Nel Pd adesso si cerca di correre ai ripari per evitare un nuovo ko referendario: modificare la legge o congerlarlo con il voto anticipato.
ROMA - “Una rogna”. Matteo Renzi definisce così l’ipotesi che la Corte Costituzionale, la decisione è prevista l’11 gennaio, dichiari ammissibili i tre referendum presentati dalla Cgil che chiedono l’abolizione del Jobs Act e il ritorno all’articolo 18, la cancellazione dei voucher e il ritorno alle garanzie per i contributi dei lavoratori delle ditte che subappaltano lavori. Con il via libera della Consulta il governo dovrebbe fissare la data del voto fra il 15 aprile e il 15 giugno. E con l’aria che tira, è il ritornello che gira fra i democratici, quelli del No avrebbero un’altra bella occasione per dare una seconda mazzata a Renzi e ai suoi progetti di rivincita. Anche se questa volta il referendum prevede il quorum. E allora nel Palazzo già si pensa e si lavora su come disinnescare questa mina vagante. Fino all’idea estrema: sconfessare, la riforma voluta da Renzi, considerarla defunta e trovare altre soluzioni per evitare il voto popolare.
La prima ipotesi però è la più semplice e si incastra perfettamente nelle strategie renziane. Si sciolgono le Camere e si va a votare a giugno: Renzi ha in testa la data dell’11 giugno. In questo caso la legge parla chiaro: i quesiti referendari vanno congelati e spostati di un anno perché non si possono tenere insieme elezioni politiche e referendum. La via più semplice. Una soluzione che però deve fare i conti con la riluttanza del presidente della Repubblica a sciogliere le Camere e con i tempi del varo delle nuove leggi elettorali per Camera e Senato. C’è chi, infatti, vorrebbe correre, iniziare a discutere subito, prima del giudizio della Consulta sull’Italicum. Scegliendo la soluzione apparentemente più facile: tornare al Mattarellum.
Il deputato del Pd Michele Nicoletti ha appena presentato una proposta di legge per ripristinare la legge con cui abbiamo votato nel 1994, 1996 e 2001. C’è chi, invece, vuole aspettare la Consulta e la sua decisione e ripartire da cosa diranno i giudici costituzionali. E cosa di non poco conto fra i sostenitori di questa tesi c’è Anna Finocchiaro, presidente della Affari costituzionali del Senato e ora ministro per i Rapporti con il Parlamento che dovrà occuparsi d tessere la tela delle nuove leggi elettorali.
Così, di fronte all’incertezza sulla reale durata del governo Gentiloni si affaccia una nuova ipotesi: modificare il Jobs act, rivedere le norme sui voucher. Ne ha parlato all’ultima riunione dei gruppi del Pd Cesare Damiano, come conferma il capogruppo del Pd a Montecitorio Ettore Rosato: «Sì, in un intervento è stato citato il tema». Per i voucher ha spiegato Damiano tutto è più facile: basta recuperare la legge Biagi e farli tornare veramente strumenti per pagare collaborazioni occasionali. Il terzo quesito ha natura molto tecnica e, anche se si tenesse, non può certo assumere valore politico.
Il discorso è più complicato sulle possibili modifiche all’articolo 18. Che dall’abrogazione delle norme sul Jobs act verrebbe esteso alle aziende con più di 5 dipendenti. Damiano ha posto il problema e avrebbe anche detto al ministro dei Beni Culturali Dario Franceschini “il Jobs act mi sembra defunto”. Ma sconfessare la legge sarebbe un altro duro colpo alla narrazione renziana “dell’abbiamo fatto in tre anni più di quello che altri hanno fatto in dieci anni”. Una clamorosa marcia indietro che si aggiungerebbe al no popolare alle riforme, alle prese di distanza dello stesso Renzi dell’attuazione della Buona scuola e alla parziale bocciatura della Consulta della riforma della Pubblica amministrazione. Ma fare delle modifiche alla legge vigente e convincere la Cassazione che il nuovo testo eri il quesito del referendum è molto arduo. Ecco allora tornare in pista l’ipotesi principale: andare alle elezioni politiche e rinviare tutto di un anno. Una tesi che sostiene il ministro del Lavoro Giuliano Poletti. " Se si vota prima del referendum sul Jobs Act, il problema non si pone. Ed è questo, con un governo che fa la legge elettorale e poi lascia il campo, lo scenario più probabile. Sulla data dell'esame della Consulta è tutto come previsto".
Naturalmente riaccendere il faro sull'articolo 18 e i voucher, riattizza la conflittualità fra sindacati e imprese. "I voucher per la Cisl vanno sicuramente cambiati e aboliti nei settori dell'agricoltura e dell'edilizia, dove sono diventati uno strumento selvaggio di precarietà del lavoro", dice la segretaria Annamaria Furlan. Susanna Camusso risponde invece al ministro Poletti che esclude la tenuta del referendum causa elezioni politiche. "Mi pare dotato di una sfera di cristallo", dice la leader della Cgil. Per la Camusso "insistere sullo slittamento del referendum significa non avere il coraggio di affrontare i problemi". E comunque, conclude, per noi "vale il merito e non la data". Invece il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia dice: "Arriva il referendum? Io imprenditore attendo e non assumo. E questo è il capolavoro italiano dell'ansietà, di far vivere il paese in un clima perenne di incertezza totale".
http://www.repubblica.it/politica/2016/12/14/news/referendum_sul_jobs_act_la_consulta_decide_sull_ammissibilita_l_11_gennaio-154079936/
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