martedì 9 febbraio 2021

Dall’ammucchiata di potere si salvano Calenda e Meloni. - Andrea Scanzi

 

Ormai è fatta: tutti, o quasi, sono entrati nella retoricissima modalità “governo di unità nazionale”. E quando è così vale tutto. A quel punto è tutto un piovere di “Draghi santo subito” e “Franza o Spagna purché se magna”. Soprattutto: a quel punto, che è poi questo, ciò che fino al minuto prima pareva impossibile – e inaccettabile – diventa auspicabile. Anzi addirittura meraviglioso. E allora vai con Salvini che governa con Fratoianni (bum!), Calderoli con Zingaretti (daje!) e Berlusconi con Di Maio (c’mon).

Detto che Draghi è persona dal profilo inattaccabile e che gli auguriamo ogni fortuna (che sarebbe poi la nostra), il suo governo si presenta a oggi – con rispetto parlando e non per colpa sua – come una delle più grandi schifezze nella storia dell’umanità. Lega col Pd, Forza Italia con Movimento 5 Stelle, centristi e cosiddetti radicali con LeU. Una roba da vomito, ma se osi dirlo ti guardano come il cacadubbi che fa lo schizzinoso dinnanzi a ostriche & champagne. È tutto capovolto, e quando scatta il concetto di “unità nazionale” devi ingoiare tutto. Altrimenti sei un traditore.

Gad Lerner parla di “commissariamento della democrazia parlamentare” ed è vero, perché ricorrendo a Draghi si è implicitamente ammesso che la politica ha fallito. Corradino Mineo ci vede invece qualcosa di positivo, ovvero una sorta di “normalizzazione” della Lega, passata – in un secondo! – da sovranista a europeista. È vero che lo scenario è devastante e come la giri ti fai male. Ed è anche vero che, di fronte a una tragedia, un Paese dovrebbe sapersi unire. Certo. Ma questo varrebbe in un Parlamento fatto da De Gasperi, Parri e Pertini. Lì si che avrebbe senso questa sorta di Grande Partito Unico, in grado di andare oltre ogni divergenza. Ma davvero, oggi, c’è qualcuno che crede al senso dello Stato di Salvini, Berlusconi e Gasparri? Davvero qualcuno crede a Borghi & Bagnai folgorati sulla via dell’europeismo? Davvero qualcuno crede che il povero Draghi, zavorrato da una maggioranza che a oggi andrebbe dall’estrema sinistra (si fa per dire) all’estrema destra (non si fa per dire), potrà fare qualcosa di fortemente politico? A parte i ristori e il piano vaccinale (che sarebbe già tantissimo, certo), dovrà anzitutto altro tirare a campare. Altro che conflitto di interessi, prescrizione e transizione ecologica!

Giornalisticamente sarà pure una gran frattura di palle, perché vivremo in un clima mellifluo da “adesso fingiamo tutti di andare d’accordo”. E l’unico da bastonare resterà Conte, che anche dopo la crisi rimane quello più amato dagli italiani (con Draghi) e che potrebbe uscire più forte dal nuovo governo (che appoggia), essendo ormai ufficialmente il leader del campo progressista, ma che per i baccelli lessi di certi talk show iper-renziani rimarrà Il Gran Puzzone.

In questa cacofonica orgia garrula per la grande ammucchiata, si salvano giusto due leader. Il primo è Calenda, che a questa perversione ha sempre creduto e ora giustamente esulta. La seconda è la Meloni. Durante la pandemia ha dato il peggio di sé (ma i sondaggi la premiano). Ha una classe dirigente non di rado irricevibile (chiedere a Report). E i suoi interventi alla Camera sono foneticamente raggelanti. Ma è forse l’unica coerente. Lo è stata con il Conte-1, accettando il tradimento di Salvini. E lo è adesso, di fronte alle corna del solito Matteo e pure di Silvio. Di fatto farà opposizione da sola (chissà le urla!). Se Draghi farà il miracolo, ne uscirà con le ossa rotte. Ma se l’informe caravanserraglio fallirà, nel 2023 Fratelli d’Italia stravincerà a mani basse. Auguri.

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