venerdì 25 gennaio 2019

Fotografato per la prima volta il buco nero al centro della Via Lattea. - Francesco La Teana

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La parte centrale della nostra galassia, la Via Lattea, come la riprende nel vicino infrarosso lo strumento Naco del Vlt (Very Large Telescope) dell’Eso. Crediti: Eso/S. Gillessen et al. via Inaf.

Essendo nascosto da nuvole di polvere e gas finora non era stato possibile ottenerne immagini nitide. Ora un gruppo di astrofisici,  grazie a nuove tecniche di osservazione, è riuscito ad aprire la strada al suo studio diretto.


Il buco nero denominato Sagittario A* (Sgr A*) situato al centro della nostra galassia rappresenta uno degli obiettivi più promettenti per lo studio della dinamica dei buchi neri, grazie alla sua relativa poca distanza da noi. Fino ad ora però è sempre stato estremamente elusivo, perché nascosto da grandi nuvole interstellari che ne coprono la visuale. Tanto che la sua stessa esistenza è stata più volte messa in discussione.

I dati in nostro possesso indicano che al centro della Via Lattea vi è un oggetto ipotetico chiamato Sagittario A*, rivelato dalla fortissima emissione tipica dei buchi neri supermassivi nel campo delle radiofrequenze, che dovrebbe avere, per giustificare tale emissione, una massa pari a circa 4 milioni di masse solari e distante da noi 8,1 chiloparsec, pari a 250 mila miliardi di chilometri.

Con la tecnica denominata Interferometria a base molto ampia (Very Large Baseline Interferometry - VLBI) è stato possibile ad una nutrita pattuglia di ben 44 scienziati ottenere una risoluzione doppia di quella raggiungibile in precedenza ed è stato possibile ottenere le prime immagini di Sgr A*. La diffusione della luce rende sfocate e distorte le immagini, però 
ha consentito di definire le proprietà esatte dell'oggetto.

I primi risultati, pubblicati sulla rivista The Astrophisical Journal disponibile per ora solo in preprint dal gruppo di ricercatori soprendentemente guidato da una studentessa, Sara Issaoun, che sta studiando per il suo Ph.D. presso la Radboud University Nijmegen nei Paesi Bassi, consentono di affermare che l'oggetto è contenuto in un angolo molto piccolo e l'area occupata è molto inferiore a quanto stimato in precedenza e presenta una certa simmetria. La maggior parte delle emissioni radio proviene da un angolo di soli 300 milionesimi di grado (come guardare una mela sulla Luna dalla Terra).

Un fatto sufficiente a porre i primi problemi. Infatti, se si considera il modello attualmente accettato, nei dintorni di un buco nero vi è un disco di materia (disco di accrescimento), che forma un vortice intorno ad esso, in attesa di venirne risucchiato, mentre in direzioni opposte si genera un fortissimo e luminosissimo getto di materia ed energia che raggiunge grandi distanze. Quindi i buchi neri, invece che neri, in realtà appaiono come considerevoli e luminosissimi oggetti che occupano vaste aree.

Sgr A* sembrerebbe quindi rappresentare un'eccezione. Le ipotesi degli autori sono due: o il getto è inefficiente dal punto di vista radiativo (quindi emette poca radiazione e non risulta visibile) oppure può darsi che il getto radio punti verso la nostra direzione e quindi non lo vediamo esteso su un'area vasta, ma racchiuso. In tal caso, che è quello scelto dagli autori, il fatto che appaia piccolo non implica necessariamente che si tratti di un oggetto piccolo, ma solo che lo vediamo di fronte, dalla parte del getto, che punta verso di noi.

La tecnica utilizzata prevede l'uso di una rete di telescopi sparsi in tutto il mondo. Sono stati utilizzati l'impianto ALMA (Atacama Large Millimeter/submillimeter Array), posto sulle Ande cilene dall'ESO (European Southern Observatory), un telescopio, composto da 66 antenne di alta precisione, disseminate a distanze che raggiungono i 16 chilometri, costruito per analizzare la luce compresa tra lunghezze millimetriche e submillimetriche, fra l'infrarosso e le onde radio. Ad Alma è stato aggiunto il Global VLBI Array, una rete di telescopi e antenne situate in Spagna, Francia, Germania, Svezia e Finlandia. Tutti questi telescopi, in fase tra di loro, hanno osservato contemporaneamente Sgr A*, in modo da formare un radiotelescopio grande quasi quanto la Terra, permettendo, come abbiamo detto, di raggiungere una risoluzione doppia rispetto alle precedenti osservazioni nella stessa frequenza.

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