giovedì 2 agosto 2012

Il rispetto, anche per le notizie. - Bruno Tinti




Un giorno, spero lontano, io morirò. Le persone che mi hanno amato ricorderanno quasi solo le cose buone e giuste che ho fatto nella mia vita e piangeranno per me. Altri, a cui stavo proprio antipatico, parleranno solo di quanto sbagliato e ingiusto mi è capitato di fare e probabilmente si rallegreranno della mia morte. Altri ancora, amici e colleghi, parleranno di me in maniera più equilibrata, menzionando le azioni giuste e quelle sbagliate, quelle buone e quelle cattive. Ovviamente gli unici a comportarsi in maniera sensata saranno questi ultimi. Perché la morte è neutra e non modifica ciò che un uomo è stato né il giudizio su come ha interpretato la sua vita; salvo naturalmente in cui la morte stessa sia, di per sé, un’ultima azione che si aggiunge a tutte le altre e ne modifica l’equilibrio complessivo: l’eroe che si sacrifica per una giusta causa o il bandito ucciso mentre sta commettendo l’ultimo odioso delitto.
Queste banalità vanno ricordate alla quasi totalità degli organi di informazione e di coloro che, legati a vario titolo a Loris D’Ambrosio, il consigliere di Napolitano morto per infarto, ne hanno ricordato con commozione le doti di eccezionale giurista, di abile collaboratore di istituzioni politiche di vertice e, naturalmente, di uomo buono e probo. Senza quantomeno interrogarsi sui suoi recenti comportamenti nella vicenda Mancino, l’ex ministro degli Interni incriminato per falsa testimonianza nel processo per la trattativa Stato-mafia, che si è rivolto a lui, a Napolitano e al Procuratore generale presso la Corte di cassazione invocandone l’intervento. Non che questi accertati avvenimenti dovessero necessariamente essere giudicati in senso negativo. Ognuno è libero nei suoi giudizi (almeno dovrebbe esserlo); e i coalizzati estimatori di D’Ambrosio ben avrebbero potuto ricordare questi avvenimenti attribuendovi valenze non negative, sminuendone la portata e così pervenire a un motivato (perché completo) giudizio positivo su di lui. Ma non è successo nulla di tutto questo: gli eventi che hanno caratterizzato l’ultima parte della sua vita sono stati citati solo come elemento di accusa nei confronti dei magistrati della Procura di Palermo e dei giornali (soprattutto Il Fatto) che li hanno narrati, così cagionandone la morte. In questo modo si sono commessi tre errori (le persone in buona fede) ovvero tre vergognose strumentalizzazioni (le persone in malafede).
1) D’Ambrosio era malato di cuore da molti anni; dunque è molto probabile che lo stress dovuto all’emergere del suo ruolo nella vicenda Mancino ne abbia cagionato la morte. E allora? Un’ingiusta o cattiva azione cessa di essere tale se compiuta da un cardiopatico? E, se ingiusta o cattiva non è, ma comunque rilevante politicamente, socialmente, eticamente, non se ne deve parlare perché il suo autore è cardiopatico? E poi: chi sapeva che D’Ambrosio era malato? Prima di dibattere o di scrivere su vicende di così eccezionale rilevanza bisogna assumere informazioni sullo stato di salute dei protagonisti? E come si potrebbe fare, si chiede in ospedale (quale?) o agli amici? Ovviamente no. Dunque una cosa è la sussistenza di un probabilissimo rapporto di causalità tra la cardiopatia, lo stress indotto dall’emergere dei comportamenti di D’Ambrosio e la sua morte; e altra cosa è una responsabilità etica (qualcuno ha parlato perfino di responsabilità penale) in capo a chi li ha portati alla luce.
2) Ma poi, responsabilità di chi? Che c’entrano i magistrati della Procura di Palermo? Dovevano omettere di intercettare Mancino prevedendo che costui avrebbe parlato con D’Ambrosio che era cardiopatico e che, quando le intercettazioni fossero state conosciute…?
Però, si dice, sono stati loro a renderle pubbliche. E chi l’ha detto? Il fatto costituisce reato. Se si hanno prove in tal senso, denunciateli; dovreste godere come ricci. Perché non lo fate? Questa è la strumentalizzazione più evidente e odiosa. La Procura di Palermo è stata custode attentissima delle registrazioni; tanto che quelle tra Mancino e Napolitano non sono mai venute alla luce. Solo i magistrati possono averle consegnate? Anzi, solo Ingroia (se la prendono tutti con lui, guarda caso)? Davvero questa commossa indignazione non è inquinata dal fatto che si tratta del pool che ha indagato sulla trattativa Stato-mafia che tanto fastidio sta dando a illustri noti e ancora più illustri tuttora ignoti?
3) Se c’è una responsabilità oggettiva, questa è del mio giornale, de Il Fatto. Abbiamo pubblicato queste notizie. Abbiamo esposto la nostra valutazione politica ed etica di questi comportamenti. Abbiamo spiegato perché giuridicamente il comportamento della Procura di Palermo era ineccepibile. Abbiamo contestato le versioni faziose e servili (si capisce, dal nostro punto di vista) della quasi totalità di commentatori e politici. Insomma, abbiamo fornito informazioni (tutte rigorosamente vere) e denunciato azioni ingiuste e immorali (sempre dal nostro punto di vista). Un giornale non dovrebbe fare proprio questo? Contestino, querelino, usino la loro immensa potenza mediatica per smentirci. Ma non vengano a dirci che non avremmo dovuto. E perché poi? “Per rispetto verso le massime istituzioni della Repubblica, il cui prestigio non deve venire intaccato in momenti così gravi…”. E, oggi, anche perché D’Ambrosio era cardiopatico.
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