Il pubblico ministero non si sarebbe pronunciato sulla possibilità di accettare il trasferimento né avrebbe espresso preferenze su eventuali sedi. La Commissione deciderà, dopo aver nuovamente sentito il magistrato nelle prossime settimane.
Le minacce di Matteo Messina Denaro in una lettera, quelle di Totò Riina intercettato in carcere. Sembrava che l’allarme sicurezza per il lavoro e la vita di Nino Di Matteo, pm anche nel processo sulla presunta trattativa tra Stato e mafia, fosse scemato. Invece ci sarebbero nuove intercettazioni che hanno innescato l’esigenza di valutare anche un trasferimento per motivi di sicurezza. Il magistrato, dopo una nota inviata dal procuratore di Palermo Francesco Lo Voi al Csm, è stato convocato a Palazzo dei marescialli. Di Matteo – per cui era stato deciso l’utilizzo di un bomb jammer – ha avuto un lungo colloquio con il vice presidente Giovanni Legnini e poi è stato ascoltato dalla Terza Commissione. Durante l’audizione si è discusso dei fatti che comporterebbero un aggravamento dei rischi relativi alla sua sicurezza, che sarebbero emersi appunti da recenti intercettazioni.
L’ipotesi a cui starebbe lavorando il Csm è un trasferimento per ragioni di sicurezza, forse alla Procura nazionale antimafia. Di Matteo non si sarebbe pronunciato sulla possibilità di accettare il trasferimento né avrebbe espresso preferenze su eventuali sedi. La Commissione deciderà, dopo aver nuovamente sentito il magistrato nelle prossime settimane.
Anche l’anno scorso il Csm aveva offerto a Di Matteo un trasferimento per ragioni di sicurezza, ma lui aveva rifiutato l’offerta di Palazzo dei marescialli, nella speranza di risultare intanto vincitore di un concorso per la Procura nazionale antimafia. Alla fine la sua candidatura venne bocciata e il pm impugnò, senza successo, la decisione davanti al Tar, accusando il Csm di avergli inflitto una “ingiusta mortificazione”, sottovalutando il suo “ineccepibile e solidissimo” curriculum.
In quella occasione i componenti della Terza Commissione avevano però escluso (anche se non si arrivò a una delibera) di poter destinare Di Matteo alla procura guidata da Franco Roberti per ragioni di sicurezza e dunque al di fuori di un regolare concorso: perché l’istituto consentirebbe il passaggio solo tra posti omologhi, cioè di pari grado, e non a uffici superiori, come la Dna. Un’obiezione che stavolta si tenderebbe a superare. Ancora la scorsa estate Di Matteo si era visto escludere dal concorso per l’assegnazione di due posti di aggiunto alla Procura nazionale antimafia. A tradirlo un passo falso: il mancato rispetto delle formalità richieste perché la sua domanda potesse essere presa in considerazione dal Csm. La sua domanda era stata giudicata inammissibile dal Consiglio giudiziario di competenza con sorprendenti le motivazioni: non ha allegato alla domanda “l’attestazione dell’avvenuta richiesta del parere attitudinale”. Mentre “avrebbe redatto l’autorelazione senza avvalersi del modulo prescritto dal nuovo Testo Unico sulla dirigenza”. Ma c’è una via ancora aperta: non sono ancora scaduti i termini per la partecipazione a un concorso ordinario per cinque posti da sostituto.
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