giovedì 4 febbraio 2016

Il pericoloso declino del ceto medio. - Carlo Carboni




Nella letteratura socioeconomica internazionale si è ormai diffuso lo scenario di declino/crisi dei ceti medi nel Primo Mondo: un bel guaio dato che, da Aristotele in poi, si è condivisa l’idea che «la comunità politica migliore è formata dai cittadini delle classi medie. Il declino e poi l’aperta crisi hanno conosciuto tempi diversi tra i paesi. 
Negli Usa i mr. Smith sono già sottopressione dagli anni Novanta, tanto che Krugman, nel 2003, scrisse “Requiem per la gloriosa classe media”. 

Cosa era successo? Fondamentalmente che le nuove tecnologie labour saving della new economy avevano iniziato a erodere non solo i posti e le retribuzioni dei blue collar workers, ma anche quelli dei white collars durante il take off della nuova economia. 

Si trattava di classe medie inferiori, ma sempre ceto medio era. 

Al contrario di mr. Smith, il sig. Rossi d'Europa ha conosciuto un processo che è andato più a rilento e ha iniziato a barcollare seriamente (dopo più di un decennio rispetto agli Usa) con la crisi economico finanziaria, con la riduzione dei privilegi per chi dispone di una solida attività lavorativa Gli arretramenti dei welfare e le politiche austere di bilancio, più che la computerizzazione traversale dei settori occupazionali, sono cause delle penalizzazioni subite dai ceti medi europei e, in particolare, dallo strato inferiore di lavoro dipendente e indipendente. 
A esempio, in Italia il Sig Rossi ha visto diminuire l'occupazione dipendente, perdere e poi stagnare le retribuzioni e, infine, la pesante revisione delle pensioni. Anche il sig. Rossi microimprenditore (l'Italia ha un vasto ceto medio produttivo autonomo) è stato fortemente colpito dalla crisi dei consumi e del credito. A conti fatti, i ceti medi europei per ora hanno perso meno di quelli statunitensi, ma il futuro è più impervio visto il vantaggio tecnologico indiscusso degli Usa (occupazione in nuovi settori).

Il declino/crisi dei ceti medi procede pari passo non solo con l'automazione, con l'intelligenza artificiale o con la globalizzazione dei mercati del lavoro, ma anche con l'aumento delle disuguaglianze: più forte è la disuguaglianza, maggiore è la distanza tra upper middle class e la lower middle. Questo si è verificato negli States ben prima della crisi, a causa di un'intensa innovazione tecnologica (connessione e automazione) e un mercato del lavoro che risentiva del clima globale. In Europa la disuguaglianza ha invece conosciuto un aumento solo dal 2008: non ha solo ridotto di un 4-10% l'incidenza delle famiglie di ceto medio negli anni di crisi, ma ha rispecchiato dinamiche retributive stagnanti. In questo scenario, il crollo della percezione delle famiglie di appartenere ai ceti medi (meno 20-30%) dipinge uno stato d'animo peggiore di quel dovrebbe essere.

A dare pensiero, non c'è, dunque, solo la faglia della disuguaglianza socio-economica che spacca a metà i ceti medi, ma c'è anche una percezione di appartenenza - termometro dell'emotività sociale - che indica delusione. Ingannati nelle tradizionali speranze, i ceti medi di oggi hanno più difficoltà forse a sbarazzarsi del proprio glorioso fantasma che a risolvere il loro status di reale deprivazione. Quello che prima andava bene per quel lavoro routinario nella società tecnologica non va più bene: un guaio quasi esistenziale, irreversibile, che non puoi certo tamponare con gli 80 euro o con l'abolizione dell'IMU. Anche perché si aggiunge ad altri guai che il Sig. Rossi ha attraversato con il sistema creditizio prima nella veste di microimprenditore in sofferenza e, poi, come piccolo risparmiatore punito dalla privatizzazione del rischio bancario. Delusi dalla scuola e dall'università che a stento “fanno la differenza” sul mercato del lavoro per i propri figli, i ceti medi, soprattutto nell'Europa meridionale, si sono spinti fino a scaricare i loro umori in piccoli terremoti elettorali, dando nuova linfa all'astensione e all'indignazione, a un certo orientamento ambivalente che premia il radicalismo sia di esperienze come Podemos in Spagna e il M5S in Italia sia di partiti nazionalpopulisti.

Non c'è dubbio che, con la crisi, sia andata peggio agli strati già in precedenza a disagio o ai nuovi esclusi, i giovani. Sta di fatto che i ceti medi hanno le loro melanconiche sofferenze e le loro delusioni da deprivazione. Continuare a ingoiarle produrrebbe risentimento e comportamenti cinici. Sarebbe un guaio per tutti.

http://www.ilsole24ore.com/art/commenti-e-idee/2016-02-02/il-pericoloso-declino-ceto-medio-081908.shtml?uuid=AC5uytLC

Banca Etruria, 25 mila conti sospetti: l'ombra del riciclaggio. - Antonio Castro

Banca Etruria, 25 mila conti sospetti: l'ombra del riciclaggio


Spuntano 25mila conti fantasma - e l' inquietante prospettiva di utilizzare la banca in difficoltà per favorire il riciclaggio - nella vicenda della Banca Etruria. 

L' inchiesta conclusa nel dicembre 2014 degli ispettori della Banca d' Italia - come riporta Il Sole 24 Ore di ieri - spalanca nuovi scenari in una vicenda già complicata dove ora, all' ipotesi che la Procura di Arezzo possa aprire un' inchiesta per truffa aggravata, si aggiunge anche la possibilità che si proceda ad approfondire il «rischio riciclaggio», come suggeriscono nella relazione finale gli ispettori di Via Nazionale.

Gli 007 di Palazzo Koch nella relazione ispettiva finale del 2014 (che porterà nel febbraio 2015 proprio al commissariamento dell' istituto di credito toscano), scrivono chiaramente che «ci sono conti correnti con titolari incerti o inesistenti, o senza adeguate verifiche». Il verbale ispettivo fa i conti di questa "opacità" e mette nero su bianco che «a dicembre 2014 permangono ancora circa 25mila rapporti da regolarizzare (di cui 5mila conti correnti e 5mila dossier titoli), sui quali sono state effettuate, nel secondo semestre 2014, circa 1.200 forzature con 360 operazioni di importo superiore a mille euro».

La normativa sulle movimentazioni bancarie - proprio in chiave antiriciclaggio e antievasione - giusto negli anni precedenti (governo Monti), è diventata sempre più stringente. Le movimentazioni consistenti e sospette vengono monitorate costantemente, così come la risultanza anagrafica dei titolari e degli intestatari dei conti.  Il problema è che secondo gli ispettori in BancEtruria se ne sarebbero infischiati. Tanto che le operazioni "sospette" saltano all' occhio e neppure gli ispettori riescono a capire da dove arrivino i contanti sul alcuni di questi 20mila conti fantasma.  Sarà pure un certo lassismo di provincia, dove procedure e verifiche lasciano il passo alle conoscenze personali e di famiglia, però gli uomini di Visco scrivono chiaramente che «non sempre è corretto l' utilizzo della forma semplificata di verifica... anche l' individuazione del titolare effettivo presenta anomalie: a dicembre scorso i rapporti continuativi per i quali il titolare effettivo è stato dichiarato inesistente ammontano a più di 20mila; peraltro da un esame campionario su circa 700 posizioni è emerso che nel 20% dei casi tale condizione era errata».

Non proprio la migliore delle premesse per la famigerata trasparenza bancaria tanto ventilata quanto - nei fatti - poco attuata.
Che gli uomini di via Nazionale abbiano scovato ben 25mila conti fantasma in BancEtruria - e migliaia di operazioni sospette - fa sorgere il dubbio che qualcuno, allentando dall' interno la griglia dei controlli obbligatori, possa aver favorito l' ingresso di clienti non proprio immacolati al fine di racimolare capitali anche in ambienti non proprio raccomandabili.
Non sarebbe la prima (e certamente non sarà l' ultima), che associazioni malavitose scelgono un piccolo istituto di credito di provincia e fuori dai circuiti più alla ribalta, per sciacquare i soldi sporchi. Sembra un giallo di provincia ma il sospetto è legittimo, e robusto se ha attirato anche l' attenzione dell' Ispettivo di Bankitalia.

Certo tra il 2013 e il 2014 le cose in banca non vanno benissimo. Tanto che (con in pancia oltre 2 miliardi di crediti deteriorati e 8 miliardi in titoli di Stato per mascherare i problemi), la dirigenza della banca toscana decide di spendere e spandere per premiare i dipendenti che collocano più titoli e pagare consulenze. Per una banca già in difficoltà, con gli ispettori ormai di casa da anni, è un po' bizzarro che vengano deliberati (il 27 settembre 2013) premi ai dipendenti per oltre 2 milioni. Nella relazione ispettiva 2014 di Bankitalia si parla di «2,1 milioni di premi per il conseguimento di importanti traguardi». Di quali importanti traguardi non si parla.
Insomma, non c' è un collegamento diretto con vendita di obbligazioni subordinate allo sportello, che soprattutto «nell' ultima tranche furono emesse però proprio nel 2013», ricorda sempre il quotidiano di Confindustria.

È proprio per le «carenze di governo, gestione e controllo dei rischi e connessi riflessi sulla situazione patrimoniale» è la «politica di remunerazione e incentivazione nelle banche e nei gruppi bancari», che 15 ex membri dell' ultimo cda della banca aretina, presieduto da Lorenzo Rosi, potrebbero essere sanzionati. E tra tra questi c' è anche il vicepresidente Pierluigi Boschi, padre della ministra Maria Elena Boschi. Pierluigi Boschi già nel 2012 (come gli altri consiglieri) fu sanzionato con 144mila euro di multa. Ora - dopo aver assunto il ruolo di vicepresidente - Boschi padre rischia una seconda e forse più pesante sanzione che, secondo indiscrezioni, potrebbe ammontare per i 15 consiglieri a 2,5 milioni (come la prima comminata nel 2012).

LA PASSIONE DI RENZI PER I BANCHIERI.



GLI ESPERTI DI PALAZZO CHIGI HANNO LAVORATO DI FINO: NEL DECRETO LEGISLATIVO CHE HA INIZIATO L’ITER ALLA CAMERA ARRIVA IL CODICILLO CHE AZZERA LE MULTE PER I BANCHIERI CHE AGGIRANO LE NORME SU RISPARMI E INVESTIMENTI: DOVRANNO SOLO SCUSARSI IN PUBBLICO.

Nel primo provvedimento salva banchieri, che aveva come beneficiario d’eccezione Pier Luigi Boschi, erano state azzerate azioni e obbligazioni subordinate dei quattro istituti sull’orlo del crac: il via libera alla «rivalsa» è stato infatti vincolato all’ok di Bankitalia. Non proprio un cavillo né tantomeno un banale dettaglio procedurale… 

L’ultimo favore del governo alle banche - anzi: in questo caso direttamente ai banchieri - è nascosto tra le pieghe di un decreto legislativo che ieri ha iniziato l’iter parlamentare, alla Camera. Poche righe micidiali, che di fatto sterilizzano le multe per chi aggira le norme su risparmi e investimenti: gli esperti di palazzo Chigi hanno lavorato di fino. Si tratta di una sorta di doppio scudo per i manager degli istituti: ampi poteri discrezionali a Consob e Banca d’Italia nell’accertare le responsabilità dei banchieri; sanzioni pecuniarie sostituite da sostanziali (e ridicole) scuse in pubblico.

Come se non fosse bastato il primo provvedimento salva banchieri, che aveva come beneficiario d’eccezione Pier Luigi Boschi, padre del ministro Maria Elena Boschi ed ex vicepresidente di PopEtruria, una delle quattro banche «risolte » col decreto del 22 novembre scorso. Proprio in quel provvedimento - lo stesso che ha azzerato azioni e obbligazioni subordinate dei quattro istituti sull’orlo del crac - era contenuta una limitazione all’azione dei creditori sociali contro gli ex manager: il via libera alla «rivalsa» è stato infatti vincolato all’ok di Bankitalia. Non proprio un cavillo né tantomeno un banale dettaglio procedurale. Ma tant’è. 

pier luigi boschi  renzi boschi

A distanza di un paio di mesi, ecco un altro clamoroso blitz. Quasi a completare il cerchio e in qualche modo ad assicurare la massima protezione ai banchieri - o, nei casi peggiori, il danno minore - adesso arriva un colpo di spugna sulle multe.

Doppio, dicevamo. Il primo riguarda una serie di violazioni relative alle norme finanziarie e ai servizi di investimento: la norma del governo stabilisce che quando le violazioni sono «connotate da scorsa offensività o pericolosità e l’infrazione contestata sia cessata, Banca d’Italia o Consob, secondo le rispettive competenze, possono applicare, in alternativa alle sanzioni amministrative pecuniarie, una sanzione consistente nella dichiarazione pubblica avente a oggetto la violazione commessa e il soggetto responsabile».

Della serie: ti becco, ma la multa la straccio e se compri uno spazietto su un giornale, dichiarandoti responsabile, e chiedi in qualche modo scusa ai risparmiatori eventualmente traditi, la faccenda è chiusa. Il secondo scudo, come accennato, amplia il raggio d’azione di Consob e Bankitalia, cioè le due autorità competenti in campo finanziario. 

La relazione spiega di che il decreto aggiunge «la valutazione dell’elemento soggettivo del trasgressore» e assegna «all’autorità di vigilanza» il compito» di apprezzare il grado della colpa».Nel dettaglio, il governo vuole che siano le authority a decidere se un banchiere che ha calpestato le regole - a esempio quelle sulla trasparenza,magari truffando migliaia di consumatori - abbia agito solo con colpa o anche con dolo, ipotesi più grave.

Una scelta, quella dell’esecutivo, che attribuisce un enorme prerogativa ai due enti guidati rispettivamente da Giuseppe Vegas e Ignazio Visco. Fatto sta che il decreto delegato prosegue il suo percorso: Camera e Senato devono pronunciarsi per il prescritto parere entro 60 giorni, poi il testo tornerà a palazzo Chigi per il semaforo verde definitivo. Il parere delle commissioni parlamentari non è vincolante, ma non tutti sono disposti a far passare questa norma in silenzio.

ignazio visco  giuseppe vegas

Il doppio scudo, in particolare, è finito sotto la lente di Alternativa Libera -Possibile,pronta a dare battaglia. «Anziché pensare a risolvere i problemi dei banchieri - denunciano i deputati Marco Baldassarre e Andrea Maestri - il governo pensi a inasprire le sanzioni contro chi non rispetta la legge e acceleri i risarcimenti in favore dei risparmiatori danneggiati dai fallimenti bancari». Chi saranno i primi a beneficiare dello scudo? Senza dubbio i vecchi amministratori di Banca Marche, Chieti, Carife e PopEtruria faranno esaminare con attenzione, ai loro avvocati, le carte del governo. 

http://www.dagospia.com/rubrica-3/politica/passione-renzi-banchieri-esperti-palazzo-chigi-hanno-117806.htm

I soldi dei conti vip? All'ultimo... Banca Etruria, il terribile sospetto.

Quel suicidio sospetto a Banca Etruria: l'ombra nera sull'istituto nel mirino

Perché poche settimane prima del decreto salvabanche molti conti correnti di Banca Etruria sono stati svuotati? Il sospetto dei magistrati, riporta il Corriere della Sera, è che qualcuno possa aver messo in allarme alcuni clienti vip che altrimenti avrebbero perso i propri risparmi e stanno quindi cercando di risalire all'identità dei titolari per verificare se siano stati in qualche modo favoriti. 

Il sospetto è emerso dopo la relazione del commissario liquidatore Giuseppe Santoni che lunedì parlerà al tribunale di Arezzo. Si tratta del passo preliminare per ipotizzare il reato di bancarotta fraudolenta contro il presidente Lorenzo Rosi e i suoi vice Alfredo Berni e Pierluigi Boschipadre del ministro delle Riforme Maria Elena, oltre ai componenti del Consiglio di amministrazione. Si legge: "La situazione di liquidità si presenta assai critica, atteso che secondo quanto emerge dalle informazioni dei commissari straordinari, le riserve liquide sono inadeguate, per effetto dei deflussi dei fondi che hanno interessato la banca. In particolare il saldo netto di liquidità alla data del 18 novembre scorso pari a 335 milioni, il 4,6 per cento del totale attivo, è diminuito di euro 288 milioni da inizio ottobre. La situazione è fortemente aggravata dall'elevato grado di concentrazione della raccolta, che espone la banca al rischio del ritiro dei depositi anche di singoli depositanti (i primi 16 clienti detengono circa il 16 per cento)".

mercoledì 3 febbraio 2016

I Boschi hanno venduto le proprie azioni prima del crac di Banca Etruria.

I Boschi hanno venduto le proprie azioni prima del crac di Banca Etruria


Le cifre le ha fornite a memoria, senza nemmeno leggere gli appunti che si era preparata la notte prima, la stessa Maria Elena Boschi il giorno in cui si è difesa alla Camera dalla mozione di sfiducia presentata su Bancopoli dal Movimento 5 stelle. «Come è noto», ha spiegato il ministro dei Rapporti con il Parlamento, «io posseggo, o sarebbe meglio dire possedevo, 1.557 azioni di Banca Etruria che ho acquistato. Mio padre possiede, o meglio possedeva, 7.550 azioni di Banca Etruria, mia madre 2.013, mio fratello Emanuele 1.847 e mio fratello Pierfrancesco 347».

Titoli schizzati a +60% dopo la decisione del governo di trasformare l’istituto in una Spa

In quel discorso – si legge su “Libero” – c’era di sicuro un passaggio non corrispondente alla verità: la legge non consentiva a nessun membro della famiglia Boschi di nascondere le informazioni su quelle azioni. Non perché familiari di un membro del governo (lì possono invocare la legge sulla privacy), ma perché componenti il nucleo familiare di un «soggetto che svolge funzioni di amministrazione, di controllo o di direzione in un emittente quotato». Quindi quelle azioni non avrebbe dovuto rivelarle la Boschi in aula solo una volta messa spalle al muro sullo scandalo. Ma era obbligatorio rendere pubblico ogni acquisto e ogni vendita compiuto fra il 2011 quando papà Boschi è entrato nel consiglio di amministrazione della Banca popolare dell’Etruria.

In 15 giorni il titolo dell’Etruria mise a segno un rialzo record del 68%

Il momento della vendita di quelle azioni non è indifferente, al di là del fatto che nessuno può essere diventato ricco con quello. Ma in quel periodo ci sono stati due rialzi extra dei titoli. Il primo in seguito alla presentazione di un’offerta pubblica di acquisto dell’Etruria ufficializzato dalla Banca popolare di Vicenza a un euro per azione. Fu proprio il cda di cui Boschi era vicepresidente a respingere quella proposta senza mai motivarne le ragioni, e senza convocare una assemblea degli azionisti per fare approvare la decisione. Il titolo crollò. Si è poi ripreso solo nella seconda metà di gennaio 2015 proprio grazie alle prime voci sul decreto Renzi che trasformava in società per azioni le banche popolari. In 15 giorni il titolo dell’Etruria mise a segno un rialzo record del 68%, doppio a quello registrato dalla migliore delle altre banche popolari coinvolte.

Ryanair contro il Governo: "Scelte illogiche, costretti a tagliare 600 posti di lavoro per pagare la cassa integrazione di Alitalia"

RYANAIR

Ryanair chiuderà da ottobre le basi di Alghero e Pescara, taglierà alcune rotte e chiuderà tutti i voli di Crotone. Lo ha annunciato la compagnia spiegando che la decisione è presa "a seguito dell'illogica decisione del governo italiano di aumentare ancora le tasse municipali". Con questa decisione, è stato spiegato durante una conferenza stampa, vengono chiuse 16 rotte, persi 800 mila clienti e tagliati 600 posti di lavoro.
"Dopo un anno da record per il turismo in Europa e un altro anno importante davanti - sono parole del direttore commerciale dell'aviolinea low cost irlandese, David O'Brien - il governo italiano ha deciso di darsi la zappa sui piedi aumentando le tasse sui passeggeri di circa il 40% per gonfiare il Fondo per la cassa integrazione degli ex piloti Alitalia. Quale compagnia aerea più grande in Italia, volando su 26 aeroporti e trasportando 27 milioni di clienti all'anno da e per l'Italia - ha aggiunto - a Ryanair non è stata lasciata altra scelta se non quella di chiudere due delle sue 15 basi italiane (Alghero e Pescara) e spostare i suoi aeromobili, piloti ed equipaggi verso Paesi con costi più bassi per il turismo. Interromperemo anche tutti i nostri voli all'aeroporto di Crotone e saremo costretti ad effettuare ulteriori tagli alle rotte sui nostri aeroporti regionali italiani".
"Il Governo italiano ha aumentato di 2,50 euro la tassa municipale senza preavviso e senza giustificazione dal primo gennaio per sussidiare il fondo per la cassa integrazione degli ex piloti Alitalia", ha spiegato O'Brien, definendo questa una "cattiva notizia per gli aeroporti regionali: il Piano di Alitalia-Etihad di distruggere gli aeroporti regionali sta funzionando". "Il nostro non è un attacco diretto ad Alitalia - ha però puntualizzato O'Brien - riteniamo che non ci sia ragione d'essere di questa tassa".
"Questo aumento della tassa - ha detto ancora - danneggerà seriamente il turismo italiano, particolarmente negli aeroporti regionali dove la Ryanair porta milioni di visitatori ogni anno, contribuendo all'economia locale per milioni di euro attraverso turisti che spendono molto, supportando migliaia di posti di lavoro". Ricordando poi che in questo momento la disoccupazione giovanile supera il 40% e "il turismo è uno dei pochi settori che può stimolare la rapida creazione di posti di lavoro per i giovani delle regioni d'Italia", O'Brien ha fatto presente che "l'Italia si è resa poco competitiva e meno attrattiva per le compagnie aeree ed i turisti e poichè sempre più clienti evitano quest'anno il Medio Oriente ed il nord Africa per prenotare vacanze nel Mediterraneo, l'Italia consegnerà una opportunità d'oro di crescita ad altre destinazioni in spagna, Portogallo e Grecia che hanno minori costi per il turismo".
A fronte di tale analisi, Ryanair "rivolge un appello al governo italiano affinchè elimini questo dannoso aumento della tassa", richiedendo un urgente incontro con l'esecutivo proprio per "salvare il turismo, il traffico e i posti di lavoro in Italia".
Riguardo al potenziamento delle rotte sulla capitale, la low cost irlandese ha annunciato quattro nuove rotte per Lanzarote, Norimberga, Praga e Sofia e nuovi collegamenti invernali per Alicante, East Midlands, Malaga e Trapani e più voli per Atene, Bari, Berlino, Bruxelles, Budapest, Edimburgo e Manchester che "permetteranno - secondo una nota dell'aviolinea - di trasportare oltre 9 milioni di clienti all'anno e sosterranno 6.900 posti di lavoro presso gli aeroporti romani di Ciampino e Fiumicino".

Pd Sicilia, tesseramento targato Cuffaro. In Sicilia il Pd cambia pelle. Gli uomini dell'ex governatore si iscrivono in massa con la regia di Faraone.

SICILIA

L’ultimo sfregio è accaduto ieri, giorno in cui si è chiuso il tesseramento del Pd in Sicilia. Dalla piccola sezione di Realmonte, in provincia di Agrigento, è arrivata alla federazione di Palermo l’amara telefonata di un vecchio compagno: “Quelli che stavano con Cuffaro ci stanno sfrattando, si sono tesserati in massa col Pd. Si iscrivono come fanno loro, pacchetti di tessere e moduli fotocopiati. Fate qualcosa: compagni come me hanno paura per questo andazzo, se ne vanno”.
Agrigento e la sua provincia sono la culla del cuffarismo, dal nome dell’ex governatore della Sicilia che ha appena finito di scontare una condanna per favoreggiamento aggravato a Cosa nostra. I cuffariani sono stati berlusconiani, centristi, si sono contaminati e riciclati per lustri pur di stare al governo dell’Isola. Ora aderiscono in massa al Pd di Matteo Renzi, con la regia di Davide Faraone, il potente sottosegretario che prepara così la sua candidatura al dopo Crocetta. Fu proprio Faraone ad annunciare trionfante l’adesione di Michele Catanzaro, delfino agrigentino di Cuffaro, all’associazione renziana Big Bang: “È con immenso piacere – dichiarò Faraone - che comunichiamo l’adesione al movimento Big Bang del giovane Michele Catanzaro, del suo gruppo politico e di quei rappresentanti delle istituzioni locali che a loro si ispirano”.
Il “gruppo politico” è quello che si precipitò sotto Palazzo D’Orleans quando Totò vasa vasa fu condannato, per un caloroso abbraccio di solidarietà: “Abbiamo voluto testimoniare la nostra vicinanza al Presidente” disse l’allora segretario del gruppo universitario Udc, Michele Catanzaro. Oggi il giovane delfino è un politico consumato. Ha orchestrato l’operazione tesseramento ad Agrigento, ha coinvolto mondi estranei alla sinistra diventando incontrastato dominus renziano della Valle dei Templi, soprattutto dopo l’incidente in cui è incappato Marco Zambuto, costretto alle dimissioni da presidente (in quota Pd) dell’Assemblea regionale dopo che andò a trovare Berlusconi ad Arcore. Zambuto, altro enfant prodige del cuffarismo fu eletto sindaco di Agrigento nel 2007 col centrosinistra. Dopo un anno entrò nel Pdl di Berlusconi per poi tornare nel Pd renziano come colonnello di Faraone, una volta capito che nell’Isola era sinonimo di restaurazione più che di rottamazione.
Il vecchio compagno di Realmonte, dietro garanzia di anonimato, spiega: “A me questi fanno paura, li abbiamo combattuti una vita. Ora vengono come padroni a casa nostra e dicono: noi non siamo cambiati, è il Pd che con Renzi è cambiato”. Il tesseramento è appena concluso ma al “regionale” sono state già segnalate parecchie anomalie. Cerchiate in rosso pure le zone del catanese, come Bronte e Paternò, dove l’assalto dei personaggi del precedente sistema è vissuto con preoccupazione anche nel mondo renziano. In più di una riunione il sindaco di Catania Enzo Bianco si è detto allarmato per quella che vede come una mutazione genetica del Pd. E ha trovato alleati, nell’opera di contrasto a Faraone, nell’assessore regionale Baldo Gucciardi e nel parlamentare Giovanni Burtone, un cattolico di sinistra stimato nel mondo renziano.
Proprio nella provincia di Catania sono stati molto attivi nel tesseramento i nuovi ras locali, transitati dal centrodestra al Pd già da mesi. Sono i parlamentari regionali del movimento politico Articolo 4, cui dedicò una trasmissione lo scorso autunno Riccardo Iacona, ricostruendo i loro legami col sistema di potere cuffariano. A partire da Valeria Sudano, eletta nel centrodestra e nipote del famoso macinapreferenze Mimmo Sudano. Presa diretta si soffermò proprio sui coi rapporti tra i Sudano e i Proto, il gruppo titolare dell’azienda Oikos che gestisce la discarica di Motta Sant’Anastasia, oggi commissariata dopo che Mimmo Proto è stato arrestato a seguito di un’indagine per corruzione. Alle telecamere di Iacona il patriarca della famiglia Proto, padre di Mimmo, disse candidamente: “Qui tutti vengono a chiedere soldi e posti di lavoro. Che ne sa lei?”. Il sistema di potere di Sudano e Proto per diversi lustri è stato il bersaglio della sinistra pre-Renzi. A benedire il loro ingresso nel Partito della Nazione c’erano invece da un lato Faraone dall’altro Lorenzo Guerini. Assieme alla Sudano sono entrati altri deputati regionali di quel territorio. Tra loro Luca Sammartino, eletto nell’Udc, che Faraone avrebbe voluto capogruppo del Pd all’assemblea regionale siciliana. E c’è Pippo Nicotra, sindaco democristiano di un comune, Aci Catena, poi sciolto per mafia, poi Nuovo Psi, Udc (con Cuffaro), Movimento delle autonomie nel 2006, poi Pdl, indagato per falso e tentata truffa: “Il nuovo si costruisce con l’esperienza” era il suo slogan ai tempi del cuffarismo trionfante, quando il suo faccione era sui manifesti dell’Udc.
A Trapani invece il tesseramento dirà che il Pd è stato conquistato dal gruppo di Paolo Ruggirello, il deputato regionale ex Udc che, dal suo feudo, negli anni ha stretto accordi prima con Raffaele Lombardo poi con Nello Musumeci. Mister 6.639 preferenze” ha avuto la benedizione di Faraone e Guerini. Rugirello non è indagato, ma il suo nome compare in diverso procedimenti giudiziari dai quali emerge il profilo del classico dominus meridionale del territorio, che governa ampi settori della società trapanese, dall’informazione alle imprese al volontariato. C’è dunque un intero mondo che si sta spostando e che ha colto l’occasione del tesseramento come un biglietto autostradale in direzione Pd. Al Nazareno, chi monitora, fa finta di non sapere perché in verità l’operazione è costruita a tavolino: “Più volte – sussurra una fonte del Nazareno – Renzi ha detto che vuole rivedere i regolamenti e che le primarie si fanno solo con gli iscritti. Lotti e Guerini in quest’ottica stanno facendo entrare tutti. Così Renzi ha una maggioranza schiacciante anche tra gli iscritti”.
Per favorire questa operazione a Palermo Faraone gioca in prima persona, con un asse di ferro con Totò Cardinale, già ministro dei governi di centrosinistra poi transitato in vari partiti. Di fatto messa ai margini la sinistra del parlamentare regionale Cracolici, fuori dagli incarichi di partito, in ingresso i mondi che avevano un punto di riferimento nell’ex deputato regionale Gaspare Vistrano, condannato a sette anni di reclusione in un processo per tangenti sul fotovoltaico. Dice una fonte del Pd palermitano: “I dati diranno che il Pd ha cambiato pelle, soprattutto nel Sud. Le polemiche che scatteranno poi sono un altro discorso. Ci raccontano episodi di gente che si va a iscrivere senza sapere il perché o di pacchetti di tessere acquisitati da un’unica carta di credito”. Fuori dall’elenco ci sono pure quelli che sono ancora formalmente di destra, ma in infinite dichiarazioni pubbliche lodano il “nuovo corso del Pd renziano”.