giovedì 5 settembre 2019

Alla prova del Fatto.- Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 5 Settembre

L'immagine può contenere: 6 persone, persone che sorridono

Pare un secolo, ma era solo un mese fa: il 5 agosto Salvini strappava la fiducia in Senato sul dl Sicurezza e si apprestava a maramaldeggiare il giorno 7 sui 5Stelle votando alla Camera le mozioni pro Tav col Pd&FI. Poi, l’8, la mossa volpina di rovesciare il governo per andare al voto e governare con “pieni poteri”.

Ora, 27 giorni dopo, si aggira insalutato ospite per la Val Padana ululando alla luna contro il complotto mondiale ai suoi danni, mestamente agghindato di magliette con la scritta “Polizia locale”, che presto cederanno il posto alle divise da metronotte. Intorno a lui, i volti sgomenti dei suoi giannizzeri che un mese fa ingrassavano nei ministeri, con uffici damascati, poltrone in pelle umana, auto blu, scorte, inchini, salamelecchi, tartine, interviste, starlette Rai e tutto il cucuzzaro del potere.

E ora, senza sapere il perché, si ritrovano digiuni e disoccupati, spogli e nudi come mamma li ha fatti (maluccio, se non ricordiamo male). Conte e Di Maio, vittime designate dell’astuto Cazzaro Verde, lo salutano con affettuosi bacioni da Palazzo Chigi e dalla Farnesina.

E il Pd, che l’altroieri ha vinto le sue prime elezioni dopo 13 anni ma tra gl’iscritti a un altro partito, lo ringraziano sentitamente per l’insperato ritorno al governo. Noi, da cittadini democratici e da antichi sostenitori dell’incontro fra un centrosinistra rinnovato e un M5S maturato, gli siamo grati per averlo reso possibile con la sua spettacolare autodistruzione. Ma siamo un giornale libero, cioè critico e rompipalle, e continueremo a esserlo. Quindi tratteremo il Conte-2 come gli altri governi, senza pregiudizi negativi né positivi: applausi se farà bene, fischi se farà male.

La partenza ha luci e ombre: un premier capace e perbene; un programma ambizioso, ma ancora troppo vago; una squadra giovane (la più giovane della storia), incensurata, con novità di eccellenza come la Pisano all’Innovazione, Provenzano al Sud, Patuanelli al Mise, Catalfo al Lavoro; un po’ di usato sicuro come Bonafede alla Giustizia, Costa all’Ambiente e Gentiloni alla Ue; e molte incognite tutte da scoprire, tipo la prefetta Lamorgese all’Interno (perché non Minniti?) e Gualtieri all’Economia (cui non giova l’imbarazzante endorsement di Lady Bce).

Li attendiamo al varco, cioè alla prova dei fatti. Formeremo un governo-ombra del Fatto, con le nostre firme distribuite per competenze sui vari dicasteri, per giudicare i ministri all’opera (oggi Montanari inizia col triste remake di Franceschini al Mibact). Non chiamarsi Salvini, Bongiorno, Fontana, Centinaio, Rixi e Siri aiuta. Ma il meno peggio non basta: alla lunga, apre (o riapre) la strada al peggio.


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