venerdì 4 gennaio 2013

Nel sangue dei panda antibiotico 6 volte più potente di quelli attuali.

Panda


Un gruppo di scienziati cinesi è riuscito a trovare una nuova arma per combattere la resistenza agli antibiotici che si trova nel sangue dei panda giganti.

Non sappiamo se  questa possa essere definita una buona o una cattiva notizia per i panda.  Recentemente infatti è stato scoperto che il sangue di panda contiene un composto antibiotico che è molto più potente (6 volte) di qualsiasi farmaco antibiotico che abbiamo in questo momento.
I ricercatori del Dipartimento di scienze della vita dell’Università Agraria di Nanchino, il capoluogo della provincia di Jiangsu in Cina, hanno estratto un composto chiamato catelicidina-AM dal sangue dei panda giganti.
Originari della Cina centrale, i Panda giganti sono veri e propri orsi, appartenenti a pieno titolo alla famiglia degli Ursidi. La specie di orsi ad essi più vicina è quella dell’orso dagli occhiali del Sud America.
Questo tenero mammifero bianco e nero, si nutre quasi esclusivamente di bambù (circa 38 kg di germogli al giorno, pari al 45% del peso corporeo).
La catelicidina è una proteina prodotta da granulociti neutrofili ed epiteli sulla base del segnale mediato dalle citochine infiammatorie che ne stimolano la sintesi e la catelicidina-AM è un peptide antimicrobico codificato dal gene, un antibiotico naturale che è prodotto dalle cellule del sistema immunitario dei panda. I test hanno dimostrato che la catelicidina-AM è in grado di uccidere anche i ceppi di batteri e funghi resistenti ai farmaci, e può farlo quasi senza provocare la stessa resistenza e solo in un’ora rispetto agli antibiotici convenzionali che riescono faticosamente a distruggere i batteri in sei ore.
La catelicidina-AM potrebbe essere trasformata in un farmaco o in un prodotto disinfettante. I ricercatori hanno spiegato che la ricerca sui panda in questo campo è solo all’inizio e che quindi è molto probabile che si possano trovare altri farmaci molto potenti.
La resistenza agli antibiotici che deriva dal trasferimento delle caratteristiche di resistenza genetica tra batteri della stessa specie o di specie diverse, è un fenomeno per cui un batterio risulta resistente all’attività di un farmaco antimicrobico.
Il risultato di uno studio che si è concentrato sull’evoluzione di tre agenti infettivi particolarmente diffusi, lo Stafilococco aureo, l’enterobatterio Escherichia coli, l’enterobatterio Klebsiella pneumoniae  ed è stato pubblicato recentemente dal Centro europeo di prevenzione e controllo delle malattie (Ecdc) dimostra che nel corso degli ultimi anni si è registrato in tutta Europa un aumento della resistenza e della multiresistenza agli antibiotici di questi batteri.

http://gaianews.it/salute/farmaci-salute/nel-sangue-dei-panda-antibiotico-6-volte-piu-potente-di-quelli-attuali-33589.html#.UOdN1eScNTJ

Brindisi coi palermitani




Piemonte, la Regione privatizza la sanità. Ma la fa funzionare con soldi pubblici. - Angela Corica


Piemonte, la Regione privatizza la sanità. Ma la fa funzionare con soldi pubblici


Conti in rosso, svendita degli immobili, nuovi provvedimenti in arrivo. Cota mette piede all'acceleratore e con le "federazioni sanitarie" bypasserà Asl e aziende ospedaliere. Ma di certo per ora ci sono solo i costi: almeno un milione di euro per gli amministratori.

Conti drammaticamente in rossosvendita degli immobili e nuovi provvedimenti in ambito sanitario. La Regione Piemonte mette piede all’acceleratore e va avanti spedita verso la privatizzazione del pubblico. Con la costituzione delle federazioni sanitarie (prodotto della legge regionale numero 3 del 2012) è di fatto possibile bypassare le Asl e Aziende ospedaliere per controllare la sanità anche per fini politici. Come? Il presidente Cota e l’assessore Monferino avevano dichiarato più volte che per ridurre la spesa sanitaria bisognava intervenire drasticamente razionalizzando e accorpando. L’ex manager Iveco Monferino, diventato assessore, non perdeva occasione per dichiarare che voleva trasferire la sua esperienza nella sanità, accorpando gli acquisti e magazzini per perseguire economie di scala.
E così, con la legge regionale in Piemonte si creano sei nuove società consortili private, le Federazioni sanitarie. Ogni Federazione ha a capo un amministratore unico e aggrega un certo numero di aziende sanitarie o ospedaliere che diventano soci della Federazione e ad essa devono cedere tutte le funzioni amministrative gestionali e tecnico logistiche. Una innovazione che sembra basarsi sul modello manageriale privato, efficiente. C’è lo Statuto della Società consortile, c’è l’assemblea consortile dove amministratore della Federazione e soci prendono le decisioni, ci sono i revisori dei conti. Nei fatti c’è la creazione di altre sei strutture stabili, con amministratori ben pagati con contratto triennale, organizzate secondo un criterio di appartenenza politica, che riferiscono direttamente a Monferino e hanno il mandato di estrarre rapidamente dagli ospedali tutte le funzioni non strettamente sanitarie per poterle governare direttamente e più facilmente, gli acquisti per primi.
Di sicuro abbiamo nuovi costi certi: gli stipendi dei sei amministratori privati, pari a quelli di un direttore generale di azienda, si viaggia sui 130mila euro annui a testa, aggiungiamoci i costi di rogito delle Federazioni, che sono società private, quindi si va dal notaio e si paga, altri soldi. In tempi di spending review e di crisi profonda per la Regione, almeno un milione di euro l’anno. Soldi pubblici.
Le federazioni private però si attribuiscono funzioni ma non hanno personale proprio: chi svolge il lavoro? Il personale delle aziende sanitarie o ospedaliere del servizio sanitario regionale. Dunque dipendenti pubblici, quelli che già svolgevano le stesse funzioni in ospedali e Asl, già collegati in rete da anni a fare acquisti in comune. Già, perché ben prima dell’epoca di Cota e Monferino ospedali e Asl si erano uniti in “sovrazone” per aggregare i propri fabbisogni di beni e servizi e fare gare d’appalto insieme, onde ottenere economie di scala.
Con uno strano meccanismo il personale del sistema sanitario nazionale sarà “assegnato funzionalmente” alle federazioni pur rimanendo contemporaneamente in carico e pagato dal sistema sanitario nazionale, almeno stando al testo della legge regionale, e ai primi accordi che vanno stipulandosi tra direttori degli ospedali ed amministratori delle federazioni. Questa “assegnazione funzionale” pare preoccupare i dipendenti coinvolti; sono dipendenti pubblici e tuttavia lavoreranno per società consortili private, quali sono le federazioni; il loro rapporto di lavoro è regolato dettagliatamente dal contratto collettivo nazionale, dove questa “assegnazione funzionale” non esiste.
Pare che l’assegnazione duri almeno un anno, senza possibilità di tornare indietro prima, non è chiaro poi indietro dove e a fare cosa. In un periodo storico in cui appare obbligatorio il contenimento della spesa pubblica, la Regione Piemonte, a rischio fallimento (Monferino stesso ha dato l’allarme default) si mette a creare nuove strutture, private, che duplicano funzioni già di competenza di enti pubblici creati con legge nazionale.
L’assessorato alla Sanità, già interrogato dai sindacati, chiarisce che è tutto in regola e le federazioni sono di diritto pubblico “poiché i soci sono esclusivamente le aziende sanitarie regionali afferenti all’area sovrazonale coincidente con ciascuna federazione”. Ma quello che sta accadendo in questi giorni dentro aziende sanitarie e ospedaliere non è così normale come si tenta di far credere. Nell’ultima settimana ci sono stati numerosi accordi fra amministratori delle federazioni e i vari direttori, con una notevole accelerazione del trasferimento delle competenze e del personale alle Federazioni. Spostamenti in realtà temporanei, in attesa di concentrare più funzioni possibili intorno alle Federazioni. Mentre per il personale si parla sempre più spesso di esuberi e di mobilità. Un bagno di sangue annunciato. Intanto, mentre prosegue il trasferimento delle funzioni, il 30 gennaio il Tar dovrà pronunciarsi sulle Federazioni a seguito di un ricorso presentato da Fedir Sanità, che ha sollevato, fra le altre cose, il dubbio di incostituzionalità delle stesse. 

Antiriciclaggio, stop al bancomat e il Vaticano cambia gli assegni in Germania. - Marco Lillo



Bankitalia nega il permesso di operare con Deutsche Bank e non conferma Giovanni Castaldi alla guida dell'Unità di informazione finanziaria, l'organismo contro il lavaggio di denaro sporco che a Strasburgo non aveva preso posizione sull'iscrizione dello Stato pontificio nella lista dei Paesi canaglia.

La banca del Vaticano è ormai all’angolo. Dopo aver perso la possibilità di negoziare gli assegni in Italia, dopo la chiusura dell’unico conto operativo alla Jp Morgan di Milano, dal primo gennaio non può nemmeno incassare i pagamenti elettronici tramite Pos all’interno delle mura leonine. Alla farmacia e ai musei accettano solo il bancomat dello Ior, quello che si annuncia con la scritta in latino “Inserito scidulam”, mostrata in un servizio di Report. Altro che “problema tecnico” come ieri minimizzava la Sala Stampa della Santa Sede. Lo stop alle carte di credito e ai bancomat per pagare i farmaci e i biglietti è stato imposto dalla Banca d’Italia in conseguenza di un provvedimento che risale al 6 dicembre scorso: la negazione dell’autorizzazione a Deutsche Bank Italia del permesso ad operare con il Pos in Vaticano.
La motivazione è chiara: il Vaticano continua ad applicare una legislazione bancaria a maglie larghe che non prevede un sistema di vigilanza degno dei parametri internazionali degli organismi antiriciclaggio. Il bando della moneta elettronica italiana è solo l’ultimo di una serie di provvedimenti che stanno restringendo sempre più l’operatività del Vaticano e dell’Istituto per le Opere di Religione. Ormai da tempo le banche italiane, a causa del pressing di Bankitalia, rifiutano di negoziare gli assegni bancari dello Ior. Il Vaticano è costretto così a spedirli fisicamente in Germania dove le autorità tedesche consentono alla casa madre della Deutsche Bank quello che non sarebbe permesso alla sua filiale di Roma. Ora tocca al Pos. La vigilanza della Banca d’Italia già nel 2010 aveva contestato a Deutsche Bank Italia di permettere a uno Stato extracomunitario, quale il Vaticano, di usare i terminali installati nelle mura leonine senza l’autorizzazione prevista dal Testo Unico Bancario. A quel punto Deutsche Bank aveva presentato un’istanza di autorizzazione che somigliava a un condono. Ma a dicembre invece è arrivato il no della vigilanza di Bankitalia.
La banca cara al Papa tedesco e al suo amico, oggi consigliere forte dello Ior e in passato amministratore di Deutsche Bank, Ronaldo Herman Schmitz, ha dovuto cessare le attività in Vaticano dal 31 dicembre. Ormai sono davvero poche le strade del Signore per far girare la vil pecunia. Una via per fare circolare i contanti fuori dalla Città del Vaticano è quella dei conti delle congregazioni, degli istituti e degli enti che dispongono di rapporti bancari in Italia e all’estero. I soldi partono mediante bonifico dal conto italiano a quello tedesco di uno di questi enti e poi – sempre con bonifico – tornano al conto Ior di Deutsche Bank Italia. Talvolta i movimenti sono effettuati con gli assegni circolari intestati a terzi su disposizione dello Ior da una delle poche banche che ancora permettono questa operazione, come la Banca del Fucino.
Insomma sono lontani i tempi in cui lo Ior faceva girare decine di milioni sui conti italiani senza comunicare a nessuno il reale intestatario dei fondi. Il braccio di ferro con l’Autorità di vigilanza bancaria e la magistratura italiana è in corso da quasi tre anni. A settembre del 2010 la Procura di Roma ha sequestrato 23 milioni di euro sul conto Ior del Credito Artigiano contestando la violazione degli obblighi di comunicazione in materia di antiriciclaggio. I due schieramenti che si combattono da allora sono divisi dal fronte della trasparenza ma non rispecchiano i confini tra i due Stati. I pm romani Nello Rossi e Stefano Fava dal 2010 indagano l’allora presidente Ettore Gotti Tedeschi, e il direttore generale Paolo Cipriani. Dopo l’interrogatorio dai pm, i due manager Ior però scelgono strade diverse: Gotti si spende, con l’appoggio del cardinale Attilio Nicora, per convincere il Papa a intraprendere la strada della trasparenza.
Il 30 dicembre del 2010 con la legge 127, Benedetto XVI emana tramite motu proprio le disposizioni per avvicinare il Vaticano alle normative internazionali e istituisce l’Autorità antiriciclaggio interna, l’AIF, guidata da Attilio Nicora. L’AIF dovrebbe dialogare con l’omologo ufficio italiano, l’UIF, diretto dall’ex dirigente di Banca d’Italia, Giovanni Castaldi. Per qualche mese le cose sembrano funzionare. La procura revoca il sequestro sui 23 milioni ma presto arrivano le prime impuntature. Il Segretario di Stato Tarcisio Bertone, consigliato dall’avvocato Michele Briamonte, partner dello studio Grande Stevens, impone all’AIF e allo Ior di non comunicare nulla sui movimenti precedenti all’aprile 2011, data di entrata in vigore della legge. A febbraio del 2012 arriva la retromarcia: una nuova legge revoca i poteri all’AIF e rimette il pallino nelle mani della Segreteria di Stato. Il Cardinale Nicora è sconfitto e poco dopo, il 24 maggio scorso, salta anche il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi.
A luglio l’organismo antiriciclaggio Moneyval dovrebbe decidere se mettere il Vaticano nella lista nera degli Stati canaglia. I pronostici sono negativi. Teoricamente gli ispettori di Moneyval prima di decidere dovrebbero ascoltare la posizione della delegazione dell’UIF della Banca d’Italia. Invece l’UIf non prende la parola per controbattere alla versione della delegazione spedita a Strasburgodal Segretario di Stato Tarcisio Bertone. Il Ministro dell’economia Vittorio Grilli, notoriamente molto vicino al Vaticano, chiede ai rappresentanti UIF di non prendere la parola. Il direttore dell’organismo antiriciclaggio, Giovanni Castaldi, ritira la delegazione dell’UIF e il Vaticano ottiene una mezza bocciatura che però, date le condizioni iniziali, suona come una promozione. E così si arriva all’epilogo del 2013: nel giorno in cui i bancomat del Vaticano si fermano per mancato rispetto delle regole di Bankitalia, il direttore dell’UIF, Giovanni Castaldi, lascia il suo incarico. Per mano di Bankitalia. Il Governatore Ignazio Visco e il direttorio dell’istituto non lo hanno confermato al termine del suo mandato quinquennale. Amen. 

giovedì 3 gennaio 2013

Quelli che avevano capito tutto...su Grillo (Marco Travaglio a Servizio Pubblico)



Per non dimenticare...

I reali motivi della crisi: finalmente qualche tv ne parla.




Caricato in data 20/dic/2011
Un plauso a TeleToscana Nord per aver mandato in onda questo coraggioso servizio che, in maniera semplice e chiara, analizza i motivi (reali) della cosiddetta "crisi". Un video da vedere e condividere ovunque. Finalmente anche i media locali cominciano a prendere in considerazioni determinate tematiche troppo.

Le Impresentarie. - Marco Travaglio



Le primarie sono un’ottima cosa, l’unico antidoto a una delle porcate del Porcellum: le liste bloccate che consentono ai partiti di nominarsi i parlamentari. Grillo, temendo la piena degli opportunisti last minute, ha inventato le parlamentarie web, ma ha ristretto troppo la platea dei votanti: appena 20mila. Alle primarie di Capodanno del Pd han votato un milione di elettori. Bene anche i volti nuovi o seminuovi, premiati per le loro facce pulite e si spera anche per le loro capacità. Ma in alcune regioni d’Italia, dove il voto è militarmente controllato non solo dalle mafie, ma anche da cricche clientelari che comprano preferenze con favori e lavori, le primarie sono finte se non vengono accompagnate da ferrei sbarramenti per garantire il ricambio.
Se si lascia candidare Mirello Crisafulli nella sua Enna, di cui da una vita è signore e padrone a suon di posti e prebende, oltre a essere amicone del boss Raffaele Bevilacqua (con cui fu filmato e intercettato), è ovvio che faccia il pieno di voti. Non bastavano i suoi 15 anni in Assemblea Regionale, le due legislature in Parlamento e il rinvio a giudizio per abuso d’ufficio con l’accusa di aver fatto pavimentare a spese della provincia la strada comunale che porta alla sua villa, per mandarlo in pensione?
Idem a Messina, dove spopola un altro ras: Francantonio Genovese, che divenne sindaco sebbene azionista della Caronte, la società dei traghetti nello Stretto controllata da Pietro Franza (perciò ribattezzato ‘Franzantonio’) in pieno conflitto d’interessi. Il resto l’ha raccontato la puntata di Report sugli enti di formazione finanziati dalla Regione. Tipo la Lumen, presieduta da Franco Rinaldi, deputato regionale, cognato di Genovese e soprattutto marito di Elena Schirò che lavora dove? Ma alla Lumen, naturalmente. Rinaldi e Genovese sono pure soci nella Training Service, che sta per ricevere 390mila euro di contributi. Invece la Nt Soft fa capo ai nipoti di Genovese e Rinaldi. L’Esofop ha come presidente la cognata di Rinaldi e come consigliere Chiara Schirò, moglie di Genovese. E una società in cui compare Genovese affitta la sede all’Enaip e all’Aram. A che servono a questo punto le primarie? Chi mai riuscirà a prendere più voti di un Genovese? Il conflitto d’interessi, anziché un handicap, diventa un elisir di lunga vita, anzi di immortalità.
Alle primarie di Trapani trionfa Antonino Papania: nel 2002 ha patteggiato 2 mesi e 20 giorni di reclusione per abuso d’ufficio in un processo per compravendita di posti di lavoro in cambio di soldi. Il suo factotum Filippo Di Maria è stato arrestato tre anni fa per mafia, con l’accusa di essere l’autista, il cassiere e il braccio destro del boss di Alcamo, Nicolò Melodia detto ‘il macellaio’. Per la Mobile, “Di Maria si muoveva incessantemente per procurare posti di lavoro ad amici e conoscenti grazie anche al diretto interessamento di collaboratori e personale di segreteria del senatore”, attivissimo “in occasione di alcune competizioni elettorali”: come “le primarie 2005 per il candidato premier” del centrosinistra. “Lo staff del sen. Papania – scrive il gip – e altri politici contattavano ripetutamente il Di Maria per indurlo a sostenere iniziative politiche… con tutte le persone di sua conoscenza”.
In Calabria invece stravince le primarie l’ottimo Nicodemo Oliverio, imputato da tre anni al Tribunale di Roma con altre 14 persone per bancarotta fraudolenta documentale e patrimoniale aggravata, in uno dei processi sullo scandalo del megapatrimonio immobiliare della Dc, ovviamente scomparso. A Crotone, Oliverio ha raccolto 8.257 preferenze su 8.547 (il 97%). Chissà se arriverà prima la sentenza, prevista per febbraio, o la rielezione in Parlamento, prevista per febbraio. E chissà se Piero Grasso lo sa.