Continue riunioni ad alta tensione a Palazzo Grazioli per definire le liste del Pdl. Alemanno e Matteoli furibondi non hanno udienza. Berlusconi invece riceve l'ex sottosegretario all'Economia: "Per ora sei dentro, farò di tutto". Ma Caldoro minaccia di lasciare il Pdl.
ROMA - "Lo capite o no che così finisco in galera? Ma io vi rovino, ritiro i miei uomini, faccio cadere le giunte, vi faccio perdere le elezioni". Piomba a Palazzo Grazioli a fine mattinata, Nick o' mericano, ed è una furia che in pochi riescono ad arginare. Il capo non c'è, Berlusconi è fuori, sta registrando l'intervista a Sky in cui racconta, tra l'altro, di aver chiesto a Nicola Cosentino di fare "un passo indietro".
A Palazzo c'è Angelino Alfano, che il ras campano considera il vero artefice, col governatore Stefano Caldoro, di quella che definisce la "trappola" ai suoi danni. È un'escalation, che culmina nel momento in cui i pochi presenti sono costretti a intervenire tra le urla, per impedire che i due vengano in contatto, come racconterà uno degli spettatori. Nel salotto del Cavaliere scoppia la rissa. "Hanno rinunciato Scajola e Dell'Utri, non si capisce perché tu debba essere candidato, ma non hai visto i sondaggi?" incalza il segretario Pdl a muso duro.
È la miccia che fa esplodere tutto, anche perché in quegli stessi momenti le agenzie di stampa stanno rilanciando la richiesta del passo indietro formulata da Berlusconi. Cosentino perde le staffe, sbotta: "E questo sarebbe il partito garantista? Ma io vi rovino, ritiro i miei consiglieri e faccio saltare decine di giunte in Campania: poi vi faccio perdere le elezioni. Lo capite o no che per darla vinta a quattro giustizialisti io finisco in galera?"
Già, la galera. L'ex coordinatore del partito in Campania, l'ex sottosegretario di Tremonti all'Economia, fuori da quelle maledette liste non può finirci. Se per lui non si aprono le porte di Palazzo Madama o di Montecitorio, dal 25 febbraio si schiudono quelle di Poggioreale. Si piazza lì, nell'appartamento del Cavaliere. La sponda di Verdini e Nitto Palma non bastano più, il forfait di Scajola due giorni prima e di Dell'Utri a sorpresa ieri gli complicano l'operazione salvataggio. Non se ne va da Grazioli finché il padrone di casa non rientra. È a lui che deve chiedere conto e ragione. È con lui che deve parlare a quattr'occhi. Lo farà a ora di pranzo e il deputato di Casal di Principe sarà l'unico con cui Berlusconi accetti di parlare, fatto salvo con i quattro che nella stanza di fianco lavorano da 48 ore alle liste. A un certo punto è sembrato che Cosentino avesse preso in ostaggio il capo, ironizza ma neanche tanto uno dei dirigenti che ha accesso alle stanze riservate. E il Cavaliere cede, smorza, lo calma. "La mia era una richiesta, figuriamoci se ti metto fuori: farò di tutto per tenerti dentro" gli garantisce il leader. Torni pure tranquillo a casa, perché "al momento sei in lista". Il vertice decisivo (su Puglia, Lazio e Sicilia, oltre che sulla Campania) ancora in nottata era in corso. "Sto andando a Palazzo Gazioli per la riunione, che vuol dire Cosentino sub-judice? Chiedetelo a Berlusconi" taglia corto prima di raggiungere il vertice delle 22 Francesco Nitto Palma. A quello stesso portone bussa il governatore Caldoro, viene ricevuto dal suo amico Alfano. "Se Cosentino resta in lista, io coi miei otto consiglieri regionali di area socialista usciamo dal Pdl. Restiamo nel centrodestra, ma non posso rimanere in un partito di cui quello lì mantiene il controllo". Ai suoi Berlusconi confida che vorrebbe tenere la linea dura, far cadere anche l'ultima testa tra i tre super "impresentabili". Ma è la più dura, non sarà facile.
La tensione è altissima, nella stanza dei bottoni a Grazioli. Chiusi da giorni e notti ormai, compresa quella appena conclusa, ci sono solo Alfano, Sandro Bondi, Denis Verdini, Renato Schifani. Di tanto in tanto fa capolino Cicchitto. Nessuno può entrare. La sede di via dell'Umiltà invece è un porto di mare. Deputati e aspiranti onorevoli calabresi, laziali tengono sotto assedio il responsabile elettorale Ignazio Abrignani chiuso lì al quarto piano. Berlusconi invece è blindato nel suo studio in via del Plebiscito. Non riceve nessuno, eccetto Verdini e i quattro di fianco. Ci prova di nuovo Maurizio Gasparri, invano. Si presenta il sindaco di Roma Gianni Alemanno per protestare: quasi tutti i suoi vengono fatti fuori, con l'eccezione di Piso e della Saltamartini. Altero Matteoli, inviperito per l'esclusione di alcuni suoi uomini, non trova udienza e torna in Toscana d'umore nero. È un'ecatombe di ex An, nelle liste. Raccontano che il vero "angelo vendicatore" sia Sandro Bondi, più che Verdini. "Spietato", raccontano le cronache da dentro. Tanto che perfino un ras del Lazio come Andrea Augello finisce borderline.
Le ultime grane su Sicilia, Campania, Liguria e Calabria a notte fonda, man mano che si chiudono le liste però scoppiano rivolte ovunque. L'exploit dell'ex direttore del Tg1 Minzolini, capolista in Liguria-Senato al posto di Scajola manda per aria il partito in quella regione. Il Cavaliere è esausto, raccontano. Stamattina l'ultimo visto alle liste, a pranzo vuole essere già ad Arcore.
A Palazzo c'è Angelino Alfano, che il ras campano considera il vero artefice, col governatore Stefano Caldoro, di quella che definisce la "trappola" ai suoi danni. È un'escalation, che culmina nel momento in cui i pochi presenti sono costretti a intervenire tra le urla, per impedire che i due vengano in contatto, come racconterà uno degli spettatori. Nel salotto del Cavaliere scoppia la rissa. "Hanno rinunciato Scajola e Dell'Utri, non si capisce perché tu debba essere candidato, ma non hai visto i sondaggi?" incalza il segretario Pdl a muso duro.
È la miccia che fa esplodere tutto, anche perché in quegli stessi momenti le agenzie di stampa stanno rilanciando la richiesta del passo indietro formulata da Berlusconi. Cosentino perde le staffe, sbotta: "E questo sarebbe il partito garantista? Ma io vi rovino, ritiro i miei consiglieri e faccio saltare decine di giunte in Campania: poi vi faccio perdere le elezioni. Lo capite o no che per darla vinta a quattro giustizialisti io finisco in galera?"
Già, la galera. L'ex coordinatore del partito in Campania, l'ex sottosegretario di Tremonti all'Economia, fuori da quelle maledette liste non può finirci. Se per lui non si aprono le porte di Palazzo Madama o di Montecitorio, dal 25 febbraio si schiudono quelle di Poggioreale. Si piazza lì, nell'appartamento del Cavaliere. La sponda di Verdini e Nitto Palma non bastano più, il forfait di Scajola due giorni prima e di Dell'Utri a sorpresa ieri gli complicano l'operazione salvataggio. Non se ne va da Grazioli finché il padrone di casa non rientra. È a lui che deve chiedere conto e ragione. È con lui che deve parlare a quattr'occhi. Lo farà a ora di pranzo e il deputato di Casal di Principe sarà l'unico con cui Berlusconi accetti di parlare, fatto salvo con i quattro che nella stanza di fianco lavorano da 48 ore alle liste. A un certo punto è sembrato che Cosentino avesse preso in ostaggio il capo, ironizza ma neanche tanto uno dei dirigenti che ha accesso alle stanze riservate. E il Cavaliere cede, smorza, lo calma. "La mia era una richiesta, figuriamoci se ti metto fuori: farò di tutto per tenerti dentro" gli garantisce il leader. Torni pure tranquillo a casa, perché "al momento sei in lista". Il vertice decisivo (su Puglia, Lazio e Sicilia, oltre che sulla Campania) ancora in nottata era in corso. "Sto andando a Palazzo Gazioli per la riunione, che vuol dire Cosentino sub-judice? Chiedetelo a Berlusconi" taglia corto prima di raggiungere il vertice delle 22 Francesco Nitto Palma. A quello stesso portone bussa il governatore Caldoro, viene ricevuto dal suo amico Alfano. "Se Cosentino resta in lista, io coi miei otto consiglieri regionali di area socialista usciamo dal Pdl. Restiamo nel centrodestra, ma non posso rimanere in un partito di cui quello lì mantiene il controllo". Ai suoi Berlusconi confida che vorrebbe tenere la linea dura, far cadere anche l'ultima testa tra i tre super "impresentabili". Ma è la più dura, non sarà facile.
La tensione è altissima, nella stanza dei bottoni a Grazioli. Chiusi da giorni e notti ormai, compresa quella appena conclusa, ci sono solo Alfano, Sandro Bondi, Denis Verdini, Renato Schifani. Di tanto in tanto fa capolino Cicchitto. Nessuno può entrare. La sede di via dell'Umiltà invece è un porto di mare. Deputati e aspiranti onorevoli calabresi, laziali tengono sotto assedio il responsabile elettorale Ignazio Abrignani chiuso lì al quarto piano. Berlusconi invece è blindato nel suo studio in via del Plebiscito. Non riceve nessuno, eccetto Verdini e i quattro di fianco. Ci prova di nuovo Maurizio Gasparri, invano. Si presenta il sindaco di Roma Gianni Alemanno per protestare: quasi tutti i suoi vengono fatti fuori, con l'eccezione di Piso e della Saltamartini. Altero Matteoli, inviperito per l'esclusione di alcuni suoi uomini, non trova udienza e torna in Toscana d'umore nero. È un'ecatombe di ex An, nelle liste. Raccontano che il vero "angelo vendicatore" sia Sandro Bondi, più che Verdini. "Spietato", raccontano le cronache da dentro. Tanto che perfino un ras del Lazio come Andrea Augello finisce borderline.
Le ultime grane su Sicilia, Campania, Liguria e Calabria a notte fonda, man mano che si chiudono le liste però scoppiano rivolte ovunque. L'exploit dell'ex direttore del Tg1 Minzolini, capolista in Liguria-Senato al posto di Scajola manda per aria il partito in quella regione. Il Cavaliere è esausto, raccontano. Stamattina l'ultimo visto alle liste, a pranzo vuole essere già ad Arcore.
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