Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
giovedì 10 marzo 2011
Le kappa inutilmente compulsive di Sarita Tommasi. - di Andrea Scanzi.
Mi ero appena innamorato. Di Anna Maria Bernini, l’imprecisato onorevole Pdl. L’avevo vista ad Annozero. Era stata mandata in prima linea con la serenità di chi sa di poter fare a meno del due di picche. Essendo, per giunta, briscola quadri.
Bel talento, la Bernini. Garbata, a modo suo. Ha esordito dicendo sette volte “iato”, parola che Benedetto Croce riteneva già desueta quando faceva l’analisi testuale della Cavallina stornadel Pascoli (che palle, il Pascoli). Poi è andata giù di brutto (cit) con parole lisergiche tipo “carotaggio”, di cui ovviamente ignorava il significato: per quello le diceva.
Momenti inebrianti.
La Bernini mi ha colpito per due motivi. Il primo è la sperequazione – altra parola da usare in heavy rotation per fare i colti: sperequazione. Non vuol dire nulla, ma colpisce sempre lo spettatore (che è stupido: per questo esistono Pdl e Pd. Per colmare il vuoto con un vuoto al quadrato).
Dicevo, il primo aspetto conturbante è la sperequazione tra l’apparente esondazione di botox, che parrebbe tradire il desiderio di affascinare esteticamente, e un look sostanzialmente vedovile, con stivali neri morigerati, senza tacco o ammicco: quasi a dissociarsi dal suo ipotetico chirurgo estetico.
Il secondo vanto berniniano è l’oculista. Lo stesso di Mara Carfagna. Entrambe hanno questa espressione sgranata, questi occhi lussuriosamente a palla. Questo sguardo perennemente stupito, come di chi ha appena visto un’erezione maestosa di Mike Tyson.
I like it.
Culi flaccidi e Comete di Halley anziane. Mi ero innamorato, già, ma è durata poco. Del resto quando ero piccolo mi innamoravo di tutto (cit), e ora che son cresciuto mica è cambiato nulla. Così mi sono innamorato anche di Nicole Minetti. Soprattutto quando ha dato del “culo flaccido” a Silvio Berlusconi. Riflettiamoci: uno come Berlusconi può accettarla, un’offesa come “pezzo di merda”. Fa quasi curriculum. Ci sta. E può persino tollerare la definizione “vecchio”, sebbene Egli sia immortale e ritenerlo vecchio sarebbe come dire che la Cometa di Halley è un po’ anziana. Berlusconi è oltre il tempo. Come la De Lorean.
Ma “culo flaccido”, diamine, no. Cribbio, no. Numi santissimi, no. E’ qualcosa che colpisce il narcisismo, che affossa il Sildenafil e offende il cipiglio delle pompette idrauliche. Non si fa.
La mia solidarietà a Berlusconi – ma anche alla Minetti, che in cinque secondi ha detto più cose di sinistra che D’Alema in tutta la sua vita.
Poi però mi è passata la fascinazione per leLDM (Labbra Dunlop Minettiane) e mi sono nuovamente erotizzato dinnanzi a Lady Santadechè e Ravetto Regna. Le usano come milizia femminista per difendere il Sire dalle accuse di erotomania. Pensateci: i berluscones sguinzagliano le donne per giustificare la vita privata (e non solo privata) di un 75enne apparentemente satiro. Sarebbe come se chiamassero François Villon per difendere la forca. O William Burroughs per promuovere la disintossicazione. Oppure me come venditore di infradito. Sarei credibile? No.
Però loro lo difendono. E la gente ci crede. Come crede alle nipoti di Mubarak. Che poi non erano nipoti di Mubarak. Però forse sì: garantisce l’onorevole risorgimentale Maurizio Paniz. La versione mono di Camillo Benso Conte di Cavour.
Tutto questo però è evaporato e trasfigurato, scemato e sfumato, come lacrime sotto la pioggia (cit).
Sara Tommasi come Rosa Luxemburg. Ed è scemato perché ora esiste solo e soltanto Sara Tommasi. Essa Vivifica, Signoreggia e Soverchia. Ah, Sara Tommasi. Uh, Sara Tommasi. Sarita Tommasi. Quella che credeva di essere a metà strada tra Edwige Fenech e Angelina Jolie. Quella che va a piangere a RadioDue dal simpatico Lauro e dall’anziano Sabelli Fioretti, parlando di supermercati che la minacciano e avvelenano (potrebbe provare col biologico). Quella che ha paura di Lele Mora e lancia strali su Fabrizio Corona. Quella che, insieme alla presunta arcorina Aida Yespica, si faceva spiegare il mondo dal Mahatma dello Strategismo Sentimentale Marra, in un monumentale video su Youtube. Quella che mandava auguri al Ministro La Russa, chiamandolo “amore” (stica).
Quella che è laureata alla Bocconi ma usa la “k” come i gggggiovani e crede che il congiuntivo abbia la rogna (per questo ne sta così alla larga).
Quella che pare viaggiasse con la guardia del corpo del Presidente del Consiglio (daje).
I suoi sms sono un bignami dell’Italia al tempo di Berlusconi. Ne sia fatta una minima esegesi.
1) “Amore ho ankora y parfum on the skin“.
A chi lo ha scritto? A George Clooney? A Raoul Bova? A Marco Travaglio? No, a Fabrizio Del Noce. La Tommasi aveva ankora l’odore di Del Noce sulla pelle (e con le mani sbucciava cipolle): che culo. Glosse a margine del testo: a) Sarita era pagata un tanto a kappa? b) Quella “y” era un tributo a Chico Caramba Y Carambyta, l’amico di Zagor-te-nay? c) Ultimamente alla Bocconi danno le lauree un po’ alla cazzo, con rispetto parlando.
2) “Se io mi devo kurare, tu piantala con la cocaina, i cani e le mignotte! E festini sexy non me ne sbatte un cazzo stronzo“.
Questo lo scrive a Paolo Berlusconi. Ora, al di là della sintassi afasica (”e festini sexy non me ne sbatte un cazzo” sembra il costruttore automatico di testi vascobrondiani), affascina il riferimento ai cani: che c’entrano? Capisco la cocaina, capisco le mignotte. Capisco pure i festini: ma i cani? Che male fanno? Che colpa hanno? O era un riferimento puntuto a un’imprecisata zoofilia trasversalmente praticata? Mah.
3) “Silvio vergognati! Mi hai fatta ammalare…paga i conti dello psicologo“.
Qui cominciano i messaggi a Silvio. Che sarebbe Berlusconi. Il quale, se avesse contribuito a spingere Sarita dallo psicologo, sarebbe forse da plaudire. La stessa Sarita, con un bipolarismo appena accennato, poco dopo chiosa: “Amore perdonami…ho visto solo ora la tua chiamata. Ultimamente ho problemi con il telefono“. E non solo con il telefono.
4) “Spero k il governo americano inizi a dare lustro a quello ignobile nostrano con i 10 requisiti di ammissione ad Harvard. La politica è una cosa seria“. Un minuto dopo: “Non una barzelletta come l’hai intesa tu“. Venti minuti dopo: “10 requisiti per l’ammissione tra le fila dei parlamentari… tu indagato saresti già fuori. Hai capito?”.
Questa è la versione Sarita Luxemburg. La pasionaria della sinistra. Pur non essendo né pasionaria (non politicamente almeno), né di sinistra. Immaginate se una cosa così la dicesse la Melandri. Già, immaginatelo. E basta.
5) “Mi sei mancato tanto. Spero tu mi possa richiamare presto. Ti amo ancora sai? Lady X”.
Sta ancora parlando con Silvio Berlusconi. Che, immagino, le avrà risposto firmandosi “Mazinga Zeta”.
6) (Nel pomeriggio dello stesso giorno, scrive):“Ma perché non mi metti dietro solo il Mora invece k le lesbike??”.
Qui non si capisce se stia alludendo a una posizione kamasutrica (pardon: kamasutrika), a un sandwich con due olgettine o stia piuttosto scrivendo la sceneggiatura del nuovo film di Luca Barbareschi (futuro successo in prima serata su RaiTre). Nel dubbio, non favello né mi rispondo.
7) “Spero k krepi kon le tue Troie”.
Sta rivolgendosi ancora (scusate: ankora) a Berlusconi. Il profluvio di kappa è ormai irrefrenabile. Del messaggio piace soprattutto quel “Troie” in maiuscolo. Probabilmente era convinta di essere dentro un poema omerico.
8 ) “Stai abusando di potere“.
C’è arrivata financo Sarita Tommasi. E Veltroni no. Quando dici la sfiga.
9) “Ci vuole una buona reputazione per governare!! Anke tu fai festini Dinho deve tornare!”.
L’sms è importante perché lascia intendere che Sarita Tommasi era, insieme al marito di Benedetta Parodi, l’unica a tifare Ronaldinho. Un giocatore così lento che perfino al Subbuteo lo esortavano ad essere meno statico.
10) (il mio preferito). “Riprendi subito Ron nella tua squadra di merda o ti faccio escludere da Obama e dai grandi del mondo e dalla politica internazionale”.
Calma: questo è un messaggio importante. Molto importante. Prestate attenzione. Ci dice tante cose. Ad esempio che Sarita Tommasi conosce bene Obama. E conosce benissimo la politica internazionale (qualsisi cosa voglia dire). Ha un potere tale da cacciare Berlusconi dall’Olimpo dei grandi del mondo. Non solo: se vuole si trasforma in un razzo missile, mangia libri di cibernetica e tra le stelle sprinta e va (ma un cuore umano ha).
Tutto molto bello. Ho giusto e ancora un dubbio: ma a Barack Obama, se Ron (il cantante?) andava via dal Milan, cosa gliene fregava? Perché doveva punire Berlusconi? Niente, non ci arrivo. Non lo capisco. Colpa mia. Dovevo laurearmi anch’io alla Bocconi. Come la Tommasi. Dovevo anch’io mangiare insalate di cibernetica. Protetto da scudi termici. Per poi diventare intergalattico. E andare a giocare su Marte. Senza così sentire gli spifferi di questo pseudo-Satyricon scritto malissimo.
Buona catastrofe.
P.S. Silvio Berlusconi ha appena detto che farà causa allo Stato. Anch’io. Per essersi fatto ridurre così. E per sua stessa mano.
mercoledì 9 marzo 2011
“Troppi meridionali negli Alpini” La Lega chiede le quote verdi.
Chi pensasse a uno scherzo, sappia che la proposta è materia di discussione in parlamento. La legge ha già superato tutte le commissioni e arriverà al voto alla Camera nelle prossime ore. Un traguardo quasi raggiunto. Dicono. Sperano, visto che l’esito non è per niente scontato con l’aria che tira a Montecitorio negli ultimi mesi. E comunque non è un pesce d’aprile anticipato.
Lo spirito della proposta la spiega al fattoquotidiano .it lo stesso Gidoni, il parlamentare che più di tutti si è impegnato per riportare il nord negli alpini: “Inutile mettere in un bel barattolo la pummarola fatta in Cina. Sbaglio? Bene, come la pummarola sta a Napoli, l’alpino sta alle nostre montagne, quelle del Veneto, del Friuli, Lombardia, Piemonte e, solo in parte, l’appennino tosco emiliano e i rilievi dell’Abruzzo. Il resto – e oggi sono la maggioranza – con le penne nere c’entra poco. Ben vengano, passatemi la battuta, i Salvatore Carmelo, ma la tradizione alpina sta da un’altra parte”.
Il metodo scelto è l’incentivo. Oggi alla divisa si arriva per concorso e il dato anagrafico sulla nascita inciderà sull’aumento del punteggio. Chi è nato a Feltre partirà avvantaggiato rispetto a chi è partito, sacco in spalla, da Ragusa. Bisognerà però vedere se la norma sarà compatibile con la Costituzione italiana.
“Non avevamo altra scelta. Oggi su 47.000 solo 5.000 provengono da zone a tradizione alpina. E non può essere tollerato. Anche perché il corpo ha sempre più una funzione di protezione civile e chi è nato in montagna sa arrampicarsi su una parete meglio di chi proviene da una località di mare, questo credo sia oggettivo. Poi c’è una tradizione da rispettare, c’è gente che da quattro, cinque generazioni veste quella divisa e deve continuare a portarla con orgoglio. Se basterà aumentare il punteggio nel concorso? Non credo, ma noi inviteremo i nostri Comuni, le Province e le Regioni anche a mettere in pratica altri tipi di provvedimento, più strettamente economici. Come sgravi fiscali per le reclute del nord o altri provvedimenti di competenza degli enti locali”.
Gidoni, sulla sua strada, di alleati ne ha trovati. A sorpresa ha aderito alla proposta ancheEdmondo Cirielli del Pdl, eletto a Salerno. Ma il gruppo Gidoni trova un inaspettato nemico sulla sua strada, l’ultra leghista Giancarlo Gentilini, il ‘vecio’, lo sceriffo della Lega, quello che aTreviso (era sindaco, oggi è vice perché non poteva essere rieletto) toglieva le panchine dalle piazze per far sloggiare gli extracomunitari. Intollerante ai limiti della legalità: ” Io gli immigrati li schederei a uno a uno – una delle sue frasi tristemente celebri -. Purtroppo la legge non lo consente. Errore: portano ogni tipo di malattia: tbc, aids, scabbia, epatite…”. Bene Gentilini, che è anche un ex alpino, è contrario alla legge. “No cari miei – spiega al fattoquotidiano.it al termine di una festa di carnevale tra la sua gente – la strada non è questa. C’è un solo modo. Il ripristino della naja. I giovani hanno bisogno di disciplina, devono tornare a obbedire. Il servizio militare era una scuola di vita. E poi era un controllo sanitario importante, si prevenivano le malattie”. Niente alpini veneti? “Certo che sì, ma una legge così non servirà a niente. L’idea vincente è la mia”.
martedì 8 marzo 2011
Brescia, striscioni LeG rimossi dalla Digos.
Uno striscione rimosso dagli agenti della Digos, l’altro strappato e sostituito con un sacco di escrementi lasciato sul balcone. Accade a Brescia, succede da noi. Due soci di Libertà e Giustizia sono finiti al centro di uno strano caso che sa di intimidazione. Un giallo dai contorni per niente chiari con tanto di lettera ai giornali e esposto alla Procura.
La storia parte da lontano, da quando cioè l’associazione lancia la campagnaDimettiti, rivolta al presidente del Consiglio. Una raccolta di firme è il filo conduttore di una mobilitazione pacifica che culmina con l’incontro al Palasharp del 5 febbraio e continua con campagne di sensibilizzazione in tutte le città. A Brescia, il circolo di LeG, decide di appendere ai balconi striscioni con l’invito a dimettersi rivolto a Silvio Berlusconi. “B. offendi l’Italia, dimettiti”, “B., per favore, dimettiti”, “B. vergogna, dimettiti”. Nel giro di pochi giorni la città si riempie, oggi se ne contano ancora una cinquantina per le vie del centro e anche un po’ oltre, in periferia.
Qualche giorno fa, uno dei soci di LeG, quando di mattina apre le persiane, trova che il suo striscione è stato strappato, ridotto a brandelli. Al suo posto, sul terrazzino spunta un sacchetto di escrementi con quello che sembra un bigliettino di accompagnamento: “Ecco il pranzo dei comunisti, firmato S.B.”. Una bravata, commenta lì per lì, la vittima. L’arrivo tempestivo dei vigili urbani aggiunge agitazione su agitazione: chi li ha chiamati? “Arrivassero con la stessa solerzia quando li chiamo per un una macchina in sosta vietata”, si stupisce il proprietario dell’appartamento, in zona Sant’Anna. Un regolamento comunale vieterebbe di esporre striscioni e panni che disturbino il decoro cittadino. Forse, dicono i vicini, si tratta di quello. Del “regalo” trovato sul balcone non parla nessuno. Sicuri che si tratti soltanto di un gesto di pessimo gusto, i padroni di casa decidono di non andare oltre, di non sporgere denuncia.
Poi, però la storia si ripete. Questa volta, non sono mani qualunque quelle che staccano il secondo striscione, dai muri della casa di un altro socio LeG. Lo striscione di via Schivardi, è stato rimosso e sequestrato, domenica, da agenti della Digos che si sono presentati a casa di uno dei vicini, visto che nell’appartamento con lo striscione non c’era nessuno. Gli agenti si sono identificati, hanno chiesto una scala e saliti fini al balcone hanno rimosso lo striscione anti-Cavaliere. Quell’appartamento, in via di ristrutturazione, non è ancora abitato. Sul balcone, pendeva un vecchio lenzuolo con su la scritta: “B., per favore, Dimettiti (tu e la tua corte di 315 schiavi)”.
Che è successo? “Esporre uno striscione è reato? Se sì, quale norma è stata violata? In tal caso, a quale autorità spetta tale contestazione? Interventi di questo tipo rientrano nei compiti della Digos? Non spetta al magistrato ordinare un sequestro e solo in presenza di un reato?”. Queste domande, nero su bianco, sono state spedite con una missiva ai giornali della città. Il proprietario dell’appartamento ha ritenuto di dover fare un esposto alla Procura, per capire meglio. I soci di LeG Brescia si stupiscono che “in Italia si stia arrivando al punto che non sia lecito chiedere le dimissioni di un presidente del Consiglio non stimato”.
http://www.libertaegiustizia.it/2011/03/08/brescia-striscioni-leg-rimossi-dalla-digos/#comments
“Berlusconi tratta le donne come imbecilli e mina la reputazione italiana in Europa”.
Sophie in't Veld, europarlamentare ed esponente dei liberali olandesi: “In Europa Berlusconi è il campione del sessismo. Così facendo legittima la posizione di chi considera le donne come oggetti. E se la condotta del leader minaccia la governabilità del paese allora non si può più parlare di privacy”
“Purtroppo ci sono molti uomini come Berlusconi, ma lui è un leader e dovrebbe agire diversamente. Così facendo legittima il comportamento di chi vede le donne come degli oggetti”, spiega la in’t Veld. “E’ assurdo che si prenda la libertà di trattare come imbecille metà della popolazione italiana”. Sophie in’t Veld è una “liberale” nel vero senso del termine, membro del partito olandese Democrats 66 che fa da sempre delle libertà civile uno dei suoi cavalli di battaglia.
“Conosco e amo l’Italia, la sua arte, la sua lingua e la sua gente. Proprio non capisco come facciate ad aver scelto un leader di questo tipo che rovini la vostra reputazione in tutto il mondo”, si chiede l’eurodeputata, riproponendo la domanda che un italiano all’estero si sente fare quasi tutti i giorni: “Ma perché Berlusconi?”
“In Italia ci sono delle donne fantastiche, come Emma Bonino, un vero esempio di donna forte e determinata che ho conosciuto proprio qui a Bruxelles. Nessun paese ha il diritto di trattare così le proprie donne”. Sul Rubygate, però, in’t Veld preferisce non giudicare: “Spetta alla legge italiana accertare se è stato commesso un reato. Certo che, anche nel rispetto della privacy della propria vita personale, è brutto e sfortunato avere un simile capo di Governo, perché danneggia tutto il paese”. Coerente con i valori liberali tipici dei Paesi Bassi, secondo l’eurodeputata “la vita privata è privata finché non si verifica un reato. Ma se la condotta del leader minaccia la governabilità del paese allora non si può più parlare di privacy”.
Nella giornata europea dei diritti delle donne, in’t Veld non ha dubbi, “in Europa Berlusconi è il campione del sessismo, ma è difficile che venga imitato da altri capi di stato. Piuttosto il problema è che, così facendo, la reputazione degli italiani minaccia la fiducia tra europei e quindi l’integrazione stessa dell’Ue, e questo non possiamo permettercelo”.
Sull’elezione di veline e soubrette nei consigli regionali o al parlamento (anche europeo), l’in’t Veld preferisce non fare nomi: “Ci sono anche molti uomini che non hanno posizioni che meritano. Penso si debba giudicare in base al loro lavoro, ma la questione della scelta della classe dirigente è molto importante”. In Olanda, ad esempio, a decidere le liste elettorali sono gli attivisti dei partiti e non i vertici, e poi il voto passa alla gente.
“Sembra che in tutta Europa ci siano governi che non sono in grado di governare, dal caso del Belgio all’estrema destra in Olanda. Berlusconi è il frutto di una certa politica cultura, non italiana ma di una certa fascia politica. Gli stessi compagni di partito dovrebbero svegliarsi e fare quello che è bene per il paese. L’Ue ha bisogno di avere un’Italia in forma e non malata com’era la Grecia”.
Infine, sulla crisi con la Libia, Sophie invita i politici italiani a “considerare l’interesse dei loro cittadini e non i loro affari con Gheddafi”. E non risparmia una critica all’Unione europea, rea di aver dimostrato “poca solidarietà ai Paesi meridionali sul fronte immigrazione”. “E’ ridicolo che la divisione dei profughi dal Nord Africa tra i paesi UE avvenga su base volontaria”. Sulla proposta della Lega di “mandare i libici in Aspromonte”, Sophie rivolge un invito al collega al Parlamento europeo Mario Borghezio: “Vada a visitare Ellis Island nella baia di New York, l’isolotto che ha accolto fino al 1954 circa 12 milioni di immigrati negli Stati Uniti, poveri, disperati e in buona parte italiani”.
lunedì 7 marzo 2011
Luigi Bisignani, l'uomo che collega. - di Gianni Barbacetto.
Non troverete il suo nome nelle carte giudiziarie delle tante inchieste in corso sugli scandali di questa caldissima estate 2010. Eppure è il nome che le collega tutte. Non parliamo di responsabilità penali, che son faccende da magistrati. Ma di rapporti, contatti, relazioni. Chi è l'uomo che unisce, a un livello alto, lobbisti della "nuova P2", uomini della "cricca", personaggi della "banda larga" di Finmeccanica? Luigi Bisignani è un punto di convergenza. Certo, definirlo "consulente di palazzo Chigi" è impreciso da un punto di vista formale. E non è bella neppure la battuta che circola a Roma, secondo cui Bisignani è stato nominato da Silvio Berlusconi sottosegretario di Stato per interposta persona (in realtà sulla poltrona di sottosegretario è seduta la sua compagna, Daniela Santanché). Eppure Bisignani è, di sicuro, uomo dalle molteplici relazioni, incrocia mondo imprenditoriale e mondo dell'informazione, controlla tante persone, collega molti ambienti. Ed è ascoltatissimo da Gianni Letta, tanto da essere oggi certamente più influente di un sottosegretario.
Non ama apparire. A differenza di tanti altri animali del circo berlusconiano, ritiene che l'esibizione sia, oltre che di cattivo gusto, anche nemica del potere vero. Così, lui che ha tanti amici fedeli nei giornali e nelle società di pubbliche relazioni (quelle che contano), non li attiva mai per una citazione, per una notizia su di sé. Anzi, è difficile trovare negli archivi perfino qualche sua fotografia da pubblicare. È ben altro quello che chiede, quello che ottiene.
Al piano inferiore del caos italiano si muovono bande, cricche e logge, poi subito derubricate, raccontate come l'agitarsi di "tre pirla", "quattro sfigati", improbabili "amici di nonna Abelarda". Al piano di sopra, al riparo da rischi e incursioni giudiziarie, almeno per ora, stanno i registi e gli utilizzatori finali. Bisignani è personaggio di grande simpatia, dalla mente lucida e dall'intelligenza rapidissima. Scrive romanzi gialli e parla, oltre che con Letta, con Angelo Balducci, con Guido Bertolaso, con Denis Verdini, con Pier Francesco Guarguaglini, con Cesare Geronzi...
Ha un certo know-how. Ha sempre negato l'appartenenza alla P2, quella classica, eppure le carte e la tradizione orale gli attribuiscono la tessera 1689 e la qualifica di reclutatore. Nel 1981, quando Giuliano Turone e Gherardo Colombo scoprirono a Castiglion Fibocchi gli elenchi della loggia segreta di Licio Gelli, il ragazzo aveva solo 28 anni. Brillante giornalista dell'Ansa, precoce capoufficio stampa del ministro del Tesoro Gaetano Stammati (piduista) nei governi Andreotti degli anni Settanta. Era una giovane promessa. Mantenuta: dieci anni dopo ha attraversato la stagione di Mani pulite solo con qualche fastidio in più. Una condanna (3 anni e 4 mesi per aver smistato la maxitangente Enimont, ridotti in Cassazione a 2 anni e 8 mesi) che dimostra che il ragazzo, nel 1993, a 40 anni, potente responsabile delle relazioni esterne del gruppo Montedison, era cresciuto. Anche in abilità e coperture, visto che il peggio di quella stagione resta ancor oggi segreto. Qualcosa ha raccontato Gianluigi Nuzzi nel suo libro "Vaticano Spa". Negli anni Novanta, infatti, zitto zitto Bisignani manovra una gran quantità di soldi parcheggiati in Vaticano. Con l'aiuto di monsignor Donato de Bonis, già segretario di Paul Marcinkus, cardinale e indimendicato compagno di scorrerie dei bancarottieri Michele Sindona e Roberto Calvi. L'11 ottobre 1990, dunque, Bisignani apre, con 600 milioni in contanti, un conto riservatissimo presso lo Ior . È il numero 001-3-16764-G intestato alla Louis Augustus Jonas Foundation (Usa). Finalità: "Aiuto bimbi poveri".
"Bisignani ha ottimi rapporti con lo Ior da quando si occupava di Calvi e dell'Ambrosiano", raccontò poi de Bonis in un'intervista. "La sua è una famiglia religiosissima; suo padre, Renato, un alto dirigente della Pirelli scomparso da anni, era un sant'uomo, la madre, Vincenzina, una donna tanto perbene. Bisignani è un bravo ragazzo. L'Istituto si occupa di opere di carità e gli amici aiutano i poveri, quelli che non hanno niente. Anche il sarto Litrico mi diceva 'io vesto i ricchi per aiutare i poveri'".
I bimbi poveri, in realtà, non ebbero gran giovamento dai soldi della Jonas Foundation. Il 23 gennaio 1991, de Bonis si presenta allo Ior con quasi 5 miliardi di lire in titoli di Stato, li monetizza e suddivide il ricavato su due conti: 2,7 miliardi sul deposito dell'amico Bisignani, mentre quasi 2,2 li accredita sul conto Cardinale Spellman, che gestisce in proprio e per conto di "Omissis", come viene chiamato in Vaticano Giulio Andreotti. Dal conto Spellman parte subito un bonifico da 2,5 miliardi al conto FF 2927 della Trade Development Bank di Ginevra: è la prima tranche della supermazzetta Enimont, "la madre di tutte le tangenti", che andrà a irrorare, a pioggia, i partiti politici italiani per benedire il divorzio di Stato tra Eni e Montedison.
Nel giro vorticoso della lavanderia vaticana, sul deposito Jonas Foundation di Bisignani entrano 23 miliardi. E lui, fra l'ottobre 1991 e il giugno 1993, ne ritirerà in contanti 12,4. Che l'uomo sia sveglio lo si capisce già nell'estate del 1993, quando annusa il disastro (i magistrati di Mani pulite stanno per arrivare alla maxitangente Enimont): così il 28 giugno di quell'anno corre allo Ior, ritira e distrugge i documenti che vi aveva lasciato all'apertura dei conti e chiude il Jonas Foundation. Ritira, in contanti, quel che resta: 1 miliardo e 687 milioni. Non avendo borse abbastanza capienti, deve fare due viaggi per portar via il malloppo. Un mese dopo è latitante. È il momento più nero di Mani pulite. Tre protagonisti della vicenda Enimont muoiono in circostanze drammatiche: il presidente dell'Eni Gabriele Cagliari con un sacchetto di plastica in testa in una cella di San Vittore; il regista sconfitto dell'operazione Enimont, Raul Gardini, con un colpo di calibro 7,65 nella sua dimora milanese; il direttore generale delle Partecipazioni statali, Sergio Castellari, con il volto spappolato nella campagna romana.
Tanti conti non tornano, in questa storia. Anche quelli dei soldi. La tangentona Enimont, rivelano i documenti vaticani messi a disposizione da Nuzzi, era ben più grossa di quella individuata dai magistrati di Mani pulite. E molti personaggi sono stati coperti dai silenzi vaticani. Tra questi, l'ineffabile "Omissis". Almeno 62 miliardi sono stati nascosti, si sono volatilizzati. E di questo tesoro rimasto segreto, 1,8 miliardi sono passati sul conto di Bisignani.
Quattordici anni dopo, un altro magistrato bussa alla sua porta. Si chiama Luigi De Magistris, alle prese con l'inchiesta Why not. Sta indagando su un comitato d'affari attivo in Calabria, ma con la testa a Roma. È convinto che sia organizzato come un'associazione segreta, una nuova P2, tanto che contesta ai suoi indagati proprio il reato previsto dalla legge Anselmi. È convinto che Bisignani di questa nuova P2 sia uno dei punti di riferimento. Il 5 luglio 2007 si presenta di persona, a sorpresa, ai suoi indirizzi romani, l'abitazione e la sua azienda Ilte (Industria Libraria Tipografica Editrice) di piazza Mignanelli. Ha un mandato di perquisizione. Bottino scarso: qualche documento e un Blackberry 7230 blu. "Ho avuto l'impressione che fosse stato avvertito: lui era volato improvvisamente a Londra", dice oggi De Magistris. "Dopo quella perquisizione, le manovre contro di me hanno un'accelerazione. Due mesi dopo mi sottraggono l'indagine".
Di Why not restano oggi soltanto i rapporti accertati degli indagati. Bisignani, per esempio, era in contatto con molti politici, imprenditori, manager, uomini degli apparati. Tra questi, Clemente Mastella, allora ministro della Giustizia, Walter Cretella Lombardo, potente generale della Guardia di finanza, Salvatore Cirafici, il dirigente di Wind responsabile della gestione delle richieste di intercettazioni e tabulati inviate all'azienda telefonica da tutte le procure italiane.
Oggi, tre anni dopo, nuova indagine, nuovo comitato d'affari, nuova P2. Luigi Bisignani resta a guardare, dall'alto. Ha visto sbriciolarsi la Prima Repubblica, la Dc, il Psi. Non s'impressiona certo per la decomposizione del berlusconismo.
A scrivere che c’è la manina dei servizi segreti nella campagna contro Gianfranco Fini è una fonte insospettabile, il Giornale: agenti dei servizi e della Guardia di finanza – racconta il 17 settembre il quotidiano della famiglia Berlusconi – sono stati inviati a Saint Lucia, l’isola dei Caraibi dove sono domiciliate le società che hanno comprato l’appartamento di An a Montecarlo poi affittato dal cognato di Fini, Giancarlo Tulliani. Secca smentita, ieri, della presidenza del Consiglio: “Le illazioni, le voci e le congetture apparse su alcuni quotidiani in relazione a una presunta attività di dossieraggio sono assolutamente false, diffamatorie e destituite di ogni fondamento”.
Bene, commenta Italo Bocchino, capogruppo di Futuro e libertà. “Palazzo Chigi ha fatto benissimo a definire irresponsabili le illazioni sul coinvolgimento dei nostri servizi d’intelligence in operazioni di dossieraggio politico-scandalistico”. Ma, visto il passato dei nostri servizi, non si può “avere la certezza che, come accaduto in passato, non ci siano azioni torbide, illegali, deviate”.
Un altro deputato di Futuro e libertà, Carmelo Briguglio, componente del Copasir (il comitato parlamentare che vigila sui servizi di sicurezza) chiede di approfondire, “al di là delle smentite ufficiali, sia la possibile partecipazione a questa azione di dossieraggio di pezzi di servizi deviati, sia l’attività della nostra intelligence a tutela delle massime cariche della Repubblica”. Briguglio già l’11 agosto scorso aveva evocato, proprio in un’intervista al Fatto quotidiano, l’ombra dei servizi: “Ogni qualvolta ci sono vicende ad alta tensione politica, spunta sempre una manina, con carte di natura scandalistica che poi, come è già successo nel caso Boffo, si risolvono in un nulla di fatto”. Così, rivelava il deputato, “ci sono stati colleghi parlamentari di area finiana che sono stati spiati e filmati”. Il riferimento era a Bocchino, che “è già stato sentito dal Copasir e c’è un’indagine interna in corso”. Dopo mesi di “rivelazioni” e polemiche, le ombre, invece che diradarsi, si sono moltiplicate. Così ora è possibile cominciare una prima rassegna dei personaggi e degli interpreti, dei meccanismi e degli strumenti coinvolti nell’operazione “distruggere Fini”.
Il primo livello, quello visibile, è costituito dai giornali che da mesi stanno conducendo un’ossessiva, monomaniacale campagna contro il presidente della Camera. Intendiamoci: le inchieste giornalistiche ci piacciono ed è non solo legittimo, ma anche meritorio fare luce sui retroscena dei potenti. La campagna sulla casa di Montecarlo realizzata dal Giornale e da Panorama (di proprietà della famiglia Berlusconi) e Libero (testata posseduta dalla famiglia Angelucci) è però troppo simile a un’operazione di vendetta condotta dal presidente del Consiglio contro un uomo politico considerato ormai un traditore e un nemico.
Accanto ai giornali di Berlusconi o a lui vicini, è stato indicato, come motore della campagna, anche il sito Dagospia, che effettivamente ha inventato e praticato prima di tutti il genere letterario “sputtanare Fini e famiglia Tulliani”. Roberto Dagostino è un simpatico guastatore che si diverte a sparare su tutto e tutti e, nella sua furia iconoclasta, finisce spesso per fare dell’ottimo lavoro giornalistico. Ma sulla vicenda Fini-Tulliani qualcuno potrebbe avergli dato un aiutino per trovare materiale da mettere in circolo: è quanto sostiene un altro finiano, Enzo Raisi, che parla di “polpette avvelenate” passate a Dagospia. Sito che, dice Raisi, avrebbe “rapporti con i servizi segreti”.
Senza scomodare le barbe finte, c’è un nome che viene da giorni evocato e sussurrato a mezza voce a proposito di questa vicenda: Luigi Bisignani. È lui l’uomo che, secondo gli amici di Fini, passa notizie a Dagospia. Il sito è da tempo attivo in due campagne: quella contro il presidente della Camera e quella contro Alessandro Profumo, il “Mister Arrogance” fino a martedì sera al vertice di Unicredit. Bisignani ha un ruolo in entrambe le partite. È l’uomo che collega, che realizza campagne, che rende operative le strategie e realizza i desideri dei suoi autorevoli referenti politici (Gianni Letta), finanziari (Cesare Geronzi), economici (Paolo Scaroni). È il punto alto di convergenza tra “cricche” e “bande larghe”, vecchie e nuove P2. Uomo brillante e intelligente, scrive romanzi gialli e parla, oltre che con Letta e Geronzi, con Angelo Balducci, con Guido Bertolaso, con Denis Verdini, con Pier Francesco Guarguaglini... Con Daniela Santanché, sua compagna fino a qualche tempo fa, aveva anche progettato di rilevare il Giornale. Bisignani ha davvero, come sostengono i finiani, rapporti anche con Dagospia?
Più sotto, in questa vicenda a più piani che ripropone l’eterna storia italiana della politica fatta a colpi di dossier, si muove l’ombra dei servizi segreti. Controllati dalla presidenza del Consiglio, attraverso il sottosegretario delegato, Gianni Letta. Oggi come ai bei tempi di Niccolò Pollari, direttore dell’intelligence militare (che allora si chiamava Sismi, oggi Aise), e di “Shadow”, la sua ombra, il diligente funzionario Pio Pompa che a partire dal 2001 ha accumulato nel suo ufficio di via Nazionale a Roma una mole imponente di dossier illegali su magistrati, giornalisti, politici, intellettuali d’opposizione, considerati “nemici” di Berlusconi da “disarticolare, neutralizzare e dissuadere”, anche con “provvedimenti” e “misure traumatiche”.
Allora furono messi in circolo da Pompa, tra l’altro, falsi dossier su Romano Prodi. Anni dopo, la macchina del fango si è rimessa in moto per azzoppare il governatore del Lazio Piero Marrazzo, non senza contorti passaggi di documenti e informazioni tra Vittorio Feltri, il direttore di Chi Alfonso Signorini e Silvio Berlusconi. E proprio a lui in persona fu portata, la vigilia di Natale del 2005, l’intercettazione segreta tra Piero Fassino e Giovanni Consorte (“Siamo padroni di una banca?”): almeno secondo quanto racconta il faccendiere Fabrizio Favata. Pochi giorni dopo, quella telefonata finì sulla prima pagina delGiornale.
Il Parlamento, che dovrebbe vigilare sull’intelligence attraverso il Copasir, naturalmente non riesce a bloccare eventuali manovre illegali. Anche perché la legge che nel 2007 ha riformato i servizi ha allargato gli spazi d’impunità di cui possono godere. Si è dilatata anche l’area coperta dal segreto di Stato. E poi le operazioni più delicate (e compromettenti) sono realizzate ai margini dei servizi. Da che mondo è mondo, le operazioni sporche si fanno con gli “irregolari”.
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