martedì 14 dicembre 2010

Scontri al Senato tra studenti e forze dell'ordine.


Catia Polidori, l’ombra di B. si chiama mr Cepu. Barbareschi: “E’ stata minacciata”



La finiana che ha regalato la fiducia al Cavaliere è legata al patron dell'istiuto per la preparazione universitaria, i cui soni sono alcune società offshore. Per questo gli uomini di Fli attccano: "E' corruzione di pubblico ufficiale".

Catia Polidori, cugina del fondatore di Cepu Francesco Polidori, si è dissociata da Futuro e Libertà votando a sorpresa la fiducia a Berlusconi. C’entra qualcosa Mr. Cepu in questo cambio di opinione? Sembra convinto il deputato Luca Barbareschi che addirittura parla di “corruzione di pubblico ufficiale”. Quindi rilancia: “E’ stata minacciata”. L’ex finiana ribatte: “nessuna parentela”. Ma a farsi la domanda è anche il mensile Campus, la più importante testata italiana dedicata agli studenti. “Si sa che i cugini Polidori sono in ottimi rapporti”, scrive Giampaolo Cerri, direttore di Campus, sul blog della rivista. “L’ha confermato Catia ai primi di agosto in un’intervista alCorriere della Sera, quando si parlava del possibile contributo di Francesco alla macchina propagandistica del Pdl”.

Il 19 luglio scorso Polidori era riuscito a portare Berlusconi all’eCampus di Novedrate (Como), dove, nella mezz’ora concessa dal premier, “il patron del Cepu è riuscito a ricavare una dichiarazione pubblica circa il mantenimento del valore legale del titolo di laurea, a pochi giorni da un pronunciamento opposto del responsabile università del Pdl”, continua Cerri. “E’ proprio su questo valore che si regge tutto il sistema delle università telematiche, eCampus inclusa”.

A Campus appare oggi sospetto “tutto il lavorio di Mariastella Gelmini sul Decreto di Programmazione 2010-2012, che prevede la possibilità per gli atenei telematici di convertirsi in tradizionali”. Non solo: il Pdl in Commissione cultura della Camera, si è speso “per far approvare un subemendamento alla riforma che permettesse di finanziare le università online”. Che ruolo ha avuto Catia Polidori in quel subemendamento – votato anche dai finiani? Lo sapremo presto. Intanto, mentre ci arrovelliamo sui risultati del voto di fiducia, l’imprenditore umbro Francesco Polidori si starà godendo lo spettacolo dalla sua casetta a San Marino, dove risiede da tempo ed è entrato a far parte del corpo diplomatico come “console a disposizione”.

Ma gli affari di Cepu girano su ben altri paradisi fiscali. Cesd Srl, la società depositaria del marchio, con sede a Roma, ha un capitale di 5,903 milioni di euro, interamente controllato da una holding lussemburghese, la JMD International SA. Se si va a spulciare nello statuto della holding, si scopre che è stata creata il 30 aprile 2007, con un capitale iniziale di 31.000 euro, tutti in mano a una fiduciaria panamense, la Grandbridge Corp., il cui presidente Luis Alberto Laguna, è uno dei tanti prestanome del piccolo staterello sullo stretto. Chi stia veramente dietro la Grandbridge Corp., al vertice dell’impero Cepu, non è dato sapere.

Catia Polidori però rispedisce le accuse al mittente. “Ho votato contro la sfiducia al Presidente del Consiglio perché è fondamentale non privare il Paese di un Governo che possa garantire la stabilità che il momento attuale richiede. Rimango coerente con me stessa per aver dichiarato dal 29 luglio in poi che, pur approvando l’azione di stimolo promossa da Futuro e Libertà sin dalla sua fondazione, non avrei mai votato contro il Governo”

Il finiano Luca Barbareschi dà, però, un’altra lettura del voto. “E’stata minacciata per le sue aziende. Le hanno detto che le chiudevano le sue aziende”. Quindi l’attore e politico ha chiarito le sue parole: ”

Il voto contrario alla mozione di sfiducia espresso da Catia Polidori e’ semplicemente vergognoso”. Lo ha detto il finiano Luca Barbareschi conversando con i giornalisti a Montecitorio. “Questa è corruzione di pubblico ufficiale. Sappiamo per certo che la Polidori, la cui azienda di famiglia è il Cepu, ha ottenuto rassicurazioni che la favoriscono”. Barbareschi ha poi aggiunto che “anche se il governo reggesse per uno o due voti, sarebbe un voto inutile”. Lei perà smentisce: “’Ho provato a difendermi su vari quotidiani e ho scritto persino al Corriere della Sera, ma loro hanno pubblicato la mia lettera piccina in un angolo e credo che nessuno se ne sia accorto. Quindi lo ripeto a voi: con la Cepu nessuna parentela. Mio fratello ha una piccola fabbrica di ceramiche. Tutto qui”.


Le grandi città sotto assedio


Oltre agli scontri di Roma, tensione anche a Milano durante l'irruzione degli studenti nel palazzo della Borsa. Cortei a Genova, Napoli, Palermo

Nel giorno in cui il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi salva il governo per un soffio (tre voti in più), in tutta Italia le grandi città sono sotto assedio. Centro della protesta la Capitale dove, dopo il voto alla Camera, i manifestanti continuano a scontrarsi con la polizia nelle vie del centro. Ma anche nelle altre città, specie a Milano, ma anche Genova, Palermo, Napoli, Bari, Venezia, Vicenza e Padova, Cosenza e Savona – nel corso della mattinata si sono svolti cortei con alcuni momenti di forte tensione.

Milano - Tensione tra piazza Fontana e via Larga. Una cinquantina di manifestanti dei centri sociali, dopo aver raggiunto il corteo, ha lanciato uova e sassi contro le forze dell’ordine. “Armati” di palloncini pieni di vernice, i ragazzi hanno cercato di avvicinarsi alla polizia senza però arrivare al contatto. Il corteo degli studenti arrivato all’altezza di piazza Fontana, si è diviso in due tronconi: mentre una parte confluiva nella piazza come previsto dall’organizzazione, un’altra parte ha deciso di proseguire la marcia per raggiungere i giardini di via Palestro. Il cambio di tragitto sarebbe stato concordato in corso d’opera con la questura. Il momento di massima tensione si è avuto quando un gruppo di studenti ha fatto irruzione nella sede della Borsa di Milano. I giovani, sotto l’insegna dell’ordinamento dei collettivi studenteschi di Milano e Provincia, sono riusciti a intrufolarsi all’interno di Palazzo Mezzanotte, mentre il servizio di sicurezza ha provveduto a sprangare le altre entrate. Gli studenti, alcuni con il volto coperto, hanno alzato uno striscione con la scritta: “Accozzaglia di affaristi, razzisti, ladri, mafiosi. Fund our future (Finanziate il nostro futuro, ndr). Dovete darci il denaro”. Intonando cori, il gruppo ha ricoperto la facciata di Palazzo Mezzanotte di volantini: “Join the resistance of new Europe (Unitevi alla resistenza della nuova Europa)”, “Dovete ridarci il denaro”. All’arrivo dei carabinieri, gli studenti sono stati obbligati a uscire dal palazzo della Borsa senza incidenti. Il gruppetto ha conquistato il centro della piazza e ha continuato a intonare cori contro il mondo degli affari economici e il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. La manifestazione è terminata con un lancio di petardi contro le forze dell’ordine.

Palermo - Gli studenti hanno occupato i binari della metropolitana dell’aeroporto di Palermo per protestare contro Trenitalia che impedisce la partenza dei manifestanti protagonisti del blocco del “Falcone-Borsellino” diretti a Roma. Per dare loro manforte, un migliaio di giovani sta occupando i binarie la biglietteria della stazione centrale. Anche gli accessi del porto e le principali strade cittadine sono state occupate dai manifestanti. Dopo i blocchi all’aeroporto, alla stazione centrale e al porto, un corteo non autorizzato di oltre 30 mila studenti si è diretto al palazzo dell’Ars.

Genova - Il corteo è iniziato con l’occupazione del varco portuale di Ponte Etiopia in prossimità del quartiere di Sampierdarena. Gli studenti hanno srotolato lo striscione ‘studenti e lavoratori uniti verso lo sciopero generale’ e hanno letto al megafono l’articolo 9 della Costituzione e la dichiarazione universale dei diritti dell’uomo.

Napoli - A scendere in piazza nel capoluogo partenopeo gli aderenti all’Uds, mentre gli universitari del movimento studentesco napoletano sono partiti, questa mattina presto, a bordo di 24 autobus alla volta di Roma. Gli organizzatori, proprio ieri, avevano sottolineato come avessero preferito una presenza maggiore nella Capitale, per dare peso alla protesta, e non manifestare in città. Il concentramento della manifestazione di Napoli è avvenuto alle 9.30 in piazza Mancini, nei pressi della stazione Centrale. I ragazzi, dopo aver attraversato corso Umberto e via Medina, si sono diretti in Piazza del Plebiscito dove è finita la protesta. Lungo il percorso non si sono registrati tensioni né incidenti con le forze dell’ordine.

Bari - Due i cortei studenteschi che dalle 10 di questa mattina stanno tenendo in scacco il traffico e le forze dell’ordine in una manifestazione contro il decreto Gelmini. Uno dei cortei è partito dalla facoltà di Scienze politiche occupata, con l’adesione degli studenti medi. L’altro corteo si è mosso dalla zona del Politecnico e di ingegneria occupata da diversi giorni e si è diretto anch’esso verso il centro della città. Imponente dello schieramento della forze dell’ordine, mentre i vigili urbani hanno provato a gestire la difficile situazione del traffico. Tre studenti che hanno tentato di occupare i binari di un passaggio a livello alla periferia della città sono stati bloccati dalla polizia e condotti in questura. Fino a ieri diversi licei cittadini risultavano occupati o in assemblea permanente mentre gli universitari e i ricercatori della facoltà scientifiche a umanistiche hanno tenuto lezioni all’aperto nelle piazze del centro storico del capoluogo pugliese.

Venezia, Vicenza e Padova - Ennesima protesta, con salita sul Ponte di Rialto contro la riforma della scuola e contro il governo Berlusconi. Iniziative di protesta anche a Vicenza e Padova. Nel centro storico lagunare un corteo ha sfilato dalla stazione ferroviaria fino a Rialto. Secondo fonti della Rete degli studenti, sono circa 1.500 i giovani che hanno gridato slogan e mostrato striscioni. Oltre a protestare contro la riforma Gelmini, gli studenti hanno attaccato il governo. Su uno degli striscioni era scritto: “la nostra fiducia non l’avete”. La manifestazione – secondo fonti della Questura – si è svolta senza problemi. A Vicenza sono scesi in piazza in 3mila con assemblea finale nel cortile di una scuola. Gli studenti hanno aperto il loro corteo con uno striscione riferito al governo Berlusconi con la scritta “Loro cadono noi ci alziamo” e “Maria Stella cadente”, quest’ultimo riferito alla Gelmini. A Padova circa 300 studenti hanno ‘occupato’ le piazze del contro città, al grido “Noi la crisi non la paghiamo”.

Cosenza - Lo svincolo di Cosenza nord dell’ autostrada A3 Salerno-Reggio Calabria è chiuso a causa di una manifestazione promossa da un gruppo di studenti dell’ Università della Calabria contro la riforma degli atenei promossa dal Ministro Gelmini. Gli studenti hanno raggiunto lo svincolo dell’autostrada, provocandone il blocco, dopo avere tenuto un’assemblea nell’Aula magna dell’Università, che è da tempo occupata.

Savona - Un corteo composto da un migliaio di studenti ha occupato pacificamente la storica fortezza del Priamar per protestare contro la riforma dell’Istruzione. Gli studenti, appartenenti alle scuole medie e superiori, si sono radunati in mattinata in piazza Sisto IV per poi raggiungere l’antica fortezza, sulle cui mura è stato srotolato un grande striscione con scritto “Savona risponde”.




Berlusconi incassa la fiducia. E Bossi apre all’Udc: “Da noi nessun veto”


Rissa in aula dopo il voto della finiana Polidori a favore del Governo. Per tre voti di scarto Silvio Berlusconi incassa la fiducia anche alla Camera dei Deputati. Una maggioranza risicatissima, che non garantirà governabilità e che spingerà a un rimpasto dell’esecutivo, ma lo scontro con il nemico Gianfranco Fini è stato vinto dal premier proprio grazie alle finiane Polidori e Siliquini che hanno votato no alla mozione di sfiducia sostenuta da Futuro e Libertà. Alla fine il risultato è 314 a 311, con due astenuti. Dopo la fiducia alla Camera, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, ha incontrato a palazzo Chigi il leader della Lega Nord, Umberto Bossi, e il ministro dell’Economia, Giulio Tremonti. Alle 17 il premier salirà al Quirinale per riferire l’esito del voto al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. “Vorrà godersi la vittoria”, commenta Bossi. Che apre a un possibile ingresso dell’Udc nell’esecutivo. “Non c’è veto all’Udc. C’è il problema del federalismo ma non basta”, ha detto il leader della Lega Nord. Intanto Gianfranco Fini ha fatto sapere di non essere intezionato a dimettersi.

Domenico Scilipoti e Massimo Calearo hanno votato contro la sfiducia al governo nell’Aula della Camera. Contro la sfiducia ha votato anche Bruno Cesario. Alla votazione erano presenti in tutto 627 deputati, ma i votanti sono stati 625, in seguito all’astensione dei deputati della Svp. Quando il presidente Gianfranco Fini ha proclamato il risultato della votazione si è scatenato un applauso. Dai banchi di Pdl e Lega si è subito urlato in coro “dimissioni, dimissioni!”. A seduta sospesa si è sentito cantare l’Inno di Mameli. Contro la sfiducia e quindi a favore della maggioranza hanno votato i 235 deputati del Pdl; i 59 della Lega, 11 di Noi Sud (non ha votato Antonio Gaglione); Francesco Nucara, Francesco Pionati, Maurizio Grassano , Gianpiero Catone, Maria Grazia Siliquini, Catia Polidori, Domenico Scilipoti, Bruno Cesario e Massimo Calearo, A favore della sfiducia si sono espressi i 206 deputati del Pd; i 22 dell’Idv; i 35 dell’Udc; 31 di Fli (non ha partecipato al voto Silvano Moffa e come detto all’ultimo momento Siliquini e Polidori si sono schierate con il centrodestra); i 6 di Api; i 2 Liberaldemocratici; i 5 Mpa e Giorgio La Malfa, Giuseppe Giulietti, il rappresentante della Valle d’Aosta Rolando Nicco e Paolo Guzzanti. Astenuti infine i due esponenti della Svp. Come prassi non ha votato il presidente della Camera Gianfranco Fini.

Dopo il voto alla Camera il segretario del Pd Pierluigi Bersani ha riunito i vertici del partito a Montecitorio. Alla riunione sono presenti tra gli altri Massimo D’Alema, Walter Veltroni, Beppe Fioroni, Dario Franceschini. Mentre Gianfranco Fini ha riunito Futuro e Libertà subito dopo la bocciatura della mozione di fiducia a Montecitorio. Nello studio del presidente della Camera, Bocchino; Briguglio; Granata; Napoli; Bellotti; Barbareschi; Germontani; Rosso e altri finiani.

I commenti dell’opposizione

Proprio il presidente della Camera Fini ha commentato l’esito del voto: “La vittoria numerica di Berlusconi è evidente quanto la nostra sconfitta, resa ancor più dolorosa dalla disinteressata folgorazione sulla Via di Damasco di tre esponenti di Futuro e Libertà. Che Berlusconi non possa dire di aver vinto anche in termini politici sarà chiaro in poche settimane”.

Critiche anche dal segretario del Pd, Pierluigi Bersani: “E’ una vittoria di Pirro, abbiamo il governo Scilipoti-Razzi, si è verificata una vicenda totalmente scandalosa di compravendita di voti, che consegna al Paese un governo più debole e un’opposizione piu’ampia, e l’esecutivo e’ nella palese impossibilita’ di dare una rotta”. E sugli stessi toni si è espresso il segretario dell’Idv, Antonio Di Pietro: “Al di là del computo dei venduti, c’è una sconfitta politica del governo e dunque il premier deve prendere atto che la maggioranza politica non c’è più”. Dunque – ha proseguito Di Pietro - “il premier e’ a un bivio: restare dov’e’ con un governicchio per avere il lodo Alfano o andare dal presidente della Repubblica e avviare la crisi per verificare se c’e’ una maggioranza politica”. In caso contrario, “si va al voto e per noi prima ci si va e meglio è”.

Il futuro della maggioranza

Se il Pdl esulta alla notizia della fiducia conservata – il ministro Romani è andato persino ad abbracciare Giampiero Catone dicendogli “maggioranza risicata ma sufficiente per andare avanti” – l’alleato leghista comincia a fare sentire i propri mugugni. Già stamattina Umberto Bossi diceva: “Il voto è l’unico modo per portare igiene in questo casino”. E sulla stessa linea si è fatto sentire anche il ministro Maroni: ““Meglio vincere che perdere. Oggi abbiamo chiuso il primo tempo di una partita che però non si è conclusa. Se Berlusconi riuscirà ad allargare la maggioranza ai moderati, al fischio finale della partita – ha continuato - potremo continuare a governare. Se non riuscirà a farlo, bisognerà andare al voto”.


Puttanparlamento - Marco Travaglio.

venerdì 10 dicembre 2010

Il nuovo Benito, modello dell’Utri





Sanno bene gli storici quanto sia ingannevole il paragone delle vicende del passato con i fatti del presente. Non fosse altro per quel paradossale effetto di legittimazione carismatica che il riverbero della storia di ieri trasmette ai protagonisti di oggi. Anche in negativo.

Così la persistenza della figura di Mussolini nella narrazione nazionale, non solo certifica la vitalità della vulgata anti-antifascista, quasi settant’anni dopo Piazzale Loreto, ma costringe di continuo a fare i conti con quei tratti del carattere politico nazionale che il fascismo, “autobiografia della nazione”, tanto durante il regime che nel tragico finale di Salò, ha sedimentato nella storia d’Italia. Il gioco continuo delle somiglianze, nel fare la prima mappatura delle storie su cui abbiamo costruito il racconto dell’Ultima lettera di Benito, suonava come un allarme, un caveat per evitare gli effetti collaterali del vissuto politico quotidiano sull’interpretazione storica di un passato ormai lontano.

Pagine inedite
E si faceva fatica con Barbara Raggi, mentre compulsava le migliaia di pagine inedite delFondo Petacci conservate in un’apposita cassaforte dell’Archivio centrale dello Stato, a scansare il terreno infido delle analogie. Che per parte loro spingevano per emergere verso la storia con tutta la loro geometrica potenza. Come rinunciare infatti a illuminare quel passaggio in cui Mussolini, con succinta prosa e piglio giornalistico, racconta a Clara il suo trionfale viaggio a Milano, quando al Teatro Lirico cercò per l’ultima volta di rianimare con il suo carisma il fascismo repubblichino ormai consapevole della sconfitta? “Hai già saputo che ho sempre girato in piedi sul predellino”. Passando anche per San Babila, ovviamente!

E così sarà colpa del clima di cupio dissolvi che accompagna ogni finis regni, ma il vorticoso giro di mignotte professionali e amanti occasionali che ruotano intorno a Mussolini fa riflettere ancora, con la testa alla cronaca politica che stiamo attraversando. È Clara nelle sue lettere fluviali, miscelando senza soluzione di continuità amore e politica, sesso e affari di Stato, mutande e dossier, a svelare il risiko erotico messo in campo dai suoi nemici, i “bravi” della moglie Rachele e dietro di loro il fascismo intransigente del partito che non sopporta la sua influenza sul Duce. Si incontrano così loschi figuri, che poi troveremo coinvolti nella fondazione del Movimento sociale, intenti a piazzare intorno a Mussolini nuove donne prezzolate per la bisogna, con lo scopo di spodestare la prima amante in carica. Clara: “Queste sono le donne che la tua segreteria politica, quel gruppo di greppinati fetidi, ti servono per eliminare definitivamente me … di una marchettara possono servirsene anche loro e manovrarla … con me non c’è nulla da fare!”. Reagisce Mussolini scrivendo a Clara per ricomporre l’ultima crisi personale, messo sotto pressione dalle trame combinate della famiglia e del partito fascista, fra complotti dei servizi segreti e intemerate della moglie: “Allo stato delle cose tutto ciò esce dal campo domestico per entrare in quello politico”. Citazione che non sfigurerebbe in una cronaca contemporanea di Filippo Ceccarelli. Che infatti nel suo Letto e potere, un classico, fin dalla prima edizione, aveva individuato nella vicenda di Benito e Clara il prototipo di ogni storia di amore e politica.

In nome di una par condicio storiografica, dobbiamo qui ricordare quanti grattacapi siano scaturiti dagli affari della famiglia di Clara. In primis Myriam che vuole fare l’attrice a Berlino facendosi raccomandare da Mussolini a Gobbels. Ma il familismo amorale attinge ai vertice del trash affaristico politico con Marcello Petacci, l’immancabile fratello. Uno pseudocognato, di fatto. Fino al punto che lo stesso Mussolini è costretto a mettervi argine scrivendo spazientito a Clara: “Ti prego di dire a Marcello di non fare delle richieste fantastiche. In tutta l’Italia repubblicana non c’è quanto ha chiesto”.

In un gioco di riflessi nel quale il mendace fa agio sul vero, il falso trascolora nel presunto, il farlocco si fa contiguo dell’autentico l’uscita dei falsissimi Diari mussoliniani di Dell’Utri ci costringe a riflettere ancora sull’uso politico della Storia. A dire tutta la verità come autori dell’Ultima lettera di Benito avevamo maturato la ferma condizione di astenersi da esprimere giudizi ormai definitivamente archiviati dalla storiografia. Un atto di presunzione, che non ha resistito alla prova vetrina, però. Vedere infatti negli scaffali delle librerie italiane i falsi di Dell’Utri impilati, addirittura esposti in bella mostra dietro il vetro delle strenne librarie, accanto alle vere lettere di Mussolini e di Clara Petacci, ha fatto vacillare molte certezze. Compresa le convinzione illuminista che la Storia abbia le gambe lunghe e la falsa credenza le gambe corte.

Paragone ingiusto?
Come sa raccontare Umberto Eco, che nel Cimitero di Praga conferma la sua grande capacità di saper inventare il vero, non si capirebbe altrimenti perché e come i falsissimi Protocolli degli Anziani di Sion dell’Ottocento siano riusciti a incidere nella storia reale del Novecento ispirando la “soluzione finale del problema ebraico” immaginata e realizzata da Hitler. Il parallelo può sembrare asimmetrico, sproporzionato, persino ingiusto. A prima vista. E va detto che Dell’Utri non è nemmeno l’autore dei suoi falsi. Però, ha voluto a tutti i costi figurare come proprietario, anche se tecnicamente non lo è, e se ne è fatto editore e promotore, diffusore e divulgatore, paladino e difensore a dispetto di ogni buon senso storiografico. Ecco, qui sta il baco, nascosto e camuffato dietro la più nobile della parole del vivere civile: “opinione”. Che siano falsi è infatti un’opinione, “legittima” ovviamente, certamente “democratica”, assolutamente “liberale”, ma pur sempre contraria e opposta all’opinione che siano veri, perché altrettanto “legittima”, “democratica” e “liberale”. Pari e patta, quindi?
La strategia è imbattibile. Poco importa discutere e tantomeno provare, come è stato provato, se iDiari di Dell’Utri siano veri o falsi! Conta invece rafforzare l’idea di un nuovo Mussolini addirittura pacifista, sempre avverso a Hitler, che si rammarica per l’incidente occorso a Matteotti, da lui fatto assassinare, insomma un Mussolini vittima ancora una volta degli storici italiani che hanno tramandato una pessima immagine su di Lui e il suo Ventennio. Già: come al solito senza preoccuparsi dell’immagine storica dell’Italia. In questo contesto l’opinione dello storico Emilio Gentile, di eccellenza internazionale, può essere considerata alla stessa stregua di quella di Lele Mora, anche lui coinvolto nello spaccio dei Diari falsi.

La Storia non è un’opinione
Nella civiltà dell’opinione di massa, c’è un deficit di illuminismo: la democrazia si è rivelata incapace di escogitare un meccanismo efficace con cui regolare, come con il voto si è trovato il modo di regolare democraticamente la rappresentanza, anche la formazione dell’opinione pubblica. Il mercato dell’opinione infatti non distingue fra buono e cattivo, vero e falso. Fino al punto che la politica trova nella bugia la sua arma migliore. Spetta allora all’informazione cercare di raddrizzare il legno storto della democrazia. Come? Per esempio facendo le domande giuste.

Chissà perchè nessuno le ha fatte a Dell’Utri ospite dell’Infedele, per parlare di mafia e di Mussolini, proprio all’indomani della pubblicazione del dispositivo della sentenza di secondo grado che lo ha condannato a 7 anni per “concorso esterno in associazione mafiosa”? Eppure sarebbe bastato attingere alla relazione del 2005 di Emilio Gentile, richiesta dall’Espresso, in cui si dimostrava fatto per fatto la falsificazione evidente dei Diari. Per esempio: come si spiega che un brano del 20 febbraio del 1935 sia copiato pari pari dalla cronaca della Tribuna? E che dire della pagina del 27 agosto 1936 presa, parola più parola meno, dal Corriere della Sera del 29 agosto? Ci sarebbe poi la storia del carrarmato tedesco Tigre su cui Mussolini avrebbe discettato per spiegare la supremazia della industria militare tedesca già nel 1939 sebbene sia sceso in campo solo nel 1942. Preveggenza? No, un’opinione! E se anche la mafia sia un’opinione. Dei giudici stavolta, invece che degli storici. Ecco: la storia serve anche a questo: sottrarre i fatti alle opinioni.

Di Pasquale Chessa

Dal Fatto Quotidiano dell’8 dicembre 2010


Legittimo impedimento, De Siervo: “Rinvio udienza a gennaio”


In origine la Corte Costituzionale l'aveva fissata il 14 dicembre, ma la concomitanza con la fiducia il neopresidente l'ha fatta slittare. Si deciderà l'11 o il 25 gennaio. "Inaccettabile e offensivo definirci di parte"

Il neopresidente della Consulta Ugo De Siervo

La Corte Costituzionale rinvierà l’udienza (e quindi non solo la decisione) sul ‘legittimo impedimento’ il prossimo gennaio, in origine fissata il 14 dicembre, per “giudicare in un clima più tranquillo” vista la concomitanza con il voto di fiducia al governo in Parlamento. Questa la prima decisione del neopresidente della Consulta Ugo De Siervo, eletto questa mattina. E’ ”inaccettabile”, oltreché “sbagliato e particolarmente offensivo” dire che la Corte Costituzionale “abbia orientamenti precostituiti”, ha voluto precisare De Siervo.

Lo spostamento della discussione, e dunque della decisione sul legittimo impedimento, appare opportuno, ha detto De Siervo, “per evitare un eccesso di sovraccarico mediatico” data “la curiosa coincidenza con il voto di fiducia alle Camere”. Gli stessi difensori di Berlusconi, (Niccolò Ghedinie Piero Longo) ha ricordato il presidente della Consulta, “essendo parlamentari, hanno chiesto di essere liberi da udienze per poter partecipare al voto”. L’udienza pubblica sulla legge, che prevede uno ‘scudo’ per le quattro più alte cariche dello Stato dai processi penali, si terrà quasi certamente l’11 gennaio prossimo, prima data utile dopo la pausa natalizia. Se ciò non fosse possibile per procedure processuali, la causa sarà messa a ruolo il 25 gennaio.

“Il clima esterno – ha sottolineato De Siervo – sarà meno infuocato rispetto al 14 dicembre, quando verrebbero a coincidere due dimensioni diverse, quella politica e quella della Corte, che è bene che non vengano confuse”. A chi gli chiede il perché di uno slittamento di un mese, e non di un solo giorno – inizialmente una delle ipotesi riguardava lo svolgimento dell’udienza il 15 dicembre, e non più il 14 – il nuovo presidente della Corte Costituzionale ha rilevato come, “per la complessità del problema, la nostra sensazione netta è stata quella per cui la decisione sulla costituzionalità della norma sarebbe stata presa comunque in gennaio. Dunque, meglio avvicinare i due momenti, quello della discussione e quello della sentenza”.

De Siervo, in ogni caso, spiega con forza che la Corte “di certo è sensibile al fatto di non essere confusa con un organo politico: preferiamo giudicare in un clima più tranquillo, spero non ci saranno letture improprie. Non regaliamo nulla, per il presidente Berlusconi lo slittamento del mese non cambia nulla”. Quella sul legittimo impedimento, conclude De Siervo, “sarà una decisione significativa”: il nuovo presidente della Corte ha definito lui stesso e il suo vice, nominato oggi,Paolo Maddalena, come “ultimi dei moicani”, poiché sono gli unici giudici che “per la terza volta si trovano a decidere su questioni delicate”, come in precedenza furono il lodo Schifani e il lodo Alfano. “Spero – ha rilevato De Siervo – che non ci saranno letture politicizzate”.

Ugo De Siervo è successo nella carica a Francesco Amirante, il cui mandato novennale è scaduto lo scorso 6 dicembre. Ad eleggerlo sono stati, a scrutinio segreto, i 15 giudici della Consulta. Alla Corte è arrivato nel 2002 eletto dal Parlamento su indicazione del centrosinistra. Nella corsa alla presidenza è stata rispettata l’anzianità di carica e De Siervo – già vicepresidente con Amirante – ha avuto la meglio sull’altro candidato, il giudice costituzionale Alfonso Quaranta. Il primo importante appuntamento per la Corte sarà l’udienza della prossima settimana sul ‘legittimo impedimentò, il cui mandato novennale è scaduto lo scorso 6 dicembre.

De Siervo, fino ad oggi vicepresidente della Corte, è nato nel 1942 a Savona. Laureato con il massimo dei voti nel 1965 in diritto costituzionale all’Università di Firenze, ha iniziato la sua carriera nel ’69 come assistente nella stessa università. Attualmente è professore in aspettativa di diritto costituzionale nell’Ateneo fiorentino. Autore di molti scritti di storia costituzionale, è stato componente dal 1970 al 1974 del comitato regionale di controllo della Regione Toscana, mentre dall’86 al 93 ha fatto parte del Consiglio superiore della pubblica amministrazione. Dal 1997 al 2001, poi, è stato tra i membri dell’autorità garante per la protezione dei dati personali.