Tre membri del Parlamento, transfughi dal centrosinistra, che attendono l’ultimo momento dell’ultima conta nell’aula di Montecitorio per far valere il peso decisivo del loro sì al governo. Così che il presidente del Consiglio possa misurarne il cospicuo valore (in tutti sensi), e generosamente ricambiare.
Intanto, non lontano dal Palazzo sordi boati annunciano battaglia. Dalla gigantesca e pacifica manifestazione degli studenti si staccano le nutrite milizie della guerriglia urbana e si scontrano con la polizia in tenuta antisommossa (che, quasi impreparata a sostenere l’urto, reagisce con altrettanta violenza). Per ore, nel centro della Capitale, scene come non si vedevano dalla fine degli anni Settanta, dagli anni di piombo appunto.
Chiariamo subito. Nessuna indulgenza con chi fracassa, devasta e appicca incendi. Ma qualcosa deve farci riflettere. C’è una rabbia generazionale che sta attraversando l’Europa: Atene, Londra e adesso Roma. Una reazione alle politiche restrittive dei governi che viene da lontano, ma che diventa furiosa davanti alla ottusa indifferenza delle cosiddette classi dirigenti, concentrate solo sull’autoconservazione del potere. La rivolta era probabilmente premeditata, ma la scintilla scocca quando dalla Camera giunge notizia della fiducia strappata per un pugno di voti e con un pugno alla decenza.
Lo schifo per una politica che si prostituisce a chi offre di più non può essere un alibi per i teppisti, ma spiega una realtà. L’Italia è attraversata da fortissime tensioni (sociali, umane) che le masse studentesche interpretano con la mutevolezza dei vent’anni. E se la finta allegria dei cortei si trasfigura nell’odio e se il sorriso nel grido, le ferme condanne servono a poco. Qualcuno pensa davvero di rispondere all’emergenza di un paese che ha sempre meno soldi e tanto meno futuro con un governo incapace, con una maggioranza raccattata, con un premier impresentabile? La prossima volta chi manderanno incontro alle masse sempre più incazzate? Scilipoti?
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