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lunedì 28 novembre 2011
Ministri a tutto spreco. - di Emiliano Fittipaldi
Tour elettorali. Difesa dei dialetti. Comitati ed enti inutili. Ecco come durante il governo Berlusconi nei piccoli dicasteri si sono moltiplicati uffici e poltrone. E le spese pazze.
All'ex ministro Gianfranco Rotondi piace viaggiare. Responsabile dell'"Attuazione del programma di governo", in tre anni ha girato una ventina di città italiane per spiegare ai cittadini quanto belli e bravi fossero il premier e la sua squadra. Dal palco ometteva di ricordare, però, che gli eventi "Governincontra" ci sono costati un occhio della testa: nel 2010 per la propaganda di Rotondi e del sottosegretario Daniela Garnero Santanché sono stati bruciati 1,6 milioni di euro. Una somma, va detto, che comprende anche l'importante "Osservatorio sulla valutazione delle politiche governative", di cui non si ha traccia. L'anno scorso Rotondi ha investito anche 41 mila euro per "spese di rappresentanza", 260 mila euro per esperti ed incarichi speciali, 397 mila per i suoi fedelissimi collaboratori. Alla fine dell'anno la baracca è costata 2,5 milioni, uno sproposito, visto che ai tempi di Romano Prodi ne costava 800 mila di meno.
Il dipartimento che fu di Rotondi secondo i maligni è l'espressione perfetta del "ministero inutile". Quegli organismi che fanno capo alla presidenza del Consiglio, che costano milioni di euro e che producono poco o nulla. Retti in genere da ministri senza portafoglio che spesso hanno funzioni e deleghe che potrebbero essere accorpate ad altri ministeri più importanti. Il neo premier Mario Monti ne ha cancellati sei, ma leggendo gli ultimi bilanci scovati dall'"l'Espresso" forse avrebbe potuto tagliarne ancora di più: i costi di comitati inoperosi, iniziative bislacche, sedicenti esperti e spese pazze non si contano.
Partiamo dagli uffici retti fino a qualche giorno fa da Raffaele Fitto, responsabile dei "Rapporti con le Regioni e la coesione territoriale". Il dipartimento costa 1,7 milioni di euro l'anno (tra stipendi, interpreti e indennità varie), ma oltre la metà delle sue erogazioni servono unicamente a "tutelare" le cosiddette minoranze linguistiche "storiche". Tra interventi ad hoc e l'apposito "fondo nazionale", nel 2010 gli italiani hanno speso per la difesa della lingua albanese, di greco, catalano, croato (tre comuni in Molise parlano, in effetti, il dialetto croato-molisano), della lingua francoprovenzale, occitana, germanica, del ladino e del friulano ben 5,6 milioni di euro. A cui vanno aggiunti, of course, altri finanziamenti regionali: anche il sardo è tutelato per legge, così lo scorso maggio a Olbia, Tempio Pausania e Santa Teresa hanno aperto sportelli "linguistici" dove si possono chiedere informazioni e documenti in isolano stretto. Il progetto prevede pure corsi di formazione per quei dipendenti comunali che conoscano, ignoranti, solo l'italiano. Non è tutto. Nel bilancio 2010 spunta pure il "comitato istituzionale paritetico per i problemi delle minoranze slovene" (46 mila euro l'anno) e il dimenticabile Ente italiano della Montagna. Cancellato nel luglio 2010, l'anno scorso c'è comunque costato un milione: per "valorizzare le aree montane" venivano stipendiati un presidente, un direttore generale e 18 tra responsabili (uno, Fabrizio Traversi, è stato arrestato due mesi fa nell'ambito di una presunta truffa da 12 milioni ai danni dello Stato), esperti e segretari.
Renato Brunetta, si sa, è stato titolare dei dipartimenti della Funzione pubblica e dell'Innovazione. Nel 2010 per farli funzionare abbiamo pagato 6,8 milioni di euro, mentre gli impegni per investimenti e spese correnti sono arrivati a 133 milioni. Passi per gli incarichi speciali costati, come ai tempi di Prodi, 355mila euro, passi per il mezzo milione speso per la pulizia dei giardini e dei palazzi e i 427 mila euro per il "restauro di mobili e spese telefoniche", ma leggendo le tabelle qualcuno si potrebbe domandare perché siano stati bruciati quasi 6 milioni di euro per "il funzionamento della commissione per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche". Un organismo lanciato in pompa magna dall'ex ministro veneziano che avrebbe dovuto fornire strumenti concreti per valutare i dipendenti pubblici e fissare standard di produttività per premiare i meritevoli. La Civit, però, non ha fatto molto, tanto che pochi giorni fa la Commissione europea ci ha domandato quando la Commissione "sarà pienamente operativa?". All'inizio del 2011 uno dei commissari, inoltre, se ne andò sbattendo la porta. "Una decisione", spiegava nella lettera di dimissioni, "dovuta alla valutazione dell'impossibilità di perseguire in maniera soddisfacente gli obiettivi per i quali (la Civit, ndr) è stata istituita".
Ma Brunetta ha speso un pacco di milioni pure per la Scuola superiore della pubblica amministrazione (11 milioni), per il funzionamento dell'agenzia Aran (2,3 milioni), per il Formez (per il centro si prevedeva si investire 19 milioni, ma si è arrivati a 24,2), per non meglio precisati "interventi per la valorizzazione delle risorse umane" (7,3 milioni). Per innovare l'Italia, poi, Brunetta ha messo 4,5 milioni nel progetto "Un cappuccino al giorno", 774 mila euro per una "struttura di missione per l'e-government" e la bellezza di 30,9 milioni per la Pec, la "posta elettronica certificata". Un sistema che per ora è stato adottato solo da 13 Regioni e da 1,1 milioni di cittadini: la grande maggioranza degli italiani non ne ha nemmeno sentito parlare.
Roberto CalderoliPochissimi, d'altronde, sanno che per far divertire Roberto Calderoli, ministro per la Semplificazione normativa, abbiamo speso 732 mila euro. Tanto sono costati nel 2010 stipendi e uffici del dipartimento che secondo il vecchio governo "ha contribuito all'espansione dell'economia del Paese e a diminuire gli oneri a carico dei cittadini e delle imprese". L'ex ministro per le Riforme istituzionali Umberto Bossi ha invece speso "solo" 381 mila euro: 280 mila per "i diretti collaboratori" del leader leghista, altri migliaia per qualche conferenza (si ricorda quella di febbraio 2010, ospite d'onore Aldo Brancher) e il funzionamento dell'ufficio "Affari amministrativi e relazioni esterne". Riforme importanti fatte: zero.
Anche il ministero che fu di Mara Carfagna è un pozzo senza fondo. Le spese correnti toccano i 65 milioni di euro (erano 25 nel 2007), e per gli stipendi di ministro, dirigenti e il funzionamento degli uffici si spendono 3,2 milioni l'anno (ma c'è da sottolineare che rispetto ai governi di centrosinistra i costi dei collaboratori diretti del ministro si sono quasi dimezzati). Qualche risparmio in più, forse, si poteva fare sulla voce del bilancio numero 537, quella relativa all'"Ufficio per la promozione della parità di trattamento e la rimozione delle discriminazioni fondate sulla razza e sull'origine etnica". Un organismo che costa 2,3 milioni, usati per raccogliere in un contact center le segnalazioni su possibili casi di razzismo e per compiere ricerche tematiche. Il direttore è Massimo Monnanni, un ex consigliere di Franco Frattini che ha a disposizione tre segretari, quattro esperti (stipendi biennali da 28 a 30 mila euro), un magistrato, più un dirigente generale e dieci dipendenti fissi. Un po' troppo, visti i risultati: a parte qualche finanziamento alle associazioni di genere e un concorso di fotografia, l'Unar - si legge in una Relazione al Parlamento - ha trattato nel 2010 appena 766 casi. Meno di due al giorno, e nel 2009 era andata peggio: solo un caso ogni 24 ore. Il call center? Costa 648 mila euro l'anno, e ci lavorano altre 16 persone provenienti dalle Acli.
Se il Fondo per le pari opportunità costa 49 milioni di euro l'anno (nel bilancio non ci sono dettagli di spesa più precisi) e 2,8 milioni sono serviti per le attività di contrasto alla pedofilia (esiste un Osservatorio, dove due esperte "a supporto" prendono 52 mila euro per un anno e mezzo di lavoro), altri 891 mila sono finiti per la lotta alla repressione delle pratiche di mutilazioni genitali femminili. Non sappiamo se l'importante battaglia abbia avuto successo. Ma sappiamo che nella commissione preposta siedono personalità come Anna La Rosa, Emma Bonino, Fiamma Nirenstein ed Eugenia Roccella (la moglie di Alemanno Isabella Rauti s'è dimessa qualche mese fa) e che la voce di spesa è triplicata rispetto alle previsioni d'inizio anno.
Anche l'ex collega Giorgia Meloni aveva un sacco di denaro a disposizione. Il ministero della Gioventù (cancellato da Monti) non avrà alleviato i problemi dei giovani italiani, stretti tra precariato e disoccupazione che sfiora il 30 per cento, ma ha impegnato comunque 222 milioni di euro, di cui solo 898 mila per gli stipendi del ministro e della sua squadra. Cinquanta milioni sono andati al fondo di garanzia per l'acquisto della prima casa, 70 alle politiche giovanili, mentre 101 milioni sono stati prestati ai co.co.co. e agli autonomi under 29 in difficoltà. Il prestito, ovviamente, deve essere restituito in tempi considerati "generosi": 2 o 3 anni al massimo. Sfogliando il bilancio, anche il dipartimento dello Sport offre sorprese a iosa: se le missioni all'estero (?) sono costate 85 mila euro, l'Italia ha raddoppiato il contributo alla Fondazione internazionale per la lotta al doping (ora giriamo all'agenzia mondiale 1,1 milione di euro) e pure le spese per i mutui concessi grazie a una legge varata alla vigilia dei mondiali di calcio del 1990: per la realizzazione o la ristrutturazione di impianti sportivi nel 2010 si sono spesi 65 milioni di euro.
Paolo BonaiutiInvece Paolo Bonaiuti, ex portavoce di Berlusconi e gran capo del dipartimento per l'editoria (tra stipendi e uffici il suo funzionamento costa 1,4 milioni), non solo ha dovuto versare ben 170 milioni per contributi a quotidiani e periodici, 18 milioni a radio e tv private e i sacrosanti 999.998 euro all'"editoria speciale periodica per non vedenti prodotta con caratteri tipografici normali su nastro magnetico e in braille", ma pure 3 milioni "da corrispondere alla Rai" per un misterioso accordo di collaborazione "tra Repubblica Italiana e Repubblica di San Marino" firmato nel lontano 1987. Oltre a 7 milioni per la "diffusione di notizie italiane" in tutto il mondo (i soldi finiscono ad alcune agenzie di stampa) e ben 626 mila euro per "un patto radiotelevisivo" tra Italia e Tunisia.
Altro ministro rimasto praticamente sconosciuto alle cronache è invece Elio Vito, titolare del dipartimento per i Rapporti con il Parlamento insieme al sottosegretario Laura Ravetto: tra dipendenti, capo di gabinetto e il suo vice, capo del settore legislativo e capo ufficio stampa Vito (che di fatto ha il compito di rispondere alle interrogazioni parlamentari) ci è costato quasi 600 mila euro. Molto di più, invece, s'è mangiato il dipartimento per la Programmazione della politica economica (ma non c'è già il ministero dell'Economia?) retto fino al 16 novembre da Gianfranco Miccichè. Il Dipe ha speso 28,9 milioni, per "l'unità tecnica finanza di progetto", "la segreteria tecnica della cabina di regia", consulenze varie, "le unità tecniche per il monitoraggio degli investimenti pubblici". Nonostante gli sforzi, gli uomini di Miccichè non hanno potuto far molto contro la crisi.
Anche Carlo Giovanardi, ex gran capo dei dipartimenti per la famiglia e le politiche antidroga e nel tempo libero presidente dell'Associazione nazionale insigniti onorificenze cavalleresche, ha lasciato le sue impronte digitali su qualche spesa discutibile: se il fondo per la famiglia è passato dai 180 milioni del 2007 ai 100 del 2010 e i soldi per i servizi socio-educativi sono stati azzerati, la discussa Conferenza triennale sulla droga di Trieste è costata 444 mila euro, le campagne di comunicazione sui tossicodipendenti 464 mila euro, l'arcano "sistema di allerta precoce" altri 408 mila.
http://espresso.repubblica.it/dettaglio/ministri-a-tutto-spreco/2167203
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