domenica 14 ottobre 2012

Giulio Cavalli a L'ULTIMA PAROLA su mafia in Lombardia




Pubblicato in data 13/ott/2012 da 
L'ultima parola 12/10/2012

Fmi, allarme Lagarde: "Nelle economie avanzate il debito è il più alto dalla seconda guerra mondiale".


Christine Lagarde (Xinhua)

L’allarme è del direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde: "Una lezione è chiara dalla storia, ridurre il debito pubblico è incredibilmente difficile senza crescita. Di contro un debito alto rende più difficile crescere”.

Tokyo, 12 ottobre 2012 - E’ il debito pubblico “il maggiore ostacolo” sulla strada della ripresa dell’economia globale.

L’allarme è del direttore generale del Fondo monetario internazionale, Christine Lagarde, che con queste parole ha aperto la sessione plenaria dell’assemblea in corso a Tokyo.
Nelle economie avanzate, ha sottolineato la numero uno dell’Fmi, il debito ha raggiunto in media il 110% del Pil, “il livello più alto dalla seconda guerra mondiale”.
Secondo Lagarde, “una lezione è chiara dalla storia, ridurre il debito pubblico è incredibilmente difficile senza crescita. Di contro un debito alto rende più difficile crescere”.
E' il cane che si morde la coda. Se la politica non smette di sottostare alle imposizioni delle lobby della finanza e delle banche che immobilizzano i paesi, non ci sarà ricrescita, ma un continuo aumento del debito e un collasso economico.
Cetta.

Bimbo Padova, minacce all'agente del video Fornero: tutelare di più i bambini

La poliziotta ripresa nel video choc


ROMA - Insulti e minacce di morte sono stati rivolti, attraverso siti web e con chiamate anonime al 113, all'ispettrice dell'ufficio minori della Questura di Padova che ha eseguito con altri colleghi il prelievo del bambino di 10 anni sottratto alla potestà della madre a Cittadella. 

La poliziotta, molto provata ed in stato di stress, ha scelto di restare comunque al lavoro ma ha deciso assieme al marito, anch'egli poliziotto, di tenere i figli a casa da scuola per qualche giorno. Una decisione, riferiscono le stesse fonti, che la responsabile dell'ufficio minori della Questura - definita un agente estremamente professionale, dotata di competenza e umanità - ha assunto anche per il clima percepito nella scuola dei figli, dove insegnanti e genitori conoscono il mestiere che svolge. 

Il video girato dalla Polizia sul blitz di Cittadella - ora in mano alla Procura di Padova - illustrerebbe inoltre in modo diverso e completo le circostanze del crudo scambio verbale tra la donna e la zia del bambino prelevato a scuola. In particolare l'affermazione «...lei non è nessuno», che nelle immagini del video choc girato dai parenti del minore l'ispettrice rivolge alla zia del bimbo, sarebbe solo la conclusione di una frase di senso compiuto più ampia, con cui l'agente rispondeva alla richiesta dei presenti di mostrare l'atto di respingimento della sospensiva al giudizio di annullamento della patria potestà per la madre del piccolo. Documento che le forze dell'ordine non avrebbero in alcun modo potuto esibire se non ai genitori del bambino. 

Fornero. «La vera vittima è il bambino. Non amo cercare e attribuire subito colpe. È una situazione difficile e molto delicata». Lo dice il ministro del Welfare, Elsa Fornero, ai microfoni di Sky Tg24, riferendosi alla vicenda del bambino di Padova. «Dovremmo fare in modo anche con interventi meno crudeli di tutelare di più i bambini».


http://www.ilmessaggero.it/primopiano/cronaca/bimbo_preso_con_forza_padova_agente_poliziotta_minacciata_fornero/notizie/225307.shtml

Di certo c'è solo che il bambino sta pagando le conseguenze degli atteggiamenti sbagliati di coloro che dovrebbero definirsi adulti e che, in effetti, hanno solo dimostrato di essere inadeguati a svolgere i loro compiti. I genitori per pri
mi combattendosi tra di loro e le forze dell'ordine in seguito perché hanno eseguito in malo modo il loro compito. Oltretutto, c'è da chiarire la inopportuna presenza del padre durante l'esecuzione dell'ordinanza del giudice.
Per quanto riguarda le minacce all'agente che ha pronunciato la frase alquanto fastidiosa: "io sono un'ispettore di polizia, lei non è nessuno", un po' se l'è cercate, va da sè che se metti una paletta in mano ad un deficiente, il risultato che se ne ottiene è l'arroganza del vigliacco con il distintivo.


Cetta.

Fischi a Formigoni: "Vai ad Hammamet" domani sit-in di protesta al Pirellone. - Massimo Pisa




Contestazione a Lecco, città natale e feudo del governatore. Cori e contestazioni e fronteggiamento tra oppositori e amici.


Nemmeno il ritorno nella celeste Lecco, città natale e feudo naturale (ma da maggio il sindaco è del Pd), è stato immune alle contestazioni al celeste governatore Formigoni. E così anche il convegno organizzato venerdì sera dal Pdl locale su "Una buona politica è possibile", occasione per presentare il suo libro "Il buon governo", è stato bersaglio di cori e contestazioni. Da una parte le urla di una trentina di militanti di Rifondazione, Movimento 5 stelle e Qui Lecco libera, riuniti dietro lo striscione che citava Franco Battiato sui versi di "Povera patria". Dall'altra la claque del partito, che tentava di rispondere coi cori "Roberto, Roberto " agli strilli "Vergogna, vergogna " e "Vai ad Hammamet come Craxi". In mezzo, un robusto cordone di poliziotti e carabinieri che ha negato l'ingresso nella sala ai contestatori. Ne è nata una trattativa dai toni aspri, ripresa dai cellulari e finita su Youtube. E un livido Formigoni, all'uscita, è schizzato via non prima di aver ribattuto muso a muso ad alcuni militanti che lo avevano atteso.

L'assedio delle opposizioni a Palazzo Lombardia, dopo i terremoti giudiziari sui legami con Daccò e Simone e gli arresti per voto di scambio con la 'ndrangheta, si rinnoverà fisicamente domani sera sotto i vetri del nuovo Pirellone. L'appuntamento è per le 20.30 in viale Melchiorre Gioia a Milano dove Pd, IdV, SeL, Psi e ApI riuniranno le loro bandiere sotto lo slogan "Formigoni dimettiti, tempo scaduto". L'appello, pubblico, è ad ammini-stratori, associazioni e società civile. Lo hanno già raccolto parte della giunta Pisapia, mezzo consiglio comunale e la Cgil milanese, i sindaci di Monza, Lodi e Lecco, Roberto Vecchioni, Giorgio Gori. "La maggioranza uscita dal voto del 2010 non c'è più" sottolinea il segretario regionale Pd, Maurizio Martina. Un altro presidio domenica 21 guidato da Alessandra Kustermann mentre Libertà e Giustizia sta organizzando per il 24 novembre una grande manifestazione per parlare di corruzione.

sabato 13 ottobre 2012

Tutto su Formigoni e lo scandalo Oil for Food. - Gabriele Ferraresi


formigoni opil for food
Foto | Flickr

Si parla tanto in queste ore dello scandalo Oil for Food in cui sarebbe coinvolto Roberto Formigoni. In realtà nessuno capisce mai bene di cosa si tratti. Ce lo spiega perfettamentequesta scheda dal sito delle Nazioni Unite, ve la traduco al volo:
Il 14 aprile 1995 il Consiglio di Sicurezza ha approvato la risoluzione 986, denominata programma “Oil for Food”. Il programma intendeva offrire all’Iraq la possibilità di scambiare petrolio con beni alimentari, medicine, e di prima necessità. La risoluzione è intesa come “temporanea misura allo scopo di soddisfare i bisogni umanitari della popolazione irachena”
Uhm, in tutto questo ci si dimentica della Seconda Guerra del Golfo. Oh bè, dettagli. In sintesi però, che c’entra Roberto Formigoni con tutto questo? Come si mischiano CL e le Hummer H2 dell’esercito Usa, Don Giussani e e la Exxon, Kofi Annan - e suo figlio, soprattutto - e la Compagnia delle Opere? Vediamo.
Sotto l’egida dell’ONU, venne venduto sul mercato mondiale petrolio per più di 130 milioni di dollari. Ufficialmente, circa 90 milioni furono usati per bisogni umanitari, una parte per ricostruire i danni della guerra del golfo, una parte per supportare le operazioni amministrative e operative dell’UN (2.2%), e per finanziare i costi del programma di ispezione per la presenza di armi (0.8%)
In teoria il programma Oil for Food era una buona idea: petrolio in cambio di beni alimentari per una popolazione ridotta maluccio. Peccato che come spesso accade, ci si metta di mezzo l’umana avarizia: ed ecco che le trattative per chi debba fornire il “food” in cambio del prezioso “oil”, si fanno poco chiare. Per primo ne scrive Gatti sul Sole24Ore, il suo pezzo lo trovate in fondo al post. E si scopre che sono oltre 2200 le aziende coinvolte in questo scandalo, di cui oltre un centinaio italiane
Formigoni avrebbe indicato tramite lettera (consultabile a pagina 6 del Rapporto Onu) al numero due iracheno, Tareq Aziz, le società a cui assegnare la fornitura di greggio: una di queste, la Cogep, fa capo ai Catanese. Questa famiglia di imprenditori non è nuova alle cronache giudiziarie (…) Nonostante il passato poco limpido di questa famiglia, Marco Mazzarino De Petro, amico di Formigoni e personaggio chiave nell’organizzazione di queste trattative (e indagato per corruzione internazionale), accompagnò personalmente i dirigenti della società italiana in Iraq per la firma del contratto con il Regime di Saddam
La lettera di cui si parla nel quote qui sopra la trovate in fondo al post. Ed è presa da questo articolo, apparso sul sito dei Ds qualche anno fa, molto ben documentato. Ma perchè si torna a parlare oggi di Oil for Food e Formigoni? Perchè c’è un “pentito”, Fabrizio Loioli, che spiega come andavano le cose. Stante la presunzione d’innocenza, leggete qui sotto, è preso tutto da Affari Italiani che ha riscoperchiato un calderone che se ne stava chiuso da qualche tempo
“Durante la negoziazione mi chiesero quali sarebbero stati i costi per la mia intermediazione, aggiungendo che avevano affrontato gia’ notevoli spese. Precisarono che per aver ottenuto questo quantitativo di petrolio dovevano versare la somma di centomila dollari a Formigoni, che lo aveva fatto loro ottenere, somma da versare non direttamente a lui ma tramite un suo referente. Gli domandai perche’ e mi risposero che era grazie a lui che avevano ottenuto quell’allocazione”
Ora ovviamente Formigoni nega, ci mancherebbe anche altro. E il procedimento giudiziario deve ancora arrivare alla fine, di nuovo. Però è difficile non ripensare al figlio di Kofi Annan: la moglie di Cesare non dovrebbe essere al di sopra di ogni sospetto? Forse anche il figlio. Non era così, e Kojo Annan fu coinvolto nella vicenda Oil for Food, come si legge in questo vecchio pezzo del Sole24Ore
Kojo Annan, figlio del segretario generale dell’Onu Kofi Annan, ha ricevuto oltre 750mila dollari da varie società di trading petrolifero oggi sotto inchiesta per il loro ruolo nello scandalo Oil for food. Da un’indagine condotta dal Sole 24 Ore in collaborazione con il Financial Times, risulta che quei pagamenti sono stati fatti nel corso del 2002 e del 2003 su un conto personale aperto da Kojo Annan nella filiale svizzera della banca britannica Coutts.
 Documenti Oil for Food
Documenti Oil for FoodDocumenti Oil for FoodDocumenti Oil for Food



Romanzo Quirinale, the end. - Marco Travaglio.


Finalmente, dopo tre mesi di sanguinose accuse fondate sul nulla, anzi sul falso, la Procura di Palermo può difendersi alla Corte Costituzionale dal conflitto di attribuzioni scatenato dal presidente Napolitano.
La questione, come i nostri lettori ben sanno, nasce dalle telefonate (quattro, si apprende ora) fra il capo dello Stato e Nicola Mancino, indirettamente e casualmente intercettate sui telefoni di quest’ultimo, coinvolto nelle indagini sulla trattativa Stato-mafia. Secondo il Quirinale, incredibilmente spalleggiato dall’Avvocatura dello Stato, la Procura avrebbe dovuto procedere all’“immediata distruzione delle intercettazioni casuali del Presidente” perché The Voice è inintercettabile e financo inascoltabile. La Procura non le ha fatte trascrivere né utilizzate, giudicandole penalmente irrilevanti, e si è riservata di chiederne la distruzione al gip secondo la legge: cioè in udienza alla presenza degli avvocati dei 12 imputati che possono ascoltarle ed eventualmente chiedere di usarle per esercitare i diritti di difesa. La cosa ha fatto saltare la mosca al naso a Napolitano e ai suoi cattivi consiglieri, terrorizzati dal rischio che un avvocato, dopo averle ascoltate, ne divulgasse il contenuto. Che, per motivi misteriosi (almeno per noi cittadini), deve restare un segreto di Stato. Di qui il conflitto con cui Napolitano, tramite l’Avvocatura, chiede alla Consulta di censurare i pm di Palermo per un delitto da colpo di Stato: “lesione” e “menomazione delle prerogative costituzionali del Presidente della Repubblica” perpetrata sia con “la valutazione sulla rilevanza delle intercettazioni ai fini della loro eventuale utilizzazione”, sia con “la permanenza delle intercettazioni agli atti del procedimento”, sia con “l’intento di attivare una procedura camerale” regolata dal contraddittorio tra le parti.
A lume di Codice, ma soprattutto di logica e di buonsenso, abbiamo più volte scritto che la pretesa del Colle è insensata. Ora l’insensatezza è autorevolmente confermata dalla memoria della Procura, firmata dall’ex presidente dell’Associazione dei costituzionalisti italiani Alessandro Pace e dagli avvocati Serges e Serio. I quali, prim’ancora di avventurarsi nell’interpretazione delle presunte prerogative del Presidente, dimostrano come il Quirinale e l’Avvocatura abbiano sbagliato indirizzo: ammesso e non concesso che le telefonate andassero distrutte subito, non poteva farlo la Procura, visto che quel potere è affidato in esclusiva al giudice. Cioè: eventualmente il conflitto andava sollevato contro il gip. Non solo: se, come ammette la stessa Avvocatura per conto del Colle, le intercettazioni furono “casuali” quindi involontarie, come si può sostenere che erano “vietate”? S’è mai vista una norma che vieta qualcosa di involontario e casuale? Per questi due motivi preliminari il conflitto è “inammissibile”, con buona pace della Consulta che s’è affrettata a dichiararlo ammissibile.
Poi è anche infondato, per diversi motivi di merito. Intanto i pm dovevano valutare quel che diceva Mancino, a meno di regalargli un’”immunità contagiosa” derivante dal fatto che parlava con Napolitano. E poi nessuna norma costituzionale né procedurale ha mai stabilito la non intercettabilità indiretta (e nemmeno, in via assoluta, quella diretta) del capo dello Stato. Che non è un monarca assoluto, infatti è immune solo nell’esercizio delle sue funzioni. Dunque la prerogativa invocata dal Colle non esiste. Ergo i pm non hanno leso alcunché. Anzi avrebbero violato il principio costituzionale del contraddittorio e i diritti delle difese se avessero obbedito al Colle. A questo siamo: a un presidente della Repubblica (e del Csm) che istiga la magistratura a violare la legge e la Costituzione. A sua insaputa, si capisce.
Il Fatto Quotidiano, 13 Ottobre 2012

Md contro Ingroia. La storia si ripete. - Giorgio Bongiovanni


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Nella storia della lotta alla mafia, e in particolare nel percorso vissuto da quegli uomini che hanno fatto della lotta alla mafia più che una professione una vera e propria “missione”, si sono verificate vicende così uguali (nella modalità e nella tempistica), che non si può non dire che la storia si ripete. Il percorso di Pietro Scaglione, Gaetano Costa, Rocco Chinnici, passando per il generale dalla Chiesa, Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e tanti altri è stato per certi versi identico.
Queste persone avevano come denominatore comune il fatto di essere integerrimi nella lotta alla mafia, incorruttibili, dei veri leader capaci di smascherare (attraverso indagini strategiche, creando veri e propri pool) i rapporti tra la mafia e il potere. Oltre a questo comune denominatore ce n’era un altro ancora più devastante. Essere costantemente e implacabilmente attaccati e offesi dai nemici “legittimi” come i mafiosi, la stampa para mafiosa, il potere economico e soprattutto la politica di destra, di centro e anche di sinistra, nella migliore delle ipotesi “tollerante” della mafia, nella peggiore delle ipotesi “collusa” con la mafia. Ma non solo. La cosa più grave che si verificava e si verifica a tutt’oggi, a dimostrazione che la storia si ripete, riguardava  gli attacchi, gli ostacoli, i tradimenti, le offese, le invidie, le gelosie, l’odio che provenivano dagli amici, dall’interno delle istituzioni che loro stessi servivano e alle quali appartenevano.  L’ultimo, clamoroso, assurdo episodio che conferma la regola riguarda la volgare e incivile offesa che viene fatta al giudice Ingroia da Magistratura Democratica, l’istituzione tra le più importanti nella storia della magistratura fondata per tutelare non solo l’immagine, la professionalità e la preparazione dei magistrati iscritti a questa corrente, ma anche la libertà di pensiero.
Farà bene Ingroia a dimettersi da un movimento che si è trasformato da pionieristico a sinedrio, a chiesa, a setta.
Quello che ferisce maggiormente sono gli attacchi che giungono ad Antonio Ingroia dai colleghi e amici di indagini antimafia, amici con i quali Ingroia ha pianto sulle bare di Falcone e Borsellino. Perché succede tutto questo, qual è la ragione? Questi amici sono collusi con la mafia? Sono stati pagati dal potere per ostacolare Ingroia? Sicuramente no. A questi esponenti di Magistratura Democratica hanno promesso forse dei posti di potere nel prossimo governo? Sicuramente no, ma se dovessero continuare qualcuno potrebbe pensare male.
Si potrebbe anche pensare che si tratta di una strategia offensiva al contrario del tipo: io devo aiutare il mio amico che sta sbagliando, non è più umile, vuole essere protagonista e magari vuole scendere in politica quindi lo attacco per fargli capire che è nell’errore. Certi attacchi arrivano da personaggi che, dimenticando il passato, dimenticando le bare sulle quali hanno pianto, non si rendono conto che così facendo diventano complici ideali di coloro che vogliono che Antonio Ingroia appaia solo. A questi oscuri personaggi, ai killer e ai mandanti basta che Ingroia o magistrati come lui appaiono soli per poterli colpire. Ecco quindi che la storia si ripete.
Grazie a Dio all’interno di Md ci sono valorosi magistrati come Giancarlo Caselli, Vittorio Teresi, Lia Sava ed altri che al contrario difendono l’operato di magistrati come Ingroia.
Da giornalista che conosce a fondo la storia della mafia e dell’antimafia consiglierei ai vertici di Magistratura Democratica di battersi il petto e dire “mea maxima culpa”. Con umiltà e altrettanta fermezza consiglierei loro (al di là di eventuali legittimi disaccordi con Ingroia)  di apparire e dimostrare al nemico che si è uniti senza lasciare da solo l’amico, il collega e il fratello con il rischio che quest’ultimo venga colpito dal nemico. Mi rammarico tanto che alcuni di quei magistrati che hanno pianto sulle bare dei loro amici non abbiano tratto una lezione dal passato.
Oggi il giudice Ingroia viene accusato di voler scendere in politica, ma visto che salvo rarissime eccezioni (di singoli esponenti politici) è stato attaccato praticamente da tutti con quale partito potrebbe presentarsi?! Quale sarebbe quindi il grande partito politico che secondo i sondaggi appoggerebbe Antonio Ingroia?!
Di fatto tra le accuse a lui rivolte vi è quella che riguarda la sua partecipazione a convegni legati a partiti politici.   Ritengo che non solo faccia bene ad andarci, ma sottolineo come sia Giovanni Falcone che Paolo Borsellino abbiano partecipato a diversi incontri organizzati da partiti politici di destra (MSI) e di sinistra (PCI). A tal proposito basta riprendere  gli estremi delle date e dei luoghi che attestano la loro partecipazione a questi incontri (così come mi accingo a fare in un prossimo editoriale).
Secondo il mio pensiero Ingroia lascerebbe la toga solo nel caso in cui scoprisse che ormai la magistratura è arrivata al punto massimo delle indagini nella ricerca della verità sulle stragi di Stato; in quel caso quindi opterebbe per continuare quella ricerca attraverso la politica. Magistrati come Ingroia sono a tutti gli effetti servitori dello Stato-stato, sono gli stessi  che hanno promesso sulle bare degli eroi e dei padri della nostra Patria di trovare la verità dall’interno di qualunque istituzione facessero parte.
Ma di queste “eresie” evidentemente è meglio non farne menzione e lasciare piuttosto spazio a pericolose e strumentali polemiche tanto utili ai poteri criminali del nostro Paese.
Sono sempre più convinto che Magistratura Democratica perseveri nell’errore, così come si legge nella Bibbia “Errare humanum est, perseverare autem diabolicum”.  Non scorderò mai che nel 1988 Md, con il dissenso di Giancarlo Caselli (che votò a favore di Giovanni Falcone), ma sostenuta da quello che Paolo Borsellino definì un “Giuda”, bocciò Falcone come consigliere istruttore caricandosi una parte di responsabilità con la sua morte.
Il settarismo è il baratro delle religioni, ma dovremmo ricordarci che è altrettanto letale anche nei movimenti laici.