mercoledì 26 novembre 2014

Precari della scuola, la Corte di giustizia Ue condanna l'Italia.

La sede della Corte di giustizia europea, in Lussemburgo.
La sede della Corte di giustizia europea, in Lussemburgo. (© ImagoEconomica).

Norme italiane sulle supplenze bocciate dall'Europa: «Contrarie al diritto del lavoro». Assunzione in vista per 250 mila.

La normativa italiana «sui contratti di lavoro a tempo determinato» nel settore della scuola «è contraria al diritto dell'Unione». Lo ha scritto la Corte di giustizia europea nella sentenza del 26 novembre, spiegando che «il rinnovo illimitato di tali contratti per soddisfare esigenze permanenti e durevoli delle scuole statali non è giustificato». 

COINVOLTI IN 250 MILA. Il bacino degli insegnanti coinvolti nel nostro Paese, per i quali si profila un obbligo di assunzione, è compreso tra i 250 e i 300 mila.
La sentenza della Corte Ue risponde al quesito posto (con rinvio pregiudiziale) dalla Corte costituzionale e dal tribunale di Napoli «se la normativa italiana sia conforme all'accordo quadro dell'Ue sul lavoro a tempo determinato e, in particolare, se quest'ultimo consenta il rinnovo di contratti di lavoro a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali per l'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, senza la previsione di tempi certi per l'espletamento dei concorsi ed escludendo qualsiasi risarcimento del danno subito a causa di un siffatto rinnovo».

CAUSE DEI LAVORATORI. La questione trova la sua origine nelle cause presentate da un gruppo di lavoratori precari assunti in istituti pubblici come docenti e collaboratori amministrativi in base a contratti di lavoro a tempo determinato stipulati in successione. Questi hanno lavorato durante periodi differenti, fermo restando che non sono mai state impiegati per meno di 45 mesi su un periodo di cinque anni. Sostenendo l'illegittimità di tali contratti, detti lavoratori hanno chiesto giudizialmente la riqualificazione dei loro contratti in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, la loro immissione in ruolo, il pagamento degli stipendi corrispondenti ai periodi di interruzione tra i contratti nonché il risarcimento del danno subito.

NESSUNA MISURA PER PREVENIRE. Secondo i giudici di Lussemburgo la normativa italiana non prevede alcuna misura diretta a prevenire il ricorso abusivo a una successione di contratti di lavoro a tempo determinato. La Corte Ue ha evidenziato come «l'accordo quadro sul lavoro a tempo determinato non ammette una normativa che, in attesa dell'espletamento delle procedure concorsuali dirette all'assunzione di personale di ruolo delle scuole statali, autorizzi il rinnovo di contratti a tempo determinato per la copertura di posti vacanti e disponibili di docenti e di personale amministrativo, tecnico e ausiliario, senza indicare tempi certi per l'espletamento delle procedure concorsuali ed escludendo il risarcimento del danno subito per tale rinnovo».

MANCANO CRITERI OBIETTIVI E TRASPARENTI. Inoltre, la legge italiana «non prevede criteri obiettivi e trasparenti al fine di verificare se il rinnovo risponda a un'esigenza reale, sia idoneo a conseguire l'obiettivo perseguito e sia necessario a tal fine». E «non contempla neanche altre misure dirette a prevenire e a sanzionare il ricorso abusivo a tali contratti». Trattandosi di un rinvio pregiudiziale, e cioè di quel meccanismo che consente ai giudici degli Stati membri di interpellare la Corte in merito all'interpretazione del diritto dell'Unione, la Corte non risolve la controversia nazionale. Spetta infatti al giudice del Paese Ue risolvere la causa conformemente alla decisione della Corte europea.

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