Un diario, dove annoto tutto ciò che più mi colpisce. Il mio blocco per gli appunti, il mio mondo.
sabato 18 agosto 2012
Ilva di Taranto, ispezione a sorpresa di custodi giudiziari e carabinieri.
La notte scorsa carabinieri del Nucleo operativo ecologico di Lecce hanno accompagnato all’interno dello stabilimento Ilva di Taranto i custodi e amministratori giudiziari delle aree e degli impianti sottoposti a sequestro. Si tratterebbe, a quanto si è appreso, di un normale controllo. Il gip Patrizia Todisco ha affidato ai custodi giudiziari il compito “di garantire la sicurezza degli impianti e utilizzarli in funzione della realizzazione di tutte le misure tecniche necessarie per eliminare le situazioni di pericolo e della attuazione di un sistema di monitoraggio in continuo delle emissioni inquinanti”.
L’ispezione a sorpresa è durata circa quattro ore: da poco prima della mezzanotte alle 4 del mattino e ha riguardato le acciaierie 1 e 2 e il settore gestione rottami ferrosi. Così come richiesto dal gip Todisco con l’ordinanza del 10 agosto scorso, con la quale il giudice ha ordinato lo stop degli impianti sequestrati il 26 luglio e ha chiesto ai custodi una relazione settimanale, i tre tecnici hanno preso atto e documentato il funzionamento della produzione in corso. Sono quindi stati ascoltati i capiturno e gli operai in servizio negli impianti. Le ispezioni a sorpresa – a quanto è dato sapere dagli investigatori – continueranno nei prossimi giorni, come chiesto dal giudice.
Altre notizie da Tiscali
Nicole, ti ritroveremo a Brera? - Tomaso Montanari
Chi saranno i nuovi padroni della Pinacoteca di Brera? Non più i milanesi, né il popolo italiano: o almeno non solo. Il decreto sviluppo varato dal ministro Corrado Passera il 26 giugno scorso, infatti, non si occupa solo di edilizia, trasporti o settore energetico, ma – all’articolo 8 – stabilisce che “a seguito dell’ampliamento e della risistemazione degli spazi espositivi della Pinacoteca di Brera e del riallestimento della relativa collezione, il Ministro per i beni e le attività culturali, nell’anno 2013, costituisce la fondazione di diritto privato denominata “Fondazione La Grande Brera”, con sede in Milano, finalizzata al miglioramento della valorizzazione dell’Istituto, nonché alla gestione secondo criteri di efficienza economica”. Il decreto prevede “il conferimento in uso alla Fondazione, mediante assegnazione al relativo fondo di dotazione, della collezione della Pinacoteca di Brera e dell’immobile che la ospita”, e prevede l’ingresso, come soci, degli enti locali lombardi e, quindi, di “soggetti pubblici e privati”.
In poche parole: il governo Monti fa il primo grande passo verso la privatizzazione di uno dei principali musei italiani. Un passo sulla cui costituzionalità ci sarebbe molto da dire: possibile che conferire l’intera collezione di Brera ad una fondazione di diritto privato non leda l’articolo 9 della Carta? Ma i problemi non sono ‘solo’ di principio.
Esiste un unico precedente, quello del Museo Egizio di Torino: e non è un precedente brillante. E non tanto per la folcloristica presidenza di Alain Elkann (che scadrà a settembre), quanto per le gravi e paradossali conseguenze di una ‘privatizzazione all’italiana’. Le collezioni dell’Egizio sono state devolute alla Fondazione solo in parte (spezzando tra giurisdizoni diverse complessi archeologici unici), il personale scientifico ha optato di rimanere nello Stato (privando il Museo della più essenziale delle sue componenti) e il consiglio di amministrazione ha nominato la direttrice secondo logiche da manuale Cencelli, senza nemmeno consultare il comitato scientifico. E le cicatrici di tutti questi gravi errori, solo in parte recuperati, sono ancora ben visibili.
Ora, ci si chiede, come si comporteranno gli enti locali lombardi, una volta insediatisi sulla plancia di comando della nuova Fondazione? Sarà bene non dimenticarsi che fino a qualche giorno fa ci saremmo potuti trovare la Minetti direttrice di Brera. L’invadenza degli enti locali in un museo di livello e interesse nazionale è un nodo cruciale: non a caso tra i sostenitori di questo tipo di soluzione si conta Dario Nardella, il vicesindaco di Matteo Renzi a Firenze, che come giurista caldeggiava già nel 2003 la cessione degli Uffizi ad una fondazione in cui gli enti locali avessero un peso decisivo. Altro che baloccarsi con l’idea di costruire la facciata michelangiolesca di San Lorenzo o di cercare il Leonardo fantasma sotto il Vasari di Palazzo Vecchio: vi immaginate l’escalation di strumentalizzazione politica della cultura se Renzi potesse nominare il direttore degli Uffizi?
Ma il punto più grave è un altro. Il decreto di Passera (ministro, di fatto, anche dei Beni culturali, vista la sostanziale sede vacante determinata dal sonno di Ornaghi) dice che il fine della fondazione saranno la valorizzazione (eventi, mostre, visibilità mediatica) e la diminuzione dei costi di gestione. Ma un museo come Brera è soprattutto un istituto di ricerca: che riesce a comunicare il suo patrimonio ai cittadini solo in quanto è in grado di produrre e innovare continuamente la conoscenza delle opere che conserva. E la stella polare del cda della Fondazione Brera non sarà certo la scienza, ma il marketing: e così un altro polmone di libertà intellettuale passerà sotto il ferreo dominio del mercato e del denaro.
L’esperienza ventennale della concessione ai privati dei cosiddetti servizi aggiuntivi dei musei italiani «assomiglia ad una soluzione di abdicazione rispetto a competenze centrali da parte degli enti pubblici di gestione» (così, già nel 2009, Stefano Baia Curioni e Laura Forti, economisti della Bocconi). La strada, ancora più radicale, della trasformazione dei grandi musei in fondazioni segnerà un’abdicazione dello Stato ancor più radicale: e con essa un inevitabile allontanamento dagli interessi della collettività.
E non è che l’inizio di un lungo autunno in cui, per pagare la speculazione mondiale sull’enorme debito contratto grazie al Partito Unico della Spesa Pubblica (ancora saldamente aggrappato ai vertici dello Stato), la generazione dei bancarottieri chiuderà in bellezza vendendosi i beni che i padri avevano lasciato alla comunità.
Il Fatto Quotidiano, 17 agosto 2012
Altre notizie da Tiscali
Pazzia dilagante.
Usa, polizia uccide uomo con 46 colpi: un passante ha ripreso tutto. Un uomo è stato ucciso dalla polizia in pieno giorno in una strada di Saginaw, in Michigan. Milton Hall, un afroamericano di 49 anni, è stato colpito 46 volte in meno di cinque secondi, secondo quanto riporta la Cnn che ha ottenuto un video della tragica sparatoria, girato con un telefonino da un passante, e lo ha mandato in onda, precisando che sulla "controversa" vicenda è stata aperta un'inchiesta. Hall, che secondo la madre aveva dei problemi di mente, era armato di un coltello e secondo il procuratore della contea di Saginaw, Michael Thomas, gli agenti hanno sparato "perché apparentemente, a quel punto, stava minacciando di aggredirli". La vicenda risale al primo luglio, ma è emersa solo ora, dopo che ieri sera la Cnn l'ha mandata onda e ha messo il video nel suo sito web. 17 agosto 2012
VIETATO ALZARE GLI OCCHI!
I padroni delle fabbriche preferiscono i bambini come operai: per le mani piccole, più adatte al lavoro, ma soprattutto perché li pagano meno della metà degli adulti. E' quasi impossibile per le fa
miglie sottrarsi a questa crudele forma di usura: contraggono debiti, quindi sono costretti a cedere i propri figli come lavoranti per ripagare il debito, ma i guadagni sono insufficienti e il debito non si estingue mai...
Per questo il primo obiettivo dei programmi UNICEF nel Tamil Nadu, come in molti altri stati dell'India, è aiutare le famiglie a riscattare i figli dal lavoro forzato. Grazie a un'alleanza con varie associazioni e con il contributo delle autorità locali, viene estinto il debito e i bambini vengono poi mandati a frequentare speciali scuole, create nei loro villaggi, dove si applicano metodi d'insegnamento innovativi, con molto spazio alla musica e al gioco ma anche con molte materie orientate per dare loro una professionalità. Sarebbe infatti difficile per questi ragazzi, che hanno alle spalle anni di duro lavoro, ambientarsi nelle normali scuole statali, con bambini molto più piccoli di loro e un insegnamento rigido, predeterminato, poco flessibile e senza rapporto con la loro esperienza di lavoro e le loro esigenze. Il problema non riguarda solo le fabbriche di Bidis: qualche anno fa un'inchiesta accertò che oltre 50.000 bambini di età compresa tra i 3 anni e i 15 lavoravano nelle fabbriche di fiammiferi e di fuochi di artificio di Sivakasi, sempre nello stato del Tamil Nadu, 12 ore al giorno, rinchiusi in stanze buie e fetide, maneggiando prodotti chimici pericolosi e tossici, come il clorato di potassio, gli ossidi di fosforo e lo zinco.
Del resto anche in altre zone dell'India la legge che vieta l'uso di manodopera infantile viene continuamente disattesa. I datori di lavoro hanno tutto l'interesse ad impiegare in lavori degradanti i bambini, perché sono più rapidi e si affaticano di meno degli adulti, si controllano con facilità e sono più disciplinati. Ma soprattutto costano molto meno sia in termini salariali che assistenziali e non sono sindacalizzati. Così, in assenza di una rete efficace e capillare di controlli, continuano a persistere situazioni drammatiche, come quella degli oltre ventimila bambini che lavorano nelle miniere di Meghalaya in fosse larghe 90 cm.; quando crescono e non sono più in grado di restare dentro queste fosse perdono il lavoro. E nel nord dell'India, nello stato del Rajastan, si calcola che il 40% dei 30.000 operai tessili siano bambini.
La povertà ancora molto diffusa, nonostante il grande sviluppo recente dell'economia indiana, spesso non lascia ai bambini alcuna alternativa fuori dal lavoro. Il sistema educativo aggrava ulteriormente la dimensione del problema: nelle zone rurali più isolate, le scuole sono rare e inaccessibili. Inoltre nelle campagne il conflitto tra il calendario scolastico e le stagioni agricole obbliga i bambini ad abbandonare la scuola al momento della semina o del raccolto. Occorre quindi creare un sistema scolastico più flessibile e rispondente ai bisogni dei bambini, ma anche aiutare le famiglie, per spezzare il circolo vizioso della miseria ed evitare che i bambini sottratti a un lavoro si ritrovino a doverne fare uno ancora peggiore. Per questo l'UNICEF attua anche un programma di piccoli prestiti a gruppi di donne, perché possano migliorare la produzione agricola, ad esempio con l'acquisto di mucche il cui latte viene venduto in città, compensando così la perdita del guadagno dei bambini e consentendo alle famiglie di ripagare il debito.
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Berlusconi a Briatore indagato: “Prima o poi mando gli ispettori dai pm”.
Su Flavio Briatore pende l’accusa di contrabbando e violazione delle accise. In sostanza, di avere evaso l’Iva sul carburante del suo Yacht Force Blue. Nella primavera 2011 proseguono le indagini della Procura di Genova, ma l’imprenditore della Formula 1, preoccupato, decide di rivolgersi a Silvio Berlusconi per chiedere protezione. Spiega all’ex premier che i giudici lo stanno “perseguitando” e il Cavaliere, molto comprensivo, risponde: “Ti capisco e chi più di me ti può essere vicino. Prima o poi mando gli ispettori, a Genova”.
Sono queste le frasi intercettate che compaiono nelle conversazioni telefoniche finite agli atti dell’inchiesta sul presunto scandalo della mega-barca di Briatore, riportate oggi dal Secolo XIX. Parole che ancora una volta ricordano la “lotta che nel governo Berlusconi è andata avanti a suon di proposte di legge bavaglio per contenere giornalisti e magistrati“. Un dialogo che, aggiunge il quotidiano, “descrive una certa disinvoltura da parte dell’ex primo ministro, e la facilità con cui pensava di esercitare il proprio potere minacciando di mettere sotto scacco quello giudiziario”. L’ispezione richiesta da Briatore, però, non ci fu. Specie perché, pochi mesi dopo, l’ex primo ministro avrebbe rassegnato le dimissioni e lasciato Palazzo Chigi.
Lo yacht di Briatore era stato sequestrato il 20 maggio 2010 dai finanzieri del Gruppo Genova su mandato della Procura del capoluogo ligure e nei giorni scorsi è arrivato l’avviso di chiusura per le indagini preliminari a Briatore e ad altre quattro persone accusate di avere “simulato il noleggio del Force Blue per godere di tariffe agevolate sul carburante”. In sostanza, la Procura sostiene che “dal 2006 al 2010 sono stati acquistati 897mila litri di gasolio senza pagare un milione e 480 mila euro di accise”. In più nelle carte si sottolinea che gli indagati “sottraevano lo yacht al “pagamento dell’Iva dovuta all’importazione per tre milioni e 600mila euro, simulando lo svolgimento di un’attività commerciale di noleggio”. Briatore, anche se molto probabilmente diventerà imputato nell’inchiesta fiscale, ha già fatto sapere tramite i suoi legali di non volersi sottoporre a interrogatorio, neanche per chiarire davanti ai pm la richiesta di ‘aiuto’ a Berlusconi. Le conversazioni telefoniche trasmesse dai finanzieri svelano colloqui “choc” su Berlusconi e sulle feste di Arcore con Daniela Santanché, dai quali emergeva lo stupore di Briatore per i ‘festini’ del Cavaliere (“Veronica ha ragione, è malato). A questi, ora, si aggiungono le intercettazioni delle richieste di protezione dalle indagini della magistratura rivolti direttamente a Berlusconi. Intercettazioni finite agli atti dell’inchiesta.
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