mercoledì 21 dicembre 2016

Un fiume di ferro incandescente nel cuore della Terra.

La costellazione di satelliti Swarm (fonte: ESA/ATG Media Lab)
La costellazione di satelliti Swarm (fonte: ESA/ATG Media Lab)


Scoperto dai satelliti europei Swarm


Un 'fiume' di ferro incandescente sta accelerando la sua corsa nel 'cuore' della Terra, nascosto da 3.000 chilometri di roccia sotto l'Alaska e la Siberia. Lo hanno scoperto i ricercatori dell'Università di Leeds grazie alle più accurata 'radiografia' del Pianeta mai ottenuta finora, prodotta dai satelliti Swarm dell'Agenzia spaziale europea (Esa) e pubblicata su Nature Geoscience. 

Il fiume invisibile
Il 'fiume invisibile', largo quasi 420 chilometri, altro non è che una forte corrente che scorre impetuosa nel nucleo esterno della Terra, ovvero lo strato di ferro fuso che si trova tra il nucleo interno solido e il mantello terrestre. Questa corrente ha triplicato la sua velocità dal 2000 ad oggi, e ora circola verso ovest a più di 40 chilometri all'anno, una velocità che è tre volte superiore a quella del nucleo esterno della Terra e addirittura centinaia di migliaia di volte superiore a quella con cui si muovono le placche della crosta terrestre. 

La missione Swarm
La scoperta è frutto della missione Swarm, una costellazione di tre satelliti identici lanciati nel novembre del 2013 per monitorare proprio il 'cuore' del Pianeta e le variazioni del campo magnetico terrestre. ''Dobbiamo aspettarci ulteriori sorprese'', afferma Rune Floberghagen, responsabile della missione Swarm. ''Il campo magnetico terrestre cambia continuamente e questo – conclude - potrebbe modificare la direzione della corrente individuata nel cuore terrestre''.


http://www.ansa.it/scienza/notizie/rubriche/terrapoli/2016/12/20/un-fiume-di-ferro-incandescente-nel-cuore-della-terra_06b5d7c0-e2eb-417b-b29e-764b60e7896d.html

martedì 20 dicembre 2016

Il ruolo degli Spetsnaz nella liberazione di Aleppo. - Valentin Vasilescu



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Liberando la strada del Castello a metà 2016, l’Esercito arabo siriano isolava 10000 terroristi nella parte orientale di Aleppo. Dopo cinque anni di guerra, l’Esercito arabo siriano sorprendeva per il livello di massima efficienza, accertata con l’operazione di liberazione della parte orientale di Aleppo. Alla base di questa efficienza c’è la notevole capacità di disorganizzazione dei gruppi mercenari islamisti guidati dalle forze per le operazioni speciali dell’esercito russo, Spetsnaz. Gli Spetsnaz sono alle dirette dipendenze del GRU, il Servizio d’Intelligence militare della Federazione Russa, con 13000 soldati. Solo il 25% della forza degli Spetsnaz, ovvero un reggimento (45.mo Paracadutisti), sette gruppi di truppe (Gruppi 2, 3, 10, 14, 16, 22 e 24) e quattro gruppi marittimi (420, 431, 442 e 561), sono autorizzati a condurre operazioni segrete lontano dalla Russia. Per agire in un ambiente ostile si richiede intelligenza, forza fisica e mentale, motivazione, capacità di lavoro di squadra e rapidità di decisione, l’Esercito russo ha selezionato un contingente di tre battaglioni di Spetsnaz per la Siria, autorizzato alle azioni segrete, e che conoscono lingua araba e costumi locali. Nel corso di un anno, un battaglione di Spetsnaz s’infiltrava gradualmente ad Aleppo, nelle aree controllate dai terroristi. Il battaglione di Spetsnaz è strutturato in 30 squadre Alfa, formate da 10 soldati ciascuna, dotati di apparecchiature di comunicazione delle dimensioni di un tablet che consente comunicazione a bassa voce e trasmissione di dati video e satellitari in banda X (da 7 a 11,2 GHz). Dispositivi simili esistono nel sistema russo di raccolta ed elaborazione delle informazioni C4I (comando, controllo, comunicazioni, computer, intelligence e interoperabilità), che i russi hanno creato in Siria. Le squadre Spetsnaz hanno anche dispositivi per la visione notturna, espositori, GPS, raggi laser e una moltitudine di sensori con cui controllano continuamente individui o gruppi di persone.
Le attività di ricerca con informatori (HUMINT) e mezzi tecnici (SIGINT IMINT, MASINT) dell’Esercito russo hanno portato alla conclusione che sponsor stranieri fornivano informazioni (anche con satelliti e droni da ricognizione) sui punti deboli del dispositivo dell’Esercito arabo siriano e dei relativi piani operativi, a soli 50 capi di gruppi islamisti ad Aleppo. Anche attraverso tali capi passavano le paghe per i mercenari, armi, munizioni e istruttori militari. Perciò i russi decisero di eliminarli. Solo il 10% dei terroristi ad Aleppo est è siriano, motivo per cui la popolazione di Aleppo non solo si rifiutava di collaborarvi ma cercava, per quanto possibile, d’informare l’Esercito arabo siriano. La realtà sul campo facilitava l’infiltrazione degli Spetsnaz e la loro ormai leggendaria presenza nei quartieri orientali di Aleppo, dove creavano rifugi, punti di osservazione e reclutavano gruppi di sostegno tra i civili. In pochi mesi, ogni squadra raccolse informazioni sulla posizione dei membri della direzione della struttura terroristica, abitudini e debolezze dei capigruppo islamisti nelle zone occupate. Con il pretesto di compare alimentari, alcuni membri della squadra Alfa degli Spetsnaz si offrirono volontari per scavare rifugi e tunnel per immagazzinare armi e munizioni dei terroristi. 
Con enormi quantità di euro e dollari, i membri delle squadre Alfa corruppero i terroristi di basso rango per avere i permessi di libero passaggio e lavorare nelle officine di riparazione e manutenzione di veicoli, blindati e apparecchiature di comunicazione. I terroristi dissero di aver moderni camioncini Toyota Tacoma fabbricati a San Antonio (Texas), il cui motore da 3,5 litri e 278 cavalli ha un microprocessore. Infine, per soldi, molti terroristi divennero informatori della squadra Alfa. In ogni squadra Alfa ci sono due specialisti di riparazione e gestione di ogni tipo di auto e blindato, e tre specialisti che operano, programmano e riparano apparecchiature di comunicazione (come l’impiego di dispositivi di localizzazione satellitare e di trasmissione). La squadra comprende anche tre cecchini che hanno la responsabilità di guidare gli attacchi aerei mediante comandi vocali, tracciamento o raggi laser sul bersaglio. Altri due membri della squadra fanno parte del genio, e sono specializzati in sistemi di camuffamento, trappole esplosive e sminamento. Tutti i membri di una squadra Alfa sono specializzati nell’uso di tutti i tipi di armi e sono addestrati nel pronto soccorso.
Questo spiega come pochi giorni prima dell’inizio dell’operazione per la liberazione di Aleppo est, condotto dall’Esercito arabo siriano, apparvero sulle reti sociali della cosiddetta opposizione siriana, resoconti sulla liquidazione di oltre 10 capi di gruppi islamisti, tutti eliminati con fucili di precisione di grosso calibro, da parte dei tiratori degli Spetsnaz posti a grande distanza dagli obiettivi. 
Altri otto capi terroristi furono eliminati da aerei russi mentre parlavano al cellulare o satellitare. I telefoni erano stati “lavorati” dalle squadre Alfa, in modo che i missili “intelligenti” puntassero sul segnale emesso. 12 altri capi islamisti furono eliminati dagli attacchi aerei ad auto o veicoli su cui viaggiavano ad Aleppo. Le squadre Alfa degli Spetsnaz piazzarono su tali veicoli microdispositivi di rilevamento satellitare. Allo stesso tempo, missili da crociera o bombe sganciate dagli aerei russi, basandosi sulle coordinate GPS ricevute dalle squadre Alfa, spazzavano edifici o bunker ad Aleppo est nel momento esatto in cui i capi islamisti s’incontravano. Il giorno prima dell’offensiva dell’Esercito arabo siriano, aerei russi condussero 24 incursioni bombardando rifugi e tunnel sotterranei, lasciando i ribelli senza munizioni. Le bombe dell’Aeronautica russa erano guidate dai marcatori assegnati dalle squadre Alfa. Le attività di queste squadre continuarono durante l’offensiva dell’Esercito arabo siriano, inviando informazioni e immagini via satellite sui sistemi di difesa adottati dai gruppi islamisti ad Aleppo, e localizzando le aree di concentramento con precisione con i sistemi di puntamento. Questo permise agli aerei russi e all’artiglieria siriana di neutralizzare gli islamisti, permettendo all’Esercito arabo siriano di scoprire i corridoi d’infiltrazione e di usarli per aggirare la fortificazioni dei terroristi, riuscendo a spezzare la difesa e a distruggerla totalmente.
Conclusioni
Assistiamo alla trasformazione delle forze speciali delle potenze mondiali, il semplice Rambo diventa un professionista high-tech.
La Russia ha dimostrato di avere le forze speciali, come gli Stati Uniti, la cui professionalità può cambiare le sorti della guerra.
Gli islamisti in Siria possono essere facilmente battuti quando isolati, senza la possibilità di ricevere rinforzi, denaro, armi e informazioni dai loro sponsor esteri.
Dopo questo primo tentativo riuscito, i russi possono infiltrare squadre Alfa degli Spetsnaz nel territorio occupato dallo Stato islamico. Cosa che non avevano fatto finora. Le azioni degli Spetsnaz hanno influenzato in modo decisivo l’operazione per la liberazione dell’Esercito arabo siriano contro il gruppo Stato islamico.
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La Russia invia Forze Speciali cecene in Siria
Sergej Gladysh, The Duran 15 dicembre 2016
russkiy_specnaz_siriyaSecondo i media russi, due battaglioni d’élite della Cecenia saranno dispiegati in Siria con il compito di proteggere la base aerea di Humaymim a Lataqia.
Rari video diffusi da Rossija TV rivelano che unità delle Forze Speciale russi sono già sul campo in Siria, attivamente impegnate in operazioni di combattimento a fianco dell’Esercito arabo siriano nella guerra al terrorismo. E se la notizia delle Izvestia è vera, altri soldati d’élite sono in arrivo. Due battaglioni delle Forze speciali della Cecenia, Vostok e Zapad, diverrebbero unità di polizia militare pronte ad essere schierate in Siria entro la fine di dicembre dove, secondo le notizie, difenderanno la base aerea russa di Humaymim a Lataqia. I battaglioni hanno vasta esperienza, essendo state attivamente impegnate nella lotta al terrorismo, interno ed estero, come la breve guerra della Russia con la Georgia nel 2008. Il leader della Cecenia Ramzan Kadyrov non ha negato né confermato, dicendo che le truppe d’élite saranno felici di combattere la “feccia” terroristica in Siria agli ordini del Presidente Vladimir Putin. In realtà, Kadyrov ha più volte descritto se stesso e le sue truppe come “soldati di Putin”. All’inizio di quest’anno, disse in un documentario russo di aver inviato dei ceceni per infiltrare lo SIIL in Siria e raccogliere informazioni. Se questo si rivela accurato, si può parlare della trasformazione miracolosa che la Cecenia ha avuto negli ultimi dieci anni, mutando ciò che una volta era noto come il tallone della Russia d’Achille ed epicentro del separatismo, in un solido scudo regionale e centro di addestramento delle forze d’élite antiterrorismo del Paese.
Traduzione di Alessandro Lattanzio

MARCO MINNITI, IL NEO MINISTRO DEGLI INTERNI / ECCO LE SUE RELAZIONI PERICOLOSE. - Andrea Cinquegrani

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Marco Minniti e, sullo sfondo, la Procura di Reggio Calabria. A sinistra il procuratore capo Federico Cafiero de Raho.

Prima ancora di occupare la fresca poltrona di numero uno del Viminale, è già bufera su Marco Minniti, il dalemiano di ferro e ora renziano d’acciaio, una vita tra sottosegreterie, viceministeri & Servizi. Una serie di inchieste della procura di Reggio Calabria tira in ballo il suo nome, al centro di svariate conversazioni tra personaggi non proprio cristallini. Ma attenzione, nessuna indagine a suo carico, niente di penalmente rilevante nei suoi confronti: solo fatti politicamente, moralmente e deontologicamente da brividi. Tant’è, in questo Belpaese ormai allo sfascio e le due capitali, Roma e Milano, alle prese con affari e corruzioni degne delle più esperte bande vandaliche. Ma partiamo dal giallo Minniti, fino ad oggi del tutto ignorato dai media, dai grossi calibri di stampa e tivvù ormai omologati e inabissati nello strapiombo della disinformazione.
14 dicembre. L’emittente romana Colorsradio, nella sua trasmissione del mercoledì Voce on Air (curata dal direttore della Voce Andrea Cinquegrani) affronta il tema del nuovo esecutivo Gentiloni: non solo un profilo del fresco premier, ma anche di due ‘new’ (sic) entry, ossia Anna Finocchiaro, la regista, insieme a Maria Elena Boschi, della riforma costituzionale finita in crac, e Marco Minniti, approdato alla poltrona di ministro degli Interni sognata una vita.

NEANCHE ENTRATO IN CAMPO, IL PRIMO CLAMOROSO AUTOGOL
Claudio Scajola. Nel montaggio di apertura Marco Minniti e, sullo sfondo, la Procura di Reggio Calabria. A sinistra il procuratore capo Federico Cafiero de Raho
Claudio Scajola. 
Vengono dettagliati il suo pedigree, le varie cariche ricoperte nell’ultimo ventennio, il fiore all’occhiello della società partorita alcuni anni fa, Icsa, popolata da militari e altre stelle; quindi viene fatto riferimento ad un’inchiesta che anni fa ha suscitato molto scalpore e vedeva coinvolti l’ex ministro Claudio Scajola, anche lui titolare degli Interni, l’allora potente berlusconiano che si vide regalare, “a sua insaputa” un appartamento con vista Colosseo (da quell’inchiesta è uscito del tutto indenne); un altro forzista, l’armatore siciliano Amedeo Matacena, e sua moglie, Chiara Rizzo, anche amante del primo. Piatto forte delle indagini, il voto di scambio, le ‘ndrine allertate per le urne, i capi clan a rimboccarsi le maniche per canalizzare montagne di consensi: e a quella tornata elettorale del 1996, esattamente vent’anni fa, Matacena trionfò con la casacca del Pdl, sconfiggendo proprio il rivale ulivista Minniti, calabrese doc al quale mancarono 600, fatidiche preferenze.
Questo è stato riepilogato nel corso della trasmissione, sottolineando che da quell’inchiesta Minniti non venne nemmeno sfiorato, e non risultò neanche indagato. In quei fascicoli processuali, però, erano (e sono) contenute le verbalizzazioni di alcuni collaboratori di giustizia. In una, raccolta dal pm reggino Andrigo Antonino Zavatteri, così veniva dichiarato: “noi votammo a Matacena, e Peppe Greco, figlio di Ciccio, capo ‘ndrangheta di Catania, appoggiava a Minniti”. “Minniti chi?”, chiedeva il pm. “L’onorevole Minniti – rispondeva il collaboratore – Minniti ha preso 800 voti a Calanna nel ’94 e nel ’96. E anche coso… don Rocco Musolino appoggiava a Minniti”. E’ stato evitato, in trasmissione, di ricordare le parole finali pronunciate, ossia “… appoggiava a Minniti che lo ha fatto uscire dal carcere tre giorni prima delle elezioni, si era impegnato a farlo uscire”.
Apriti cielo. Dalla segreteria del Pd, in tempo reale, arriva un messaggio che viene subito letto, nei suoi passaggi salienti, dal direttore di ColorsradioDavid Gramiccioli: quel pentito era del tutto inaffidabile – è la sostanza della nota – così come infondati erano i riferimenti a Rocco Musolino. E’ necessario fare chiarezza, viene auspicato, ribadendo che Minniti “non è stato condannato”.
Un autogol che più acrobatico non si può, la classica excusatio non petita: nessuno ha mai detto che il neo ministro degli Interni è sfiorato dalle indagini, e la contraerea Pd passa subito a sottolineare che non c’è stata alcuna condanna! Ai confini della realtà.
Il giornalista Claudio Cordova
Il giornalista Claudio Cordova
A questo punto val la pena di andare un po’ più a fondo. Ed ecco che ne scopriamo delle belle. Soprattutto seguendo alcune piste, ovviamente on line, visto che i grandi media continuano a tacere. In particolare quelle di un sito, Il Dispaccio, diretto da un ventinovenne free lance, Claudio Cordova, nipote del mitico procuratore capo di Reggio prima e Napoli poi, Agostino, il Minotauro che Giorgio Bocca tratteggiò in modo stupendo nel suo Inferno del 1992, dedicato al Sud martoriato dalle mafie. Più volte oggetto di intimidazioni, il giovare reporter, anche per mano “giudiziaria”, vista una richiesta ‘civile’ di risarcimento danni da mezzo milione di euro presentata contro di lui da una toga calabrese, Gerardo Dominijanni. In sua difesa si è subito schierato Ossigeno per l’Informazione, uno dei pochi presidi a tutela della libertà di stampa nel nostro Paese.

QUELL’ECOSISTEMA CHE PIU’ INQUINATO NON SI PUO’.
In un corposo servizio del 13 dicembre, Paolo Cordova fa il punto su un’inchiesta, Ecosistema, portata avanti da due pm della procura reggina, Antonio De Bernardo e Luca Miceli, i quali “hanno scoperchiato il business illecito dei rifiuti nell’area grecanica”. Sotto i riflettori soprattutto una sigla, AVR, costituita nel 1966 a Roma ma col tempo sempre più gravitante, per i suoi tanti affari, nelle terre calabresi, passando con disinvoltura dalla monnezza milionaria alle infrastrutture stradali (nel mirino una superstrada molto ‘cara’ per via del tortuoso percorso che porta dai monti fino al mare, la Gallico-Lambari) fino alle commesse per il comatoso scalo aeroportuale di Reggio. Le quote di AVR sono suddivise fra un’altra sigla, Galileo srl, e i fratelli NardecchiaClaudio e Pietro.
Il pm reggino Antonio De Bernardo
Il pm reggino Antonio De Bernardo
Ecco cosa scrive Cordova su ‘Ecosistema’: “Agli atti dell’indagine vi sono alcune conversazioni telefoniche che aprirebbero squarci sulle motivazioni del ‘successo’ dell’AVR in Calabria. Conversazioni che, al netto delle millanterie, tirano pesantemente in ballo il neoministro degli Interni del neonato Governo Gentiloni, il reggino Marco Minniti, pesantemente tirato in ballo dai soggetti coinvolti nell’inchiesta della Procura di Reggio, retta da Federico Cafiero De Raho. La prima conversazione è di fine 2013, quando l’imprenditore dell’ASEDSaro Azzarà, tra i principali indagati, parla con il consigliere comunale di San Roberto, Antonino Micari. Nella circostanza Azzarà, da navigato imprenditore del settore, riferisce a Micari che la AVR sia riuscita ad imporsi nel settore aggiudicandosi l’appalto della raccolta rifiuti solo perchè forte delle referenze fornite da Minniti e Pinone (Giuseppe Morabito, ex presidente della Provincia di Reggio Calabria, ndr)”.
Scrive ancora Cordova: “Non è la prima volta che il nome di Minniti viene associato a dinamiche che ruotano attorno all’area grecanica, visti i rapporti che sarebbero intercorsi con l’ex sindaco di Milito Porto Salvo, Giuseppe Iaria, attualmente imputato per ‘ndrangheta”.
Amedeo Matacena
Amedeo Matacena
E stavolta siamo alle prese con un’altra inchiesta da novanta, ADA, nelle cui maglie sono finiti sia l’ex sindaco Iaria che il suo successore, Gesualdo Costantino. Così scriveva, in un articolo di due anni fa esatti, 16 dicembre 2014, lo stesso Cordova: “Agli atti del procedimento ‘Ada’ vi sono diverse evidenze che testimonierebbero i contatti e i rapporti tra Iaria e l’attuale sottosegretario alla presidenza del Consiglio dei ministri, Marco Minniti. (…) Iaria e Costantino sono ritenuti dal sostituto procuratore della DDA di Reggio Calabria, Antonio Di Bernardo, come personaggi a disposizione del potente clan Iamonte, che a Melito avrebbero condizionato ogni singolo respiro della vita cittadina, comprese le dinamiche politiche e burocratiche del Comune. E’ il maresciallo dei Carabinieri Alessandro Zema a delineare i rapporti tra Iaria e i vertici del centrosinistra nazionale. (…) Zema parla di ‘ottimi rapporti’ tra i due (Minniti e Iaria, ndr). Il reggino Domenico Minniti detto Marco, che all’epoca era capolista dell’Ulivo, in seguito alla vittoria della coalizione sarà nominato viceministro dell’Interno del secondo governo Prodi. Quasi come auspicato da Iaria che, in un’altra conversazione intercettata con un ‘avvocato’ non identificato, parlerà anche di una sottoscrizione a sostegno della nomina di Minniti a ministro”.
Porto Salvo, e anche Sicuro per gli appalti, quello di Milito. Tanto che il titolare dell’Ased, Saro Azzarà, accetta “lo status quo relativamente al comune di Reggio Calabria e ottiene l’esclusiva relativamente al comprensorio del comune di Melito Porto Salvo, nel cui territorio è egemone la cosca Iamonte, nonché in molti comuni dell’area del basso Ionio reggino”.
Non c’è foglia, nella stragrande parte del territorio calabrese, che non si muova senza l’ok dei capi ‘ndrina, in tutti i settori economico-imprenditoriali. Proprio come è successo in occasione dei mega appalti per l’eterna Salerno-Reggio Calabria (a proposito, Pinocchio Renzi aveva giurato che per Capodanno 2016 i lavori sarebbero stati ultimati!, tanto vale dare un’occhiata): lotto per lotto, chilometro per chilometro spartiti e controllati dalle ‘ndrine locali, con precisione svizzera, come ha documentato una storica sentenza passata anche per il vaglio della Cassazione (seconda sezione penale, presieduta da Antonio Esposito) quattro anni fa.

INDAGHI SULLA ‘NDRANGHETA, SBATTI NELLA POLITICA
Marilina Intrieri
Marilina Intrieri
Illustrando il 7 dicembre lo stato attuate dell’inchiesta ‘Ecosistema’, ha tenuto a sottolineare il procuratore capo Cafiero De Raho: “Quello che emerge è un quadro probatorio gravissimo, con al centro un imprenditore, Rosario Azzarà, titolare della società Ased per la raccolta e gestione dei rifiuti nei comuni dell’area grecanica, vincitore di molti appalti e pronto a soddisfare la ‘ndrangheta e gli amministratori dei comuni del basso Ionio reggino”. Lo stesso De Raho qualche settimana prima aveva dichiarato: “indaghiamo sulla ‘ndrangheta e finiamo a sbattere sulla politica”.
Dettaglia un altro sito locale, una delle “voci nel deserto” (come scrisse della nostra Voce Giorgio Bocca nel suo “Inferno”). “La storia si ripete. E anche questa volta i carabinieri, continuando a esplorare il terreno già scandagliato con le operazioni ‘Ada’ e ‘Ultima Spiaggia’, sono giunti a mettere in luce la potenza delle cosche Iamonte e Paviglianiti, egemoni nei comuni di Melito Porto Salvo, San Lorenzo, Bagaladi e Condofuri. Un’indagine difficile e tecnica, che ha portato in luce i patti corruttivi siglati con gli amministratori infedeli, sotto l’egida di significative entrature nel mondo politico, ma anche le strette alleanze con le cosche mafiose”. E ancora: “oltre a tante intercettazioni telefoniche e ambientali, fondamentali per l’inchiesta le dichiarazioni rese da Salvatore Aiello, oggi collaboratore di giustizia e già direttore della Fata Morgana spa, società a compartecipazione pubblica costituita per curare nella provincia di Reggio lo svolgimento dei servizi di gestione e raccolta dei rifiuti”.
La piazza di Melito Porto Salvo
La piazza di Melito Porto Salvo
Un’altra piccola nota. Il nome di AVR fa capolino nell’ennesima inchiesta della story, condotta anche stavolta dalla Direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, Xenopolis, finalizzata a ricostruire le connection tra imprese e ‘ndrine, in questo caso la potente cosca Alvaro di Sinopoli. Niente di penalmente rilevante, secondo gli inquirenti, a carico di AVR, ma una traccia significativa: quella che porta a Domenico Laurendi, “un personaggio assai importante per i rapporti della cosca con il mondo delle istituzioni. Il meccanismo sarebbe quello ‘tesseramento’, attraverso cui il politico locale chiede all’imprenditore di fornirgli una ‘dote’ di tessere di partito, in modo da avere un peso specifico maggiore per essere scelto tra i candidati alle elezioni”.
Torniamo a Minniti. Ecco cosa scrive di lui, sul suo profilo Facebook, una che di PD calabrese se ne intende, Marilina Intrieri, parlamentare dell’Ulivo nella quindicesima legislatura, poi consigliere regionale PD e per otto anni (dal 2003 al 2011) al vertice del Consorzio Universitario di Crotone. “Ho letto oggi, sui giornali calabresi, lo ‘sbrodolamento’ di alcuni personaggi politici, felici per la nomina di Marco Minniti a ministro dell’Interno, dicendosi sicuri che ciò porterà dei benefici alla Calabria. Si dimenticano però che tale personaggio politico calabrese da circa 20 anni è sempre stato seduto nei governi di centrosinistra del Paese e sempre come viceministro o sottosegretario all’Interno e ai Servizi segreti. Cosa ha fatto per la Calabria? Siamo tutelati dalla ‘ndrangheta solo dai procuratori della Repubblica calabresi. Molti calabresi, anche minorenni, vivono in condizioni di indottrinamento mafioso. Voglio ricordare che Minniti girò il capo quando gli riferimmo da parlamentari, perchè impedisse (e non lo fece) l’infiltrazione mafiosa in alcune liste locali del partito. Queste cose le ho riferite anche nei processi riguardanti famiglie di ‘ndrangheta”.
Continua Marilina Intrieri sul nuovo inquilino del Viminale: “Oggi vedremo che farà rispetto alla presenza di alcuni personaggi del suo territorio, che non dovrebbero sedere in consiglio regionale, stante il patteggiamento fatto per traffico di armi, mai discusso dall’assemblea legislativa regionale, guidata da un suo fido”.
E ancora: “La nomina di Minniti all’Interno, a mio parere, è una cosa grave. Attendo di vedere se e come interverrà sull’ospitalità ai migranti, notoriamente in mano al malaffare, senza controllo alcuno”.

De Luca compra i politici. Tornano le pensioni d'oro. - Simone Meo



Il governatore fa il regalo di Natale ai consiglieri campani. L'assegno era stato abolito da Caldoro.

Napoli - Dalle fritture al vitalizio è un attimo. La macchina della propaganda e del consenso del governatore Vincenzo De Luca lavora a pieno ritmo.
Né la batosta al referendum costituzionale né l'indagine per istigazione al voto di scambio, in relazione al discorso ai 300 sindaci all'hotel «Ramada», tanto meno i rapporti logorati con Matteo Renzi, hanno lasciato il segno dalle parti di Palazzo Santa Lucia. Stavolta il colpo di teatro si consuma al Centro direzionale, sede del Consiglio regionale della Campania. Dove un maxi-emendamento della maggioranza di centrosinistra, appena arrivato in commissione Bilancio, assume le sembianze di un clamoroso, e nemmeno troppo inaspettato, regalo di Natale.
Il Pd anti-Casta e anti-sprechi (a parole) ha, infatti, tutta l'intenzione di reintrodurre il vitalizio ai consiglieri regionali abolito dalla giunta di Stefano Caldoro, in ottemperanza al decreto Monti, nel gennaio 2012. Quella dei dem è una manovra nascosta, come un vietcong nella foresta, dietro astruse formule finanziarie e rimandi a richiami di legge. Formule che, ridotte all'osso, dicono questo: i consiglieri regionali dell'attuale legislatura otterranno una pensione di 2.500 euro versando di tasca propria poco meno di 700 euro. Tutto in virtù dell'articolo 5 della correzione alla legge di stabilità che prevede di adeguare il sistema previdenziale consiliare a quello contributivo della Camera dei deputati e non più a quello dell'Inps, come invece avrebbe dovuto essere. Ciò significa che, per incassare l'assegno, i consiglieri regionali dovranno rinunciare solo all'otto per cento dell'attuale imponibile dell'indennità di funzione. Poche briciole, davvero. Il resto (ovvero, il 75 per cento della somma complessiva) sarà tutto a carico delle casse pubbliche.
In realtà, l'operazione è stata studiata in maniera così raffinata che non si può nemmeno parlare di vitalizio ma di vera e propria pensione. Il che comporta un vantaggio non da poco per i vecchi volponi della politica campana: i consiglieri anziani, che matureranno o hanno già comunque maturato il vitalizio delle scorse consiliature, potranno infatti aggiungerci anche questa nuova pensione. Raggiungendo, a occhio e croce, la ragguardevole cifra di 5.500 euro netti al mese come ex consiglieri regionali. Mica male.
Combinazione vuole, inoltre, che l'assegno pensionistico minimo sia dello stesso importo (2.500 euro) del vitalizio minimo soppresso cinque anni fa. Coincidenze. Casi della vita.
Questo, ovviamente, si verificherà solo se il provvedimento passerà in Aula. Nel 2013, l'ex consigliere de «La Destra» Carlo Aveta volontariamente rifiutò il vitalizio. E stavolta qualcuno lo imiterà? Al netto dell'incoerenza politica del Pd e di De Luca, in particolare, che aveva promesso una legge di bilancio attenta agli sprechi della politica e pensata proprio per dare una mano alla fasce deboli, il maxi-emendamento prevede di estendere i benefici pure agli assessori tecnici. Caso unico in Italia.
L'operazione, calcoli provvisori alla mano perché è tutto assai veloce nel mondo della politica regionale soprattutto quando si parla di soldi, a fine legislatura graverà per circa cinque milioni di euro sul bilancio del Consiglio. A meno che non arrivi qualcuno a sollevare il dubbio più che motivato che il blitz del Pd sia in contrasto con un bel po' di leggi.

Banche, Gentiloni vara il Salvarisparmio: “20 miliardi di nuovo debito per liquidità e aumenti di capitale”.

Banche, Gentiloni vara il Salvarisparmio: “20 miliardi di nuovo debito per liquidità e aumenti di capitale”

Il premier: "Misura precauzionale, vedremo se sarà necessaria. Abbiamo considerato nostro dovere varare questo intervento salva risparmi e mi auguro che questa responsabilità venga condivisa da tutte le forze del Parlamento".


Venti miliardi di euro. A tanto ammonta la somma messa a disposizione dal governo con nuovo debito pubblico per il salvataggio del sistema bancario italiano. Una mossa attesa ma arrivata nei tempi e nei modi a sorpresa lunedì 19 dicembre in serata, dopo che l’esecutivo Gentiloni era stato convocato alle 19.30 con mezz’ora di preavviso “per comunicazioni del presidente del Consiglio”. Quest’ultimo, dopo un’ora scarsa di riunione, ha fatto sapere che “il cdm ha approvato la relazione al parlamento che autorizza il governo a ricorrere ad un indebitamento” per 20 miliardi. Un’operazione, ribattezzata Salvarisparmio, che il premier ha definito “precauzionale” aggiungendo che “vedremo se sarà necessaria”. La misura, si legge in una nota di Palazzo Chigi, ha “lo scopo tutelare i risparmiatori qualora si materializzassero rischi nel settore finanziario”.
“Si tratta di una misura precauzionale. In ogni modo abbiamo considerato nostro dovere varare questo intervento salva risparmi e mi auguro che questa responsabilità venga condivisa da tutte le forze del Parlamento“, ha detto Gentiloni in conferenza stampa a Palazzo Chigi. “Molti hanno invocato spesso un intervento a tutela dei risparmiatori” avranno “in Parlamento la possibilità di confermarlo”, ha spiegato il presidente del Consiglio auspicando “la più ampia convergenza” nelle Camere sull’intervento.
I 20 miliardi saranno “una garanzia di liquidità per ripristinare la capacità di finanziamento a medio e lungo termine e per un programma di rafforzamento patrimoniale” nel rispetto delle regole Ue, “mediante interventi per la ricapitalizzazione che prevedono anche la sottoscrizione di nuove azioni“, ha poi spiegato il ministro dell’Economia. Entrando nel dettaglio, il ministro ha spiegato che la misura potrà essere attivata “su richiesta di un istituto bancario che rispecchi i requisiti dell’intervento precauzionale”. Gli interventi, ricorda Padoan, dovranno rispettare la normativa Ue, “ma andrà verificato caso per caso, qualora si verifichino” delle richieste da parte degli istituti di credito di poter accedere alle risorse. Secondo Pier Carlo Padoan l’impatto sul debito pubblico “sarà one-off, temporaneo, e quindi non impatta sull’aggiustamento strutturale“. Padoan ha detto poi che “sull’indebitamento” non c’è effetto, ma solo sul debito. Mentre la nota di Palazzo Chigi tiene a precisare che l’impatto effettivo sui saldi “dipenderà dalla tipologia di interventi che saranno eventualmente adottati e dall’entità delle risorse che potrebbe essere necessario rendere disponibili”.
Il voto del Parlamento è atteso già per mercoledìAnche perché i risultati della nuova offerta di conversione delle obbligazioni subordinate Mps, prima ma non certo unica destinataria della misura, sono attesi per giovedì pomeriggio. In caso di ennesimo fallimento allora il governo potrebbe già nella stessa giornata riunire il consiglio dei ministri, altrimenti previsto per venerdì, e varare il relativo decreto.
Certo la ricapitalizzazione preventiva, misura per evitare il bail in, è comunque una mossa non priva di sacrifici per i risparmiatori e di ostacoli politici. I 15 miliardi di euro di fondi da disporre in bilancio proprio perché aumentano il debito e il deficit, seppure questo per un solo anno “una tantum”, devono essere approvati dal Parlamento con maggioranza assoluta. In termini generali la somma è inferiore all’1% del Pil, tuttavia il via libera non è scontato in Senato dove il governo deve fare i conti con i numeri a disposizione e i rapporti con le altre formazioni come Ala, non solo sul provvedimento ma su materie diverse a partire dalla partecipazione all’esecutivo.
E, come al solito, il nostro debito pubblico aumenta per salvare le banche. Inaudito! Hanno voluto assicurare, a spese nostre, le strenne natalizie agli stessi che hanno provocato il deficit delle banche? Avrei preferito che i 20 miliardi fossero stati utilizzati per aumentare i posti di lavoro. Non hanno ancora capito che con la politica dell'austerità e del "salva banche" l'economia non cresce, semmai decresce....

Terrore sul Natale, 12 morti a Berlino. Fermato un pachistano.

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E' salito a 12 morti e 48 feriti il bilancio dell'attacco di ieri sera ad un mercatino di Natale a Berlino. Per la prima volta dall'apertura delle indagini, la polizia tedesca ha parlato di "probabile attacco terrorista". Le autorità hanno anche riferito che l'uomo trovato morto nel camion, identificato come cittadino polacco, non si trovava al volante quando il tir è piombato sul mercatino.
Il presunto attentatore viene invece indicato da fonti della sicurezza come Naved B., 23 anni. L'uomo si era servito di due altri nomi. Non era noto alle autorità tedesche per legami con il terrorismo islamico, ma ha dei piccoli precedenti penali.
A quanto riferisce l'emittente pubblica tedesca 'RBB', è un cittadino pachistano arrivato in Germania nel 2015, entrato in qualità di rifugiato il 31 dicembre 2015 attraverso il posto di confine di Passau, città bavarese alla frontiera con l'Austria.
L'uomo sarebbe di nazionalità pachistana, ma fonti della sicurezza hanno spiegato all'agenzia stampa Dpa che non è stato ancora possibile identificarlo con certezza assoluta dato che in passato si è servito di diverse identità.
PERQUISIZIONI - Intanto le forze speciali tedesche hanno perquisito un campo profughi nell'ex aeroporto Tempelhof di Berlino. L'ex scalo ospita il più grande campo di rifugiati della città. Fonti della sicurezza hanno riferito all'agenzia 'Dpa' che il sospetto autista killer del camion era arrivato in Germania attraverso la cosiddetta rotta dei Balcani e viveva a Berlino dall'inizio di quest'anno.
MERCATINI APERTI - I mercatini di Natale della Germania dovrebbero comunque rimanere aperti per tutta la durata del periodo festivo. Lo hanno affermato i ministri dell'Interno regionali tedeschi nel corso di una videoconferenza convocata a Berlino.

Guarda la versione ingrandita di Attentato Berlino: giovane pachistano è il terrorista del mercatino (foto Ansa)

http://www.adnkronos.com/fatti/esteri/2016/12/20/terrore-berlino-tir-piomba-sulla-folla-mercato-morti-rivendica-attentato_0zrqmF7ZSkPZAp8AgdFKbJ.html?refresh_ce

Nuovo colpo al clan del boss Messina Denaro, 11 arresti.

Nuovo colpo al clan del boss Messina Denaro, 11 arresti

Nuovo colpo alla cosca del boss mafioso latitante Matteo Messina Denaro. E' in corso dall'alba una vasta operazione antimafia condotta dalla Squadra mobile di Trapani, che sta eseguendo undici arresti e diversi sequestri.
Gli investigatori, coordinati dalla Dda di Palermo, sono convinti che il boss mafioso latitante da quasi 30 anni, attraverso le imprese sequestrate, era in grado di condizionare gli appalti nella zona del Trapanese. Sotto la lente di ingrandimento i lavori per la realizzazione del parco eolico di Mazara del Vallo e dei lavori di ristrutturazione dell'ospedale.
C'è anche il figlio del boss mafioso Mariano Agate tra gli arrestati nell'ambito dell'operazione 'Ermes 2': Epifanio Agate gestiva due società che lavoravano nel settore del pesce. 
Il padre Mariano, morto nel 2013, era stato condannato all'ergastolo per la strage di Capaci.
Nel 1985 era stato condannato all'ergastolo per sette omicidi, tra cui quelli del giudice Giangiacomo Ciaccio Montalto e del sindaco di Castelvetrano Vito Lipari. Per quest'ultimo omicidio fu assolto in Cassazione nel 1993. Agate era considerato uno degli uomini di riferimento di Totò Riina. Arrestato nel 1990, nel 2004 - nonostante si trovasse già in regime di carcere duro - Mariano Agate era stato coinvolto in un'indagine per aver fatto arrivare ordini al figlio Epifanio.
L'indagine ha confermato "i saldi contatti tra il clan mafioso di Mazara del Vallo, retto da Vito Gondola, e quello di Castelvetrano e ha svelato gli accordi per spartirsi gli appalti sotto le direttive del latitante Messina Denaro - dicono gli inquirenti - al quale Gondola si rivolgeva per dirimere le varie controversie insorte. Le imprese sequestrate erano direttamente controllate dalle famiglie mafiose attraverso prestanome".