martedì 15 novembre 2011

Ricordando Lillo l'ispettore rivela: ''quelle pallottole erano per me''.





Fu riconosciuto da tre latitanti durante un sopralluogo a Ciaculli, dopo qualche giorno  arrestammo il capomafia di Villabate. I mafiosi si convinsero che ''la colpa'' era di Lillo, ma quelle indagini le avevo promosse io: se avessero saputo la verita' i killer avrebbero cambiato bersaglio.
di Pippo Giordano*

Oggi ricorre l'anniversario della morte di Lillo ed io voglio ricordare gli ultimi istanti che lo vidi in vita.
I ricordi li sintetizzo in due immagini che sono rimasti scolpiti nella mia mente, oltre che nel cuore. La prima, è l'immagine di un ragazzo disteso e privo di vita su una lastra di marmo: giovane, troppo giovane per morire. La seconda che ha il sopravvento sulla prima è l'ultima volta che lo vidi in vita, euforico e sorridente.
Era felice, raggiante, oserei dire esultante quel sabato, quando innanzi al portone della Mobile di Palermo nel salutarci gli avevo detto: “Lillo, lunedì vediamoci prima, perché dobbiamo iniziare le indagini “pi pigghiare u Papa” (Michele Greco). Stessa cosa avevo detto all'altro componente la mia pattuglia. Già, la mia pattuglia che aveva osato profanare il santuario di Ciaculli; che si era intrufolata in quel territorio di esclusivo predominio dei Greco e della più potente squadra di killers di Cosa nostra, capitanata da Scarpuzzedda.

Il lunedì mattina del 15 novembre '82 avevo l'appuntamento con Lillo, ma la domenica 14 la tragedia. Lillo fu barbaramente assassinato da killers di Cosa nostra.

Il periodo trascorso con Lillo, fu relativamente breve: poco più di due mesi. Due mesi di intensa attività per catturare un capo famiglia. Lillo ed io eravamo poco loquaci e durante il nostro appostamento le ore scorrevano in silenzio, riempite solo dalla dolce visione della Conca d'Oro. Oggi, riflettendo, concludo che eravamo Davide contro Golia rappresentato dalla furia omicida di Cosa nostra. E fu in quei prolungati silenzi che nacque la nostra amicizia. Il là lo diede Lillo facendomi una confidenza davvero sconcertante, che riguardava il nostro ambiente di lavoro. Da quel giorno ci dicemmo tanto senza nemmeno profferire parola. I nostri sguardi erano colmi di tristezza per la “confidenza”: tristezza che sparì allorquando vedemmo il latitante, uscire da quella villa. La nostra testardaggine di non mollare, era stata premiata; erano giorni e giorni, addirittura settimane, che eravamo lì appostati.

Lillo, era un ragazzo eccezionale, portatore di sani principi e di rispetto per la divisa che indossava: credeva ciecamente che fare il proprio dovere non era un obbligo ma una necessitate virtutem: la confidenza era la prova del nove. 
Ed io, oggi, non perdo occasione, durante gli incontri con ragazzi delle scuole o nei pubblici dibattiti, di far risaltare le doti morali di Lillo. Non mostrò mai paura Lillo, nemmeno quando lo intercettarono. Eppure, io stesso tentai di convincerlo a non partecipare la blitz per la cattura del mafioso. Lillo era un giovane Siciliano con una bagaglio di onestà da far invidia ai colleghi anziani: era stimatissimo dal dirigente Ninni Cassarà e dell'intera Mobile palermitana.

La decisione di assassinare Lillo fu un infausto errore di Cosa nostra, perché gli fu addebitata una colpa non sua, se di colpa possiamo parlare. L'errore scaturì sol perché incontrò tre latitanti di Cosa nostra nell'agro di Ciaculli, mentre faceva il sopralluogo insieme a Cassarà: i tre latitanti conoscevano molto bene Lillo. Da quell'incontro, i mafiosi di Ciaculli si convinsero che l'arresto del capo famiglia di Villabate, avvenuto qualche giorno dopo dal sopralluogo, fosse stato originato da Lillo. Ed invece, Lillo non c'entrava affatto. Il promotore della complessa indagine ero io. Infatti, fui io che insistetti per sdoganare quel territorio teatro della mia crescita giovanile e fui io che raccolsi le notizie per avviare le investigazioni. Le pallottole che colpirono a morte Lillo Zucchetto, dovevano essere indirizzate a me: se avessero saputo la verità, i killers avrebbero cambiato bersaglio.
Cosa nostra, dopo l'agguato, fece circolare la voce che Lillo fu eliminato per una storia di donne. Falso! Io stessi accertai l'infondatezza della “voce” compiendo un'indagine riservatissima.

Nel concludere, esprimo un desiderio, Ossia, che il comune di Sutera, paese natio di Lillo, nel trentennale della morte, organizzi un evento pubblico in ricordo di Lillo, affinchè io possa essere presente e ricordare la figura esemplare e morale di Lillo. Mi piacerebbe, anche, andare nelle scuole di Sutera, per poter raccontare ad alunni e studenti, il sacrificio di un giovane Siciliano, immolatosi per la legalità. Sinora ho “raccontato” di Lillo, ai giovani delle scuole del nord, di Palermo e Catania e continuerò a farlo: Lillo, deve vivere attraverso le mie parole. Lui avrebbe fatto lo stesso.

*ex ispettore della Dia e della Squadra Mobile di Palermo



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