venerdì 24 giugno 2011

Napoli non subirà in silenzio la tua vendetta!



Ce l'avevi promesso che ce l'avresti fatta pagare e sei stato di parola.
Le migliaia di tonnellate che si accumulano e si decompongo a Napoli e provincia, con rischi crescenti per la salute di donne, uomini, vecchi, bambini, sono il prezzo per la nostra insubordinazione.
E' la vendetta contro un popolo che ha scelto di essere libero e di non votare i tuoi sgherri in odore di camorra.
E così oggi i tuoi alleati della lega, che ti tengono per le palle, si permettono di stralciare la discussione sul decreto dei rifiuti già in agenda in un consiglio dei ministri. E così continui a ignorare gli appelli del presidente Napolitano che ti invita a intervenire prima che la situazione degeneri.
E' la vendetta miserabile di un piccolo uomo, che vede dietro l'angolo la sua definitiva sconfitta politica e trasforma la frustrazione in rancore livido, più puzzolente della monnezza che infesta le strade della nostra città.
Ma Napoli saprà opporsi alla tua infamia, ci siamo sempre rimessi in piedi, sempre. Anche quando una parte dei nostri concittadini ha preferito collaborare con l'invasore, perché tu quello sei: un invasore.
Collaborazionisti prezzolati che rovesciano in strada i rifiuti con gli stessi mezzi con i quali dovrebbero raccoglierli.
Collaborazionisti e infami che minacciano gli equipaggi dell'Asia costringendoli con la forza ad abbandonare il campo.
Non ti illudere, Napoli saprà reagire, dovessimo venire a prenderti fino a Roma dove indegnamente eserciti la tua funzione di primo ministro di un governo che dovrebbe tutelare e rappresentare anche i tuoi avversari.
Anche noi. Napoli non dimentica e non subisce in silenzio.
Saremo noi, se la tua vendetta non evolverà in un ragionevole cambio di rotta, a cacciarti per sempre dalla politica italiana.
Ora basta, se sei contro di noi, Napoli sarà contro di te senza mediazioni e senza nessuna giustificazione per quei nostri concittadini traditori che ancora ti conferiscono legittimità.



giovedì 23 giugno 2011

Intercettazioni, Minzolini al Tg1: ''Improprie e di dubbia utilità''



Così il direttore del Tg1 nell'editoriale andato in onda nell'edizione delle 20



Il volto del potere.



Conoscere la faccia del Bisignani è un privilegio concesso a pochi. Quei dieci o undici milioni di italiani che gli hanno parlato al telefono non l'hanno mai visto di persona e i cittadini comuni che hanno appreso della sua esistenza solo in questi giorni continuano a vedere la stessa foto, quella con gli occhiali a goccia e il faccino stirato, scattata qualche secolo fa. Paradossale, vero? Il mondo non fa che dirci che esistiamo solo se siamo visibili, ma intanto i potenti veri non li conosce nessuno. Mai visto un banchiere sulle poltrone dei talk show, neanche in America. I burattinai mandano i pupazzi in tv ad agitarsi al posto loro. Forse temono che l'immagine rifratta in migliaia di schermi finisca per prosciugare l'anima. O più banalmente sentono che il potere si nutre di timore. E nulla toglie il timore quanto la familiarità.

Appena un gradino al di sotto degli invisibili, stanno gli audio-potenti: quelli che non vanno in tv però le telefonano, incombendo con voce monologante sugli ospiti effigiati in studio. Scendendo di un gradino ulteriore, ecco il potente distaccato: si fa vedere, ma in collegamento da un'altra sede, ritratto sul maxischermo con le dimensioni di un poster di Mao. Comunque appare, quindi conta già poco. Chi invece non conta proprio niente sono gli habitué. Le marionette abbarbicate alle poltroncine, che si agitano per strappare un primo piano alla telecamera, bofonchiando il mantra «io non ti ho interrotto tu non mi interrompere». Il popolo senza speranza li disprezza e li vota. Il potere senza volto li disprezza e li usa.




Report : "Il voto segreto dei politici sulle loro pensioni"



La trasmissione Report racconta di una votazione passata sotto silenzio nei Tg nazionali, riguardante la modifica della pensione dopo solo una legislatura ai parlamentari.


Privacy, il Garante: "La Rete grande strumento di democrazia. In Tv basta con la pornografia del dolore".


Il garante della privacy Francesco Pizzetti (Ansa)
La rete è uno spazio di "democrazia" come dimostra l'uso che ne è stato fatto nelle recenti esperienze a partire da quelle del Nord Africa. No quindi a porre bavagli repressivi invocando ragioni di sicurezza. Il messaggio arriva dal garante per la privacy, Francesco Pizzetti, nel giorno della relazione dell'Autorità in Parlamento. "Le ragioni di sicurezza possono essere invocate anche per chiedere e ottenere forme di controllo sulle reti e sui contenuti delle comunicazioni - ha detto Pizzetti - E' su questo terreno che si colloca il pericolo di un controllo oppressivo e repressivo, che può limitare la libertà dei cittadini e vanificare la grande risorsa positiva della rete come comunicazione globale".
Il Web strumento di libertà e democrazia - "Come molte esperienze recenti dimostrano, la rete e le tecnologie che su di essa operano sono anche uno strumento fondamentale per promuovere la libertà, grazie a moderne e inedite forme di protesta e di liberazione dei popoli. La rete è oggi anche lo spazio politico in cui si combatte la lotta tra democrazia e repressione". Per Pizzetti, "solo" la comunità internazionale può, "sulla base di regole e diritti da tutti riconosciuti, impedire boicottaggi e censure che rafforzino, con nuove forme di repressione, l'autoritarismo del potere".
Proteggere gli utenti - Allo stesso tempo però, ha proseguito il Garante, "è necessario proteggere gli utenti dall'uso di una rete senza regole, esposta a tecnologie ogni giorno più invasive e a rischi potenzialmente devastanti" e "nel rapporto tra sicurezza e controllo, tra protezione e proibizione, fra difesa e oppressione della libertà, è fondamentale il riconoscimento di principi comuni e condivisi.
E` necessario - ha concluso - individuare realisticamente, insieme ai diritti, i doveri e i vincoli che li limitano, indicando anche con quali modalità, per quali ragioni, con quali procedure e chi li possa stabilire e far rispettare". Poiché "è solo dentro un robusto sistema di principi e di regole che possiamo trovare la via per difendere e sviluppare, nel nuovo mondo di 'Uomini e dati', le libertà individuali e i diritti collettivi".
"Basta con la pornografia del dolore" - Il Garante della Privacy invita il mondo dell'informazione a fare di più sul "rispetto delle regole essenziali a protezione della dignità delle persone", ambito nel quale "si assiste a un lieve miglioramento" anche se "il risultato non è sufficiente". Il riferimento è ai recenti fatti di cronaca dalla tragedia di Avetranaa quella di Potenza o quella, recente, di Ascoli Piceno. Pizzetti mette in guardia i media dal rischio che "la diffusione di informazioni di ogni tipo intorno a fatti di cronaca arrivi a punte di cattivo gusto e di violazione della dignità delle persone che vanno oltre ogni norma deontologica o giuridica". "In alcuni casi - ha ricordato il presidente Francesco Pizzetti - abbiamo dovuto registrare forme di vero e proprio accanimento informativo, la punta dell`iceberg di un fenomeno che riguarda soprattutto alcune trasmissioni televisive e nuove forme di diffusione di informazioni e immagini sul web".
Politici rendano conto dei loro comportamenti - Per "dare più autorevolezza alla libertà di stampa, alla giustizia e alla politica" in Italia "di più e di meglio può essere fatto", come che il fatto che politici e in generale "le persone pubbliche abbiano la garanzia di processi in tempi ragionevoli e compatibili con le esigenze di giustizia, e allo stesso tempo accettino di rendere conto dei loro comportamenti ai cittadini e agli elettori nel dibattito pubblico". Secondo il Garante è anche necessario che "i giudici esercitino il loro ruolo sempre e solo nei processi" e che "gli operatori dell`informazione rispettino rigorosamente le responsabilità e i principi della loro professione".

L'abuso del telemarketing: intollerabile violenza - Sono state circa mille da febbraio ad oggi le proteste inviate dagli utenti per telefonate pubblicitarie indesiderate e più del 90% riguardano la violazione del registro delle opposizioni (quello a cui secondo l'attuale normativa si devono iscrivere i cittadini che non vogliono essere tartassati). Oltre ai limiti del sistema e del suo funzionamento, sta inoltre emergendo, secondo il Garante, la "difficoltà di definire la catena delle responsabilità di fronte a trattamenti che vedono coinvolti una pluralità di soggetti, dalle imprese interessate ai call center". Pizzetti parla di una "giustificata irritazione degli utenti" che "cresce ogni giorno di più, e raggiunge il massimo dell`intollerabilità per chi, pur essendosi iscritto al registro, continua lo stesso ad essere disturbato".

Islanda, un paese che vuole punire i banchieri responsabili della crisi. - di Jóhanna Sigurðardóttir




Dal 2008 la gran maggioranza della popolazione occidentale sogna di dire “no” alle banche, ma nessuno ha osato farlo. Nessuno eccetto gli islandesi, che hanno fatto una rivoluzione pacifica che non solo è riuscita a rovesciare un governo e abbozzare una nuova costituzione, ma cerca anche di incarcerare i responsabili della débacle economica del paese.

La scorsa settimana a Londra e Reykjavik sono state arrestate 9 persone per la loro presunta responsabilità nel crollo finanziario dell’Islanda del 2008, una crisi profonda che si è sviluppata in una reazione pubblica senza precedenti che sta cambiando la direzione del paese.

È stata una rivoluzione senz’armi in Islanda, paese che ospita la più antica democrazia al mondo (dal 930), e i cui cittadini sono riusciti a effettuare il cambiamento solo facendo dimostrazioni e sbattendo pentole e tegami. Perché gli altri paesi d’Occidente non ne hanno neppur sentito parlare?

La pressione dei cittadini islandesi è riuscita non solo a far cadere un governo, ma anche a iniziare la stesura di una nuova costituzione (in corso), e sta cercando di incarcerare i banchieri responsabili della crisi finanziaria del paese. Come dice il proverbio, chiedendo le cose con garbo, è molto più facile ottenerle.
Questo tranquillo processo rivoluzionario ha le sue origini nel 2008 quando il governo islandese decise di nazionalizzare le tre maggiori banche, Landsbanki, Kaupthing e Glitnir, i cui clienti erano principalmente britannici, e nord- e sud-americani.

Dopo la presa in carico da parte statale, la moneta ufficiale (krona) precipitò e la borsa valori sospese l’ attività dopo un crollo del 76%. L’Islanda stava andando in bancarotta e per salvare la situazione, il Fondo Monetario Internazionale iniettò 2.100 milioni di dollari USA e i paesi Nordici contribuirono con altri 2.500 milioni.

Grandi piccole vittorie di gente comune

Mentre le banche e le autorità locali ed estere stavano disperatamente cercando soluzioni economiche, gli islandesi si sono riversati in strada e le loro persistenti dimostrazioni quotidiane davanti al parlamento a Reykjavik hanno provocato le dimissioni del primo ministro conservatore Geir H. Haarde e del suo intero gabinetto.

I cittadini esigevano inoltre di convocare elezioni anticipate, e ci sono riusciti: in aprile è stato eletto un governo di coalizione formato dall’Alleanza Social-democratica e dal Movimento Verde di Sinistra, capeggiato dalla nuova prima ministra Jóhanna Sigurðardóttir.

Per tutto il 2009 l’economia islandese continuò a essere in situazione precaria (alla fine dell’anno il PIL era calato del 7%) ma ciononostante il parlamento propose di rifondere il debito alla Gran Bretagna e ai Paesi Bassi con un esborso di 3.500 milioni di euro, somma da pagarsi ogni mese da parte delle famiglie islandesi per 15 anni all’interesse del 5.5%.

La decisione riaccese la rabbia negli islandesi, che tornarono in strada esigendo che, almeno, tale scelta fosse sottoposta a referendum. Altra piccola vittoria per i dimostranti: nel marzo 2010 si tenne appunto tale consultazione elettorale e uno schiacciante 93% della popolazione rifiutò di rifondere il debito, almeno a quelle condizioni.

Ciò costrinse i creditori a ripensare l’operazione migliorandola con l’offerta di un tasso del 3% protratto per 37 anni. Ma anche questo non bastava. L’attuale presidente, al vedere il parlamento approvare l’accordo con un margine esiguo, ha deciso il mese scorso di non ratificarlo e di chiamare il popolo islandese alle urne per un referendum in cui avrà l’ultima parola.

I banchieri scappano per la paura

Tornando alla situazione tesa del 2010, quando gli islandesi si rifiutavano di pagare un debito contratto da squali finanziari senza consultazione, il governo di coalizione aveva promosso un’indagine per stabilire le responsabilità legali della fatale crisi economica arrestando già parecchi banchieri e alti dirigenti strettamente collegati alle operazioni arrischiate.

Fonte: http://serenoregis.org/2011/04/islanda-un-paese-che-vuole-punire-i-banchieri-responsabili-della-crisi-pressenza/

L’Interpol frattanto aveva emesso mandato di cattura internazionale contro Sigurdur Einarsson, ex-presidente di una delle banche coinvolte. Questa situazione ha spaventato banchieri e dirigenti inducendoli a lasciare il paese in massa.

In questo contesto di crisi, si è eletta un’assemblea per redigere una nuova costituzione che rifletta le lezioni apprese nel frattempo sostituendo quella attuale, ispirata alla costituzione danese.

Per far ciò, anziché chiamare esperti e politici, gli islandesi hanno deciso di rivolgersi direttamente alla gente, che dopo tutto detiene il potere sovrano sulla legge. Più di 500 islandesi si sono presentati come candidati a partecipare a tale esercizio di democrazia diretta e a scrivere una nuova costituzione. Ne sono stati eletti 25, senza affiliazioni partitiche, compresi avvocati, studenti, giornalisti, agricoltori e sindacalisti.

Fra l’altro, questa costituzione richiederà come nessun’altra la protezione della libertà d’informazione e d’ espressione nella cosiddetta Iniziativa per i Media Moderni Islandesi, in un progetto di legge che mira a rendere il paese un porto sicuro per il giornalismo d’indagine e per la libertà d’informazione, dove si proteggano fonti, giornalisti e provider d’Internet che ospitino reportage di notizie.

La gente, per una volta, deciderà il futuro del paese mentre banchieri e politici assistono alla trasformazione di una nazione dai margini.


Fonte: www.elconfidencial.com



Tremonti vuole far pagare la manovra finanziaria ai pensionati.


Tremonti vuole far pagare la manovra finanziaria ai pensionati

ROMA - Come al solito, il governo intende far pagare la manovra finanziaria da 40 miliardi ai più deboli, socialmente ed economicamente parlando. E questa volta decide di colpire la pensione, ovviamente dei redditi più bassi. Innanzitutto aumentando il contributo pensionistico per i lavoratori parasubordinati (cioè i precari con contratti atipici) dal 28 al 33%. Poi accellerando l'attuazione della legge sull'aumento automatico dell'età pensionabile. Infatti, nel silenzio completo dei media, con la finanziaria del 2010 venne approvata una legge che aumentava l'età per la pensione di anzianità e per quella di vecchiaia in proporzione all'aumento dell'età media. L'aumento, indicato dal Ministro Tremonti, era stato di tre mesi ogni anno (quindi un anno di aumento dell'età pensionabile ogni 4 anni) a partire dal 2015. L'idea è quello di anticipare la manovra al 2013, in modo che l'età per la pensione di anzianità sia di 66 anni e 3 mesi e quella di vecchiaia a 63 anni e 3 mesi. Con il sistema delle "finestre mobili" introdotto l'anno scorso (per cui si va in pensione da 12 a 18 mesi dopo che si è raggiunta l'età pensionabile) si bloccherebbe l'andata in pensione quasi completamente per il 2013 ed in questa maniera si realizzerebbero gran parte dei risparmi necessari per la manovra. Altri risparmi verrebbero dall'aumento di 5 anni dell'età per la pensione delle donne nel settore privato. Poi ci sarebbe un taglio di 4 miliardi ai Comuni - già maltrattati nelle scorse finanziarie - e di 6 miliardi alla Sanità. Poi anche un taglio di 5 miliardi ai Ministeri, unito ad alcune misure già prese, come il blocco del turn over nella pubblica amministrazione o il congelamento dei stipendi dei dipendenti pubblici fino al 2014.
Intanto sulla riduzione a tre delle aliquote promessa dal governo Berlusconi, la Cgia di Mestre ha calcolato che sarebbero misure che andrebbero a favore solo dei redditi più alti, quelli sopra i 70 mila euro lordi annui, con un vantaggio economico che cresce al crescere del reddito.