità di quel bollore? Un supplizio tanto più tormentoso in quanto non prevede la morte del suppliziato ma lo sfaldamento graduale del consenso fino a limiti minimi. Potranno Berlusconi e la Lega reggere ad un processo di questo genere? Personalmente credo sia impossibile. A quel punto cercheranno la via d'uscita tornando alle urne. La risposta l'avremo non oltre la fine dell'anno.

La richiesta di scioglimento anticipato delle Camere comporta in via preliminare che il presidente della Repubblica verifichi se esiste una maggioranza favorevole al proseguimento della Legislatura. Se questa maggioranza c'è, dovrà indicare il presidente del Consiglio. Ma il capo dello Stato può anche dar vita ad un governo istituzionale che abbia la fiducia del Parlamento, se ritiene che la fine anticipata della Legislatura esponga il Paese a gravi rischi.
Nel nostro caso i gravi rischi obiettivamente esistono e sono di natura economica e soprattutto finanziaria. Scadrà a partire dall'autunno una massa di titoli pubblici dell'ordine di cento e più miliardi di euro che imporranno al Tesoro una gestione tecnica particolarmente oculata e richiederanno al tempo stesso una guida politica che abbia una sua visione degli interessi generali e della coesione sociale.

Passare attraverso una campagna elettorale estremamente accesa e dall'esito incertissimo che dovrebbe svolgersi proprio nell'arco di tempo in cui il Tesoro si troverà al centro di mercati ribollenti e fortemente speculativi significa alzare le vele in mezzo ad un tifone che potrebbe diventare uno «tsunami» catastrofico. Il presidente Napolitano credo sia perfettamente consapevole della pericolosità che la strategia d'attacco di Berlusconi ha messo in moto. Sarà perciò suo diritto-dovere esplorare tutte le soluzioni che evitino un'imprudenza di massimo rischio.

Tutte le forze politiche e sociali che abbiano consapevolezza degli interessi del Paese dovranno fornire pieno appoggio al capo dello Stato creando le condizioni che assicurino successo alle sue iniziative. La condizione numero uno è di evitare le elezioni finché durerà l'emergenza del debito pubblico. Da questo punto di vista gli inviti ripetutamente lanciati da Di Pietro e anche da Vendola alle elezioni anticipate sono – è il meno che si possa dire – irresponsabili e sconsiderati, anteponendo meschini interessi di bottega a quelli reali del Paese. Darebbero di fatto una mano all'irresponsabilità berlusconiana e aprirebbero la strada alle peggiori avventure. È perciò auspicabile che si rendano conto di quale sia la risposta necessaria per evitare un caos politico e uno «tsunami» finanziario.

Bersani propone da tempo un governo di larghe intese. Casini ha detto più volte che in caso di emergenza è disposto a partecipare ad una soluzione di questo tipo. L'emergenza c'è, è in atto e raggiungerà il suo culmine se Berlusconi chiederà lo scioglimento anticipato delle Camere. Ma è del pari evidente che le larghe intese dovrebbero essere estese anche a quei settori del centrodestra che hanno fin qui subito con disagio e frustrazione il dominio della «cricca» all'interno del Pdl. Ce ne sono più di quanto non si creda. Il nuovo movimento di «Futuro e libertà» creatosi intorno a Fini potrebbe calamitare alcuni di quei settori risvegliandoli dall'ipnosi e portandoli ad una piena consapevolezza dei propri doveri civici. Personalità come Pisanu potrebbero svolgere un compito importante di raccordo con altri settori cattolico-democratici. E la Lega?

Bossi ha la responsabilità d'aver rafforzato in Berlusconi la strategia dell'attacco contro Fini. Ma ora vede il rischio che l'errore commesso può creargli per la nascita d'un federalismo che non sia nordista e secessionista ma crei una novità utile per snellire lo Stato burocratico e sprecone di cui la Lega denuncia l'esistenza ma del quale in quindici anni di partecipazione al potere non ha saputo creare né la giusta configurazione né le giuste alleanze per costruirlo.

Anche Bossi ha privilegiato finora la sua ditta rispetto a un'idea nazionale del federalismo. Ma non è questa la strada giusta. La Lega è molto forte nel Nord ma sul piano nazionale rappresenta il 12 per cento del corpo elettorale. Il tanto irriso Partito democratico è più del doppio della Lega e se avesse la grinta e la compattezza necessaria, specie in tempi d'emergenza, potrebbe recuperare nel suo bacino elettorale una parte almeno degli elettori che si sono rifugiati nell'area dell'astensione non per odio contro la politica ma per delusione ripetutamente subita. Il bacino potenziale del Pd è valutabile intorno al 40 per cento, ma basterebbe che ritornasse al risultato raggiunto da Veltroni nelle ultime elezioni politiche, pari al 34 per cento, per dare corpo al centrosinistra e a tutta l'opposizione.

In conclusione, nei prossimi mesi (se non addirittura nei prossimi giorni) si possono verificare tre diversi scenari. 1. Il governo cerca di governare affrontando un lento ma costante logoramento, senza avere né la bussola né più la forza di attuare una politica capace di preparare le condizioni d'un rilancio economico e sociale, e continuando invece a privilegiare gli interessi del padrone e dei suoi accoliti. 2. Per uscire dall'«impasse» Berlusconi tenta l'avventura delle elezioni anticipate. Se riesce nel suo intento il rischio è uno «tsunami» del debito pubblico con i titoli italiani al centro della speculazione mondiale. 3. L'avventurosa iniziativa elettorale viene bloccata e si dà luogo ad un governo d'emergenza con caratteristiche accentuatamente istituzionali che ricordino il governo Ciampi nominato dal presidente Scalfaro nel 1992.

Le persone di buon senso e di sollecitudine nazionale ed europea sanno benissimo in quale direzione muoversi purché trovino il coraggio di metter da parte le proprie botteghe e si assumano il carico di responsabilità che la situazione richiede.

1 agosto 2010



sabato 31 luglio 2010

Governo Gomorra - Peter Gomez




Mesi durissimi attendono il Paese
. Come potete leggere nei servizi de ilfattoquotidiano.it,Silvio Berlusconi gioca il tutto per tutto e adesso sogna di varare un governo in stile Gomorra. Il problema del Cavaliere, anche se la maggior parte dei commentatori sedicenti liberali continua a far finta di non accorgersene, è sempre lo stesso: la giustizia. Anzi, le inchieste e i processi. Che coinvolgono lui e i suoi amici.

La decisione della
Corte costituzionale di fissare per il 14 dicembre l’udienza in cui verrà discussa la legge sul legittimo impedimento lo ha spinto così a rompere gli indugi, a perdere ogni freno inibitorio, e a iniziare un furioso corteggiamento a parlamentari di opposizione, alcuni dei quali francamente impresentabili. È prevedibile infatti che la Consulta, dopo aver visto una serie di suoi membri restare indirettamente coinvolti nello scandalo della nuova P2, ci metterà pochissimo a dichiarare quello che tutti sanno e che anche il Quirinale avrebbe fatto meglio a sapere: le norme che evitano al premier e ai suoi ministri di essere processati durante la durata del loro mandato sono palesemente incostituzionali.

La prospettiva per Berlusconi è insomma quella di finire molto presto davanti al Tribunale di Milano per
rispondere della presunta corruzione dell’avvocato inglese David Mills. Anzi della certa corruzione di Mills, visto che il legale, come ha stabilito la Cassazione, ha sicuramente incassato mazzette per dire il falso davanti ai giudici (e salvare il premier da una condanna nel processo per le vecchie tangenti alla Guardia di Finanza).

Berlusconi sa benissimo che nel momento in cui dovesse ricominciare il suo dibattimento si arriverebbe a
una sentenza nel giro di poche settimane. Il fatto storico è già stato accertato (i 600mila dollari dati a Mills e la testimonianza taroccata in favore del Cavaliere). E resta solo da stabilire se tra le prove raccolte ci siano abbastanza elementi per condannare come corruttore il leader del Popolo della Libertà (a questo punto provvisoria).

Una brutta situazione, insomma. Anche perché proprio le indagini sulla nuova P2 hanno fatto saltare, o reso incerte, le amicizie su cui il Cavaliere sperava di poter contare nella magistratura meneghina.

Di qui l’idea, partorita non adesso, ma alcuni mesi fa, di trovare una sponda in quella parte di Udc che si riconosce in
Totò Cuffaro, l’ex governatore siciliano condannato in primo e secondo grado per favoreggiamento aggravato alla mafia e sulla testa del quale pende ora anche una richiesta di 10 anni di pena per concorso esterno in associazione mafiosa.

L’operazione, come il fattoquotidiano.it è in grado di rivelare, è cominciata quando Cuffaro ha dato il suo assenso al passaggio di molti suoi fedelissimi nelle file della nuova
Democrazia Cristianadel sottosegretario all’Istruzione, Giuseppe Pizza, un vecchio arnese della prima repubblica legato agli ambienti più svariati.

Come ha scritto a suo tempo
L’Espresso una parte consistente delle tessere della Dc fanno però capo al braccio destro di Berlusconi, Marcello Dell’Utri, condannato in secondo grado a sette anni per concorso esterno in associazione mafiosa. E così il disegno di Berlusconi diventa evidente. Anche se Cuffaro e Beppe Drago – l’altro leader dell’Udc siciliana corteggiato dal premier – adesso smentiscono un passaggio dai banchi dell’opposizione a quelli della maggioranza (cosa altro potrebbero fare?).

Il Cavaliere vuole trovare in Parlamento i numeri sufficienti per garantire l’approvazione anche alla Camera della cosiddetta norma sul
processo breve (quella che prevede di far morire tutti i dibattimenti che non vengono conclusi nel giro in lasso di tempo prestabilito). Non per niente proprio oggi il capogruppo Pdl nella commissione Giustizia di Montecitorio, Enrico Costa, ha chiesto che l’esame del processo breve venisse immediatamente calendarizzato in settembre alla ripresa dei lavori.

Ma con 33 deputati già passati a Fini, per Berlusconi è molto difficile credere di riuscire a votare la legge senza rischiare ogni giorno improvvisi rovesci. Di qui la manovra per arrivare a Cuffaro e una dozzina di parlamentari calabresi, siciliani e campani a lui legati. Tutti parlamentari da aggiungere a vari esponenti del gruppo misto e del centrosinistra, come
Daniela Melchiorre o Riccardo Villari, già in procinto di cambiare casacca.

Il Cavaliere ingolosisce tutti non solo con l’offerta di posti e prebende. Ma anche con la promessa (molto gradita alle varie cricche d’Italia) di costituire una commissione d’inchiesta parlamentare sull’uso politico della giustizia. Una commissione che, come scrive oggi
Repubblica, avrà gli stessi poteri dell’autorità giudiziaria. “Faremo un processo a chi ci vuole processare”, avrebbe detto – secondo il quotidiano – un falco del Pdl.

Se Berlusconi ce la fa, insomma, il Paese va verso un governo Gomorra. Con una maggioranza sostenuta da pregiudicati, indagati e condannati – in primo e secondo grado – per fatti di mafia (Cosentino, Dell’Utri e Cuffaro) e politici sotto inchiesta per mazzette e ricostituzione di associazioni segrete. Tutti uniti da un solo obbiettivo: farla franca. Per sempre.


venerdì 30 luglio 2010

La Corte e i cortigiani. - Marco Travaglio



A beneficio dei finti tonti che preferiscono non vedere e non sentire, è bene rileggere fino alla noia poche righe dell’ordinanza con cui il presidente del Tribunale del Riesame di Roma, Guglielmo Muntoni, ha confermato il carcere per il trio P3 Carboni-Lombardi-Martino: “Lombardi era riuscito a ottenere l’assicurazione sul voto, nel senso voluto dai sodali, di 7 dei 15 giudici della Corte costituzionale” per la costituzionalità dell’incostituzionalissimo lodo Alfano. Poi uno cambiò idea e il lodo fu bocciato il 7 ottobre 2009 con una maggioranza di 9 a 6: ma “resta il fatto che tale ingerenza ci fu e venne esercitata su almeno 6 giudici costituzionali che anticiparono a un soggetto come il Lombardi la loro decisione”.

Un giudice terzo, non un pm rosso di passaggio, non un ambiguo flatus vocis intercettato, ha le prove che “almeno 6 giudici” della Corte violarono il segreto della camera di consiglio e anticiparono a un faccendiere di quart’ordine, il geometra irpino Pasqualino Lombardi, il voto favorevole a una legge incostituzionale. Cioè: la Consulta è inquinata per i due quinti dei suoi componenti da giudici felloni e continuerà ad esserlo finché costoro non cesseranno dall’incarico. La stessa mafia partitocratica che regna nelle Asl, nelle fondazioni bancarie e nelle cosiddette Authority (vedi indagine di Trani) è penetrata non solo nel Csm (dove l’elezione dell’udc Vietti a vicepresidente e di politicanti di destra e sinistra a membri laici perpetuerà l’andazzo anche per la prossima consiliatura), ma addirittura nel massimo organo di garanzia sulla legittimità delle leggi dello Stato. Ciascun partito, lobby, banda, cricca, P2 e P3 ha i suoi uomini di fiducia da chiamare per pilotare, condizionare o almeno conoscere in anticipo le decisioni dell’organo costituzionale che più di ogni altro dovrebbe essere super partes, dunque impermeabile.

L’ennesimo colpo di Stato si consuma sotto gli occhi di chi si ostina a non vedere e non provvedere. Non erano dunque millanterie, fanfaronate, voci dal sen fuggite quelle captate nelle telefonate fra Lombardi e gli altri compari di P3 dopo la bocciatura del lodo: “Chist’ erano sette, so’ statt’ siempre sette, l’ottav’ nun l’ammo mai truvate… che cazz’ t’agg’a dicere… Noi ne tenevamo cinque certi e ce ne volevano (altri, ndr) tre, ne tenevamo due (incerti, ndr) e ce n’è rimasto uno… ch’amm’a fa’…”. E non erano tentativi maldestri di “quattro sfigati in pensione” le riunioni chez Verdini col sottosegretario Caliendo, il senatore Dell’Utri, i giudici Martone e Miller, collegati via cavo con Carboni, Martino e Lombardi, alla vigilia del voto della Consulta.

L’ha confessato Lombardi ai pm: “Facevo pressioni sulla Corte per acquisire meriti con Berlusconi”. E B. sapeva tutto, se è vero che la sera del 7 ottobre tuonò a Porta a Porta: “Il presidente della Repubblica aveva garantito con la sua firma che la legge sarebbe stata approvata dalla Consulta. Bastava che intervenisse con la sua nota influenza sui giudici e ci sarebbe stato quello spostamento di due voti che avrebbe fatto passare la legge. E su Napolitano le mie dichiarazioni potrebbero essere anche più esplicite e dirette…”. Come poteva il premier conoscere i numeri top secret dei voti favorevoli e contrari al lodo? Chi gli aveva detto che, per raggiungere la maggioranza di 8 a 15, bastava uno “spostamento di due voti”? Un mese prima L’espresso aveva rivelato che due dei giudici pro-lodo, Mazzella e Napolitano (solo omonimo del capo dello Stato) avevano cenato con B., Alfano e Gianni Letta. Ma quando Di Pietro osò chiedere loro di dimettersi o almeno di astenersi dal voto, restò isolato e il Colle tacque. Che intende fare ora il Quirinale, a cui spetta la nomina di 5 giudici costituzionali, per bonificare la Consulta ed evitare che gli “almeno 6 giudici” di cui sopra continuino a rispondere a questo o quel faccendiere di governo, anziché alla Costituzione repubblicana? Stavolta il solito “monito” potrebbe non bastare. Ma, finora, non è arrivato nemmeno quello.




Nuovo editoriale di Minzolini a difesa di Berlusconi - Antonella Mascali



Quando il gioco si fa duro, i duri entrano in gioco. Mentre è in corso l’ufficio di presidenza del Pdl che punta a far fuori dal partito Gianfranco Fini e i suoi, tra l’altro colpevoli di aver sollevato la questione morale, Augusto Minzolini va in video per tirare la volata a Silvio Berlusconi. Nell’edizione del Tg1 delle 20 descrive lo scandalo della P3 ( senza mai nominarla) come un’inchiesta “ dai contorni confusi” e lancia l’affondo contro Fini e finiani: ”Il divorzio che si sta consumando nel Pdl almeno un elemento positivo lo determina: la chiarezza. E in questo momento c’ è bisogno di chiarezza, non di tatticismo esasperato”.
Poi ecco l’enunciazione della teoria del complotto contro il governo “ in buono stato di salute”.
Secondo il direttorissimo ( come ama chiamarlo Berlusconi) c’è “ una cappa mediatica” che vuole spingere per un esecutivo di larghe intese e amplifica inchieste giudiziarie per “tentare di condizionare gli equilibri del paese”.

Minzolini poi propone ai telespettatori la sua visione dell’Italia. O meglio, dell’Italia governata dal cavaliere, che ha preso misure impopolari, che però “ hanno avuto il plauso dell’Europa” e “ non hanno creato sconquassi come in Spagna, in Grecia, in Gran Bretagna, Germania”.
Insomma per il direttore di quello che dovrebbe essere il più autorevole telegiornale, va tutto bene.
La crisi economica è affrontata in maniera adeguata, la questione morale non esiste.
Berlusconi non è cattivo. Non è colpa sua se, parafrasando Jessica Rabbit, lo descrivono così.




Pdl polare - Antonio Di Pietro



Ieri scrivevo di Verdini. Lo invitavo a rimanere nel suo partito, il Pdl, nonostante le tensioni interne di chi lo avrebbe voluto espellere.
La permanenza nel partito degli indagati rappresenta un po' un marchio di riconoscimento per gli elettori alle urne. Il presidente del Consiglio, qualche ora dopo,
commentando un'operazione dei carabinieri, probabilmente provato dalla fatica, si sbilanciava comicamente con un: “La legalità è la mia stella polare”. Una stella offuscata, si direbbe, dando un'occhiata a quelle che, sulla carta, compongono poi il Pdl, partito di cui è presidente.
Il Fatto Quotidiano ha stilato, con tanto di dettagli, un elenco esaustivo di "stelle polari" da non seguire. Lo ripropongo di seguito. Ecco cos'è il Pdl e chi hanno mandato in parlamento coloro che lo hanno votato. Ecco cos'è la politica ai tempi di Berlusconi.

L'elenco pubblicato da "Il Fatto Quotidiano"

Abrignani Ignazio (deputato): è stato indagato a Milano per dissipazione post fallimentare nelle indagini sulla bancarotta Cit, agenzia di viaggi dello Stato.

Berlusconi Silvio (premier): 2 amnistie (falsa testimonianza P2, falso in bilancio Macherio); 2 assoluzioni per depenalizzazione del reato (falso in bilancio All Iberian, Sme-Ariosto); 8 archiviazioni (6 per mafia e riciclaggio, 2 per concorso in strage); 6 prescrizioni; 3 processi in corso (frode fiscale Mediaset, corruzione in atti giudiziari Mills, frode fiscale e appropriazione indebita Mediatrade), tutti sospesi in attesa che la Consulta si pronunci sulla legge sul legittimo impedimento.

Berruti Massimo (deputato): condannato a 8 mesi per favoreggiamento per aver depistato nel 1994 le indagini sulle tangenti Fininvest.

Brancher Aldo (deputato): condannato in secondo grado per falso in bilancio e finanziamento illecito, reato prescritto (il primo) e depenalizzato (il secondo). È imputato anche per la scalata Bnl, per la quale i suoi legali hanno chiesto il legittimo impedimento nel breve periodo in cui è stato ministro per il Federalismo.

Caliendo Giacomo (senatore e sottosegretario): indagato nell’inchiesta sulla nuova P3.

Camber Giulio (senatore): condannato a 8 mesi per millantato credito nell’ambito della Kreditna Banka. Era accusato di aver preso 100 milioni di lire.

Cantoni Giampiero (senatore): ha patteggiato 2 anni per corruzione e poi per concorso in bancarotta fraudolenta.

Ciarrapico Giuseppe (senatore): 5 condanne definitive fin dagli anni ‘70 per falso e truffa.

Comincioli Romano (senatore): imputato per false fatture e bilanci truccati di Publitalia, poi prescritto. Nel 2008 la giunta per le autorizzazioni a procedere del Senato respinge la richiesta di usare le intercettazioni delle sue telefonate con Stefano Ricucci per la scalata al Corriere della Sera.

Cosentino Nicola (deputato ed ex sottosegretario): accusato di legami con il clan dei Casalesi, il Parlamento ha negato la richiesta d’arresto. Indagato anche nell’inchiesta sulla P3.

De Angelis Marcello (deputato): condannato a 5 anni per banda armata e associazione sovversiva come dirigente del gruppo neofascista Terza Posizione.

De Gregorio Sergio (senatore): è stato indagato a Napoli per riciclaggio e favoreggiamento della camorra e corruzione.

Dell’Utri Marcello (senatore): sette anni in appello per concorso in associazione mafiosa per le contestazioni precedenti il 1992. È indagato a Roma nell’inchiesta sulla P3. È accusato di calunnia per aver ordito un piano per screditare alcuni pentiti palermitani che l’avevano accusato nel processo per associazione mafiosa. Deve anche riaffrontare il processo per tentata estorsione ai danni dell’imprenditore siciliano Vincenzo Garaffa.

De Luca Francesco (deputato): è stato indagato per tentata corruzione in atti giudiziari: il clan camorristico dei Guida si sarebbe rivolto a lui per un processo in Cassazione.

Farina Renato (deputato): ha patteggiato 6 mesi (pena commutata in una multa di 6.480 euro) per favoreggiamento nel processo per il sequestro di Abu Omar.

Fasano Vincenzo (senatore): condannato a 2 anni per concussione nel 2007, pena indultata.

Firrarello Giuseppe (senatore): arrestato e condannato in primo grado a Catania a 2 anni e 6 mesi per turbativa d’asta per le tangenti sulla costruzione dell’ospedale Garibaldi. Poi prescritto.

Fitto Raffaele (deputato e ministro): rinviato a giudizio per sei reati, prosciolto per altri cinque. Ancora aperti 2 casi di corruzione, un illecito nei finanziamenti ai partiti, 1 peculato da 190 mila euro e 2 abusi d’ufficio.

Grillo Luigi (senatore): L’assemblea del Senato ha negato l’uso delle intercettazioni nell’ambito della Banca popolare di Lodi. Prescritto a Genova per truffa per la Tav.

Landolfi Mario (deputato): è stato indagato per corruzione e truffa. Nella stessa inchiesta 5 pentiti chiamano in causa Nicola Cosentino.

Matteoli Altero (senatore e ministro): rinviato a giudizio per favoreggiamento riguardo un abuso edilizio all’isola d’Elba. La giunta della Camera ha negato l’autorizzazione a suo carico.

Messina Alfredo (senatore): è stato indagato per favoreggiamento nella bancarotta di HDC.

Nania Domenico (senatore): condannato nel 1980 a 7 mesi per lesioni quando militava neigruppi di estrema destra. Condannato in primo grado per abusi edilizi. Poi prescritto.

Nespoli Vincenzo (senatore): accusato di bancarotta fraudolenta e riciclaggio. L’aula del Senato ha negato l’arresto.

Nessa Pasquale (senatore): accusato di concussione, il pm aveva chiesto l’autorizzazione all’arresto.

Paravia Antonio (senatore): arrestato per corruzione nel 1995, prescritto nel 2004.

Proietti Cosimi Francesco (deputato): è stato indagato a Potenza con Vittorio Emanuele per la truffa ai Monopoli. Roma ha archiviato. È stato indagato anche nella Capitale per il filone legato agli ambulatorie alla ex signora Fini Daniela Di Sotto.

Russo Paolo (deputato): archiviato per l’ipotesi di reato di concorso esterno in associazione mafiosa quando era Presidente della Commissione parlamentare rifiuti. È stato indagato anche per violazione della legge elettorale.

Scapagnini Umberto (deputato): è stato indagato per abuso di ufficio aggravato per i parcheggi sotterranei a Catania.

Sciascia Salvatore (senatore): condannato a 2 anni e 6 mesi per aver corrotto, quando era capo dei servizi fiscali gruppo Berlusconi, alcuni ufficiali della Gdf.

Simeoni Giorgio (deputato): è stato indagato per associazione a delinquere e corruzione per le tangenti sanità nel Lazio.

Speciale Roberto (deputato): condannato in appello a 18 mesi per peculato da parte della Procura militare perché da comandante della Gdf ha utilizzato per scopi personali aerei della Fiamme Gialle.

Tomassini Antonio (senatore): medico, condannato a 3 anni per falso: durante un parto una bambina nacque cerebrolesa ma lui contraffece il partogramma.

Valentino Giuseppe (senatore): è stato indagato per favoreggiamento, si sospetta che abbia rivelato a Ricucci che era intercettato quando era sottosegretario alla giustizia. Il Senato ha negato l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni.

Verdini Denis (deputato e coordinatore): indagato per l’inchiesta sulle Grandi opere, ora anche per la P3.


http://www.antoniodipietro.com/2010/07/trentacinque_stelle_polari.html?notifica