sabato 7 settembre 2019

Mise, i dossier nelle mani di Patuanelli dall’ex Ilva a Whirlpool. Le crisi da affrontare sono 150. E su Alitalia è l’ora delle scelte. - Andrea Tundo

Mise, i dossier nelle mani di Patuanelli dall’ex Ilva a Whirlpool. Le crisi da affrontare sono 150. E su Alitalia è l’ora delle scelte

Il neo-ministro dello Sviluppo Economico si ritroverà sulla scrivania oltre 150 dossier di vertenze in tutta Italia. A breve scade il tempo per l'offerta vincolante della newco con Fs e Atlantia per l'acquisto di Alitalia: una soluzione, quella con anche il Tesoro tra gli azionisti, che il nuovo alleato di governo ha sempre criticato. All'orizzonte un autunno caldo anche su Taranto e Whirlpool. E su Piaggio, Blutec, IIa e Bekaert i sindacati chiedono risposte in tempi brevi.
Oltre 150 dossier, vertenze in stallo, scadenze imminenti e una successione pesante. Tra i nuovi ministri una delle eredità più ingombranti è quella toccata a Stefano Patuanelli, ex capogruppo M5s al Senato e ora alla guida dello Sviluppo Economico. Non solo perché si siederà sulla sedia che è stata di Luigi Di Maio: dal suo studio passano le sorti di migliaia di posti di lavoro e il rilancio di pezzi pregiati dell’economia del Paese. E dovrà oliare situazioni incagliate da anni, a volte più di cinque. Partendo da un dato, frutto di un’analisi de Il Sole 24 Ore: dal 2016 si è chiuso positivamente il 38% dei tavoli, nel 34 per cento dei casi non si è trovata una soluzione e il 27% delle crisi è ancora in corso. Tra la Blutec di Termini Imerese e Mercatone Uno fino alle recenti preoccupazioni per la ferriera di Trieste di Arvedi, Patuanelli avrà subito una patata bollente per le mani: l’offerta vincolante per Alitalia che Fs deve presentare con Alitalia Delta Air Lines. La scadenza era fissata per il 15 settembre, ma secondo fonti vicine al dossier si va verso una nuova proroga “significativa”.
ALITALIA – Tra non molto, in ogni caso, verranno svelate le quote di ogni componente della Newco. E all’orizzonte si profila una prima frizione tra le due anime della nuova maggioranza. Il Pd ha sempre criticato la linea di Di Maio, alla quale Patuanelli ha detto di voler dare continuità. Per Graziano Delrio si tratta “di fatto” di una nazionalizzazione con la quale “si scarica sui contribuenti italiani il peso dell’operazione sia attraverso la partecipazione di Ferrovie e ministero dell’Economia sia con il carico sulle bollette energetiche del costo del mancato rimborso del prestito ponte”. Mentre la scelta di Atlantia dimostrava, secondo Nicola Zingaretti, la “confusione mentale, politica e l’opportunismo di chi sta governando”. Il neo-ministro ha auspicato di essere l’ultimo ad occuparsene. Era stato un augurio anche di Di Maio. Adesso, invece, all’orizzonte si profila uno sciopero il 23 settembre proclamato dall’Usb che avverte: “Continuano a uscire indiscrezioni sul piano industriale che il novello consorzio sta mettendo a punto, il quale prevederebbe 2.000 esuberi. Questo sarebbe un enorme macigno posto sui primi passi del governo, perché parlare di esuberi in Alitalia significa parlare un’altra volta della solita minestra immangiabile fatta di ridimensionamento, esternalizzazioni e mancato sviluppo della flotta, propinata da 20 anni e che tanti danni ha prodotto”.
EX ILVA – Appianate le divergenze sull’immunità penale con la correzione dell’abolizione totale introdotta nel decreto Crescita, toccherà al governo M5s-Pd traghettare l’ex Ilva fuori dalle sabbie mobili nelle quali l’operazione ArcelorMittal, gestore scelto dai dem, rischia di infilarsi. Taranto è da sempre uno dei temi più divisivi tra le due forze politiche, ora dovranno controllare insieme la piena attuazione del Piano ambientale e indicare la rotta in un momento critico sotto il profilo della produzione. ArcelorMittal ha annunciato la richiesta di prorogare per 13 settimane la cassa integrazione ordinaria – scattata il 2 luglio e in scadenza il 28 settembre – per 1.395 dipendenti così da fronteggiare il prolungarsi della crisi del mercato dell’acciaio. Ma non è l’unico problema: resta sempre aperta la questione dello spegnimento dell’altoforno 2 con l’istanza di azienda e commissari straordinari al Tribunale del Riesame per ottenere la facoltà d’uso. Inoltre, in seguito alla morte di una gruista lo scorso 10 luglio, il siderurgico ha problemi di approvvigionamento di materie prime. All’appello mancano migliaia di tonnellate di ferro e carbone per alimentare l’impianto: l’idea è sbarcarle a Brindisi, ma il sindaco espresso un “no” secco e l’azienda ha fatto marcia indietro. Su tutti questi temi i sindacati hanno preannunciato la richiesta di un “incontro urgente” al Mise. Intanto Fim Cisl e Uilm hanno proclamato 24 ore di sciopero per il prossimo 13 settembre: una mossa per spingere l’azienda a fornire a tutti gli operai i dispositivi di protezione individuale.
WHIRLPOOL – 420 lavoratori del sito di Napoli restano in attesa di conoscere il proprio destino dopo l’annuncio dell’azienda di elettrodomestici di voler vendere, ‘tradendo’ l’accordo per la reindustrializzazione che comprendeva anche la fabbrica partenopea. Negli scorsi giorni Whirlpool ha criticato perfino le misure inserite in un apposito decreto (quasi 17 milioni di sgravi contributivi in due anni) dal governo gialloverde giudicandole “non sufficienti” e ribadendo che l’unica soluzione è la cessione. Quindi ha diffuso una nota per annunciare la convocazione dei sindacati per “importanti aggiornamenti”. Una scelta “unilaterale” criticata dai rappresentanti dei lavoratori. L’ultimo faccia a faccia risale all’1 agosto, poi si è aperta la crisi di governo e la situazione è entrata in stallo. La stessa critica viene mossa dall’azienda. Non a caso la prima mossa di Patuanelli riguarda proprio questa vertenza: azienda e sindacati sono stati convocati il 17 settembre, spingendo Whirlpool a cancellare l’incontro del 16.
EX ALCOA – I sindacati si attendono una convocazione per settembre così da aggiornare la storica vertenza sarda. Trovato l’acquirente (Sider Alloys) e iniziate le attività di revamping dell’impianto con la partecipazione di una società specializzata cinese, resta il nodo principale, quello da cui dipenderà la riuscita dell’operazione: il costo dell’energia elettrica. Per ricominciare a lavorare, Sider Alloys ha bisogno di un contratto di fornitura da parte di Terna compatibile con i costi di produzione, poiché – come spiegano i sindacati – “da piano industriale l’energia incide per il 55% sui costi”. Nel frattempo, restano 500 lavoratori in mobilità in deroga fino a dicembre. E un indotto che attende soluzioni ormai da anni.
EMBRACO – Quando gli operai sono rientrati nello stabilimento di Riva di Chieri dopo la fermata di agosto hanno trovato lo stabilimento così come lo avevano lasciato a luglio. “Nessun nuovo impianto di produzione, nessun lavoro di ammodernamento”, spiega Ugo Bolognesi della Fiom-Cgil. Eppure Ventures continua a ripetere che la produzione ripartirà. “Il livello di scetticismo è ormai alto – spiega il sindacalista – Lo scorso anno quando venne firmato l’accordo di reindustrializzazione dicevano che il momento sarebbe stato gennaio, poi marzo, poi giugno, ora settembre”. Su un organico di 410 persone, al momento sono occupati in 187 e la Fiom sottolinea che la rotazione della cassa integrazione, in scadenza a luglio 2020, è scarsa: “In 200 non hanno mai rimesso piede in fabbrica”. A breve, annuncia Bolognesi, verrà chiesto un nuovo incontro al Mise: “Nell’ultimo verbale d’incontro, ormai datato marzo, c’era l’impegno a convocare parti entro metà di giugno. Ma Di Maio non ci ha mai più chiesto di andare a Roma”.
IIA – L’ex BredaMenarinibus poi diventata Industria Italiana Autobus è nel limbo ormai da anni, nonostante i ripetuti annunci di addio alla crisi. Così, mentre nello stabilimento di Bologna non ci sono più ammortizzazioni sociali attivi, restano i numeri preoccupanti di Valle Ufita, nell’Avellinese, dove su 275 dipendenti ci sono ancora 175 cassintegrati con la scadenza fissata al 31 dicembre 2019. La maggioranza delle quote sociali è in mano a Leonardo e Invitalia. “Avevano annunciato sviluppo e investimenti, ma allo stato languono. Abbiamo sollecitato un tavolo negli scorsi giorni. Vogliamo sapere dove stiamo andando: siamo in attesa di un partner privato che non è mai arrivato. Allora il pubblico faccia il pubblico”, incalza Michele De Palma, responsabile automotive della Fiom-Cgil. Anche perché le commesse ci sono, ma al momento la produzione è in Turchia. “Senza dimenticare – aggiunge De Palma – che come Fiom abbiamo chiesto al ministero dello Sviluppo di aprire un tavolo generale sull’industria automobilistica italiana perché i numeri sono drammatici”.
BEKAERT – Situazione di stallo anche nell’ex Pirelli di Figline Valdarno. Non c’è alcuna azienda disposta a rilevare Bekaert, almeno nel suo intero perimetro. “Esiste un’offerta, ma non sappiamo neanche di chi perché il ministero non ce l’ha mai comunicato. Si tratta di un imprenditore del Centro Italia, non ci è noto null’altro”, spiega Daniele Calosi della Fiom-Cgil. Se non che nella nuova Bekaert transiterebbero solo 90 lavoratori su 230. Il prossimo incontro al Mise è fissato a metà ottobre e i sindacati si aspettano una risposta sul piano B portato avanti dai dipendenti. “Da mesi – dice Calosi – hanno fondato una cooperativa per rilevare la società e a breve presenteranno un piano industriale. Di Maio non ha mai fornito una valutazione su questa ipotesi”. La cassa integrazione straordinaria scadrà il 31 dicembre. I tempi stringono.
AFERPI – È una delle vertenze più lunghe, complicate e corpose ancora in via di definizione. Dopo l’aggiudicazione finita nel nulla all’algerino Issad Rebrab, le acciaierie di Piombino sono passate sotto il controllo del colosso Jindal, uscito sconfitto dalla partita per l’ex Ilva. In ballo ci sono 1.500 lavoratori e la sopravvivenza di uno dei poli siderurgici più importanti d’Italia. “Siamo in una fase intermedia, tra alti e bassi sotto il profilo produttivo”, spiegano i sindacati. “In questi mesi si dovrà passare dalla fase 1 alla fase 2: l’azienda dovrà dirci se e come vogliono investire sui forni elettrici”. In attesa di una convocazione del Mise per definire questo step restano in cassa integrazione un migliaio di dipendenti.
PIAGGIO AEROSPACE – La situazione dell’ex Piaggio Aero, specializzata nella produzione di velivoli militari e civili, è “particolarmente problematica” ad avviso dei rappresentanti dei lavoratori sia sotto il profilo economico che delle commesse. L’ultima operazione riguarda un accordo (revisione e acquisto nuovi velivoli) da parte del ministero della Difesa. Su questo si regge il piano industriale presentato dall’amministratore straordinario Vincenzo Nicastro, il cui mandato scade proprio oggi (5 settembre, ndr), per il rilancio degli impianti di Genova e Albenga. Allo stato esistono 39 manifestazioni d’interesse non vincolanti e lo stallo ha ripercussioni anche sull’indotto. L’ultimo incontro al Mise risale a metà luglio e i lavoratori interessati dalla vertenza sono 800, di cui oltre 350 in cassa integrazione straordinaria che scadrà a inizio 2020.
ABB – L’accordo sui 108 esuberi è stato raggiunto in estate: apertura della cassa integrazione straordinaria per cessazione attività (durata un anno) con l’impegno da parte dell’azienda di generatori con stabilimento a Vittuone, nel Milanese, a ricollocare tutti i lavoratori che decideranno di non accettare gli incentivi all’esodo e resteranno in azienda. Resta aperto anche il tavolo al Mise della Abb-Arkad, uno ‘spin off’ della casa madre creato il 1° gennaio 2018 nel quale sono stati fatti confluire 180 dipendenti tra Sesto San Giovanni e Genova. “Ma a distanza di 21 mesi commesse e ordini restano deficitari”, spiega il segretario lombardo della Fiom-Cgil Mirco Rota.
EX FRANCO TOSI – Poco meno di 200 lavoratori in cigo e un rilancio in via di definizione con l’alert dei sindacati per una mossa giudicata come un indizio negativo e risalente a inizio agosto. Quasi un mese fa il Gruppo Presezzi, che si è aggiudicato la storica azienda metalmeccanica di Legnano nel 2015, è stato l’unico a presentare un’offerta per l’acquisto dei terreni. Tutti? No. La proposta di acquisto era relativa solo a una porzione dell’area e quindi “il preambolo di un ridimensionamento”, temono i sindacati, in attesa di una convocazione da parte del Mise.

Tassi d’interesse negativi sui conti correnti: pro e contro dopo la mossa della Bce. - Marzia Redaelli

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Le nuove condizioni applicate dalla Banca centrale europea ai depositi degli istituti di credito rappresentano un fardello sui conti delle banche. E possono trasformarsi in un’arma a doppio taglio per i privati e pure per l’economia. Parola di economista.

I tassi di interesse negativi applicati dalla Banca centrale europea ai depositi degli istituti di credito sono un fardello sui conti delle banche. E possono trasformarsi in un’arma a doppio taglio per i privati e pure per l’economia, secondo alcuni economisti.

Il caso tedesco.
Grazie ai tassi negativi, in alcuni paesi europei è possibile ottenere finanziamenti a costo zero o addirittura con un guadagno (per esempio in Danimarca). Ma c’è anche il rovescio della medaglia: in Germania sta divampando la polemica sul trasferimento dei tassi negativi ai conti di tutti i clienti da parte delle banche (ora è possibile per i depositi sopra i 100mila euro). La querelle nasce dall’ipotesi abbozzata da Commerzbank, uno dei più grandi istituti in Germania, in vista di un ulteriore taglio sui depositi della Bce (ora a -0,4%) e per contrastare l’erosione degli investimenti a causa dei rendimenti sotto zero. I titoli di Stato emessi da Berlino, infatti, hanno ritorni negativi su tutte le scadenze, comprese quelle trentennali (si va dal -0,6% delle durate mensili al -0,2% di quelle a 30 anni).

Il Governo tedesco si è subito attivato per sventare l’eventualità, che ritiene dannosa per i piccoli risparmiatori: il ministro delle Finanze Olaf Scholz sta esaminando una proposta che impedisce alle banche di imporre tassi negativi sui conti correnti. L’associazione delle banche è insorta e invoca l’illegittimità costituzionale del provvedimento, oltre che paventare il rischio sistemico.

La situazione in italia.
In Italia le condizioni che aprirebbero a un trasferimento dei tassi negativi ai clienti sono meno evidenti. A causa del rischio Paese, infatti, i titoli del Tesoro hanno i rendimenti più appetibili nell’area euro (secondi ai greci) ma anche a livello globale, se si escludono gli emittenti dei Paesi emergenti e quelli considerati scarsamente affidabili. Tanto che le azioni delle banche italiane che hanno in pancia le obbligazioni tricolori sono penalizzate quando le quotazioni calano.

I Btp, i titoli di riferimento del nostro debito pubblico, pagano ancora un premio elevato ai compratori, a dispetto del miglioramento sull’onda della formazione di un nuovo Governo. La differenza di rendimento a 10 anni rispetto al Bund tedesco si è ridotta in poche sedute da sopra il 2% (200 punti base) a poco sopra l’1,7% (174 punti base): il rendimento del BTp sceso dall’1,8% del 9 agosto - con l’apertura della crisi di Governo - all’1% dei giorni scorsi ed è calato più di quello del Bund, che ha passato la soglia del -0,7%, già in vista da tempo. Il Bund comunque continua ad attrarre capitali per via dell’incertezza politica ed economica.

Tuttavia, la prospettiva di un rovesciamento completo delle parti tra chi paga e chi è remunerato per prestare soldi non è inverosimile in un mondo dove il 40% circa delle obbligazioni ha rendimento negativo e che sembra destinato a durare a lungo. «La maggior parte delle banche centrali - affermano Aditya Bhave e Ralph Axel di Bank of America Merrill Lynch - nell’ultimo decennio hanno mancato l’obiettivo di inflazione e i mercati vedono un rischio molto limitato di un rialzo dei tassi in risposta a un’esplosione dell’inflazione. Anche perché un atteggiamento espansivo corale e prolungato delle banche centrali le trasforma in attori non economici, che non rispondono più alle variazioni dei prezzi».

FENOMENO RENDIMENTI SOTTO ZERO
FENOMENO RENDIMENTI SOTTO ZERO

I limiti dei tassi negativi.
I tassi negativi potrebbero diventare un costo economico, anziché spronare investimenti e consumi, come teorizzato dall’effetto reddito e dall’effetto sostituzione. Se le banche trasferissero i tassi negativi ai clienti, i consumatori potrebbero rispondere consumando di più (effetto sostituzione) perché il contante perde valore nel tempo, un po’ come avviene con l’inflazione. Però l’erosione dei risparmi indurrebbe i consumatori a spendere meno (effetto reddito). «Secondo noi - concludono Bhale e Axel - i tassi negativi sui depositi sarebbero molto impopolari e potrebbero pesare sulla fiducia dei consumatori».


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Ministra con Trasporto. - Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 7 Settembre.



Uno non fa in tempo a rallegrarsi perché la neoministra dell’Interno Luciana Lamorgese non sta su Facebook, Twitter e Instagram, e già gli tocca leggere le prime sparate di alcuni suoi colleghi. Ancora non sanno dov’è il loro ufficio, ma già annunciano o minacciano leggi, decreti, grandi opere e financo dimissioni. Nel primo Consiglio dei ministri, il premier Giuseppe li aveva pregati di “evitare sgrammaticature istituzionali”, che è il suo modo per dire “niente cazzate”. Poi quelli, appena usciti, han subito dato aria alla bocca. Si temeva che l’incontinenza verbale giocasse brutti scherzi a Di Maio&C., quelli della ola sul balcone e dell’abolizione della povertà. Invece la prima a sbracare è stata Paola De Micheli, reduce da un’imbarazzante esperienza di commissario alla ricostruzione del Centro-Italia, come se a quella povera gente non fosse bastato il terremoto. La neoministra dei Trasporti, che pare sempre in procinto di impugnare il mattarello e tirare la pasta dei tortellini, appena assisa sulla poltrona di Toninelli ne è stata subito contagiata e ha espettorato un’intervista a La Stampa tutta asfalto e cemento. Al confronto Lunardi, “ministro con Trasporto”, era un dilettante. In barba al programma appena sottoscritto, che subordina ogni opera a una seria analisi degli “impatti sociali e ambientali”, Lady Turtlèn ha annunciato che “ostacoli politici ai cantieri non ce ne saranno più” (come se prima ce ne fossero: Toninelli non ha bloccato nulla, purtroppo). Tav di qua, maxi-Gronda di là, forza Atlantia e, già che c’era, pure una parolina inutile su Alitalia (che tocca al Mise), Libia (affari Esteri), migranti e dl Sicurezza (roba del Viminale). Quanto alle analisi costi-benefici, fa trapelare la Paola sul Messaggero di Caltagirone, “verranno aggiornate e lette non in chiave ideologica, ma di sistema ”: vedi mai che 2 più 2 faccia 3. Il risultato, ovviamente, è un ribollio di rabbia tra i 5Stelle, costretti a mordersi la lingua per non mandarla al solito posto. E una garbata irritazione – per usare un contismo – di Conte, che s’era appena liberato dell’onniministro Cazzaro e se ne ritrova un altro in gonnella. Anzi due, perché pure Lorenzo Fioramonti è debole di prostata: mentre si recava nel nuovo ufficio, Mister Istruzione già minacciava di dimettersi se non avrà subito 3 miliardi sul suo tavolo (ancora mai visto). Per carità: come dice Vittorio Feltri su Salvini, “l’ora del coglione arriva per tutti”. Ma di questo passo saremmo meno ottimisti della De Micheli: “Se andiamo avanti così, faremo assieme molte cose buone per il Paese”. No, cara: se vai avanti così, non arrivate a fine mese.

giovedì 5 settembre 2019

Alla prova del Fatto.- Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano del 5 Settembre

L'immagine può contenere: 6 persone, persone che sorridono

Pare un secolo, ma era solo un mese fa: il 5 agosto Salvini strappava la fiducia in Senato sul dl Sicurezza e si apprestava a maramaldeggiare il giorno 7 sui 5Stelle votando alla Camera le mozioni pro Tav col Pd&FI. Poi, l’8, la mossa volpina di rovesciare il governo per andare al voto e governare con “pieni poteri”.

Ora, 27 giorni dopo, si aggira insalutato ospite per la Val Padana ululando alla luna contro il complotto mondiale ai suoi danni, mestamente agghindato di magliette con la scritta “Polizia locale”, che presto cederanno il posto alle divise da metronotte. Intorno a lui, i volti sgomenti dei suoi giannizzeri che un mese fa ingrassavano nei ministeri, con uffici damascati, poltrone in pelle umana, auto blu, scorte, inchini, salamelecchi, tartine, interviste, starlette Rai e tutto il cucuzzaro del potere.

E ora, senza sapere il perché, si ritrovano digiuni e disoccupati, spogli e nudi come mamma li ha fatti (maluccio, se non ricordiamo male). Conte e Di Maio, vittime designate dell’astuto Cazzaro Verde, lo salutano con affettuosi bacioni da Palazzo Chigi e dalla Farnesina.

E il Pd, che l’altroieri ha vinto le sue prime elezioni dopo 13 anni ma tra gl’iscritti a un altro partito, lo ringraziano sentitamente per l’insperato ritorno al governo. Noi, da cittadini democratici e da antichi sostenitori dell’incontro fra un centrosinistra rinnovato e un M5S maturato, gli siamo grati per averlo reso possibile con la sua spettacolare autodistruzione. Ma siamo un giornale libero, cioè critico e rompipalle, e continueremo a esserlo. Quindi tratteremo il Conte-2 come gli altri governi, senza pregiudizi negativi né positivi: applausi se farà bene, fischi se farà male.

La partenza ha luci e ombre: un premier capace e perbene; un programma ambizioso, ma ancora troppo vago; una squadra giovane (la più giovane della storia), incensurata, con novità di eccellenza come la Pisano all’Innovazione, Provenzano al Sud, Patuanelli al Mise, Catalfo al Lavoro; un po’ di usato sicuro come Bonafede alla Giustizia, Costa all’Ambiente e Gentiloni alla Ue; e molte incognite tutte da scoprire, tipo la prefetta Lamorgese all’Interno (perché non Minniti?) e Gualtieri all’Economia (cui non giova l’imbarazzante endorsement di Lady Bce).

Li attendiamo al varco, cioè alla prova dei fatti. Formeremo un governo-ombra del Fatto, con le nostre firme distribuite per competenze sui vari dicasteri, per giudicare i ministri all’opera (oggi Montanari inizia col triste remake di Franceschini al Mibact). Non chiamarsi Salvini, Bongiorno, Fontana, Centinaio, Rixi e Siri aiuta. Ma il meno peggio non basta: alla lunga, apre (o riapre) la strada al peggio.


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Alan Greenspan: ‘E’ solo questione di tempo, tassi negativi arriveranno anche in Usa’. - Laura Naka Antonelli



Focus su tassi Treasuries a 30 anni, che oscillano all’1,95%, dopo essere scivolati nella sessione del 28 agosto fino a 1,907%, minimo record.

L’ex presidente della Federal Reserve Alan Greenspan ne è convinto: è solo questione di tempo prima che i tassi negativi, “fenomeno che avete visto diffondersi quasi ovunque nel mondo, faccia la sua apparizione anche negli Stati Uniti”. Intervistato nel corso della trasmissione “Squawk on the Street” della Cnbc, Greenspan ha consigliato agli investitori di monitorare il trend dei tassi sui Treasuries a 30 anni, che oscillano all’1,95%, dopo essere scivolati nella sessione del 28 agosto fino a 1,907%, minimo record.
Greenspan a parte, c’è da dire inoltre che proprio ieri i tassi sui Treasuries a due anni, che riflettono le aspettative sulle prossime mosse della Federal Reserve, sono scesi i 3 punti base, all’1,436%, capitolando al valore più basso dal settembre del 2017.
I tassi sui Treasuries a 10 anni viaggiano attorno all’1,456% e, secondo diversi analisti, sono destinati a testare il minimo storico pari all’ 1,32% testato alla metà del 2016.
C’è da dire che, rispetto ai bond sovrani con scadenza a 10 anni di Belgio, Germania, Francia e Giapppone, i titoli di stato Usa presentano ancora il segno più di fronte al valore dei rendimenti, confermandosi quasi una eccezione rispetto a quei bond, per un valore di oltre $16 trilioni, che presentano tassi negativi e che sono sparsi in tutto il mondo.
Ma perchè il fenomeno dovrebbe, secondo Alan Greenspan, colpire anche gli Stati Uniti? L’ex timoniere della Fed ha la risposta pronta, facendo notare che è l’invecchiamento della popolazione “il fattore che sta sostenendo la domanda per i bond”.
Ovvero?
“Siamo così abituati all’idea di non avere tassi negativi – ha detto – ma bisogna considerare il cambiamento significativo delle attitudini della popolazione, che conferma l’interesse per i coupon. Il risultato è che c’è una tendenza a snobbare il fatto che c’è un effetto sui tassi di interesse netti percepiti (dai detentori dei bond) “.
L’invecchiamento della popolazione mondiale è anche alla base, secondo il banchiere, del boom delle quotazioni dell’oro, che sono balzate del 21% nel 2019 ai massimi dal 2013. Ciò che vuole questa parte di popolazione è, infatti, un “Hard asset”.
E intanto è il mondo intero che propende per tassi di interesse più bassi. Alla vigilia della riunione della banca centrale russa, 24 su 25 analisti ed economisti intervistati da Reuters, hanno detto di prevedere che l’istituto taglierà i tassi di riferimento di 25 punti base, al 7% , tassi ben superiori a quelli delle economie cosiddette avanzate e, per ora, ancora positivi.
Non è così invece nel caso della Bce, pioniera insieme alla Bank of Japan del fenomeno dei tassi negativi, e che si appresterebbe tra l’altro, nella riunione del prossimo giovedì 12 settembre, a tagliarli ulteriormente, o comunque a dare l’annuncio di un nuovo taglio (tassi sui depositi al momento a -0,40%).
Ad affrontare la questione, nelle ultime ore, è stata Christine Lagarde, in un intervento al Parlamento.L’ex direttrice del Fondo Monetario Internazionale, nominata dai leader europei presidente della Bce, sostituirà l’attuale numero uno della banca centrale, Mario Draghi, il prossimo 1° novembre. Il Parlamento europeo voterà la sua nomina tra il 16 e il 19 settembre, con quella che viene considerata, comunque, una formalità.

La mafia nigeriana sempre più potente e pericolosa. - Vincenzo Musacchio



I vari studi criminologici sulle mafie nigeriane confermano che dagli anni ’80, il crimine organizzato nigeriano si è ramificato in tutto il mondo. Tra i vari Paesi in cui ha attecchito stabilendo solide radici vi rientra senza dubbio l’Italia. Ci siamo chiesti quindi quali potrebbero essere le motivazioni per l’arrivo del crimine organizzato nigeriano in Italia. Non vi sono dubbi circa il fattore principale: le mafie seguono i flussi di denaro. Questo ha motivato le organizzazioni criminali nigeriane a muoversi verso il nostro Paese e tramite esso invadere anche l’Europa. Il fenomeno migratorio cominciò con la grande crisi degli anni ‘80 che portò la Nigeria verso la corruzione endemica e la più grande depressione economica del Paese. Questi eventi purtroppo hanno significato nuove opportunità di lavoro all’estero e quindi molti nigeriani emigrarono soprattutto avendo come meta il nostro Paese. Ovviamente assieme a tante brave persone nel flusso migratorio si mossero anche molte componenti della criminalità organizzata locale. La Nigeria è il paese più popoloso dell’Africa, quindi, statisticamente, ha anche numero maggiore di persone coinvolte in attività criminali. Molti laureati disoccupati con ottime competenze informatiche hanno approfittato del boom dell’informatica negli anni ’90 e sono diventati specialisti nel settore dei crimini informatici.
La famosissima truffa alla nigeriana è una truffa postale, sia informatica sia tradizionale, tra le più diffuse al mondo, inventata nel 1992 per lettera e nel 1994 per e-mail. Esistono numerose varianti ma in genere si presenta uno sconosciuto che non riesce a sbloccare un conto in banca di milioni di dollari, questi, sarebbe un personaggio noto che avrebbe bisogno di un prestanome che si occupi dell’operazione al suo posto in cambio di una percentuale. L’ammontare del raggiro è molto remunerativo senza che le autorità possano davvero fare qualcosa per fermare il fenomeno. Può sembrare assurdo ma da questa semplicissima truffa ha inizio il crimine transnazionale nigeriano. In Italia, i gruppi criminali nigeriani ormai hanno stabilito partnership con tutte le mafie locali (ndrangheta, camorra, mafia siciliana, mafie pugliesi).
Alcuni membri della mafia nigeriana confermano il dato già noto a noi studiosi della materia che i nigeriani s’ispirano alla struttura e ai metodi operativi delle famiglie mafiose italiane, usando l’intimidazione per gestire le loro attività e cercando di governare sia le imprese legali sia illegali attraverso il sistema delle estorsioni. I gruppi criminali nigeriani hanno avuto un tale successo nel mimare le famigerate famiglie che la polizia italiana ha iniziato a considerarle “mafia”. Possiamo affermare senza timore di smentita che la mafia nigeriana oggi in Italia ha una struttura attiva, partenariati internazionali e una strategia criminale ben pianificata. L’arrivo di un gran numero d’immigranti nigeriani per le mafie autoctone ha significato all’inizio poter appaltare alcune attività criminali meno remunerative. Nel tempo però il crimine organizzato nigeriano si è affermato grazie alla grande richiesta di prostitute nigeriane e ha portato nel mercato italiano cocaina e soprattutto crack. Agli inizi degli anni novanta, i locali notturni iniziarono ad assumere buttafuori nigeriani come sicurezza, sostituendo gli italiani che erano più inclini alla violenza e attiravano l’attenzione indesiderata della polizia. Questo ha dato una risorsa di marketing ai nigeriani coinvolti nella droga, che hanno potuto ampliare il loro mercato vendendo nei locali notturni. Questo ha consentito loro di affermarsi come spacciatori della catena di distribuzione di cocaina e crack.
La mafia nigeriana, prima di stabilirsi in Italia, ha creato sempre accordi di non belligeranza con le mafie autoctone. Per introdurre la droga in Italia, i nigeriani, utilizzano corrieri remunerandoli con circa tremila euro per ogni trasporto andato a buon fine. Si tratta soprattutto di donne, provviste di regolari permessi di soggiorno, che sono utilizzate non più di due o tre volte per evitare che la ripetizione dei visti insospettisca la polizia di frontiera. Ad alcune di queste donne particolarmente fedeli all’organizzazione è conferito il titolo di “maman” per avviarle alla gestione delle prostitute (vere e proprie schiave sessuali) di esclusiva origine nigeriana. Altro settore sotto controllo delle mafie nigeriane è l’accattonaggio. Quando, cedendo al sentimento di umana pietà, regaliamo un euro all’immigrato che ci attende fuori dal supermercato, al semaforo, davanti al ristorante o al bar, è bene sapere che, di quell’euro, forse neppure cinque centesimi gli rimarranno in disponibilità. Il resto finirà all’organizzazione che lo controlla e cioè ai nigeriani.
E’ un settore molto redditizio che va tutto a beneficio della mafia nigeriana. Se si pensa alle molte centinaia di fonti, da cui questo flusso di denaro proviene (parcheggi, questua, prostituzione, spaccio, caporalato), si parla d’ingenti guadagni che nessuna attività legale è in grado di eguagliare. Guadagni che la mafia nigeriana utilizza per acquistare droga, cercare altre rotte di smercio, aprire attività di copertura, come centri interculturali, circoli ricreativi e negozi etnici. In quasi tutte le regioni italiane a organizzare il caporalato sono i mafiosi nigeriani che schiavizzano gli altri clandestini sfruttandoli in condizioni totalmente disumane. Nell’ultima relazione antimafia la DIA conferma che le cosche nigeriane sono radicate in almeno sette regioni: Lazio, Campania, Calabria, Piemonte, Puglia, Sicilia e Veneto, dove trattano da pari a pari con la malavita italiana e ci sono otto città che sono i loro capisaldi: Torino, Verona, Bologna, Roma, Napoli, Palermo, Bari, Caserta. I pentiti e le tante operazioni di polizia rivelano che anche Padova, Macerata, Ferrara e nella piccola regione del Molise sono entrate a far parte di questo elenco e che in Sardegna, a Cagliari in particolare, c’è un forte radicamento dei Supreme Eye, mentre in Lombardia cominciano a farsi vedere anche i cd. colletti bianchi della mafia nigeriana nel bresciano, nell’hinterland milanese e nella bergamasca.
Stando alle ultime indagini la mafia nigeriana avrebbe messo in piedi un altro orribile mercato che riguarda il traffico di esseri umani e di organi. Il mercato è così florido che esiste anche un listino prezzi: un rene varrebbe cinquantamila euro, le cornee ventimila, il midollo ventimila e il cuore, duecentocinquantamila euro. La grande adattabilità della mafia nigeriana è il suo punto di forza e le modalità operative diverse per ogni gruppo fanno sì che agli inquirenti resti incomprensibile e difficile da perseguire la loro attività criminale. Le nostre mafie si nutrono tramite il condizionamento delle attività economiche, passando per la corruzione di politici, pubblici funzionari, imprenditori, appalti ottenuti illegalmente, minacce e intimidazioni, per ottenere il controllo del territorio.
La criminalità nigeriana invece non essendo in grado di agire come le mafie autoctone si dedica a tutto ciò che non interessa direttamente alle mafie locali e gli accordi di non interferenza di conseguenza giocano a favore sia dell’una sia dell’altra organizzazione criminale. Il primo germoglio criminale nasce proprio nei centri di accoglienza, mentre uno dei fattori in grado di alimentare questo giro potrebbe essere anche il flusso degli sbarchi. Dalla Libia sono reclutate e obbligate a imbracarsi giovani donne nigeriane, le quali una volta in Italia sono messe sui marciapiedi, costringendole non solo a prostituirsi ma a diventare schiave nei campi e nelle imprese italiane. I soldi ricavati da prostituzione e droga, pertanto, sono il carburante che tiene in vita le varie cellule africane che sono il vero cordone ombelicale della mafia nigeriana. Secondo il Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato alcuni arrestati membri del clan Vikings avevano come base operativa il Cara di Mineo, in provincia di Catania. Pertanto, anche i centri di accoglienza andrebbero maggiormente attenzionati. Questa nuova mafia sta diventando sempre più potente e pericolosa ma giacché è quasi invisibile agli occhi dei più ed è poco conosciuta dall’opinione pubblica e dall’associazionismo antimafia, se ne parla troppo poco. Forse è arrivato il momento di affrontare più seriamente il problema!

Temporale.

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Ecco le immagini del temporale che, durante la serata di ieri, ha interessato la costa palerminata.
Quello nella prima foto è chiamato fulmine positivo. I positivi sono i fulmini più pericolosi, si sviluppano dal top della nube e arrivano al suolo anche a 20km di distanza dal temporale.
Foto di : Giuly Merlo


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