mercoledì 31 ottobre 2012

La Politica Comincia da Te. - Giampaolo Marcucci


jedi

Accade spesso che di fronte alle notizie politiche fornite dai media si finisca col provare rabbia, tristezza, rassegnazione. Alla lunga queste sensazioni portano la maggior parte delle persone ad allontanarsi dalla politica e chiudersi in una disillusione controproducente che non fa altro che alimentare ancor di più il potere di chi controlla.
Abbiamo già visto come il disinteresse e il sentimento della rassegnazione siano molto incentivati da un leader che vuole controllare le masse. L’allontanamento del singolo dalla politica concreta deve essere un importante stendardo da portare con dedizione. Bisogna far discutere l’unica parte della massa che si interessa di politica riguardo a temi sui quali il singolo non può in alcun modo influire. Tutti quegli argomenti che riguardano invece la politica locale e la gestione della dimensione del “vicinato” sono tenuti in sordina e vengono fatti insorgere, comunque sempre sottovoce, solo al momento delle elezioni amministrative. Diviene così retaggio comune, influenzato dai media, tra coloro che si pensano attivisti, il voler cambiare ciò che si vede in televisione, ignorando ciò che si può osservare dalla propria finestra. Non è rivolgendo l’attenzione nei confronti delle tematiche proposte dai palinsesti nazionali che si cambia il sistema politico. E’ a livello locale che va iniziata la ricostruzione. La politica è una piramide, per cambiarla bisogna partire dalla base e non dal vertice.Informatevi, interessatevi, muovetevi, prendete contatto con i vostri rappresentanti, candidatevi, fatevi protagonisti e non spettatori delle sorti della vostra città. Se a livello locale cambiano i rappresentanti, mano mano il cambiamento ingloberà tutti i livelli, fino al più alto. Solo allora la politica potrà ricominciare a definirsi tale e rincorrere una dimensione più umana e rispettosa. Cambiamo i verbi della nostra azione politica: proporre invece di reagirefare anzi che suggerireLa politica sei tu, se non cambi tu, non cambierà mai nulla!
Se tu non ti occupi di politica
la politica si occupa comunque di te.

L'amaca di Michele Serra.


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Napolitano non riceve Berlusconi: inaffidabile. Semmai vedrà Alfano, dopo Casini (oggi) e Bersani (forse domani)


Silvio Berlusconi
Stavolta Giorgio Napolitano non lo riceve. Il presidente della Repubblica non ci sta a finire dentro la tela intricatissima che Silvio Berlusconi pare voler tessere intorno al governo Monti, magari per stritolarlo. L'incontro al Colle era stato chiesto dal Cavaliere, prima della conferenza stampa di villa Gernetto. E sarebbe potuto avvenire domenica scorsa, come se fosse quasi una prosecuzione dell'incontro che Berlusconi aveva avuto con il premier a Palazzo Chigi martedì scorso, quando aveva indossato i panni della colomba offrendo a Monti la guida dei moderati, e dicendosi pronto al passo indietro per favorirla. Così non è stato. Perché nel frattempo è venuto a cadere il format che avrebbe potuto garantire quella prosecuzione. Sabato scorso, infatti, all'indomani della condanna di primo grado per il processo Mediatrade, il Cavaliere ha mostrato l'altro volto, quello arrabbiato, antimontiano, antieuropeista, tutto tranne che moderato e rassicurante sulla tenuta dell'esecutivo dei tecnici. È tornato falco, arrivando a un passo dalla rottura.
Un furore che ha messo in bilico non solo il governo ma anche la stessa chance per Berlusconi di incontrare il capo dello Stato. E così, raccontano a palazzo Grazioli, l’appuntamento al Quirinale è slittato a data da destinarsi, di certo non questa settimana. Tanto che Berlusconi ha confermato il suo viaggio a Malindi – partirà domani – e oggi ha approfittato del pomeriggio libero per un salto a Montecatini, ufficialmente per qualche visita di controllo, in realtà per una misteriosa visita personale. Sia come sia, col Colle è tornato il grande freddo che si percepiva lo scorso novembre. Perché è chiara la base della discussione che Berlusconi vorrebbe intavolare. I suoi lo spiegano senza tante perifrasi. Semplicemente vorrebbe intavolare una trattativa “politica” sul suo destino: cessazione delle ostilità su Monti in cambio di una tregua giudiziaria. O comunque in cambio di un sostegno di fronte a quella che ritiene una ingiusta persecuzione. L’ex premier avrebbe già voluto l’attesa sentenza della corte costituzionale sul processo Mediaset. E voleva che il Csm spedisse gli ispettori nella procura di Milano per il processo Ruby. Terreni che giudica di “influenza” del capo dello Stato.
Per Napolitano lo stile negoziale dell’ex premier non è una novità. La novità stavolta è che non è obbligato a riceverlo come quando era inquilino di palazzo Chigi. E in fondo il segretario del Pdl si chiama Angelino Alfano. È lui che parla con Monti di questioni politiche, e si confronta anche con gli altri leader della strana maggioranza: prima o poi, trapela dal Colle, qualcosa di definitivo dovrà dirla anche lui in un incontro a quattr’occhi con il capo dello Stato, senza l’ingombrante presenza di Berlusconi. Proprio la linea attendista del Quirinale ha consentito alle colombe di evitare l’incidente. Oggi, per esempio, al buffet organizzato al Quirinale per i 150 anni della Corte dei Conti, Napolitano ha avuto uno scambio di vedute con Gianni Letta e anche con il presidente del Senato, Renato Schifani. Entrambi gli hanno garantito che non ci saranno ripercussioni sull’esecutivo, che è stata una “sparata” determinata da tante ragioni, compresa l’amarezza per la sentenza, ma che non ci saranno conseguenze sull’esecutivo.
Ma la sensazione è che ormai più nessuno riesca a offrire le garanzie necessarie su Berlusconi. Di lui non ci si fida. Nessuno tra i suoi è disposto a rassicurare su quella che sarà la sua linea futura e al Colle non possono che prendere atto della facilità con cui l’ex premier cambia idea. Nel giro di pochi giorni, come è successo la settimana scorsa, quando da martedì a sabato è passato dalla linea Monti bis alla linea anti-Monti. Tutte le incertezze dell’ex premier sul da farsi sono perfettamente percepite al Colle, filtrano attraverso l’umore dei berlusconiani più moderati, quelli che mantengono i contatti con la presidenza della Repubblica.
Nell’agenda del capo dello Stato per il momento non c’è alcun incontro con il Cavaliere. Ci vorrà del tempo per arrivarci. Troppo fresca la burrasca di sabato. Ora al Colle ci tengono a non finire risucchiati in un ennesimo gioco di affermazioni e smentite, che mettono a repentaglio la credibilità internazionale italiana in vista del voto del 2013. Che avverrà al completamento naturale della legislatura e non prima, ha rimarcato anche oggi il capo dello Stato, richiamando i partiti ad una ulteriore “assunzione di responsabilità” nei confronti del governo e degli obblighi europei imposti dalla crisi ed esortandoli a riformare la legge elettorale. Su quest’ultima, il tempo di attesa al Colle scade a fine novembre, suppergiù.
Nel senso che il presidente della Repubblica aspetta di vedere cosa riesce a licenziare il Senato, dove proprio oggi in commissione per un solo voto non è passato un emendamento dei Radicali che proponeva il doppio turno alla francese ribaltando il testo Malan approvato giorni fa. Per dire di quanto il dibattito sia in alto mare. Comunque, dal testo che verrà licenziato da Palazzo Madama si capirà molto, sarà subito evidente se si tratterà di una proposta destinata a morire al passaggio a Montecitorio. A quel punto, potrebbe scattare il messaggio del capo dello Stato alle Camere per chiedere la riforma del sistema di voto. Non che questa sia la bacchetta magica, al Colle lo sanno, ma il capo dello Stato userà tutti mezzi che può per insistere affinché non si vada al voto con il Porcellum.
Intanto oggi Napolitano ha ricevuto al Colle Pier Ferdinando Casini. Si tratta, fanno sapere, dell’inizio di un nuovo giro di orizzonte con i leader della strana maggioranza su quanto rimane da fare fino alla fine della legislatura, oltre alla legge elettorale, anche l’estensione dei controlli sull’uso delle risorse finanziarie pubbliche. Forse già domani mattina il capo dello Stato potrebbe ricevere il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani, che tra l’altro oggi ha avuto un colloquio alla Camera con il leader dell’Udc: ufficialmente, hanno parlato di emendamenti comuni alla legge di stabilità; ufficiosamente, la chiacchierata testimonia un riavvicinamento da parte di Casini verso il Pd, alla luce dell’antimontismo di Berlusconi e della vittoria con Crocetta in Sicilia. Casini, Bersani: non resta che Alfano. Prima o poi, al Colle attendono anche lui, sempre che voglia pronunciarsi sul percorso indicato da qui alla scadenza naturale della legislatura. Lui, ma non Berlusconi.

La carica dei magnifici 15!


M5S
Matteo Mangiacavallo
Giancarlo Cancelleri
Angela Foti
Francesco Cappello*
Gianina Ciancio
Antonio Venturino
Valentina Zafarana
Claudia La Rocca
Salvatore Siragusa
Giorgio Ciaccio
Giampiero Trizzino*
Vanessa Ferreri
Stefano Zito
Valentina Palmeri
Sergio Troisi
*Cancelleri dovrà optare per un seggio tra i collegi di Caltanissetta, Catania e Palermo

Debito pubblico e la fila per il pane.



"Caro Beppe, non solo il Grecia si fa la fila per il pane. Anche a Milano, tutte le mattine in viale Monza migliaia di persone si rivolgono alla sede di "Pane Quotidiano".
'Fino a dieci anni fa c'erano circa 1500 persone in fila tutti i giorni', racconta Luigi Rossi, uno dei responsabili della struttura, 'oggi sono 2500, divisi tra il centro di viale Toscana e quello di viale Monza. E nel fine settimana si arriva anche a 3000'. Mario M.


http://www.beppegrillo.it/2012/10/debito_pubblico_e_la_fila_per_il_pane.html

DUE O TRE COSE SU DI PIETRO – di Marco TRAVAGLIO



"IN VENT’ANNI DI PROCESSI, SPIATE DEI SERVIZI SEGRETI AL SOLDO DI CHI SAPPIAMO, CAMPAGNE CALUNNIOSE ORCHESTRATE DA CHI SAPPIAMO CHE L’HANNO VIVISEZIONATO E PASSATO MILLE VOLTE AI RAGGI X, RICICCIA FUORI SEMPRE LA SOLITA MINESTRA, GIA GIUDICATA INFONDATA E DIFFAMATORIA DA FIOR DI SENTENZE "

"Come ciclicamente gli accade, da quando è un personagg
io pubblico, cioè esattamente da vent’anni, Antonio Di Pietro viene dato per morto. Politicamente, s’intende. Gli capitò nel ’ 94, quando dovette dimettersi da pm per i ricatti della banda B. Poi nel ‘ 95, quando subì sei processi a Brescia per una trentina di capi d’imputazione (sempre prosciolto). Poi nel ‘ 96 quando si dimise da ministro per le calunnie sull ’affaire Pacini Battaglia-D’Adamo. Poi nel 2001, quando la neonata Idv fu estromessa dal centrosinistra e per qualche decimale restò fuori dal Parlamento. Poi ancora quando il figlio Cristiano finì nei guai nell’inchiesta Romeo a Napoli; quando i suoi De Gregorio, Scilipoti e Razzi passarono a miglior partito; quando alcuni ex dipietristi rancorosi lo denunciarono per presunti abusi sui rimborsi elettorali e sull’acquisto di immobili; quando una campagna di stampa insinuò chissà quale retroscena su un invito a cena con alti ufficiali dell’Arma alla presenza di Contrada; quando le presunte rivelazioni dell’ex ambasciatore americano, ovviamente morto, misero in dubbio la correttezza di Mani Pulite. Ogni volta che finiva nella polvere, Di Pietro trovava il modo di rialzarsi.

Ora siamo all’ennesimo replay, con le indagini sui suoi uomini di punta nelle regioni Lazio, Emilia, Liguria, mentre il centrosinistra lo taglia fuori un’altra volta, Grillo fa man bassa nel suo elettorato più movimentista e Report ricicla le accuse degli “ex” sui rimborsi e sulle case. Si rimetterà in piedi anche stavolta, o il vento anti-partiti che soffia impetuoso nel Paese spazzerà via anche il suo?

Cominciamo da Report, programma benemerito da tutti apprezzato: domenica sera Di Pietro è apparso in difficoltà, davanti ai microfoni dell’inviata di Milena Gabanelli. Ma in difficoltà perché? Per scarsa abilità dialettica o perché avesse qualcosa da nascondere, magari di inedito e inconfessabile? A leggere (per noi, rileggere) le carte che l’altroieri ha messo a disposizione sul suo sito, si direbbe di no: decine di sentenze, penali e civili, hanno accertato che non un euro di finanziamento pubblico è mai entrato nelle tasche di Di Pietro o della sua famiglia. E nemmeno nelle case, che non sono le 56 che qualche testimone farlocco o vendicativo, già smentito dai giudici, ha voluto accreditare: oggi sono 7 o 8 fra la famiglia Di Pietro, la famiglia della moglie e i due figli. Quanto alla donazione Borletti, risale al 1995, quando Di Pietro era ancora magistrato in aspettativa e imputato a Brescia: fu un lascito personale a un personaggio che la nobildonna voleva sostenere nella speranza di un suo impegno in politica, non certo un finanziamento a un partito che ancora non esisteva (sarebbe nato tre anni dopo e si sarebbe presentato alle elezioni sei anni dopo, nel 2001, e l’ex pm lo registrò regolarmente alla Camera tra i suoi introiti).

Il resto è noto e arcinoto: all’inizio l’Italia dei Valori era un piccolo movimento “personale”, tutto incentrato sulla figura del suo leader, che lo gestiva con un’associazione omonima insieme a persone di sua strettissima fiducia. In un secondo momento cambiò lo statuto per dargli una gestione più collegiale. Decine di giudici hanno già accertato che fu tutto regolare, fatta salva qualche caduta di stile familistica e qualche commistione fra l’entourage del leader e il movimento.

Di Pietro potrebbe anche fermarsi qui: se, in vent’anni di processi, spiate dei servizi segreti al soldo di chi sappiamo, campagne calunniose orchestrate da chi sappiamo che l’hanno vivisezionato e passato mille volte ai raggi X, riciccia fuori sempre la solita minestra, già giudicata infondata e diffamatoria da fior di sentenze, vuol dire che di errori ne ha commessi, ma tutti emendabili, perché il saldo finale rimane positivo. Senza l’Idv non avremmo votato i referendum su nucleare e impunità; i girotondi e i movimenti di società civile non avrebbero avuto sponde nel Palazzo; in Parlamento sarebbe mancata qualunque opposizione all’indulto, agl’inciuci bicamerali e post-bicamerali, alle leggi vergogna di B. e anche a qualcuna di Monti; e certe Procure, come quella di Palermo impegnata nel processo sulla trattativa, sarebbero rimaste sole, o ancor più sole. Senza contare che Di Pietro non ha mai lottizzato la Rai e le Authority. É vero, ha selezionato molto male una parte della sua classe dirigente (l’abbiamo sempre denunciato). Ma quando è finito sotto inchiesta si è sempre dimesso e, quando nei guai giudiziari è finito qualcuno dei suoi, l’ha cacciato.

Ora la sorte dell’Idv, fra l’estinzione e il rilancio, è soltanto nelle sue mani. E non dipende dal numero di case di proprietà, ma da quel che farà di qui alle elezioni. Siccome è ormai scontato che si voterà col Porcellum, dunque ancora una volta i segretari di partito nomineranno i propri parlamentari, apra subito i gazebo per le primarie non sulla leadership, ma sui candidati. E nomini un comitato di garanti con De Magistris, Li Gotti, Palomba, Pardi e altri esponenti dell’Idv o indipendenti al di sopra di ogni sospetto. Qualche errore sarà sempre possibile, ma almeno potrà dire di aver fatto tutto il possibile per sbarrare la strada a nuovi Scilipoti, Razzi e Maruccio. Nel prossimo Parlamento, verosimilmente ingovernabile e dunque felicemente costretto all’inciucione sul Monti-bis, ci sarà un gran bisogno di oppositori seri, soprattutto sul tema della legalità. Se saranno soltanto i ragazzi di Grillo o anche gli uomini dell’Idv, dipende solo da lui.

Marco Travaglio

IL FATTO QUOTIDIANO, 31 ottobre 2012





La morte dei poveri non f notizia.



Tutti i media parlano dell'uragano che sta colpendo l'america, ma nessuno del disastro che ha lasciato con il suo passaggio a Cuba.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/10/30/processo-ruby-fede-avvocati-troppo-cari-rinuncio-a-difendermi/398864/