venerdì 27 febbraio 2015

La Calabria diventa sede del primo impianto ibrido rinnovabile, realizzato dall’azienda Falk Renewable SpA, messo in funzione a Rende, nato da un processo brevettato in Italia

Impianto ibrido Fotovoltaico
Impianto ibrido Fotovoltaico

E’ entrato in funzione a Rende questo impianto riconosciuto anche in tutta Europa che valorizza la tecnica di produzione di energia da due fonti diverse, quella solare e la biomassa. 
la geniale strategia dell’ibrido rinnovabile, si rivela assai flessibile, sia negli investimenti che nella possibilità di adattarla alle diverse aree geografiche e da oggi ha anche l’ammissione agli incentivi.
L’innovazione prende origine dunque, nell’integrazione di due fonti energetiche e di due tecnologie rinnovabili che sono tra loro, profondamente diverse. L’innovazione si fonda sul solare termodinamico a concentrazione, e sulle biomasse, che insieme danno vita ad un sistema “ibrido rinnovabile”, altamente efficiente.
Questa combinazione consente di ottimizzare al massimo le fonti coinvolte, rendendo per entrambe, ottime performance. L’energia termica solare integra e sostituisce in parte l’energia termica da biomassa. Così il consumo specifico necessario per la produzione di energia, viene ridotto.
L’ingegnere Piero Manzoni, Amministratore Delegato di Falck Renewables S.p.A., ha sottolineato come l’impianto di Rende sia scaturito dal costante impegno profuso dall’azienda nella ricerca e nell’innovazione tecnologica.
Si punta, quindi, sulle strategie utili a trasformare le energie rinnovabili, provenienti da fonti alternative,  in soluzioni sempre più efficienti e competitive in vista delle sfide energetiche e ambientali che si presentano quotidianamente in questo contesto europeo e mondiale.
L’impianto di Rende – “ibrido rinnovabile” – nasce sulla base del progetto HELIOS, idea sorta nel 2011, che puntava sull’integrazione, appunto, di due tecnologie e due fonti differenti al fine di creare un apparato altamente efficiente.
I raggi solari, dunque, catturati da specchi piani, opportunamente inclinati e regolati automaticamente, vengono concentrati su un tubo sospeso. Dentro di esso scorre un fluido che, una volta scaldatosi, viaggia fino all’impianto a biomasse, cedendo la sua energia.
Una sezione di recupero termico permette poi di fornire al circuito solare una parte di calore non recuperabile che proviene dall’impianto a biomasse. Questo garantisce l’ottimizzazione delle funzionalità e quindi una migliore efficienza.
L’impianto a biomasse è in grado di soddisfare il fabbisogno energetico annuo di circa 38.900 famiglie. L’impianto solare termodinamico offre il suo apporto ad altre 1.150 famiglie. L’impianto “ibrido rinnovabile” copre il fabbisogno annuo di “ulteriori” 200 famiglie, con un rivelante risparmio di Co2.
Questo processo reso operativo  nell’impianto di Rende è riproducibile e può essere adottato da qualsiasi altro impianto di generazione elettrica che si basi sul ciclo Rankine. La struttura in questione può essere alimentata da fonti rinnovabili (come i rifiuti o le biomasse) o da fonti fossili (come il gas, il carbone) e può essere sia nuova, sia già attiva.

mercoledì 25 febbraio 2015

Pd: in Sicilia lasciano 600 area Civati

 © ANSA

Attaccano partito e pensano ad alleanza con Sel e associazioni.


(ANSA) - PALERMO, 24 FEB - 600 tra dirigenti, militanti e consiglieri comunali del Pd siciliano dell'area Civati hanno detto addio al partito per creare una forza politica che guardi a Sel, all'associazionismo, agli astensionisti. "Pd e governo siciliano litigano per mostrare chi è più rottamatore, più antimafioso, rivoluzionario. L'isola affonda, ma non c'è rottamazione e rivoluzione. Il Pd - scrivono - diventa la casa per tutto e il contrario di tutto, anche per chi era il peggior avversario di centrodestra".

Gli uomini turchi in minigonna contro la violenza sulle donne.



In Turchia continuano le proteste per lo stupro e l’omicidio di una ragazza di vent’anni Özgecan Aslan, ritrovata morta a Tarso, nel sud del paese il 13 febbraio, uccisa dai suoi assalitori. L’omicidio ha suscitato indignazione e proteste in tutto il paese e sui social network alla campagna contro la violenza sulle donne hanno partecipato anche gli uomini, indossando gonne e minigonne. Usando l’hashtag #ozgecanicinminietekgiy che significa “indossa una minigonna per Ozgecan”, gli uomini turchi hanno cominciato a postare sui social network foto di loro stessi con le minigonne per manifestare solidarietà alle donne turche. Cnn

http://www.internazionale.it/notizie/2015/02/24/gli-uomini-turchi-in-minigonna-contro-la-violenza-sulle-donne

martedì 24 febbraio 2015

AKAKOR: un antico contatto con esseri di altri mondi.

L’inchiesta di Brugger, svela antichissime tradizioni degli indios, ultimi eredi di esseri stellari. L’avventura di Karl Brugger, giornalista tedesco, ha inizio in un bar di Manaus, in Brasile, il 3 marzo 1972.
La lunga permanenza nelle foreste amazzoniche e la profonda conoscenza delle tradizioni indios, gli permettono di entrare in contatto con Tatunca Nara, ultimo capo della misteriosa “tribù degli alleati eletti”, gli Ugha Mongulala. Il racconto che segue, conservato nei libri sacri de La Cronaca di Akakor, noti come Il Libro del Giaguaro, Il Libro dell’Aquila, Il Libro della Formica e Il Libro del Serpente d’acqua, segnò per sempre la sua vita. Nel 13.000 a.C. brillanti navi dorate scesero nelle giungle lussureggianti del Sudamerica guidate da maestosi stranieri con la carnagione bianca, il volto contornato dalla barba, folta chioma nera con riflessi blu, sei dita alle mani e ai piedi. Dissero di provenire da Schwerta, una costellazione lontanissima con innumerevoli pianeti, che incrocia la Terra ogni 6.000 anni.
Sconosciuta la tecnologia in loro possesso: pietre magiche per guardare ovunque nel mondo, arnesi che scagliano fulmini e incidono le rocce, la capacità di aprire il corpo dei malati senza toccarlo. Con infinito amore donarono agli indios il lume della civiltà e gettarono le basi di un impero vastissimo che comprendeva Akakor, l’imprendibile fortezza di pietra nella vallata sui monti al confine tra Perù e Brasile, Akanis in Messico e Akahim in Venezuela, le grandiose città di Humbaya e Patite in Bolivia, Cadira, Emin sul Grande Fiume e maestosi luoghi sacri: Salazare, Tiahuanaco e Manoa sull’altopiano a sud.
Sotto Akakor, una rete vastissima di tredici città sotterranee, nascoste alla vista degli intrusi, come arterie invisibili percorrono le millenarie foreste brasiliane. La loro pianta riproduce fedelmente Schwerta, la dimora cosmica degli Antichi Padri. Una luce innaturale le illumina all’interno, mentre un ingegnoso complesso di canalizzazioni porta aria e acqua sin nelle sue profondità. Il potente dominio, che contava sotto di sè trecentosessantadue milioni di individui, durò tremila anni quando nell’Ora Zero, il 10.481 a.C., gli Antichi Padri ripresero la via del cielo con la promessa di ritornare.
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L’inizio di un Ciclo

La Terra parve piangere la loro scomparsa e tredici anni dopo un’immane catastrofe si abbattè sul pianeta e sconvolse il suo aspetto, seminando ovunque morte e desolazione. Gli uomini persero la fede negli dèi, degenerando e commettendo azioni crudeli nei millenni a venire. Seguì un seconda catastrofe. Una stella gigantesca dalla coda rossa impattò la Terra, provocando un immane diluvio. Secondo le parole dei sacerdoti: “Quando la disperazione avesse raggiunto il culmine, i Primi Maestri sarebbero tornati”. E nel 3.166 a.C. ricomparvero le navi d’oro. Lhasa, il “Sublime”, regnò ad Akakor e suo fratello Samon volò sul Nilo per fondare un secondo impero che regolarmente approdava in terra sudamericana a bordo di immense navi. Reperti di varia natura scoperti dagli archeologi confermano la presenza egiziana in Sudamerica, come la “Roccia delle Scritture” che l’antropologo George Hunt Williamson rinvenne sulle Ande nel 1957, istoriata da geroglifici simili a quelli egizi, venerata dai nativi e collegata alla discesa di antenati spaziali che dimoravano nel Gran Paititi. Il principe di Akakor governò con saggezza riorganizzando l’impero distrutto ed eresse nuove città come Manu, Samoa, Kin, in Bolivia e Machu Picchu in Perù. Trecento anni rimase sulla Terra finchè un giorno si diresse sulla montagna della Luna, sopra le Ande e disparve nel cielo in un fuoco. Partenza che riecheggia moltissimo quella di Quetzalcoatl, la divinità messicana.

Un popolo Prezioso

Millenni di guerre contro le tribù nemiche videro Akakor cadere e risorgere più volte, stringendo anche alleanze con stirpi straniere giunte da lontano. Le tradizioni degli Ugha Mongulala parlavano di popolazioni bianche come i Goti che visitarono le loro terre. Ancora una volta questo si rivela una conferma notevole alle antiche cronache medievali nelle quali navi vichinghe partite all’esplorazione di mondi lontani, dopo un naufragio, approdarono sulle coste del Sudamerica. Nella sierra di Yvytyruzu, in Paraguay, l’archeologo Jacques de Mahieu ha scoperto un masso pieno di caratteri runici, disegni dei drakkar, le navi nordiche, e di un uomo barbuto con armatura. Le attuali popolazioni di quei territori possiedono la pelle bianca, un torace sviluppato e la barba. Ma un evento ancor più strano, preconizzato nelle antiche scritture degli Antenati Divini, è l’arrivo ad Akakor di 2.000 soldati tedeschi che aiutarono gli indios ad armarsi contro i barbari bianchi, senza successo, poiché la Germania perse la Seconda Guerra Mondiale. I nativi ricordano lo stemma cucito sulla giacche delle truppe, identico ai covoni di grano in foggia di svastica, che rotolavano dalle colline durante cerimonie sacre nel solstizio d’estate. Il Fuhrer era ossessionato a tal punto dalle tradizioni esoteriche da abbracciare le idee della società segreta Thule – nome di un vasto territorio che andava dal Mar del Gobi al Polo Nord, abitato dalla civiltà degli Iperborei – e conferirle il carattere di un gruppo operativo incaricato di custodire le conoscenze perdute. L’esistenza di una razza antichissima che viveva in cavità sotterranee stimolò la sua curiosità, spingendolo a inviare numerose spedizioni in tutto il globo per accertare la veridicità dei suoi studi occulti.
Il contingente tedesco partito da Marsiglia verso l’Inghilterra a bordo di un sottomarino era ignaro della vera destinazione e dello scopo della missione: prendere contatto con la “tribù degli alleati eletti”. Un resoconto di viaggio del navigatore greco Pitea di Massalia, nel IV sec a.C., il De Oceano, narra la partenza da Massalia, l’antica Marsiglia, per giungere alla mitica Thule ubicata nei ghiacci remoti nel lontano Nord. Molto probabilmente la città francese custodisce segreti esoterici noti ai nazisti da lungo tempo. La permanenza dei soldati nella città fece nascere una profonda amicizia con gli indios, che portò all’unione tra i due popoli, i quali ancora oggi vivono in numero di trentamila ad Akakor inferiore, come pure sono abitate le città di Boda e Kish sotto di essa e la poderosa Akahim.

La dimora degli Dei

Il Tempio del Sole di Akakor, vigilato da guardie armate, custodisce mappe segrete vergate dagli Antichi Padri che mostrano il cosmo di millenni prima, con altre lune, un’Isola perduta ad Ovest e una terra nell’Oceano, inghiottite dai flutti nel corso di un’epica battaglia stellare tra due progenie di dèi, le cui conseguenze investirono persino i pianeti Marte e Venere. I documenti raccontano inoltre che i Signori del Cielo portarono l’uomo da un pianeta all’altro fino a giungere sulla Terra. Il teorico nazista Hoerbiger aveva postulato l’esistenza di varie lune nelle ère perdute della Terra; le mappe si ricollegano, inoltre, alla carta astronomica del 4.000 a.C. appartenuta al compianto ricercatore britannico David Davenport sulle rotte dei vimana verso il nostro pianeta, provenienti da sistemi stellari lontanissimi. Fedeli ai desideri dei Primi Maestri, i sacerdoti raccolsero tutto il sapere e la storia della tribù eletta in libri custoditi in una sala scolpita nella roccia all’interno delle dimore sotterranee. Nello stesso luogo gli enigmatici disegni dei Padri Divini sono incisi in verde e azzurro su di un materiale sconosciuto. Disegni che né l’acqua né il fuoco riescono a distruggere. Nei sotterranei giacciono anche armi simili a quelle dei tedeschi appartenute agli Dèi, l’astronave di Lhasa, un cilindro di metallo ignoto che volava senz’ali, e un veicolo anfibio che attraversava le montagne. Tatunca Nara in persona vide una sala rischiarata da una luminosità azzurrina che mostrava in animazione sospesa quattro persone, tra cui una donna, con sei dita alle mani e ai piedi, entro contenitori di cristallo pieni di liquido.
Molti si chiedono se la misteriosa città sotterranea non sia solamente frutto di un racconto fantasioso. Il ricercatore Antonio Filangeri ha verificato le credenziali di Karl Brugger direttamente dal fratello Benno nel corso di un suo viaggio a Monaco negli anni ’50, ottenendo nuove informazioni. Benno rivelò che dopo la morte di Karl, colpito in circostanze misteriose da una pallottola nel 1984, il Consolato Tedesco aveva perquisito l’appartamento di Karl a Rio de Janeiro, confiscando tutta la documentazione relativa alla spedizione di Akakor. In seguito, le casse con gli incartamenti furono oggetto di diversi tentativi di furto. Inspiegabilmente, il console di Rio venne trasferito in Costa d’Avorio con i documenti al seguito. Parte del materiale scomparve poi quando giunse in Germania su richiesta di Benno. Un alone di mistero sembrava aleggiare intorno ad Akakor. Quando Tatunca Nara avviò delle trattative con alti ufficiali bianchi per fermare lo sterminio indiscriminato degli indios, che prosegue tuttora indisturbato da parte delle autorità, ebbe modo di affidare alcuni scritti degli dèi al vescovo M. Grotti che dopo aver spedito i documenti in Vaticano, perì in un incidente aereo. Coincidenze?
Tatunca Nara è profondamente disgustato dalla civiltà dei barbari bianchi, con le loro feroci contraddizioni, e afferma con orgoglio: “Ma noi siamo uomini liberi del Sole e della Luce. Noi non vogliamo gravare il nostro cuore del peso della loro fede errata e bugiarda”. Con pazienza attende il ritorno degli dèi. O forse gli dèi, nascosti ad Akakor, attendono con pazienza che gli uomini tornino a loro stessi.

Approfondimento

La ricerca di un’antica civiltà scomparsa, le cui rovine colossali giacciono sepolte sotto le foreste del Sudamerica, è stato il sogno di numerosi avventurieri nel corso delle varie epoche. Già nel 1530 l’ufficiale di Pizzarro, Francisco Orellana, favoleggiava di un reame pieno d’oro tra il Rio delle Amazzoni e il fiume Orinoco. I Gesuiti sono in possesso di antichi scritti di viaggio relativi a un antica popolazione che dimora in una città maestosa nella giungla brasiliana. Un gruppo di sette uomini, guidato da Hamilton Rice, si spinse nella Sierra Parima, tra il Venezuela e il Brasile nel 1925 alla scoperta di Ma-Noa, la capitale del leggendario El Dorado. Curiosamente il nome ricorda Manu, una delle città costruite da Lhasa.
La documentazione più importante riguardo l’esistenza di scomparse civilizzazioni antecedenti a quelle conosciute proviene del colonnello Percy Harrison Fawcett, cartografo della National Geografic Society. In Sudamerica si dedicò alla consultzione del Manoscritto dei Bandeirantes, della prima metà del 1700, al Museo dell’Indio di Rio, che descriveva l’esplorazione delle foreste amazzoniche da parte di un gruppo di venti uomini e la scoperta di una metropoli di pietra deserta dalle mura gigantesche. Organizzata una spedizione del 1925 in Mato Grosso, si inoltrò con il figlio Jack lungo il Rio Araguaia, entrando in contatto con varie tribù di indios che conservavano nelle loro tradizioni il ricordo di una provenienza stellare. Proprio quando sembrava aver raggiunto le vestigia di remote città illuminate da luci fredde, scomparve misteriosamente in estate nell’alto Rio Xingu. Nel 1946 è la volta di Leonard Clark, che in un resoconto di viaggio, divenuto poi un libro dal titolo I fiumi scendevano a Oriente (Tea, 2000), narra il ritrovamento di sei delle sette città dell’El Dorado nelle Ande Peruviane. Undici anni dopo Antonio Filangieri stimolato dai racconti del colonnello Fawcett ricalcò lo stesso itinerario e constatato che molti luoghi collimavano, partì per un secondo viaggio, in modo da verificarne le scoperte archeologiche e raccogliere informazioni sulla sua scomparsa, viaggio da cui dovette desistere, come egli stesso riferisce, “per drammatici eventi sopraggiunti”. L’archeologo brasiliano Roldao Pires Brandao individuò una montagna tra il Brasile e il Venezuela, il Pico De La Neblina, nel 1975 e quattro anni dopo, nello stesso posto, tre piramidi di 150 metri accanto a un complesso urbano nascosto dalla foresta.
Ai giorni nostri il ricercatore Marco Zagni, si è assunto il compito di svelare l’esistenza di scomparse civiltà preincaiche, organizzando una spedizione in Perù, nelle zone di Pantiacolla, del fiume Pini Pini e di Pusharo, dove, in base alle testimonianze di una spedizione francese smarritasi nel 1979, esisterebbero indios di due metri, strane formazioni piramidali, fotografate dal satellite LandSat, e i “Soccabones”, fitta rete di cavità sotterranee. Anche gli archeologi sono propensi nel riconoscere che tra il 6.000 e il 4.000 a.C. sia fiorita una “Civiltà Amazzonica” dei “Mogulalas”, formata da numerose città-stato, che si estendeva dal Venezuela alle Ande peruviane. Una conferma esoterica giunge anche dal libro di Leo e Viola Goldman, I Misteri del Tempio (Edizioni Synthesis, 1998), il cammino iniziatico di una donna nella città nascosta di Ibez, all’interno della montagna sacra del Roncador in Mato Grosso, popolata da Maestri divini che, scampati alla distruzione di Atlantide con i vimana, crearono le civiltà inca, maya e atzeca.
 Karl Brugger, Cronaca di AkakorMito e saga di un antico popolo dell’Amazzonia (Die Chronik von Akakor)

lunedì 23 febbraio 2015

Vera smorfia napoletana. - Francesco Materdomini




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Il maltolo fa "suicidare" il cancro.


Il maltolo può avere una funzione antitumorale aiutando a costruire classi di molecole che spingono al "suicidio" le cellule malate. A individuare l'attività anticancro di questa sostanza naturale contenuta nel malto, nella cicoria, nel cocco e nel caffè, due team di ricerca dell'Università degli Studi di Urbino "Carlo Bo". La scoperta è stata pubblicata sul British Journal of Cancer e sul Journal of Organic Chemistry.
Una sostanza innocua - Mirco Fanelli e Vieri Fusi, a capo dei gruppi di ricerca che hanno collaborato allo studio, hanno spiegato che il maltolo è una molecola innocua, utilizzata a volte come additivo alimentare per il suo aroma e le sue proprietà antiossidanti, ma se opportunamente modificata può dare origine a nuove molecole con interessanti proprietà biologiche.

Test di laboratorio - Due molecole rappresentative di questa classe di composti sono state sintetizzate e caratterizzate nella loro capacità di indurre alterazioni della cromatina e, quindi, di condurre le cellule a rispondere in termini biologici.

Questa classe di composti ha proprietà chimico-fisiche che le rendono capaci sia di raggiungere l'interno della cellula che di esplicare le loro funzioni nel nucleo, dove risiede il nostro genoma (e dunque la cromatina). Fanelli e Fusi hanno dimostrato che alcuni modelli neoplastici (colture cellulari in vitro) sono sensibili ai trattamenti con le due molecole (denominate malten e maltonis). 

Le cellule, in risposta ai trattamenti, alterano dapprima la loro capacità di replicare e, successivamente, inducono un importante processo biologico che le conduce a un vero e proprio suicidio, una morte cellulare programmata. Ora la ricerca proseguirà su modelli tumorali in vivo.

Sla, identificato nuovo gene associato alla malattie.

Risultati immagini per sla

Sembra che la sua mutazione mandi in tilt la proteina “spazzina” che tiene puliti i neuroni del movimento.

Nella rete dei cacciatori di geni associati alla sclerosi laterale amiotrofica finisce una nuova preda: si chiama TBK1 e si pensa che la sua proteina sia coinvolta nei meccanismi “spazzini” che hanno il compito, quando funzionano, di ripulire i neuroni del movimento da eventuali danni.   
La scoperta è frutto di uno studio multicentrico internazionale pubblicato su Science, al quale hanno partecipato anche due neurologi e ricercatori italiani: Vincenzo Silani e Nicola Ticozzi dell’Irccs Istituto auxologico italiano-Centro “Dino Ferrari” dell’università degli Studi di Milano, che hanno coordinato il Consorzio Slagen formato da 6 centri di ricerca nazionali impegnati nella guerra alla Sla.   
«La Sla, di cui negli ultimi anni si è tanto discusso per le sue relazioni con il gioco del calcio - ricorda Silani - e più recentemente per l’Ice Bucket Challenge» e i suoi gavettoni ghiacciati pro-ricerca, «è una malattia neurodegenerativa che colpisce i motoneuroni (le cellule del sistema nervoso che comandano i muscoli), determinando una paralisi progressiva di tutta la muscolatura. La malattia è letale in 3-5 anni e, a tutt’oggi, non esiste terapia efficace. L’attuale mancanza di farmaci in grado di curare la Sla è in gran parte una diretta conseguenza delle scarse conoscenze circa le cause e i meccanismi che determinano la malattia. Negli ultimi anni gli studi sulla genetica della Sla hanno iniziato a far luce su questi meccanismi, consentendo la creazione in laboratorio di nuovi modelli di malattia, fondamentali per lo studio di nuove molecole e farmaci».   
Nel nuovo studio i ricercatori hanno confrontato il genoma di 2.874 pazienti Sla con 6.405 persone sane e hanno identificato un eccesso di mutazioni nel gene TBK1, codificante per la proteina TANK-binding kinase 1.   
«Sebbene l’esatto ruolo biologico della proteina non sia pienamente compreso - precisa Silani - si ritiene che TBK1 sia coinvolta, assieme ad altri geni associati alla Sla, nei processi di autofagia, cioè quei meccanismi con cui i motoneuroni sono in grado di eliminare i componenti cellulari danneggiati. Si ritiene che l’alterazione di questi meccanismi determini un progressivo accumulo di proteine anomale all’interno delle cellule, portandole a morte. La scoperta delle mutazioni in TBK1 suggerisce quindi che alterazioni nei processi di autofagia e degradazione proteica possano essere determinanti nel causare la Sla. Sarà dunque di estremo interesse studiare questo nuovo meccanismo patogenetico nell’obiettivo di sviluppare terapie neuroprotettive efficaci».   
Nonostante i progressi degli ultimi anni, avvertono gli esperti, rimane ancora molto da fare per identificare completamente i fattori di rischio genetici associati alla Sla. Per questo i ricercatori del consorzio Slagen, diretto Silani, sono impegnati da anni in progetti di ricerca con l’obiettivo di sequenziare il genoma di tutti i pazienti italiani affetti da Sla, così da individuare nuovi geni e nuovi meccanismi patogenetici indispensabili per capire le cause della malattia. Per il momento TBK1 va ad aggiungersi alla lunga lista di geni scoperti anche grazie al contributo del Consorzio italiano Slagen, nato nel 2010.