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venerdì 17 settembre 2021

Altro che fannulloni, anche a giugno boom di lavoratori stagionali: 70mila in più rispetto al periodo pre-pandemia. Lo certifica l’Inps. - Mauro Del Corno

 

Forte rialzo per i licenziamenti disciplinari, tecnicamente esclusi dal "blocco" scaduto a fine giugno. Nel complesso nella prima metà del 2021 i nuovi contratti sono stati 3,3 milioni a fronte di 2,4 milioni di cessazione. Il mercato del lavoro cresce ma diventa sempre più precario. Ampio ricorso agli stagionali anche in Campania, la regione che conta più percettori di reddito di cittadinanza.

E’ proseguito anche in giugno il boom di ricorso ai lavoratori stagionali. A dimostrazione di quanto siano infondati gli allarmi su un presunto ruolo del reddito di cittadinanza nello scoraggiare la ricerca dei posti di lavoro, anche a termine. Lo certifica l’Inps che nell’aggiornamento del suo osservatorio sul precariato segnala come in giugno i nuovi contratti per stagionali siano stati 246mila, ovvero 80mila in più rispetto al giugno 2020 e 70mila rispetto al giugno 2019, ovvero quando ancora la pandemia non era iniziata. Nei primi sei mesi del 2021 i contratti stagionali sono stati 495mila, a fronte dei 293mila dei primi sei mesi del 2020 e dei 483mila dello stesso semestre 2019. Gli stagionali, insomma, sono sempre di più e lo scorso giugno è stato caratterizzato da un vero e proprio boom per questo tipo di contratto di lavoro. Questo nonostante le condizioni di lavoro siano spesso caratterizzate da irregolarità nel trattamento, stipendi bassi e orari arbitrari, come documentato dalle inchieste de IlFattoquotidiano.it

In generale, nel solo mese di giugno 2021, si sono registrate quasi 677mila posizioni di lavoro in più rispetto a giugno 2020 dopo la prima ondata di Covid ma anche 378mila in più di giugno 2019, prima della pandemia. Ma mentre i nuovi contratti a tempo indeterminato salgono da 77mila a 97mila, quelli a termine schizzano da 246mila a 337mila. Crescono di 30mila unità anche i contratti di somministrazione (quelli attraverso le agenzie interinali) e di 20mila i contratti intermittenti. Quello che emerge dall’ Osservatorio Inps è insomma un mercato del lavoro in ripresa ma sempre più precario. Il tutto in attesa di conoscere i dati di luglio, primo mese senza il blocco dei licenziamenti, prorogato fino ad ottobre solo per la moda e il tessile. Le regioni più dinamiche sono state la Lombardia, con 61mila contratti in più rispetto a giugno 2019, il Lazio (+48mila) oltre a Campania (+53mila) e Sicilia (+45mila) dove però è forte l’incidenza di stagionali per i mesi estivi.

Come scrive l’Inps nel primo semestre del 2021 sono state registrate 3.323.000 assunzioni (a fronte di 2,4 milioni di cessazioni), con un aumento rispetto allo stesso periodo del 2020 del 23%, esito di una crescita iniziata a marzo 2021. L’aumento ha riguardato tutte le tipologie contrattuali, risultando però più accentuato per le assunzioni di contratti stagionali (+78%) e in somministrazione (+34%); pressoché stabili risultano invece le assunzioni a tempo indeterminato (+2%). Le trasformazioni da tempo determinato nei sei mesi del 2021 sono risultate 214.000, in flessione rispetto allo stesso periodo del 2020 (-21%); nel secondo trimestre 2021 si sono registrate comunque variazioni positive. I licenziamenti economici relativi a rapporti di lavoro a tempo indeterminato – anche se ancora bloccati, salvo particolari fattispecie – nel secondo trimestre del 2021 sono aumentati del 29% rispetto al corrispondente trimestre dell’anno precedente; maggiore risulta l’incremento dei licenziamenti disciplinari: +67%. Le cessazioni per dimissioni costituiscono la tipologia di cessazioni che ha evidenziato nel medesimo periodo l’incremento più consistente (+91%).

ILFQ

giovedì 6 agosto 2015

DEGLI ITALIANI POVERI NON VE N’È MAI FREGATO UN CAZZO. - Rosario Dello Iacovo

bracciante


Paola ha 49 anni e vive a San Giorgio Jonico, un comune alle porte di Taranto. Il suo cuore si ferma alle otto di mattina del 13 luglio nelle campagne di Andria. A 156 chilometri da casa. Anche quella notte Paola esce alle due per essere al lavoro alle cinque. Ma non torna nel pomeriggio, come ha fatto invece ogni maledetto giorno della sua vita da adulta. Su e giù per la Puglia a disposizione dei caporali e degli imprenditori agricoli, come altre 40mila donne pugliesi. Un traffico che si cela dietro fantomatiche agenzie di viaggio o contratti interinali e non garantisce salario, sicurezza, contributi previdenziali. Ci vuole quasi un mese e la denuncia della Cgil perché la vicenda, archiviata in fretta come morte naturale, venga alla luce.
Mohamed ha 47 anni e viene dal Sudan. Richiedente asilo ed è in possesso di regolare permesso di soggiorno ma non di un contratto di lavoro, muore qualche giorno dopo, il 21 luglio. Si accascia mentre raccoglie pomodori sotto il sole nelle campagne tra Avetrana e Nardò, con una temperatura che all’ombra sfiora i 40°. I titolari italiani dell’azienda e il caporale sudanese che gestisce i lavoratori migranti finiscono sul registro degli indagati per omicidio colposo. Ma dalle prime indagini emerge un quadro di illegalità diffusa e lo stesso titolare, Giuseppe Mariano, era già stato arrestato nel 2012 nell’ambito dell’operazione “Sabr” che aveva coinvolto i più grandi imprenditori agricoli della zona. Due morti che andranno a ingrossare le statistiche delle vittime sul lavoro del 2015. Nel 2014 sono state 1009 secondo l’Inail. Due morti, tante similitudini: l’età, le inesistenti misure di sicurezza, la povertà che spinge ad accettare ogni occupazione a qualsiasi condizione.
Ma evidentemente per la narrazione tossica dei razzisti nostrani le analogie non bastano. Anche in questo caso inizia a circolare un’interpretazione che contrappone la morte silenziosa di Paola a quella alla luce del sole, è il caso di dirlo, di Mohamed. «Gli italiani non fanno notizia» scrivono sui social network con quella retorica viscida che fa dei migranti dei privilegiati. In realtà ai razzisti degli italiani poveri non glien’è mai fregato un cazzo. Se manifestano e bloccano una strada, si lamentano del traffico. Se la polizia li carica, dicono che ha fatto bene. Se occupano una casa, chiosano sulla legalità. Se gli dici che un monolocale in una grande città costa 700 o 800 euro al mese, commentano compiti che è il mercato a fare i prezzi. Se un barbone gli tende la mano aperta, affrettano il passo e – nei casi più estremi – lo pestano o gli danno fuoco.
La sensibilità sociale dei razzisti italiani a proposito degli italiani poveri si ferma alle soglie dei social network. Li tirano in ballo solo per mettere una veste di pietismo al loro sentimento abominevole. Perché i razzisti possono stravolgere il concetto di esercito industriale di riserva quanto vogliono, trasformando Marx in un’icona reazionaria, ma il lavoro nero sottopagato è un’abitudine antica in questo paese. Soprattutto al Sud, e risale a molto prima della venuta degli stranieri. L’hanno inventato gli stessi sciacalli che oggi dicono «l’Italia agli italiani», in buona compagnia dei caporali stranieri che sfruttano i propri connazionali. Perché il mondo si divide in classi, mica in razze.