mercoledì 11 novembre 2009

Sta per sorgere un Nuovo Ordine Mondiale

di S. Pavini - 6 novembre 2009
La preparazione di un Nuovo Ordine Mondiale è figlia di un lungo percorso la cui ultima fase in Italia è iniziata nel 1928 con la nascita dell’Opus Dei ed è culminata il 14/10/1978 con l’ascesa al soglio di Pietro di Giovanni Paolo II, 264° papa di S. Romana Chiesa che ne ha sancito la vittoria politica.

L’Opus Dei, un’organizzazione internazionale che può contare su un numero di seguaci abbastanza esiguo (di circa 80.000 persone), ma che ricoprono ruoli sociali e politico religiosi di notevole rilievo ed influenza.
L’Opus Dei possiede una ricchezza immensa, anche perché i rispettivi membri sono tenuti a donare tutti i loro beni al momento dell’entrata nell’organizzazione (beni non soggetti a restituzione in caso di abbandono).
Sotto il pontificato di Karol Wojtyla, l’Opera di Dio ha prosperato oltre ogni più rosea previsione: una delle prime cose che Karol Wojtyla fece subito dopo la sua nomina a papa fu quella di recarsi a pregare sulla tomba del fondatore dell’Opus Dei, Josè Maria Escrivà De Balaguer, che nel 1992, dopo un breve processo di canonizzazione, fu beatificato.
Ma che c’entra il pontificato Wojtyla con il disegno politico di creare un grande centro in Italia?
Da parte di eminenti personaggi che avevano guidato anche la Democrazia Cristiana era giunto il momento di liberarsi in modo definitivo di alleanze politiche ingombranti e scomode per spianare la strada ad una nuova formazione che avrebbe riunito destra e sinistra in un grande abbraccio mortale.

Dobbiamo tornare indietro nel tempo all’epoca delle stragi di mafia e di Tangentopoli negli anni 92/93 dello scorso secolo.
Proprio nel 1993 in piena Tangentopoli il giudice milanese Borrelli ed il pool investigativo appurarono il transito nelle casse dello IOR, la banca del Vaticano, di 108 miliardi di lire in certificati del Tesoro destinati al pagamento di maxitangenti (Enimont).
Secondo il giornalista Gianluigi Nuzzi (Vaticano SPA) monsignor Donato De Bonis, già braccio destro di Paul Marcinkus e primo prelato dello Ior, in seguito nominato vescovo dell' Ordine di Malta, avrebbe movimentato in pochi anni, tra il 1989 e il 1993, 275 milioni di euro in contanti più 200 miliardi di lire in titoli di Stato in favore di ben identificati personaggi.
In pratica esistevano due Ior di cui uno, quello parallelo, sarebbe stato attivo nel riciclaggio di denaro sporco, tangenti, provviste nere ed altro ancora.
Ritengo che la banca vaticana abbia supportato contemporaneamente due gruppi mafiosi in contrasto tra loro ed altrettanti due gruppi politici antagonisti, uno che aspirava alla fondazione di un grande partito di centro destinato a sostituire la DC alleato con i partiti di sinistra ed un altro alleato con il gruppo veteromafioso che cercava disperatamente di mantenere in vita il precedente assetto politico-economico.
Il figlio di Vito Ciancimino, Massimo, infatti ha rivelato che le transazioni in del padre passavano tramite i conti e le cassette dello Ior e le provviste passavano attraverso il Conte Romolo Vaselli ed il conte Arturo Cassina, cavalieri dell’ordine equestre del santo Sepolcro retto all’epoca dal Gran Maestro l’arcivescovo di Monreale Monsignor Cassisa.
Questi personaggi insieme all’ex sindaco di Palermo Ciancimino ed altri erano collegati agli esattori Salvo, all’ On Salvo Lima, i quali erano i referenti politici in Sicilia dell’On. Giulio Andreotti co-titolare insieme al monsignor De Bonis del conto 001-3-14774-C presso lo IOR, nominalmente intestato alla Fondazione Cardinale Spellman attraverso cui venivano movimentate cifre consistenti (corrispondenti a circa 26 milioni di euro) che si diramavano per destinazioni diverse.
A riguardo dell'operazione politica di sostituire la DC nel 1998 era partita l’inchiesta coordinata dal dr. Giancarlo Capaldo, procuratore aggiunto di Roma, denominata operazione "Sofia", che investigava su una ben definita ipotesi: quella del tentativo ispirato e diretto dal Vaticano di creare un Grande Centro politico che avrebbe preso il potere. Tale iniziativa sarebbe stata alimentata da notevoli capitali affluiti in Vaticano. Durante le investigazioni compiute da nuclei segreti della guardia di Finanza sarebbe emerso che i referenti di questa complessa operazione sarebbero stati l’on. Antonio Matarrese e l’on. Pierluigi Bersani. In particolare l’on. Matarrese avrebbe avuto nella sua disponibilità fondi neri per 670 miliardi delle vecchie lire. Tra i del progetto ci sarebbe stato anche l’on. Raffaele della Valle, primo capogruppo di FI alla camera dei deputati in seguito defilatosi dalla complessa operazione.
A favore di questo progettto si collocavano Francesco Cossiga, Pierferdinando Casini, Clemente Mastella, Vincenzo Scotti, Roberto Formigoni, Giuseppe Pisanu, Rocco Buttiglione, Fabrizio Cicchitto e molti altri ancora anche formalmente aderenti a partiti di opposizione.
Tale schieramento è risultato vincente a tutto campo. Mentre l’ala militare della mafia veniva sconfitta (cattura di Riina, Provenzano etc), emergeva nell’ombra una organizzazione più discreta e silenziosa che si appoggiava a Matteo Messina Denaro avendo come interlocutore privilegiato il sen. Marcello Dell’Utri.
A suggello di questa vittoria che vide cadere sul campo Ignazio Salvo e l’on. Lima, assassinati non si sa da chi, il Papa Giovanni Paolo II in una memorabile omelia pronunciata durante una sua visita pastorale ad Agrigento nel 1993 espresse parole di fuoco nei confronti della Mafia e dei mafiosi.
Nel frattempo Woityla compie passi veloci per un cambiamento radicale nella politica e nell’ordinamento della Santa Sede: per primo (1981) riceve in S. Carlo dei Catinari una delegazione della Sinagoga di Roma (visita poi restituita nel 1986), poi abolisce la norma che prevedeva scomunica automatica per i cattolici che aderivano alla massoneria introdotta da Papa Clemente XII nel 1738, poi (1982) trasforma l’Opus Dei in prelatura personale, disposizione che permette all’Opera di dover rendere conto del suo operato solo ed unicamente al pontefice ed infine (2000) emana la Legge Fondamentale dello Stato del Vaticano che in riforma della precedente legge del 1929 stablisce che il sommo pontefice in quanto sovrano dello Stato del Vaticano ha la pienezza dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario.
E Berlusconi?
Fa la sua parte. E riceve encomi ed onorificenze, ormai libero dall’interdizione papale per essere stato membro della loggia massonica P2.
Nel 2003 Carlo di Borbone delle due Sicilie, nella qualità di Gran Prefetto del Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio, insignisce il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi del Collare Costantiniano di Gran Croce con placca d’Oro, un' altissima onorificenza sino ad ora conferita solo all’ex Presidente della Repubblica Francesco Cossiga (le cui dimissioni a due mesi dal termine stopparono l’elezione di Andreotti a presidente della Repubblica) ed all’ambasciatore Antonio Benedetto Spada, gran tesoriere dell’Ordine.
II Sacro Militare Ordine Costantiniano di San Giorgio è il più antico Ordine equestre-religioso (risalendo all’impero romano), il quale si propone la Glorificazione della Croce, la Propaganda della Fede e la difesa della Santa Romana Chiesa.
Secondo il suo statuto iI numero dei Balì Cavalieri di Gran Croce di Giustizia non può essere superiore a cinquanta, in memoria dei prescelti dal Costantino per la custodia del Labaro, e ciascuno di essi ha il titolo di uno degli antichi Baliaggi o Priorati e il trattamento di Eccellenza e di Don.
Il Presidente Berlusconi si è trovato in buona compagnia, unitamente alle varie teste coronate, ai nobili di antica stirpe e ad altissimi porporati ha ritrovato tra gli altri:
S.E. Rev.mo Monsignore Ferrara Sotir, Vescovo di Piana degli Albanesi (Palermo) capo della chiesa bizantina d’Italia
S.E. Rev.mo Monsignore Salvatore Cassisa, Vescovo Emerito di Monreale (Palermo)
Onorevole Salvatore Cuffaro, già Presidente della Regione di Sicilia (Palermo)
S.E. Generale Filiberto Cecchi, Capo di Stato Maggiore dell’esercito Italiano
Dr Joaquín Navarro Valls, già Direttore della Sala Stampa della Santa Sede numerario dell’Opus Dei
Em.mo e Rev.mo D. Eduardo Cardinale Martínez-Somálo Prefetto della Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e per le Società di vita apostolica già camerlengo (n 2 della Chiesa cattolica) fino al compimento del suo ottantesimo compleanno.
Tra cotanti membri di sangue blu e tonache purpuree compare anche l’on. Nicolò Nicolosi deputato e già sindaco di Corleone (Palermo).
Oggi il presidente dello Ior è Ettore Gotti Tedeschi membro dell’Opus Dei. Presidente del Banco Santander in Italia, Gotti Tedeschi è anche consigliere della Cassa depositi e prestiti e docente di etica della finanza alla Cattolica di Milano. Editorialista dell’Osservatore romano e consulente del Santo Padre è amico personale e ascoltato consigliere dell'on. Giulio Tremonti ministro del governo Berlusconi.
Cosa si profila dunque?
Pierluigi Bersani sta per trionfare nelle elezioni primarie del suo partito, cosa che lo porterà alla segreteria del PD.
Si tratta forse di quel lungo percorso tracciato da poteri tanto forti quanto occulti che stanno perfezionando la fisionomia e l’organigramma di un Nuovo Ordine Mondiale con a capo supremo il premio Nobel per la Pace Barak Obama?

http://www.antimafiaduemila.com/content/view/21454/48/



crozza a ballarò - 10 novembre 2009

Caso Cucchi, primi indagati Accusa pm, 'omicidio preterintenzionale'

ROMA - Stefano Cucchi sarebbe stato picchiato da almeno due agenti di polizia penitenziaria mentre era nella cella del palazzo di Giustizia di Roma, in attesa del suo processo per direttissima. E' la testimonianza, secondo quanto riferiscono alcuni quotidiani, resa ai magistrati da un immigrato clandestino di 31 anni, arrestato il 15 ottobre per stupefacenti. Sarebbe lui il testimone che il 3 novembre ha raccontato al pm Vincenzo Barba il pestaggio di Stefano Cucchi. Secondo il racconto dell'avvocato di S.Y., Francesco Olivieri, il 16 ottobre il suo assistito e' in una delle celle del palazzo di Giustizia, in attesa del processo. Di fronte alla sua c'e' quella in cui viene rinchiuso Cucchi.

E' attraverso lo spioncino della sua cella che ''in tarda mattinata'' S.Y., allarmato dalle ''grida'' che sente, si affaccia e vede due agenti di polizia penitenziaria picchiare Cucchi che, uscito di cella per andare in bagno, non voleva piu' tornare in camera di sicurezza. Secondo il racconto del detenuto, che oggi si trova al Regina Coeli, Cucchi sarebbe stato colpito prima con due manrovesci che l'hanno gettato in terra, poi preso a calci mentre era steso sul pavimento. Infine trascinato in cella dagli agenti. Dopo i processi per direttissima, S.Y. e Stefano Cucchi vengono sistemati nella stessa cella. Qui, S.Y. avrebbe visto i lividi che gonfiano il volto di Cucchi. Infine, entrambi vengono portati al Regina Coeli, i polsi legati con le stesse manette. E' in questo momento, sempre secondo quanto riferisce l'avvocato Olivieri, che Cucchi sussurra a S.Y.: ''Hai visto questi bastardi come mi hanno ridotto?''.

ARRIVANO I PRIMI INDAGATI - Arrivano i primi indagati per la morte di Stefano Cucchi, avvenuta nell'ospedale Sandro Pertini, a Roma, sei giorni dopo l'arresto per possesso di droga. Gli indagati, accusati di omicidio preterintenzionale, dovrebbero essere carabinieri, agenti di polizia penitenziaria e detenuti. In tutto circa sei persone, che si sarebbero trovate in contatto con Stefano Cucchi nelle camere di sicurezza del Tribunale di Roma. In quel lasso di tempo e spazio dove sarebbe stato isolato l'attimo dell'aggressione: dopo l'udienza che aveva deciso di lasciare in carcere Stefano e prima del suo trasferimento in cella. Tra gli indagati per ora non comparirebbero medici. E oggi approda on-line tutta la documentazione clinica relativa alla vicenda del geometra di 31 anni.

Una documentazione dalla quale si evince che Stefano "non collaborava" col personale sanitario e rifiutava i trattamenti. Non solo: per fare luce la salma di Cucchi sarà probabilmente riesumata per consentire il completamento degli esami disposti. Sul cadavere del geometra è già stata fatta l'autopsia. E dai primi esami degli esami clinici e della documentazione autoptica compiuti dai medici legali incaricati dalla procura la tipologia delle lesioni riscontrate sul detenuto sono compatibili sia con un evento accidentale, come potrebbe essere una caduta, sia con le percosse. Al momento dunque non sarebbero coinvolti nelle indagini dei pm Vincenzo Barba e Francesca Loy il personale medico dell'ospedale, nei confronti dei quali, se emergessero responsabilità a livello di negligenze, si procederebbe per omicidio colposo. Per i legali della famiglia Cucchi, Fabio Anselmo e Dario Piccioni "si tratta di uno sviluppo particolarmente significativo e rilevante della delicata indagine in corso".

Intanto oggi sono stati pubblicati on line sui siti abuondiritto.it, italiarazzismo.it e innocentievasioni.net, tutta la documentazione clinica a partire dal referto del medico del 118 delle 5.30 del 16 ottobre, fino ai diari sanitari del reparto detentivo del Pertini e al certificato di morte del 22 ottobre. Dalla relazione fatta il 21 ottobre scorso dall'ospedale Sandro Pertini emerge che Cucchi presentava "condizioni generali molto scadute" e aveva "un atteggiamento oppositivo, per nulla collaborante e di fatto rifiuta ogni indagine anche non invasiva". Nella relazione si legge, inoltre, che Cucchi "ha affermato di rifiutare anche di alimentarsi, accettando di bere liquidi e assumere la terapia orale, finché non parlerà con il suo avvocato". Dalla documentazione "emerge come una moltitudine di operatori della polizia giudiziaria, del personale amministrativo e delle strutture sanitarie, abbiano assistito, inerti quando non complici, al declino fisico di Stefano Cucchi e fino alla morte", spiega il presidente di A Buon Diritto, Luigi Manconi.

GIOVANARDI, MORTO PERCHE' DROGATO. E' POLEMICA

Stefano Cucchi è morto perché era drogato e anoressico. Le parole del sottosegretario Carlo Giovanardi riaccendono la polemica sulla morte del giovane, deceduto nel reparto detenuti dell'ospedale Sandro Pertini 6 giorni dopo l'arresto, con vistosi ematomi in volto e sul corpo. Parole contro le quali si scagliano i familiari di Stefano che dal 22 ottobre chiedono giustizia per Stefano, l'opposizione e anche alcuni esponenti della maggioranza, secondo i quali quello di Giovanardi è uno "scivolone". Critiche alle quali il sottosegretario risponde in serata, parlando di "polemiche strumentali e in malafede". "Cucchi era in carcere perché era uno spacciatore abituale. Poveretto, è morto, e la verità verrà fuori, soprattutto perché pesava 42 chili" dice Giovanardi di primo mattino, sottolineando che la "la droga ha devastato la sua vita, era anoressico e tossicodipendente". Certo, prosegue, "il fatto che in cinque giorni sia peggiorato" dimostra che "bisogna vedere come i medici l'hanno curato. Ma sono migliaia le persone che si riducono in situazioni drammatiche per la droga, diventano larve, diventano zombie: è la droga che li riduce così".

Parole ammorbidite nel pomeriggio. "Sono stato il primo ad esprimere la solidarietà alla famiglia Cucchi per quello che di certo c'é nella sua tragica fine e cioé che nei giorni della degenza ospedaliera si è permesso che arrivasse alla morte nelle terribili condizioni che le foto testimoniano. Ma in tutto questo - ribadisce il sottosegretario - la droga c'entra, perché è stata la causa della fragilità di Stefano, anoressico e tossicodipendente". Immediata la reazione dei familiari. "Sono parole che si commentano da sole, Giovanardi fa dichiarazioni a titolo gratuito" dicono sia il padre Giovanni che la sorella Ilaria, sottolineando che la famiglia "é sempre in attesa di giustizia". E tra l'altro, prosegue Giovanni Cucchi, è stata proprio la famiglia ad ammettere, per prima, che Stefano aveva problemi con la droga, "Non lo abbiamo mai negato - dice - ma non per questo doveva morire così". Accanto alla famiglia si schiera il Pd, l'Idv. l'Udc e anche parte del Pdl, con Benedetto Dalla Vedova che parla di uno "scivolone che contraddice la linea di rigore e prudenza scelta dal governo". "Se Giovanardi intende riferirsi alle precarie condizioni di salute di Cucchi in quanto tossicodipendente, cosa a tutti nota - prosegue -, dovrebbe ricordare che usare violenza nei confronti di una persona particolarmente debole rappresenterebbe, qualora venisse provato l'uso della violenza, un'aggravante per chi l'ha commessa e non una scriminante". Per Livia Turco, del Pd, si tratta invece di parole "inqualificabili" e aggiunge: "é sconcertante che chi esalta il valore della vita in ogni occasione consideri la morte di uno spacciatore un fatto non importante. E' ignobile e inaccettabile arrivare a fare una gerarchia tra vite di serie A e serie B". Il capogruppo dell'Idv alla Camera, Stefano Donati, chiede le dimissioni del sottosegretario, "che si dovrebbe vergognare", mentre per il presidente dei senatori dell'Udc Giampiero D'Alia e per il senatore Stefano Pedica, che dall'inizio della vicenda é vicino ai familiari di Cucchi, "Giovanardi ha perso una buona occasione per tacere". "Non si può fare sterile propaganda politica su un ragazzo morto per circostanze ancora tutte da chiarire". Critiche anche dal presidente della provincia di Roma Nicola Zingaretti - "smentisca quelle frasi disumane - dice - Prima di emettere giudizi finali è assolutamente necessario aspettare i risultati dell'inchiesta" -, dai radicali, che bollano Giovanardi come "ipocrita e proibizionista" e dal segretario dei Verdi Angelo Bonelli, secondo il quali le sue parole "non sono degne di un paese civile". Patrizio Gonnella, di Antigone, chiede invece al sottosegretario "se picchiare chi usa droghe é lecito". "Soprassedere sulle violenze, sui diritti calpestati e su quanto caduto in quei sei giorni e dare tutta la colpa alla droga - conclude - è quanto meno singolare".

A tutti replica Giovanardi. "Quando si polemizza - dice - bisogna avere onestà intellettuale e non malafede pregiudiziale. Ho ampiamente illustrato la mia posizione di piena solidarietà alla famiglia Cucchi e di forte critica per la mancata assistenza nelle strutture sanitarie". E' dunque "difficile dialogare con chi stravolge maliziosamente il pensiero altrui. Ma mi rendo contro - conclude - che nel nostro paese c'é sempre qualcuno pronto a sostenere la libertà di drogarsi anche deformando ad arte le posizioni di chi la pensa in maniera diversa da loro".

http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/cronaca/2009/11/09/visualizza_new.html_1615732432.html

Non mi lascio andare a commenti, perchè non voglio scivolare nel volgare, ma ci sarebbe tanto da dire.

Una su tutte: la divisa non è un lasciapassare, una tunica di invisivilità o di impunibilità, chiunque sbaglia deve pagare.

A Giovanardi rispondo che le sue parole hanno suscitato sdegno nei cuori di tutti,
non si trinceri dietro un dito, non riuscirebbe a nascondervisi data la sua corpulenza!



venerdì 6 novembre 2009

"Libero" frullatore in libero ricatto




Di Peter Gomez

La tesi esposta ieri (31 ottobere, ndr) da Libero è semplice. Il Fatto quotidiano, definito chissà perché “l’ultrasinistra del giornalismo”, segue solo vicende che riguardano Silvio Berlusconi. Tutto il resto lo cestina o lo sottovaluta. E che le cose stiano così, secondo il giornale della famiglia Angelucci, lo dimostra quanto accaduto intorno al caso di Piero Marrazzo. “Il 25 settembre”, scrive Maurizio Belpietro, “un gruppetto di colleghi e politici ricevette un sms che informava dell’esistenza di un video in cui si vedeva Marrazzo ‘che sniffa con due trans’”. Ma i cronisti de Il Fatto, al pari di Giuseppe D’Avanzo di Repubblica, non fecero niente, non andarono a “caccia d’immagini come avrebbero fatto se si fosse trattato di Berlusconi”. Alzarono, invece, le spalle e dissero “che la notizia è una bufala”.

Chi scrive potrebbe rispondere ricordando di essere uno dei pochi cronisti querelati da Marrazzo per un pezzo sulle spese allegre della sua Regione. O sottolineare che altri governatori “rossi” come, Claudio Burlando, Antonio Bassolino e Nichi Vendola, hanno visto sulle nostre pagine documentate inchieste che li mettevano alla berlina. Oppure potrebbe invitare Belpietro a rileggere i verbali del caso Marrazzo pubblicati ieri da Il Fatto (e non da Libero), da cui emerge come lui e l’editore Angelucci, avvertiti dal direttore di Chi Alfonso Signorini, esaminarono il 12 ottobre il video, ma non scrissero una riga. E cercarono, invece, di acquistarlo per 100 mila euro, pur sapendo che, viste le modalità criminali con cui era stato girato, non lo si poteva pubblicare.

Il punto però è un altro. Il 25 settembre, a noi come ai colleghi di Libero, arrivò un sms in cui si leggeva: “Altra spolverata di fango, pare stia per uscire un filmatino con Marrazzo che sniffa con due trans. Ormai siamo nella fogna infognati”. A inviarlo era Luigi Crespi, un tempo sondaggista di Berlusconi e oggi consulente di esponenti di sinistra e destra, tra i quali anche alcuni ministri. Il Fatto lo chiamò e apprese che lui non aveva il video, che non lo aveva visto, e che nemmeno voleva svelare chi gliene avesse parlato. La cosa, come si dice in gergo, “puzzava”. Crespi aveva avuto tra i suoi clienti Francesco Storace. Nel 2005 degli investigatori privati legati all’entourage di Storace erano stati arrestati proprio perché spiavano Marrazzo. Dalle intercettazioni, poi, era emerso che una delle idee era quella di infangarlo assoldando un trans da fotografare con lui. Per questo, una volta ricordata la vicenda, anche Crespi concluse che la storia sembrava solo uno dei molti veleni fatti circolare dopo gli articoli de Il Giornale sul direttore di Avvenire, Dino Boffo.

Al Fatto però si ragionò sul da farsi. Dimostrare che gli uomini del premier - come ipotizzammo - stessero raccogliendo materiale per incastrare gli avversari, era una notizia. Ma l’unico controllo possibile - parlarne con Marrazzo - fu scartato perchè, se la voce fosse stata falsa, il governatore avrebbe finito per presentare una denuncia, mettendo a rischio l’identità della nostra fonte. Solo ieri, infatti, Crespi ci ha autorizzato a fare il suo nome, peraltro dopo che era già stato spiattellato da Libero, con tanti saluti al dovere di riservatezza. Arrivati a questo punto, il suo ruolo è comunque secondario. Il video, come è noto, fu mostrato per la prima volta a due croniste di Libero, il 15 luglio. L’allora direttore Vittorio Feltri, non lo acquistò e non pubblico una riga. Lo stesso fece Oggi ad agosto. Poi in ottobre il filmato, approdato nelle mani di Signorini, fu a un passo da essere comprato da Belpietro e dal suo editore proprietario di cliniche convenzionate con la Regione Lazio. Fu esaminato più volte. Ma i lettori del quotidiano milanese lo scopriranno solo il 22 ottobre, quando il Ros arresterà chi lo commercializzava.

Questi sono i fatti.

Le conclusioni sono invece libere.

Anzi Libero.


(Vignetta di Bertolotti e De Pirro)


Il comune di Milano chiude il liceo serale Gandhi.



Il liceo serale Gandhi di Milano è stato chiuso dalla Moratti.

Gli studenti lavoratori potranno ora rivolgersi alle scuole private pagando rette impossibili.

Da due mesi c'è un presidio permanente davanti alla scuola (chi può faccia un salto a sostenere i ragazzi).

Il TAR ha deciso di sospendere la chiusura, accogliendo una richiesta degli studenti.

Nonostante questo il Comune non ha riaperto la scuola.

La sciura Brichetto Moratti, eletta con i soldi del marito, ha altro a cui pensare.

Indimenticabile la sua esibizione al Teatro Dal Verme di Milano come lettrice di un testo in inglese durante un concerto.

Si era preparata da settimane ed era emozionata più di un discorso all'ONU.

I ragazzi del Ghandi presenti, per fortuna, hanno messo fine alla sceneggiata.

Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?).

Noi neppure.

Dal blog di Beppe Grillo.


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Il mio apporto alla richiesta di apertura del liceo.


From: XXXXXXXXXXXXXXXXX
Sent: Friday, November 06, 2009 12:29 AM
To:
assessore.moioli@comune.milano.it ; sindaco.moratti@comune.milano.it

Subject: Riaprite subito il liceo Gandhi

Rispettate l'ordinanza del TAR. Riaprite il liceo serale Gandhi!

Gentili Signore,

la cultura è non un privilegio di pochi, ma un diritto di tutti.

Precludere la possibilità di approcciare la cultura a chi non può usufruirne durante il giorno perché impegnato in attività produttive, non ritengo sia un approccio adeguato verso l'emancipazione di una nazione.

Il grado di cultura di una nazione determina anche il grado d'efficienza di una seria amministrazione.

Vi prego, pertanto, di accogliere la mia richiesta e di riaprire il liceo serale Gandhi.

Con osservanza, Cettina XXXXXXXXXX.