Prima di tutto, un grazie a Maurizio Blondet per lo spazio e l’interesse dedicato ai miei articoli negli ultimi giorni. Ora, veniamo a noi. Avrei voluto cominciare questo articolo con una lunga carrellata di fotografie di bambini ammazzati in bombardamenti e attacchi in Yemen, Iraq, Afghanistan, Donbass: insomma, in tutti i quei posti di cui non frega un cazzo alle anime belle che da ieri stanno battendosi senza esclusione di bugie per accaparrarsi il ruolo di testimonial dell’Unicef per i prossimi 20 anni. I bambini, ecco la parola magica: gli ipocriti in servizio permanente ed effettivo da ieri hanno la loro coperta di Linus, ammorbano i social network con pensierini zuccherosi e nauseabondi, mostrano al mondo la loro sensibilità ferita attraverso concetti la cui profondità e genuinità è pari a quella di un organismo monocellulare del Borneo. Ipocriti: la guerra ammazza e ammazza anche i bambini. Erano bambini anche quelli della strage di Gorla nella mia Milano ma se provi a ricordarli invocano la legge Mancino: se ti ammazzano i liberatori la tua infanzia non conta, sei solo un danno collaterale della grande campagna in nome della libertà e della verità.
Poi ditemi se avete ancora voglia di difendere gli esportatori di democrazia che armano la mano di satrapi e dittatori vari, gli stessi però che hanno la fortuna mediatica di stare dalla parte giusta della Storia. E che, quindi, possono ammazzare in assoluta serenità e con il silenzio assenso del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Siete pronti a rinunciare al Mac-world in cui vivete, facendo i liberal, pur di non vedere più bambini morire.
Come siano andate le cose a Idlib, pare ormai abbastanza chiaro: le truppe di Assad non hanno bombardato con gas letali ma centrato un deposito dei ribelli stipato con quel veleno, facendo sprigionare un nube tossica: non è Sarin, come piacerebbe ai Torquemada della carta stampata ma, comunque sia, ammazza. Giova farsi una domanda: che cazzo ci fanno i guerriglieri anti-Assad con armi vietate dalle Convenzioni? Giocano al piccolo chimico tra un assalto e l’altro? Pensavano che fossero innocui detersivi? Chissà se all’ONU oggi qualcuno avanzerà questa domanda? O, magari, una ancora più interessante: chi ha fornito quella merda ai ribelli, visto che non mi pare che cresca spontaneamente sulle piante siriane? Ce lo dice questa fotografia di fonte americana,
Il 30 marzo, poi, il governo turco ammise che le sue forze di sicurezza trovarono un cilindro da 2 chili di gas sarin nell’abitazione di un miliziano di Jibhat al-Nusra, gruppo terroristico operante in Siria e supportato dall’Arabia Saudita. Lo stesso Paese che presiede il Comitato per i diritti umani dell’ONU. Tanto più, poi, che gli agenti chimici di Assad sono sotto controllo della stessa ONU al 2014, quando si raggiunse un accordo e nello stesso anno fu il Massachussets Institute of Technology a smentire chi voleva le truppe lealiste come utilizzatrici di agenti chimici nell’attacco del 21 agosto 2013 a Goutha che costò la vita a decine di civili. Furono i ribelli ad usarli e questa scoperta bloccò i piani di attacco di Barack Obama, il quale aveva posto il limite della cosiddetta “linea rossa” nei confronti di Assad: attacchi con i gas avrebbero significato reazione militare Usa.
Guarda caso, quella formula è tornata a campeggiare sui giornali: Assad avrebbe superato il limite. Cosa si fa, un nuovo intervento? Queste prime pagine:
E ancora: “Vediamo un buon potenziale nell’espansione della cooperazione nel settore petrolifero e del gas. Le nostre società hanno raggiunto una serie importante di accordi per lo sviluppo di grandi giacimenti di idrocarburi in Iran; inoltre i due Paesi cooperano nel quadro del Gas Exporting Countries Forum, in cui si stabilizzano i mercati globali del petrolio”, ha sottolineato Putin al “Teheran Times”. Rouhani, dal canto suo, ha espresso la speranza che i due Paesi “accrescano ulteriormente le proprie relazioni bilaterali” e ottenuto la rassicurazione dell’imminente adesione iraniana nella Shanghai Cooperation Organization. Le delegazioni di Iran e Russia, infine, hanno firmato 14 trattati di cooperazione che coprono vari ambiti: economia, politica, ma anche scienza e cultura. Piccolo particolare, quel consesso – la Shanghai Cooperation Organization – ha come base fondante il superamento del dollaro come valuta di scambio e riferimento globale.
Non a caso, Donald Trump ha già definito “molto difficile” l’incontro che si terrà domani e dopo in Florida con il presidente cinese, Xi Jinping, la cui agenda ufficiale parte dal protezionismo commerciale per passare alla questione coreana fino alle isole artificiali nel Mar Cinese Meridionale. Il Pentagono, poi, vede l’asse Russia-Iran come la minaccia principale, soprattutto perché a sovrintendere alle politiche reali dell’amministrazione Trump c’è il potente e fidato consigliere Steve Bannon, ufficiale di Marina durante la crisi degli ostaggi in Iran, uno per cui la Repubblica islamica rappresenta una minaccia ontologica. Guarda caso, una visione del mondo che accomuna anche Israele e l’eterna indecisa Turchia, tornata ieri a menar fendenti contro Mosca. Nel frattempo, dell’attentato a San Pietroburgo è sparita ogni traccia. Come non fosse mai accaduto.
C’è poi dell’altro. L’affaire russo-siriano sta silenziando al di fuori degli USA il caso Russiagate, con non poco caos attorno alla deposizione della cosiddetta “talpa”, Susan Rice, che avrebbe smascherato i rapporti di Michael Flynn con l’ambasciatore russo, portandolo alle dimissioni. Barack Obama sapeva o no di questa pletora di infiltrati? Proprio oggi il Wall Street Journal spara la notizia in base alla quale la Rice non sarebbe stata l’unica a operare in tal senso, lasciando intendere la presenza di almeno un altro funzionario di alto livello nell’intrigo. Inoltre, serve gettare una bella cortina fumogena su questo,
ovvero il sistema “Marble” svelato da WikiLeaks nella sua ultima pubblicazione di documenti, stranamente passata sotto silenzio sui media occidentali. Di cosa si tratta? Niente di che, solo del sistema in base al quale la CIA opera con tattiche di hacking che lasciano tracce in lingua russa, cinese, farsi, araba e coreana. Insomma, loro spiano, intercettano, violano e manipolano ma le briciole informatiche portano a qualche altro Pollicino. Una bella figura di merda globale, in caso si scoprisse che il famoso caso di hackeraggio al Comitato democratico altro non era se non un’operazione di false flag cybernetica dell’intelligence per montare il caso Russiagate, cosa ne dite? In giorni come questi, tornano in mente le parole di André Malraux ne “Il tempo del disprezzo”, parole che come le scritte sui muri delle celle delle galere, trasudano destini: “Bisognava attendere. Era tutto. Resistere. Vivere a rilento, come i paralitici, gli agonizzanti, con quella volontà tenace e sepolta, come un volto nelle tenebre più profonde. Se no, la follia”. Quante cose possono nascondersi dietro il corpo martoriato di un bambino siriano, ucciso una seconda volta dagli sciacalli del politicamente corretto. In nome di una libertà per conto terzi che si riduce quasi sempre a interessi poco nobili e confessabili.
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