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venerdì 6 marzo 2020

"Il ceppo tedesco fratello maggiore di quello di Codogno". - Davide Milosa



Il virus - Come e dove è arrivato il Coronavirus in Europa: il viaggio dalla Cina in Italia, passando dalla Baviera.

La Germania oggi rappresenta la prima porta d’ingresso del virus SarsCov2 in Europa. Non solo, il ceppo isolato dal primo focolaio tedesco è in stretta correlazione con quello isolato nel Basso lodigiano. A questo va aggiunta una certezza: il focolaio lodigiano e quello veneto, dal punto di vista epidemiologico, sono parenti strettissimi. Iniziamo dalla Germania. Spiega il professor Massimo Galli a capo del dipartimento di malattie infettive dell’ospedale Sacco di Milano: “Vi è una buona certezza che il virus isolato in Germania sia arrivato prima in Europa rispetto a quello che abbiamo trovato noi”.

Proviamo a capire. Mercoledì il gruppo di ricerca dell’Università Statale di Milano guidato da Galli comunica di aver trovato importanti affinità tra le sequenze del virus identificato nel Lodigiano e quelle messe in rete dai ricercatori tedeschi. Oltre a ciò viene spiegato che affinità si sono riscontrate anche in un ceppo finlandese e in alcuni dell’America latina. Tutti rappresentano un unico cluster. Ieri una lettera di medici tedeschi pubblicata sul New England Journal of Medicine rileva che in Baviera è stato individuato il primo paziente colpito da SarsCov2, il virus che produce la malattia denominata Covid-19. La notizia è di grande rilevanza perché la positività di un uomo tedesco di 33 anni risale al 28 gennaio scorso, una data che rischia di restare nella storia e che viene prima del 20 febbraio quando a Codogno si certifica il primo paziente italiano. L’uomo tedesco pochi giorni prima, tra il 21 e il 22 gennaio, partecipa a un meeting organizzato dalla sua azienda. Presente anche un donna di Shanghai che si rivelerà il paziente indice. È lei, secondo i ricercatori, a contagiare l’uomo. In quel momento la donna non ha sintomi, li mostrerà sull’aereo che rientra in Cina. Il 33enne nei giorni precedenti ha febbre e tosse. Contagerà altri tre colleghi. Il 28 si sottopone all’esame ma non ha più sintomi e nonostante questo risulterà positivo. Dal contagio all’esame passano pochi giorni e questa è stata la grande fortuna della Germania.
In Italia, invece, il virus ha circolato sotto traccia per diverse settimane. La vicenda tedesca aggiunge un dato: il virus si trasmette anche se è solo in fase di incubazione (la donna di Shanghai) e resiste durante la convalescenza (l’uomo tedesco). Ma ciò che conta soprattutto sono le affinità elettive tra il ceppo della nostra zona rossa e quello tedesco. Elemento decisivo per tracciare una mappa filogenetica che ci dica come si muove e come cambia SarsCov2. “Prima di tutto – spiega Galli – la sequenza isolata in Baviera è più vicina della nostra al nodo cinese che ha originato il virus”. Cosa che emerge anche dal grafico pubblicato sul sito Nextstrain gestito dal professor Trevor Bedford del Fred Hutchinson Cancer Research Center di Seattle. Qui è rappresentato un grappolo di virus affini rispetto alla sequenza dei nucleotidi. Il braccio principale arriva da Wuhan, per poi dividersi subito in quello tedesco, a pioggia gli altri con date consequenziali. Il 28 gennaio in Germania, il 20 febbraio in Italia, il 25 febbraio in Finlandia, ancora in Germania e in Brasile dove un 61enne di San Paolo risulterà positivo dopo essere transitato nella nostra zona rossa. “Tutte queste sequenze – dice Galli – fanno cluster con le nostre italiane. Tra il virus isolato in Germania e quello della zona rossa vi è uno strettissimo rapporto di parentela, ma al momento non possiamo dire se il focolaio della zona rossa sia stato prodotto da quello tedesco, potrebbe esserlo ma allo stato non sappiamo in che modo”. Altro elemento in comune con l’Italia è la città di Shanghai. Da qui, il 21 gennaio, era rientrato il presunto paziente zero, poi risultato negativo al Covid-19. “Un dato colpisce – spiega la professoressa Maria Rita Gismondo che al Sacco dirige il laboratorio di mircobiologia, virologia e bioemergenze – se il virus è stato isolato il 28 febbraio come mai i tedeschi non lo hanno comunicato prima di ieri?”. Il focolaio in Baviera aggiorna la mappa filogenetica. “Quella italiana – spiega Gismondo – è ormai pronta”. A breve sapremo come il virus si è propagato da Codogno. Di certo risulta un collegamento epidemiologico e non più solo migratorio tra i focolai di Codogno e di Vo’ Euganeo. “Le ricerche – conclude la professoressa Gismondo – ci diranno se, come spiega uno studio americano, anche noi siamo in presenza di un virus sdoppiato in uno più lieve e in un altro più aggressivo, particolare che potrebbe essere rivelato dal fatto che oggi la malattia si divide in percorsi lievi e in altri molto gravi”.

https://www.facebook.com/TutticonMarcoTravaglioForever/posts/3163871413623019?__tn__=K-R0.g

venerdì 20 novembre 2015

Un verme marino insospettabile 'cugino' dell'uomo.

Un esemplare di verme marino appartenente alla specie Saccoglossus kowalevskii (fonte: John Gerhart)

Lo dimostra il Dna.


L'uomo ha lontani 'cugini' davvero insospettabili: sono dei vermi che vivono nei fondali marini e che hanno migliaia di geni simili ai nostri, probabilmente ereditati da un antico antenato comune vissuto 500 milioni di anni fa. 
Lo hanno scoperto i ricercatori dell'Istituto di scienza e tecnologia dell'università di Okinawa, che pubblicano il risultato sulla rivista Nature.



Tutto è partito dall'analisi del Dna di due vermi marini: uno appartiene alla specie Ptychodera flava, trovata alle Hawaii, mentre l'altro appartiene alla specie Saccoglossus kowalevskii, raccolta invece nell'oceano Atlantico. 
Una volta sequenziati, i loro genomi sono stati messi a confronto con quelli di altre 32 specie appartenenti al gruppo dei cosiddetti deuterostomi, animali di ogni tipo (dalla stella marina al cane, dalla rana all'uomo) che sono caratterizzati da un particolare sviluppo embrionale del tubo digerente. 



Dalle analisi è emerso che queste specie condividono ben 8.600 famiglie di geni simili fra loro, un'ingombrante 'eredità' lasciata da un antico antenato comune che sarebbe vissuto mezzo miliardo di anni fa nel periodo Cambriano, quando sulla Terra si verificò una vera e propria esplosione di nuove forme di vita. Questa 'parentela' genetica è davvero significativa, tanto da interessare quasi il 70% del genoma umano.

L'attenzione dei ricercatori è stata attirata in particolare da un gruppo di geni coinvolto nello sviluppo della faringe dei vermi marini: nell'uomo, geni simili sembrano controllare la formazione della faringe e anche della tiroide. Per questo gli autori dello studio suppongono che ci sia un sottile filo rosso che lega il funzionamento della nostra tiroide con quello della faringe che permette ai vermi marini di filtrare l'acqua dell'oceano alla ricerca di cibo.


http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/biotech/2015/11/18/un-verme-marino-insospettabile-cugino-delluomo_c62423f7-c5b9-4775-9f2f-fc394edc46ed.html