mercoledì 7 marzo 2012

Primarie, indagata rappresentate di lista di Ferrandelli







I carabinieri hanno fatto accertamenti su Francesca Trapani per appurare se sia stata in possesso dicertificati elettorali che sarebbero stati consegnati, assieme a un euro, alle persone che poi votavano nel seggio allestito in via Rocky Marciano, nel quartiere Zen. Coinvolto anche il marito.


PALERMO. La rappresentante di lista, nel gazebo del quartiere Zen, di Fabrizio Ferrandelli, vincitore delle primarie del centrosinistra per la candidatura a sindaco di Palermo, è indagata dalla procura palermitana per presunte attività illecite nello svolgimento delle elezioni di domenica scorsa. I carabinieri hanno fatto accertamenti su Francesca Trapani, rappresentante di lista di Ferrandelli, per appurare se sia stata in possesso dicertificati elettorali che sarebbero stati consegnati, assieme a un euro, alle persone che poi votavano nel seggio allestito in via Rocky Marciano, nel quartiere Zen.

I carabinieri ieri hanno ascoltato gli scrutatori del seggio e sentiranno altre persone, compresi i rappresentanti di lista dei quattro candidati: Fabrizio Ferrandelli, Rita Borsellino, Davide Faraone e Antonella Monastra. Ascoltando i primi testimoni i carabinieri avrebbero verbalizzato dei racconti da cui si evince che durante il voto vi era un clima di tensione e strane manovre con le schede elettorali. Secondo testimonianze la donna aveva decine di certificati elettorali nella propria auto che le erano stati consegnati dagli stessi elettori. Quando il cittadino si presentava da lei, la donna consegnava il certificato elettorale e anche l'euro per votare alle primarie. Qualcuno avrebbe anche visto alcune persone che dopo il voto restituivano il certificato alla stessa Trapani

COINVOLTO ANCHE IL MARITO - Anche Maurizio Sulli, marito della rappresentante di lista di Fabrizio Ferrandelli, è indagato. Dalla procura non vengono fuori notizie ufficiali nè il reato per cui i due sono indagati. Secono indiscrezioni le accuse ipotizzate potrebbero essere minaccia, violenza privata e reato elettorale che però si configurerebbero solo in presenza di reali elezioni e non di primarie dei partiti. Agli indagati sarebbero stati sequestrati, oltre ai certificati elettorali di cittadini, anche deleghe per ritirare i certificati al comune. Il reato elettorale potrebbe configurarsi qualora gli indagati gestissero i certificati anche per il voto alle elezioni amministrative.

LA DIFESA: "SCONCERTATA" - "Sono totalmente sconcertata. È una vergogna, molti politici non sanno perdere. Io ho fatto tutto alla luce del sole». Lo dice Francesca Trapani,  50 anni, quattro figli, qualche vecchio precedente penale, lavora nell'associazione dello Zen «Donne insieme associate» che si occupa del recupero di minori e dice di conoscere Ferrandelli fin dai tempi della sindacatura di Leoluca Orlando. Il marito fa il posteggiatore abusivo «e non ha ricevuto - dice - da Ferrandelli nè da altri la promessa di un posto di lavoro». 

Ferrandelli, la rivincita del Delfino. - di Giuseppe Pipitone




Fabrizio Ferrandelli, il vincitore delle primarie del centrosinistra a Palermo, ha festeggiato il 6 marzo suo trionfo tra locali alla moda e giovani in libera uscita nella centralissima piazza Rivoluzione: «Non siamo qui per caso», ha spiegato, «è questo quello che faremo, una rivoluzione».

DALLA ZISA ALLA POLITICA. A caldo, accerchiato dai suoi sostenitori che lo spingevano «a prendere la città» e inseguito dalle telecamere in mezzo alla pioggia ha dedicato la vittoria «ai 15 mila giovani che ogni anno partono per andare a cercare un futuro fuori». Lui, il 31enne cresciuto nel quartiere della Zisa, non ha avuto bisogno di emigrare come i suoi coetanei: il suo futuro Ferrandelli lo ha trovato qui, nella sua Palermo.

IL POSTO FISSO IN BANCA. Nel 2003, quando aveva appena 23 anni e una laurea in Lettere moderne in tasca, riuscì a farsi assumere alla Banca Popolare Sant’Angelo: una vera e propria “vittoria” in una terra dove il posto fisso ha ormai assunto la stessa consistenza del santo Graal. Una vittoria quella del posto in banca che ha permesso a Ferrandelli di non doversi più preoccupare del suo di futuro, ma di poter iniziare a occuparsi, ha più volte ripetuto, di quello degli altri.

Una vita a studiare «da sindaco»


Chi lo conosce bene dice che studia da sindaco dai tempi dell’università. Ed è proprio lì che ha iniziato a lavorare per fare il grande salto in politica. L’origine della sua attività è da ricercare nei quartieri del centro storico palermitano, da Ballarò fino alla Kalsa: vecchie casupole fatiscenti abitate da extracomunitari, strade che di giorno sono mercati e di notte diventano luoghi di spaccio, sacche d’illegalità a pochi passi dai negozi di lusso di via Libertà.

UBUNTU E L'ASSOCIAZIONISMO. È lì che Ferrandelli ha fondato Ubuntu, un piccolo asilo per i bambini extra comunitari che negli anni si è dotato anche di uno sportello legale e di un piccolo ambulatorio medico: è stato il primo seme di quelle 39 associazioni della società civile che oggi lo hanno sostenuto e lo sosterranno nella corsa a sindaco di Palermo.

GLI ESORDI NEL PARTITO UMANISTA. Un lasciapassare che gli ha garantito la possibilità di fregiarsi del titolo di «candidato della società civile» nonostante alle spalle avesse i principali dirigenti dell’ala destra del Pd siciliano.
I primi passi in politica Ferrandelli li ha infatti mossi nel minuscolo partito Umanista, con il quale sostenne, ironia della sorte, la campagna di Rita Borsellino (che ora ha sconfitto alle primarie) contro Totò Cuffaro alle elezioni regionali del 2006.

AL FIANCO DI ORLANDO. Un anno dopo fece il grande passo. Lasciò gli umanisti per candidarsi in Consiglio comunale nella lista Orlando Sindaco come espressione dei Verdi. Un minuto dopo l’elezione lasciò gli ecologisti e diventò capogruppo di Italia dei Valori.
Da delfino di Orlando, Ferrandelli capì una cosa fondamentale: i palermitani nonpotevano fidarsi di un giovinastro che si presentava in jeans e maglione.

COME CETTO LA QUALUNQUE. Perché a Palermo il modo in cui ti presenti è più importante che altrove. Ecco dunque che il giovane consigliere di Idv iniziò a muoversi come un politico di lungo corso: giacca ben stirata, capelli lunghetti sul collo ma sempre impeccabilmente in ordine e il nodo dell’inseparabile cravatta ben stretto anche nelle occasioni più informali. Gli stessi elementi che all'indomani della sua vittoria lo hanno fatto paragonare al personaggio di Cetto La Qualunque creato da Antonio Albanese.

L'impegno in Consiglio comunale e la rottura con l'Idv


Nel 2008 Ferrandelli provò anche a fare il salto alle elezioni regionali, raccogliendo oltre 5 mila voti ma venne bloccato dallo sbarramento che chiuse le porte dell’Ars alla Sinistra Arcobaleno. Non se la prese neanche un po’: il suo sogno, e non ne ha mai fatto mistero, era fare il sindaco. E in questa direzione ha lavorato durante tutti i cinque anni passati in Consiglio comunale.

PRESENZIALISTA CONVINTO. Manifestazioni antimafia, trasmissioni radiofoniche, proteste per l’acqua pubblica: dovunque ci fosse modo di spendere due parole per il rilancio della città lui riusciva a esserci sempre. E nel frattempo continuava a oliare la sua organizzazione, quella che durante le primarie si è dimostrata efficiente e puntuale come certi apparati elettorali di cui poteva vantarsi il Pci. «I miei comitati elettorali», ha spiegato dopo il successo, «sono composti quasi esclusivamente da giovani, mossi da partecipazione e militanza».

LA FATWA DI ORLANDO. Tutte risorse che però rischiavano di andare perse dopo che l’ex maestro Orlando gli aveva vietato di correre alla competizione. Lui se ne è infischiato e decidendo di correre da solo. «A chiedermi di candidarmi è stata la società civile», ha chiarito dopo la cacciata dall’Idv.

«NOI NON TAGLIAMO TESTE». Una società civile quella che appoggia Ferrandelli che è molto eterogenea. «Noi non rottamiamo nessuno», aveva detto con una punta di sarcasmo nei confronti dell’avversario rottamatore Davide Faraone, «noi non tagliamo teste, noi accogliamo chiunque voglia battersi per i nostri obiettivi».

L'appoggio dei filo-Mpa

È il vecchio motto che ha fatto la storia della prima Repubblica: perché sottrarre quando si può aggiungere? Ecco quindi che alle 39 associazioni della società civile si sono aggiunte in sostegno di Ferrandelli i voti del senatore Peppe Lumia e del deputato regionale Antonello Cracolici, registi dell’accordo del Pd con l’Mpa di Raffaele Lombardo all’Ars, dell’ex ministro mastelliano Totò Cardinale, che ha recentemente lasciato il seggio a Montecitorio in eredità alla figlia, dell’ex sindaco antimafia di Gela Rosario Crocetta e dell’europarlamentare di Idv Sonia Alfano.
LA SINTESI DELLA CITTÀ. Un melting pot di sostenitori dalle facce diverse e dalle storie differenti che miste ai voti arrivati dai quartieri popolari e perfino al voto d’opinione raccolto tra i giovani impegnati della città ha assicurato all’ex segretario del partito Umanista l’alloro di candidato sindaco del centrosinistra.
Una vittoria inspiegabile per le segreterie romane, ma spiegabilissima per chi conosce gli umori di Palermo. Una città di cui Ferrandelli è riuscito a incarnare la sintesi perfetta: icone dell’antimafia, società civile e voti pesanti di quel Pd democristiano che guarda molto al centro e pochissimo a sinistra.
Adesso sulla vittoria dell’ex golden boy di Orlando si allunga l’ombra di Raffaele Lombardo. «Non conosco il governatore», ha sempre precisato Ferrandelli, «io sono il candidato del centro sinistra e rispetterò le alleanze».

LOMBARDO PENSA ALL'ALLARGAMENTO. Da parte sua Lombardo ha ribadito di non avere nulla a che fare con il candidato ex dipietrista, approfittando però della vittoria dei suoi alleati Lumia e Cracolici alle primarie del centrosinistra, per lanciare l’ipotesi di un allargamento della maggioranza che lo sostiene all’Ars anche a Gianfranco Miccichè. Ipotesi che a questo punto il Pd siciliano potrebbe anche valutare in autonomia, dopo aver dato una lezione alle segreterie romane che appoggiavano Rita Borsellino. Il motto è sempre lo stesso: perché sottrarre quando si può aggiungere?

martedì 6 marzo 2012

Frode fiscale milionaria, denunciato Felice Tavola. - di Andrea Morleo






L'uomo, assessore al Bilancio del Comune di Lecco nella prima Giunta leghista negli anni ’90, aveva architettato un sistema per evadere il fisco. Denunciate altre 53 persone.


Lecco, 6 marzo 2012 - Decine di milioni di euro sottratti al fisco grazie all’ingegnoso sistema architettato da un notissimo commercialista lecchese, Felice Tavola assessore al Bilancio del Comune di Lecco nella prima Giunta leghista negli anni ’90. Coordinata dalla Procura di Lecco e messa in atto dagli uomini del Nucleo polizia Tributaria di Lecco, l’operazione è stata battezzata Fort Knox . Con metodi semplicissimi il professionista aveva consentito, negli anni, alle società facenti parte del sodalizio di evadere importi per decine di milioni di euro. 

Le indagini delle Fiamme Gialle hanno portato a 53 denunce, coinvolte 77 società del territorio lecchese e della Bergamasca operanti in prevalenza nel settore delle industrie manifatturiere - metallurgiche e meccaniche - che avevano posto in essere un sistema fraudolento per evadere sia l’Iva che le imposte dirette. Le società in questione si avvalevano della consulenza del commercialista lecchese componente, tra l’altro, di collegi sindacali di numerose società ed enti. Felice Tavola, che dovrà rispondere anche del reato di associazione a delinquere, era l’indiscusso stratega. All’inizio aveva applicato il sistema di frode ad una società di cui lui stesso era rappresentante legale. Poi, una volta sperimentatone «l’efficacia», aveva esteso il metodo fraudolento ad altre società per le quali era stato incaricato di predisporre le dichiarazioni dei redditi.

Il sistema evasivo faceva perno su una combinazione di più metodi fraudolenti che, integrandosi l’un l’altro,consentivano un’evasione delle imposte di rilevanti proporzioni. L’attività d’indagine – penale e fiscale – da parte del Nucleo Polizia Tributaria Guardia di Finanza di Lecco è tuttora in corso per fare piena luce su altri aspetti correlati al fenomeno evasivo. Per ora sono stati sequestrati oltre 1,4 milioni di euro in depositi bancari e titoli in 20 istituti di credito, gruppi bancari e postali. A cui si aggiungono i sequestri di 34 fabbricati tra abitazioni, garage e autorimesse oltre a 22 terreni, immobili censiti nelle provincie di Lecco, Bergamo e Rieti.



http://www.ilgiorno.it/lecco/cronaca/2012/03/06/676725-frode_fiscale_milionaria.shtml

Corruzione, nuova bufera sul Pirellone è indagato il presidente leghista Boni. - di Emilio Randacio-


I militari della guardia di finanza stanno perquisendo in queste ore gli uffici della presidenza
L'inchiesta è la stessa che a maggio ha decapitato la giunta comunale di Cassano d'Adda.




Il presidente del consiglio regionale lombardo, il leghista Davide Boni, è indagato dalla Procura di Milano per corruzione. I militari della guardia di finanza stanno perquisendo in queste ore gli uffici della presidenza regionale su mandato del procuratore aggiunto Alfredo Robledo e del pubblico ministero Paolo Filippini.

Tangenti e urbanistica, arrestato l'ex sindaco di Cassano d'Adda
L'inchiesta nasce dal filone che nel maggio scorso ha decapitato l'ex giunta comunale di Cassano d'Adda. Fra gli arrestati del primo troncone c'è anche l'architetto Michele Ugliola. Dal carcere, il professionista ha raccontato di altri episodi correttivi che avrebbero visto l'attuale presidente regionale al centro di un sistema corritrici.





http://milano.repubblica.it/cronaca/2012/03/06/news/corruzione_nuova_tegola_sul_pirellone_indagato_il_presidente_leghista_boni-31033896/?ref=fbpr 


Voglia di un partito dei tecnici boom di consensi e più gente al voto. - di Matteo Tonelli



Voglia di un partito dei tecnici  boom di consensi e più gente al voto

Secondo la rilevazione di Ipr Marketing per Repubblica.it la nuova aggregazione affiancherebbe il Pd al 22%, rubando voti a Bersani, al Pdl, al Terzo Polo e anche a Di Pietro. In crescita anche la gente che andrebbe a votare.


ROMA -Auspicio, timore o illusione che sia, la suggestione che da un governo tecnico si passi ad un partito dei tecnici è sul tavolo della politica. Non a caso oltre per le cose fatte oggi, di Monti e di alcuni suoi ministri, si parla per quello che potrebbero fare domani. Ovvero dopo il 2013, a legislatura ultimata. Monti, però, è stato chiaro: "La mia esperienza politica finirà allora". Una chiusura che non ha impedito che le voci intorno ad un ipotetico attivismo politicio di alcuni suoi ministri, Passera e Riccardi in primis, si siano rincorse. E puntualmente smentite dai diretti interessati. Adesso, un sondaggio realizzato da Ipr Marketin per Repubblica.it, fotografa il grande successo che avrebbe un cosidetto "partito dei tecnici". Una simile aggregazione, infatti, raccoglierebbe il 22 per cento dei consensi. Provocando un vero e proprio terremoto elettorale. A farne le spese sarebbe i due maggiori partiti italiani che sostengono l'esecutivo Monti: Pd e Pdl.

Il partito di Bersani, che attualmente i sondaggi danno saldamente in testa ai consensi, vedrebbe un calo del 6% e dovrebbe dividere la prima piazza proprio con il "partito dei tecnici". Vanno male le cose anche per il Pdl,m che perderebbe 5 punti e arriverebbe al 17%. Segno meno anche per il Terzo Polo. L'Udc scenderebbe dall'8 al 4%, Fli dal3,5% al 2%, l'Api praticamente sparirebbe. Ma il segno meno riguarderebbe praticamente tutti. Anche chi, come l'Idv, di questo governo è oppositore. Di Pietro e i suoi, infatti, si ritroverebbero dal 7 al 5%, mentre SEL di Niki Vendola resterebbe saldamente ancorea al 7%. 

L'altro aspetto che colpisce riguarda la mobilitazione elettorale. In tempi di sfiducia verso i partiti e di disaffezione elettorale, il semplice ingresso sulla scena dei tecnici avrebbe l'effeto di riportare al voto tanta gente: stando al sondaggio, infatti, gli indecisi e coloro i quali dichiarano di non votare passerebbero dal 47 al 33%.

Fino a qui i dati. Ben più complicata è l'analisi politica di un fenomeno di cui si fa fatica a scorgere i confini. Anzitutto perché un partito "tecnico" che si presenta alle elezioni diventa immediatamente politico. Con, vista la disaffezione verso i partiti, immediate ricadute di appeal sul grado di consenso. Poi perché un agire "tecnico" appare funzionale in un momento di emergenza come quello attuale, con i partiti piazzati quasi ai margini. Una condizione che appare improbabile possa realizzarsi in condizioni di "normalità" politica ed economica. E allora chissà che non accada che qualche singolo "tecnico" tenti l'avventura politica. 



http://www.repubblica.it/politica/sondaggi/2012/03/05/news/governo_tecnico-31005106/?ref=fbpr

La Fondazioni hanno i conti in rosso Mediobanca ne approfitta. - di Vittorio Malagutti



Il "pronto soccorso" dell'istituto milanese tiene a galla i bilanci falcidiati dalla crisi delle Borse. I casi di Intesa, Mps e Unicredit. Così Piazzetta Cuccia accumula nuovo potere e nuovi affari.


Alberto Nagel, ad di Mediobanca
Chiamatelo, se volete, pronto soccorso Mediobanca. Funziona così. Le grandi fondazioni bancarie battono cassa? Non sanno come far quadrare i conti nella stagione più difficile della loro storia? All’orizzonte si profilano perdite miliardarie per via della crisi delle Borse? Ecco che arriva Mediobanca, pronta a cogliere un’occasione straordinaria per fare affari d’oro e aumentare il potere, già enorme, di cui dispone fornendo un salvagente agli enti a cui fanno capo partecipazioni decisive per la stabilità delle grandi banche nazionali: Unicredit, Intesa e Mps.

Si parte da Siena, dove i signori e padroni del Monte dei Paschi hanno debiti per quasi un miliardo e pochi giorni per venire a capo della situazione. A guidare il salvataggio della fondazione senese , allo stremo delle forze per la strategia perdente dei propri vertici, sarà proprio la banca che fu di Enrico Cuccia, oggi guidata dalla coppia Renato Pagliaro, presidente, e Alberto Nagel, amministratore delegato. Mediobanca aveva prestato alla Fondazione Monte dei Paschi quasi 200 milioni già nel 2008 e adesso torna a gestire le trattative per trovare il modo di far fronte a debiti per 900 milioni.

A Padova e a Bologna, invece, le locali fondazioni vivono l’incubo del taglio dei dividendi di Intesa. Senza quei soldi dovranno ridurre le erogazioni sul territorio, cioè i finanziamenti a società, associazioni e istituzioni no profit. Il problema vero, però, è che l’anno scorso entrambi gli enti si sono svenati per far fronte all’aumento di capitale di Intesa senza diminuire la propria quota. Alla fine ce l’hanno fatta. Come? Semplice , è arrivata Mediobanca.

La Fondazione Cassa di Padova e Rovigo, che ha il 4,2 per cento di Intesa, ha ottenuto una linea di credito di 100 milioni dall’istituto guidato da Nagel. E anche la Cassa di Bologna (2,7 per cento di Intesa) ha fatto ricorso a un prestito di 20 milioni sempre targato Mediobanca. Fabio Roversi Monaco, presidente dell’ente bolognese, a ottobre è entrato nel consiglio di amministrazione della stessa Mediobanca, di cui la Fondazione emiliana è anche azionista con un pacchetto del 2,5 per cento del capitale. E non è l’unica. Negli anni scorsi i colleghi di Roversi Monaco hanno fatto la fila per uno strapuntino a bordo della più blasonata tra le banche d’affari nazionali. Sono investimenti di sistema, spiegavano. E poi rendono.

Da Siena, a Torino fino a Verona, per citare le più importanti, almeno una decina di Fondazioni hanno investito centinaia di milioni in Mediobanca. E così il cerchio si chiude, come è tradizione nella storia dell’istituto. I debitori diventano azionisti e viceversa. Lo stesso succedeva ai tempi di Cuccia per i grandi gruppi industriali privati, in quella che appare come un’apoteosi del conflitto d’interessi. Solo che nel caso delle Fondazioni il ricorso all’indebitamento dovrebbe essere un evento eccezionale e come tale, infatti, va preventivamente autorizzato dal ministero dell’Economia. E allora luce verde (dall’allora ministro Giulio Tremonti) per Siena, che è diventata azionista di Mediobanca e ne ha ricevuto i finanziamenti.

Lo stesso vale per la Cassa di Bologna e anche per quella di Padova. Già nel 2008 si era mossa sulla stessa strada anche la genovese Fondazione Carige, a caccia di risorse per l’aumento di capitale da un miliardo della controllata Carige. Oltre 400 milioni sono arrivati da Mediobanca che si è presa in garanzia azioni di risparmio della stessa Carige. I manager di Nagel sono arrivati anche ad Alessandria, dove la locale fondazione si è trovata a gestire un cospicuo pacchetto di azioni Bpm ricevuti in cambio della vendita della cassa di risparmio. Mediobanca ha fatto da controparte, e lo è ancora adesso, a un contratto derivato su buona parte dei titoli Bpm di proprietà dell’ente piemontese.

Nel mondo Unicredit, primo azionista di Mediobanca con l’8,7 per cento del capitale, l’intreccio è ancora più complesso. Fabrizio Palenzona, vicepresidente sia di Mediobanca sia di Unicredit è il dominus della torinese Fondazione Crt, a sua volta socia rilevante di Unicredit. Crt a suo tempo ha costituito una società (Perseo) partecipata e finanziata da Mediobanca per investire in Unicredit. E la stessa Crt, attraverso un’altra finanziaria, ha puntato centinaia di milioni nelle assicurazioni Generali, che sono l’attività principale di Mediobanca. Ne viene fuori un intreccio impressionante di partecipazioni e prestiti, che la dice lunga sul potere dell’ex democristiano Palenzona.

Tutti contenti, allora? Mica tanto. Per capire meglio si può chiedere ai vertici della Fondazione Monte Paschi, che per tappare i buchi in bilancio sono stati costretti a mettere in vendita i loro titoli Mediobanca nel frattempo colpiti dal crollo generalizzato in Borsa delle azioni bancarie. I conti finali dell’operazione ancora non sono disponibili, ma sono prevedibili perdite per decine di milioni. Va male, molto male anche per la Cassa di Bologna, che a fine 2011 era in rosso di oltre 200 milioni sulla propria partecipazione in Mediobanca. Negli ultimi due mesi le quotazioni sono un po’ risalite ma la perdita, per ora solo potenziale, resta consistente. Morale della storia: Mediobanca aumenta il giro d’affari e consolida il suo potere. Alle Fondazioni, invece, restano debiti e perdite.


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lunedì 5 marzo 2012

Verso il 9 marzo - Flores d’Arcais: Il sindacato scenda in politica.





La democrazia è per sua natura «in espansione». Se non si allarga e radica di continuo, viene minacciata nella sua stessa essenza. Diventa «a repentaglio». La democrazia in fabbrica è una delle più importanti cartine di tornasole di questo radicarsi: se il lavoratore è privato dei diritti fondamentali di parola, organizzazione e manifestazione (in primo luogo lo sciopero, ovviamente) sul proprio luogo di lavoro, è un sintomo catastrofico che lo stesso ethos democratico non è più sentito veramente dal paese e può venir brutalmente calpestato dall’establishment dominante.

Proprio questo, come è noto, è avvenuto nella troppo lunga stagione dell’egemonia berlusconiana, oggi parzialmente interrotta ma niente affatto conclusa. I diritti civili conculcati, fino alla vera e propria guerra dichiarata contro la Costituzione repubblicana sorta dalla Resistenza, vero asso portante del berlusconismo, hanno trovato la loro avvelenata «ciliegina» nel diktat di Marchionne su Pomigliano, fatto passare come misura eccezionale e circoscritta, ma il cui carattere di vero e proprio progetto era evidente a chiunque avesse occhi per vedere e orecchie per intendere. Un progetto di americanizzazione radicale delle relazioni industriali, cioè, fuor di metafora, di distruzione del sindacato «generale», che unifica i lavoratori delle singole aziende anziché lasciare il singolo alla mercé della trattativa impari con manager e padroni.

Ecco perché ho sempre parlato, dal dikat di Pomigliano in avanti, di «regime Berlusconi-Marchionne». Sottolineando come diverso, anzi diversissimo, fosse lo stile dei due uomini, piena invece la consonanza di amorosi sensi contro ogni forza autonoma che si levi a correzione del penchant «naturale» verso il comando senza contrappesi nella fabbrica Fiat o nella «azienda Italia», cioè la pretesa del dispotismo. Che è ovviamente agli antipodi della democrazia liberale per quanto riguarda lo Stato, ma è messo in mora anche per la proprietà industriale o finanziaria da alcuni articoli irrinunciabili della nostra felice Costituzione.

Ecco perché il tentativo anticostituzionale di mettere la Fiom fuori dalle fabbriche, di costringerla a una sorta di esilio rispetto alla patria naturale di ogni organizzazione sindacale, di strangolarla economicamente con un trattamento sulle trattenute iugulatorio rispetto a quello degli altri sindacati, è una mascalzonata d’establishment che ci riguarda tutti. Che colpisce oggi solo il settore tradizionalmente d’avanguardia della classe operaia organizzata e sindacalizzata, ma con ciò infligge un colpo all’insieme degli equilibri democratici del paese, e a ciascun singolo diritto di ciascun singolo cittadino, se i lavoratori Fiom rimarranno isolati in questa vicenda, e quindi inevitabilmente sconfitti.

Ecco perché la risposta al diktat di Marchionne, che palesemente è diventato ormai il faro di riferimento di gran parte della becera imprenditoria italiana (o se si preferisce: della parte becera, e ahimè cospicua, di un’imprenditoria italiana che ci piacerebbe invece fosse davvero «weberiana»), deve coinvolgere la società civile nella forma più larga: oltre, molto oltre, i confini di classe. Perché solo la Fiom oggi può rappresentare una sorta di «interfaccia» per le lotte dei precari, parcellizzate e frammentarie per la natura stessa della condizione sociale «precario», perché solo la Fiom ha dimostrato la sensibilità per aprirsi alle infinite lotte locali che difendono ambiente e beni comuni, perché solo la solidarietà con gli operai Fiom, le lotte per i diritti civili e di libertà, dall’informazione alla giustizia, dalla lotta alla criminalità organizzata alla lotta all’evasione fiscale, riusciranno a trovare quella continuità che è finora loro mancata e che ha reso inefficace sul piano politico l’andamento carsico dei movimenti grandiosi e appassionanti di questo decennio, dai girotondi ai «viola», agli studenti: che in reciproco isolamento si estinguono.

Ecco perché MicroMega ha lanciato un appello non solo di adesione ma di partecipazione organizzata alla manifestazione Fiom del 9 marzo. Contro la manifestazione sono certo che l’establishment – grazie a corifei di video e di fogli stampati – abbia già in canna l’accusa d’ordinanza: la Fiom fa politica! In questo paese fa politica Marchionne, fa politica la Confindustria, fanno politica le lobby occulte o sfacciate che imperversano in parlamento, fanno politica le banche, ha minacciato di far politica perfino Montezemolo, ma se un sindacato evidenzia la connessione fra difesa dei diritti operai e difesa delle generali libertà di cittadinanza, il chiassoso e unanime stracciarsi di vesti è garantito. Il sindacato (intendiamo la Cgil) ha solo una colpa, quello di tenersi, su questo tema, in difensiva. Il diritto/dovere di fare politica lo dovrebbe rivendicare apertamente. Fanno politica i sindacati che indeboliscono i lavoratori nei recinti della mera contrattazione aziendale, è necessario che la facciano i sindacati che vogliono invece contribuire – questa è responsabilità e vero senso dello Stato – al miglioramento, magari radicale, della condizione di tutti i lavoratori (e dei precari, e dei disoccupati, e dei pensionati) come condizione e motore dell’avanzamento di tutto il paese.

FIRMA L'APPELLO La società civile con la Fiom



http://temi.repubblica.it/micromega-online/verso-il-9-marzo-flores-darcais-il-sindacato-scenda-in-politica/