Il "pronto soccorso" dell'istituto milanese tiene a galla i bilanci falcidiati dalla crisi delle Borse. I casi di Intesa, Mps e Unicredit. Così Piazzetta Cuccia accumula nuovo potere e nuovi affari.
Si parte da Siena, dove i signori e padroni del Monte dei Paschi hanno debiti per quasi un miliardo e pochi giorni per venire a capo della situazione. A guidare il salvataggio della fondazione senese , allo stremo delle forze per la strategia perdente dei propri vertici, sarà proprio la banca che fu di Enrico Cuccia, oggi guidata dalla coppia Renato Pagliaro, presidente, e Alberto Nagel, amministratore delegato. Mediobanca aveva prestato alla Fondazione Monte dei Paschi quasi 200 milioni già nel 2008 e adesso torna a gestire le trattative per trovare il modo di far fronte a debiti per 900 milioni.
A Padova e a Bologna, invece, le locali fondazioni vivono l’incubo del taglio dei dividendi di Intesa. Senza quei soldi dovranno ridurre le erogazioni sul territorio, cioè i finanziamenti a società, associazioni e istituzioni no profit. Il problema vero, però, è che l’anno scorso entrambi gli enti si sono svenati per far fronte all’aumento di capitale di Intesa senza diminuire la propria quota. Alla fine ce l’hanno fatta. Come? Semplice , è arrivata Mediobanca.
La Fondazione Cassa di Padova e Rovigo, che ha il 4,2 per cento di Intesa, ha ottenuto una linea di credito di 100 milioni dall’istituto guidato da Nagel. E anche la Cassa di Bologna (2,7 per cento di Intesa) ha fatto ricorso a un prestito di 20 milioni sempre targato Mediobanca. Fabio Roversi Monaco, presidente dell’ente bolognese, a ottobre è entrato nel consiglio di amministrazione della stessa Mediobanca, di cui la Fondazione emiliana è anche azionista con un pacchetto del 2,5 per cento del capitale. E non è l’unica. Negli anni scorsi i colleghi di Roversi Monaco hanno fatto la fila per uno strapuntino a bordo della più blasonata tra le banche d’affari nazionali. Sono investimenti di sistema, spiegavano. E poi rendono.
Da Siena, a Torino fino a Verona, per citare le più importanti, almeno una decina di Fondazioni hanno investito centinaia di milioni in Mediobanca. E così il cerchio si chiude, come è tradizione nella storia dell’istituto. I debitori diventano azionisti e viceversa. Lo stesso succedeva ai tempi di Cuccia per i grandi gruppi industriali privati, in quella che appare come un’apoteosi del conflitto d’interessi. Solo che nel caso delle Fondazioni il ricorso all’indebitamento dovrebbe essere un evento eccezionale e come tale, infatti, va preventivamente autorizzato dal ministero dell’Economia. E allora luce verde (dall’allora ministro Giulio Tremonti) per Siena, che è diventata azionista di Mediobanca e ne ha ricevuto i finanziamenti.
Lo stesso vale per la Cassa di Bologna e anche per quella di Padova. Già nel 2008 si era mossa sulla stessa strada anche la genovese Fondazione Carige, a caccia di risorse per l’aumento di capitale da un miliardo della controllata Carige. Oltre 400 milioni sono arrivati da Mediobanca che si è presa in garanzia azioni di risparmio della stessa Carige. I manager di Nagel sono arrivati anche ad Alessandria, dove la locale fondazione si è trovata a gestire un cospicuo pacchetto di azioni Bpm ricevuti in cambio della vendita della cassa di risparmio. Mediobanca ha fatto da controparte, e lo è ancora adesso, a un contratto derivato su buona parte dei titoli Bpm di proprietà dell’ente piemontese.
Nel mondo Unicredit, primo azionista di Mediobanca con l’8,7 per cento del capitale, l’intreccio è ancora più complesso. Fabrizio Palenzona, vicepresidente sia di Mediobanca sia di Unicredit è il dominus della torinese Fondazione Crt, a sua volta socia rilevante di Unicredit. Crt a suo tempo ha costituito una società (Perseo) partecipata e finanziata da Mediobanca per investire in Unicredit. E la stessa Crt, attraverso un’altra finanziaria, ha puntato centinaia di milioni nelle assicurazioni Generali, che sono l’attività principale di Mediobanca. Ne viene fuori un intreccio impressionante di partecipazioni e prestiti, che la dice lunga sul potere dell’ex democristiano Palenzona.
Tutti contenti, allora? Mica tanto. Per capire meglio si può chiedere ai vertici della Fondazione Monte Paschi, che per tappare i buchi in bilancio sono stati costretti a mettere in vendita i loro titoli Mediobanca nel frattempo colpiti dal crollo generalizzato in Borsa delle azioni bancarie. I conti finali dell’operazione ancora non sono disponibili, ma sono prevedibili perdite per decine di milioni. Va male, molto male anche per la Cassa di Bologna, che a fine 2011 era in rosso di oltre 200 milioni sulla propria partecipazione in Mediobanca. Negli ultimi due mesi le quotazioni sono un po’ risalite ma la perdita, per ora solo potenziale, resta consistente. Morale della storia: Mediobanca aumenta il giro d’affari e consolida il suo potere. Alle Fondazioni, invece, restano debiti e perdite.
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