Sblocco dei crediti e ripristino del Superbonus edilizio al 110% delle origini. Salario minino legale. Difesa del reddito di cittadinanza. E naturalmente transizione ecologica dura e pura, senza cedimenti su rigassificatori o termovalorizzatori. Altro che Agenda Draghi. Per il M5s di Giuseppe Conte, piuttosto, ci vorrebbe l’Agenda Parisi (Giorgio, il premio nobel per la fisica impegnatissimo sul fronte della lotta al climate change). L’ex premier si ritrova alla fine da solo, senza più l’alleanza con il Pd che ha caratterizzato la stagione del suo secondo governo, il Conte 2, e senza neanche la sinistra di Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli che, nonostante le polemiche furiose di questi giorni, sigleranno oggi l’intesa con il segretario dem Enrico Letta per stare nella coalizione democratica e progressista. Dunque Cinque Stelle soli, duri e puri come alle origini.
Un po’ difficile, per la verità, convincere gli elettori storici del movimento con la narrazione di un improbabile ritorno alle origini dopo aver guidato due governi di segno diversissimo (il Conte 1 con la Lega e il Conte 2 con il Pd) e aver sostenuto il governo Draghi delle larghissime intese. Ma il motivo fondamentale che ha portato Conte a “defenestrare” Mario Draghi è stato il declinare inarrestabile del M5s nei sondaggi: ora la sfida è mantenerlo sopra il 10% puntando appunto sulla corsa solitaria e su un’agenda alternativa a quella tanto evocata di Draghi. Non a caso Conte non perde occasione per criticare il suo successore. Ieri è stata la volta della misura sui docenti contenuta nel decreto Aiuti bis: «Ieri il governo Draghi ha deciso che l’1% degli insegnanti, dopo un percorso di formazione, fra 10 anni potrà essere definito esperto e ricevere un assegno di 5.650 euro. Non è questa la nostra idea di Paese: in Italia abbiamo gli insegnanti con gli stipendi più bassi d’Europa».
Temi programmatici a parte, Conte ha ora da compilare le liste elettorali senza poter contare sulla classe dirigente del movimento, a parte il ministro Stefano Patuanelli, a causa del niet posto dal Garante Beppe Grillo alla ricandidatura di chi ha già fatto due mandati. A selezionare i futuri eletti saranno le parlamentarie on line che si terranno il 16 agosto, appena cinque giorni dal termine per la presentazione delle liste, mentre Conte dovrebbe scegliere i capilista. Anche se il ricorso da parte del solito avvocato Lorenzo Borrè è già pronto: «Leggendo e rileggendo lo statuto non trovo la previsione del potere del presidente di scegliere i capilista». Intanto Alessandro Di Battista, con cui Conte si è sentito molto nelle ultime ore, è sulla via del rientro nel movimento: il volto giusto per la narrazione del ritorno alle origini.
Una rincorsa di fatto al Terzo polo, quella di Conte, che tuttavia trova sul campo un altro concorrente agguerrito: l’ex premier Matteo Renzi, colui che ha fatto cadere il Conte 2 spianando la strada a Draghi. E proprio all’insegna dell’Agenda Draghi si giocherà la campagna elettorale di Italia Viva, in opposizione a tutti i punti programmatici di Conte: dal reddito di cittadinanza che per Renzi andrebbe addirittura abolito al superamento del Superbonus al 110% fino all’apertura al nucleare. L’obiettivo è il 5%, per essere ancora ago della bilancia nella prossima legislatura. Più prosaicamente Renzi spera, con la corsa solitaria, di superare la soglia del 3% per rientrare in Parlamento con una piccola pattuglia di fedelissimi. Ma c’è tempo fino al 21 agosto, e le porte del Pd restano aperte per il segretario che portò i dem al 40%: soprattutto se dovesse saltare l’accordo tra Letta e la sinistra di Fratoianni e Bonelli, Renzi potrebbe rientrare in corner. Ma intanto prosegue nella costruzione del Terzo polo: in queste ore sono in corso contatti con l’ex sindaco di Parma Federico Pizzarotti e con altri primi cittadini “liberali e moderati”. Sarebbe un bel colpo per Renzi scippare al campo largo il “civico” Pizzarotti, nelle scorse settimane corteggiato anche da Luigi di Maio per la sua lista Impegno civico.