sabato 25 aprile 2020

Lombardia: i pazienti ex Covid continuano a essere trasferiti oggi. - Maddalena Oliva, Valeria Pacelli e Natascia Ronchetti

Lombardia: i pazienti ex Covid continuano a essere trasferiti oggi

Succede nel Bresciano come a Pavia: "Le Ats chiamano ogni giorno per capire se possiamo accogliere malati."
Al Santa Margherita di Pavia, istituto di riabilitazione e di cura geriatrica, nelle settimane scorse sono arrivati a contare fino a 20 contagiati, tra i circa 200 anziani ricoverati. La situazione ora sta piano piano rientrando, ma il telefono dell’istituto continua a squillare. “È l’Ats che chiama tutti i giorni”, racconta Maurizio Niutta, direttore amministrativo del Santa Margherita. “Monitorano le strutture del territorio per verificare se le nostre condizioni, essendo migliorate, sono idonee a ricevere pazienti Covid sulla base della delibera dell’8 marzo. Ma qui noi, voglio chiarirlo subito, non abbiamo avuto né ordini né pressioni…”. È Priamo, la piattaforma digitale della Regione che collega ospedali a territorio, che “smista” il traffico dei pazienti.
“Online è visibile tutto il percorso di un paziente, anche di quelli Covid: da quando è dimissionabile dall’ospedale a quando può tornare a casa”, spiega, a qualche centinaio di chilometri di distanza, nel Bresciano, Luca Magli, presidente della casa di riposo di Orzinuovi, Orzivecchi e Barbariga (tre sedi e 190 anziani). “I malati Covid noi non li abbiamo presi: mi sono sempre opposto. Ma – racconta – abbiamo dato piena disponibilità ad accogliere i pazienti ex Covid dimessi dagli ospedali, che non possono ancora rientrare a casa. Due giorni fa i militari russi hanno sanificato tutte le Rsa della zona, e così li abbiamo presi: sono già arrivati 4-5 pazienti”. I pazienti ex Covid dimessi dagli ospedali e che non possono ancora rientrare nelle proprie abitazioni continuano quindi a essere trasferiti nelle Rsa. Sono i cosiddetti “clinicamente guariti”, come indicati da delibera regionale del 23 marzo. “Per noi la condizione ovviamente – precisa Magli – è che tali pazienti abbiano il doppio tampone negativo, ma per noi è un dovere etico e morale accoglierli. Li ‘segregheremo’ in una struttura apposita, ma non possiamo girarci dall’altra parte…”.
Per la Regione restano sempre 147. Ma – come abbiamo raccontato ieri nella nostra inchiesta – i conti non tornano. Tanto più se, per quello che riguarda i pazienti ex Covid, i trasferimenti dagli ospedali alle Rsa stanno proseguendo. Dalla Regione non vogliono commentare. Anche se sono in molti a far notare, ultimamente, una certa ritrosia da parte dell’assessore al Welfare e Sanità, Giulio Gallera, attorniato da un cerchio ristretto di collaboratori che un po’ velenosamente qualcuno definisce “il giglio tragico”, e pressoché sparito dalle scene. Gallera stesso, due giorni fa, si era fatto sfuggire in un’intervista a 7Gold che “le Rsa sono enti gestiti da soggetti privati o da fondazioni, quindi che non avevano capacità di affrontare la gestione dei pazienti Covid”. Eppure, passano i giorni, ma la confusione – nel rimpallo generale di responsabilità, e tra le polemiche (e le indagini della magistratura) – aumenta. Ecco perché, visto quanto raccontato dal Fatto sulle Rsa dall’inizio dell’emergenza, abbiamo posto a Regione Lombardia 10 domande sul tema dei trasferimenti e della nostra inchiesta. Aspettiamo fiduciose.
1. È stata Regione Lombardia, con la delibera dell’8 marzo, a chiedere la facoltà a Rsa con determinate condizioni (strutture separate e personale dedicato) di accogliere i pazienti Covid “a bassa intensità”. A oggi di quanti pazienti si tratta?
2. È da inizio aprile che Regione Lombardia parla di “147 pazienti accolti in 15 strutture”. Abbiamo chiesto quotidianamente aggiornamenti alla Regione su questo numero. La risposta è sempre stata 147. Come è possibile che, a distanza di giorni, questo numero sia invariato?
3. Dei 147 pazienti che per Regione Lombardia sono stati trasferiti nelle Rsa, ve ne sono alcuni deceduti? Quanti?
4. Quanti pazienti ex Covid “clinicamente guariti”, ossia che non hanno più i sintomi ma che potrebbero continuare ad avere una carica virale, sono stati trasferiti negli hospice, in seguito alla delibera del 23 marzo?
5. I pazienti ex Covid sono sottoposti a doppio tampone prima di essere trasferiti? Se sì, quando è iniziata questa procedura?
6. Da quando i tamponi vengono effettuati, Ats per Ats, nelle Rsa a degenti e a operatori?
7. Regione Lombardia ha assicurato che il trasferimento dei pazienti nelle Rsa non è mai avvenuto in presenza di “contaminazioni”. Si è detto anche che “sono le Ats ad avere il compito di sorvegliare sulle condizioni delle strutture che hanno accolto pazienti”. C’è stata una verifica da parte della Regione sulle Ats per capire se questo è avvenuto?
8. Come hanno fatto le Ats a verificare che nelle Rsa ci fossero o meno già casi positivi al Covid, se i tamponi in molte Rsa ancora oggi non sono stati eseguiti?
9. Diverse Rsa denunciano di aver subito “pressioni”, “fino a venti telefonate al giorno dalle Ats” per accettare pazienti Covid o ex Covid dimessi. Regione Lombardia ne è a conoscenza? Come risponde?
10. Alla luce di quanto sta emergendo, Regione Lombardia ha intenzione di continuare a inviare pazienti alle Rsa?

Maledetto Antonio - Marco Travaglio

Panorama annuncia: Padellaro lascerà la direzione del 'Fatto'. Al ...
Caro Antonio (ma dovei dire maledetto Antonio, visto che questa condanna della direzione me l’hai inflitta tu, cinque anni fa, con tutte le pene accessorie), il tuo smarrimento è anche il mio. Anche se ti confesso che l’altra sera, preso com’ero a capire se nel vertice europeo avesse perso Conte (come sostenevano i patrioti Salvini&Meloni) o avesse vinto Macron (come sostenevano i patrioti Innominabile&Boschi), mi son perso l’imperdibile nota sul giro di direttori in casa Gedi, che peraltro mi ha sempre fatto pensare a un personaggio del bar di Guerre Stellari.
Sì, nel nostro piccolo siamo fortunati e lo sono anche i nostri lettori. Che ci conoscono da almeno 10 anni, o addirittura da prima, quando il Fatto non esisteva, ma noi già facevamo danni qua e là. E ci prendono per quello che siamo: una ciurma di bucanieri e gianburrasca che si divertono a scovare notizie e a rompere i coglioni a chiunque lo meriti, senza prendersi troppo sul serio anche quando conducono battaglie molto serie.
Sanno chi siamo, coi nostri pregi e i nostri difetti, i nostri meriti e i nostri errori, senza mai intravedere dietro di noi Qualcuno che – da palazzi o terrazze o salotti o logge o partiti o banche o cantieri o aziende o multinazionali o paradisi fiscali – ci dica cosa scrivere e cosa non scrivere. E senza mai temere che un giorno arrivi un nuovo padrone a imporci la sua “linea”. Snaturando la nostra.
Ed è un bel fardello di responsabilità, perché tutto quel che esce sul Fatto, nel bene e nel male, è farina del nostro sacco: merito nostro o colpa nostra. È il nostro modo – lo dico sottovoce per non indulgere alla retorica né perdere il senso della misura – di onorare quella Costituzione che abbiamo scelto come unica linea politica nell’editoriale che tu firmasti sul nostro primo numero, il 23 settembre 2009. Quella Costituzione di cui oggi, 25 Aprile, festeggiamo i genitori: i partigiani della Liberazione.
Io sono sempre stato un solista e non ho mai pensato di fare il direttore, né ho mai brigato per farlo. Ma riesco a farlo, da dilettante del ramo, soltanto grazie al fatto che il nostro editore siamo noi e i lettori: se ricevessi ordini da ectoplasmatiche “cornurbazioni di dividendi”, non ce la farei proprio a obbedire, portato come sono a fare l’esatto contrario di quel che mi viene detto. Quindi ringrazio i lettori e gli abbonati di averci mantenuti in salute e in grazia di Dio. E la cosiddetta “concorrenza” di spalancarci oceani di conformismo, censura e autocensura da solcare col nostro vascello corsaro.
Pensa, Antonio, che – te lo sussurro all’orecchio, per scaramanzia – in queste settimane di arresti domiciliari al 41-bis per tutti gli italiani, le nostre vendite in edicola sono persino aumentate, abbiamo raccolto 12 mila nuovi abbonamenti digitali e le lettere al Fatto si sono moltiplicate per dieci. Un premio a tutta la redazione e ai collaboratori che lavorano in condizioni difficili, spesso proibitive.
Fra pochi giorni annunceremo importanti novità in casa nostra, che riguardano il giornale, la sua veste grafica e una serie di nuove iniziative per affrontare il mondo nuovo post-Covid all’insegna di una vera normalità, cioè di un autentico cambiamento, onde evitare che qualcuno ci riporti alla falsa normalità di prima, quando di normale accadeva ben poco.
In questi momenti di disorientamento, mi capita spesso di immaginare che cosa direbbe Indro Montanelli se fosse vivo. Così apro a caso uno dei suoi libri, o vado sul sito della Fondazione Montanelli che ogni giorno distilla una sua perla, e trovo compagnia.
E, a proposito di cambi di direzione, mi sono imbattuto nel suo commiato a noi redattori del Giornale l’11 gennaio 1994, quando ci annunciò che se ne sarebbe andato a fondare La Voce per le intromissioni di B. prossimo alla discesa in campo: “È un po’ tardi, ma alla fine mi sono convinto che di padroni non bisogna averne. Perché, anche quando cominciano bene, finiscono male… La libertà, che non consiste nell’avere un padrone giusto, ma nel non averne alcuno”.

IL COVID-19 SCOMPARIRÀ DA SOLO A BREVE! (Luc Montagnier - premio Nobel e scopritore dell'HIV)



Sapremo mai la verità?

venerdì 24 aprile 2020

Coronavirus, mascherine senza certificazioni sequestrate a Milano in 12 farmacie. Lodi, denunciato venditore per ricarico del 700%.

Coronavirus, mascherine senza certificazioni sequestrate a Milano in 12 farmacie. Lodi, denunciato venditore per ricarico del 700%

Continuano le speculazioni sui dispositivi di protezione individuale che sono necessari per arginare l'epidemia e saranno indispensabili nella fase 2 del lockdown. Le forze dell'ordine sono impegnate da settimane a vigilare e continuano i sequestri di materiale illegale o venduto a prezzi esorbitanti.
Continuano le speculazioni sui dispositivi di protezione individuale che sono necessari per arginare l’epidemia di Sars Cov 2 e saranno indispensabili nella fase 2 del lockdown. Le forze dell’ordine sono impegnate da settimane a vigilare e continuano i sequestri di materiale illegale o venduto a prezzi esorbitanti. Erano senza certificazioni, quindi illegali e chissà se non addirittura pericolose, le oltre 240.000 mascherine sequestrate dai finanzieri del Comando provinciale di Milano, in parte in dodici farmacie milanesi (oltre 30mila) e in parte nel magazzino di una società fornitrice.
Coronavirus, a Lodi sequestro di mascherine: rincari del 700 per cento
Volume 90%
I militari sono risaliti, poi, alla catena di distribuzione individuando il fornitore dei dispositivi di protezione individuale in una società di Milano, che opera nel settore della grande distribuzione farmaceutica, che le aveva importate dalla Cina e messe in vendita senza aver prima provveduto agli adempimenti finalizzati a garantire la sicurezza e l’adeguatezza dei dispositivi. Nel magazzino della società sono state sequestrate quasi 210.000 mascherine. Il responsabile della cooperativa di farmacie e il rappresentante legale della società fornitrice ed importatrice sono stati denunciati alla Procura di Milano.
Erano invece tutti conformi i dispositivi venduti dal titolare di una società operante in provincia di Milano, a Segrate e a Pioltello, che le vendeva effettuando “una rilevante speculazione sui prezzi di vendita”. L’uomo è stato denunciato dalla Guardia di finanza di Lodi.
“La percentuale di ricarico, in alcuni casi, ha raggiunto anche il 700% rispetto al normale valore di mercato – ha precisato la Finanza – Guanti e camici mono uso e le famigerate mascherine sia chirurgiche sia di tipo Ffp1, Ffp2 e Ffp3 tutti conformi alla norma tecnica di riferimento, sono state poste in vendita con smisurati aumenti percentuali di prezzo, senza alcuna giustificazione tanto che il titolare dell’azienda, B.R. di anni 58 anni, è stato denunciato alla Procura della Repubblica di Milano, per violazione dell’articolo 501 bis del Codice Penale: “Manovre speculative sulle merci”. Le Fiamme gialle hanno sequestrato 500mila dispositivi di protezione. Proprio in tema di speculazioni ieri i carabinieri di Bari hanno denunciato in stato di libertà la titolare di un negozio autorizzato alla vendita di mascherine poiché erano state messe in vendita, in quest’ultimo periodo, con una percentuale di ricarico pari al 129%.
Negli ultimi giorni, nel corso di tre distinte attività investigative, le Fiamme gialle hanno sequestrato 21mila mascherine protettive, riportanti indebitamente il marchio CE o vendute, in maniera ingannevole, come dispositivi di protezione individuale. Le indagini hanno interessato un produttore, un importatore e un distributore dei dispositivi nonché una rivendita al dettaglio tra Montesilvano, Pescara, Manoppello Scalo e Lettomanoppello. Le mascherine, molte delle quali in poliuretano, recavano la marcatura CE pur essendo prive della prevista certificazione, non essendo mai stata conseguita dal produttore e dall’importatore. Inoltre, la maggior parte dei prodotti veniva pubblicizzata per la vendita, tramite brochure e video su siti internet, traendo in inganno gli ignari consumatori, convinti di acquistare veri e propri Dispositivi di Protezione Individuale efficaci con marcatura CE, mentre in realtà compravano dei semplici copri bocca.
“Le mascherine sono un bene prezioso e come avviene quando la domanda schizza e l’offerta è limitata, il prezzo si forma a un valore elevato. Credo sia necessario e doveroso – aveva detto appena ieri il capo della Protezione civile Angelo Borrelli – e questa è una scelta politica, prevedere un prezzo massimo per tipologia di mascherine per evitare fenomeni speculativi.”
“Da cittadino aggiungo che sono fenomeni speculativi altamente deprecabili e biasimevoli“, ha aggiunto il presidente del Consiglio superiore della sanità Franco Locatelli.

Sì alla fiducia sul Cura Italia, le misure: dallo stop ai mutui al bonus baby sitter.

Una deputata in Aula con la mascherina © ANSA
Una deputata in Aula con la mascherina.

Il voto finale sul decreto legge da 25 miliardi di euro è previsto nel pomeriggio.

La Camera conferma la fiducia al governo sul decreto legge Cura Italia. I voti a favore sono stati 298, 142 i contrari, due gli astenuti.
Il voto finale sul provvedimento è previsto nel pomeriggio. 
Il decreto Cura Italia è lo strumento con cui, a metà marzo, il governo ha stanziato 25 miliardi per il contrasto al coronavirus, intervenendo su: potenziamento del Sistema sanitario, sostegno all'occupazione e ai lavoratori, supporto al credito per famiglie e pmi, sospensione degli obblighi fiscali. Molte delle misure, adottate per coprire la falla provocata dall'emergenza sanitaria, sono state poi riprese e modificate nei successivi decreti. Da un punto di vista politico, il percorso parlamentare del Cura Italia ha messo in piazza la rottura della fragile 'unità nazionale' che ha caratterizzato le prime ore dell'emergenza. In mancanza di un accordo fra maggioranza e opposizione, e per velocizzare i tempi, il governo ha chiesto la fiducia anche alla Camera dopo averla posta al Senato in prima lettura. Il provvedimento si avvia così al voto finale in Parlamento. Questi alcuni degli interventi principali.
- SANITA': il decreto ha individuato le coperture per 20 mila assunzioni nel Sistema sanitario nazionale, ha stanziato risorse per gli straordinari, ha finanziato l'aumento dei posti letto in terapia intensiva e ha fatto sì che per combattere l'emergenza fossero messi a disposizione anche personale, locali e apparecchiature delle strutture private.
- MUTUI: possono chiedere la sospensione del mutuo per la prima casa i lavoratori dipendenti, autonomi e i professionisti che abbiano subito forti ripercussioni di stipendi e entrate.
- BONUS BABY SITTER: per i genitori è previsto l'incremento di 15 giorni del congedo parentale retribuito al 50%. In alternativa, è previsto un bonus per i servizi di baby-sitting, nel limite di 600 euro.
- BONUS AUTONOMI: indennizzo di 600 euro per i lavoratori autonomi e le partite Iva.
- REDDITO ULTIMA ISTANZA: è stato istituito un fondo per il reddito di ultima istanza per tutti gli esclusi dall'indennizzo di 600 euro.
- CASSA INTEGRAZIONE: con uno stanziamento di 4 miliardi di euro, la Cassa integrazione in deroga è stata estesa all'intero territorio nazionale (inizialmente era per le sole zone rosse), per tutti i dipendenti, di tutti i settori produttivi. Anche le aziende con meno di 5 dipendenti possono ricorrere alla cassa integrazione guadagni in deroga. - PMI: Potenziato di 1,5 miliardi il Fondo Centrale di Garanzia per le Pmi. L'obiettivo è fornire garanzie per oltre 100 miliardi di finanziamento alle imprese. La garanzia è dell'80% per i prestiti fino a 1,5 milioni. Al di sopra di quell'importo, la percentuale viene modulata.
- FISCO IN STANDBY: è stabilito il differimento delle scadenze e la sospensione dei versamenti fiscali e contributivi per tutte le imprese di piccola dimensione, per i professionisti e per gli autonomi.
- RICONVERSIONE: stanziati 50 milioni di euro per sostenere le aziende che vogliono ampliare o riconvertire la propria attività per produrre ventilatori, mascherine, occhiali, camici e tute di sicurezza.
- SCUOLA DIGITALE: incrementate le risorse per il 2020 del Fondo per l'innovazione digitale e la didattica, per l'acquisto di piattaforme e strumenti digitali da parte delle scuole e per mettere a disposizione degli studenti i dispositivi digitali.
- STRAORDINARI FORZE DELL'ORDINE: stanziati oltre 100 milioni di euro per il pagamento degli straordinari per polizia, Forze armate, polizia penitenziaria, Vigili del Fuoco.

giovedì 23 aprile 2020

Coronavirus, il punto sugli aiuti ai cittadini: 600 euro per 3,5 milioni di autonomi, cassa arrivata solo se l’ha anticipata l’azienda. Flop della sospensione dei mutui e 300mila richieste di prestito. - Chiara Brusino

Coronavirus, il punto sugli aiuti ai cittadini: 600 euro per 3,5 milioni di autonomi, cassa arrivata solo se l’ha anticipata l’azienda. Flop della sospensione dei mutui e 300mila richieste di prestito

Ancora in fase di accertamento 900mila domande di bonus per gli autonomi, mentre per gli iscritti alle casse private i soldi stanziati non bastano. Solo 30mila domande per lo stop alle rate dei mutui. I prestiti fino a 25mila euro sono stati chiesti nei primi due giorni da almeno 300mila piccole imprese, ma solo un migliaio hanno già avuto i soldi (e qualche banca ha finito il plafond). Intanto i 9 milioni di dipendenti fermi o con l'orario ridotto attendono gli ammortizzatori: secondo i Consulenti del lavoro sono 4 milioni hanno ricevuto qualcosa. La cassa in deroga è gestita dalle Regioni, Sicilia e Sardegna non hanno ancora dato il via libera.
L’attesissimo decreto Aprile con il reddito di emergenza per chi finora non ha avuto altri aiuti approderà in consiglio dei ministri, se va bene, il 30 del mese. Ma gli altri sussidi e ammortizzatori, i prestiti e le agevolazioni per chi a causa del coronavirus non sta lavorando sono arrivati a destinazione? Per ora solo in piccola parte. A dispetto della pessima partenza con il crash del sito Inps, i primi a ricevere concretamente un versamento sul conto corrente – subito dopo Pasqua, a cinque settimane dall’inizio del lockdown – sono stati 3,5 milioni di autonomi, partite Iva e stagionali che avevano chiesto l’indennità di 600 euro. Ma centinaia di migliaia di domande sono ancora in fase di accertamento. In questi giorni poi sono stati erogati i primi piccoli prestiti con il 100% di garanzia pubblica. Ancora pochi. Quanto alla cassa integrazione, invece, i soldi non si vedranno prima di maggio: hanno incassato qualcosa solo i dipendenti di aziende che avevano liquidità sufficiente per anticipare l’assegno.
In 3,5 milioni hanno ricevuto i 600 euro – A fronte di una platea di 5 milioni di potenziali beneficiari dell’indennità mensile da 600 euro prevista dal decreto Cura Italia, l’Inps ha ricevuto 4,4 milioni di richieste e ha versato i soldi a 3,5 milioni di persone tra liberi professionisticommercianti, collaboratori coordinati e continuativi, stagionali e lavoratori dello spettacolo. Altri 900mila però sono ancora in attesa e per loro le prospettive non sono buone. “Per la maggior parte saranno rifiutati“, ha detto lunedì in audizione Pasquale Tridico. “Perché ci sono circa 250mila Iban sbagliati che non corrispondono e anzi potrebbero essere fraudolenti” e circa “400mila non hanno i requisiti“: tra loro gli stagionali con contratti diversi da quello del turismo, i lavoratori dello spettacolo che non hanno sufficienti giorni di contribuzione (almeno 30 nel 2019), i beneficiari di reddito di cittadinanza, i dipendenti che svolgono anche un lavoro a partita iva.
Poi ci sono gli autonomi iscritti alle casse private, dagli avvocati agli ingegneri ai giornalisti: per loro c’è il paletto del reddito – non deve aver superato i 50mila euro nel 2018 e deve essere stato fortemente ridotto dall’emergenza – e sono stati stanziati solo 200 milioni, sufficienti per 333mila erogazioni. Ma le richieste sono state oltre 450mila. Se ne riparla con il prossimo decreto.
Pochissime richieste di sospensione delle rate del mutuo: troppi paletti? – Stando agli ultimi dati del Tesoro, che risalgono però al 14 aprile, la sospensione delle rate del mutuo prima casa attraverso il fondo Gasparrini è stata chiesta alla banca solo da 30mila famiglie. Un numero molto basso se si pensa che gli italiani con un prestito per l’acquisto della casa sono milioni e la stessa relazione tecnica al decreto Cura Italia ipotizzava almeno 300mila beneficiari tra i dipendenti che subiscono una riduzione dell’orario di lavoro e 235mila tra i lavoratori autonomi (prima esclusi da questa possibilità). In attesa che il ministero renda disponibili i numeri aggiornati, va detto che possono aver pesato i paletti che tagliano fuori chi ha già usufruito di agevolazioni pubbliche per il mutuo come la garanzia Consap, i dipendenti che non sono fermi da almeno 30 giorni e gli autonomi che non hanno perso almeno il 33% del fatturato rispetto all’ultimo trimestre 2019. Quindi anche quelli che hanno aperto la partita Iva da poco e un fatturato l’anno scorso non lo avevano. Va poi ricordato che per chi è in affitto non c’è alcun aiuto e il Cura Italia non ha previsto rinvii per le rate dei prestiti personali. Solo il 22 aprile l’Abi ha fatto un accordo con le associazioni dei consumatori che consente di sospendere fino a 12 mesi il rimborso del capitale: non c’è ancora l’elenco delle banche che accetteranno di aderire.
Almeno 300mila domande di piccoli prestiti, solo un migliaio già erogati – Le attività sono ferme da settimane e la liquidità è agli sgoccioli. Così solo tra 20 e 21 aprile, le prime giornate utili, sono state almeno 300mila le domande di finanziamenti fino al 25% dei ricavi per un massimo di 25mila euro con garanzia pubblica presentate da aziende con meno di 499 dipendenti e partite Iva. E a una settimana dalla pubblicazione del modulo sul sito del Fondo di garanzia sono stati già erogati i primi prestiti: 1.055, secondo il ministro dello Sviluppo Stefano Patuanelli. Stando al decreto Liquidità vanno deliberati subito senza alcuna valutazione sul merito di credito. Ma non tutto fila liscio: alcuni istituti chiedono di compilare documentazione aggiuntiva e, burocrazia a parte, le imprese segnalano diversi problemi. Come i tassi di interesse ben più alti di quanto si aspettavano. Il rifiuto del prestito a chi non è già correntista. E il fatto che chi ha un’esposizione nei confronti dell’istituto si è visto a volte “proporre” di utilizzare i nuovi fondi per rientrare, col risultato che solo una parte dei 25mila euro arriverà effettivamente sul conto per sostenere l’attività. Del resto il decreto lascia ampi margini: prevede esplicitamente che “diventano ammissibili le operazioni finalizzate all’estinzione di finanziamenti erogati dalla stessa banca, a condizione che ci sia erogazione di credito aggiuntivo pari ad almeno il 10% del debito residuo“.
Resta poi l’incognita risorse, perché gli 1,7 miliardi stanziati finora per le garanzie possono coprire non più di 340-350mila domande. La Banca Popolare di Bari ha già comunicato di aver finito il plafond. Serve un nuovo stanziamento, ma dovrà attendere una nuova autorizzazione del Parlamento ad aumentare il deficit e il successivo varo del decreto Aprile. Per le aziende più grandi la garanzia, concessa nel loro caso da Sace, va dal 70 al 90% e l’istruttoria è più lunga perché servono tutti gli usuali controlli e verifiche.
La Cassa integrazione può attendere – Gli ultimi dati Inps si fermano al 10 aprile e parlano di 4,6 milioni di richieste di cassa integrazione. Ma secondo i Consulenti del lavoro, che operano come intermediari con l’Istituto di previdenza, oggi sono 9 milioni i lavoratori fermi o con l’orario ridotto che hanno quindi bisogno di ammortizzatori, che siano le nove settimane di cig con causale Covid, la cassa in deroga gestita dalle Regioni o gli assegni dei fondi di integrazione salariale. “Circa 4 milioni stanno ricevendo l’anticipo dell’ammortizzatore dalla loro azienda”, spiega Marina Calderone, presidente del Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti. “Gli altri sono in attesa dei bonifici Inps, ma i tempi sono lunghi: se ne parla non prima di metà maggio“.
Particolarmente accidentato, come i Consulenti segnalano fin dall’inizio, il percorso per la cassa in deroga che copre tra l’altro i dipendenti delle aziende più piccole e interessa almeno 3 milioni di persone: l’acquisizione e valutazione delle domande spetta alle Regioni, che poi girano l’esito all’Inps. L’iter è lento e “ad oggi”, dice Calderone, “ci risulta che da Sicilia e Sardegna non siano ancora arrivate le autorizzazioni”, che sono solo il primo passo. Ma non si può chiedere l’anticipo alla banca? “Vale solo per chi è in cassa a zero ore”, spiega Calderone. “E lo stanno chiedendo in pochi perché servono ben otto documenti e non tutti sono in grado di fare la procedura per via telematica ora che andare allo sportello è complicato” e richiede un appuntamento.

Il piano della task force: poche riaperture e cautela. - Paola Zanca

Il piano della task force: poche riaperture e cautela

Dal 4 maggio - Tornano al lavoro meno di tre milioni di italiani, un terzo del totale: il gruppo di esperti guidato da Vittorio Colao consegna al premier la sua relazione.
Quattro pagine e un diagramma di flusso: uno schema esclusivamente mirato alla riapertura di una serie di attività produttive, il prossimo 4 maggio. E che – “se funziona” – potrà essere poi applicato in futuro per allargare la cerchia a quei settori economici che ancora devono rimanere chiusi. Così ha lavorato la task force guidata da Vittorio Colao, che ieri ha consegnato la sua prima relazione al presidente del Consiglio. Un lavoro fatto in una settimana, confrontando documenti, protocolli e altre esperienze extra-nazionali, ma che di fatto non entra nel merito di molte scelte che ora toccheranno alla politica. In pratica il primo passo con cui la fase 2 si mette in moto, non certo il ritorno alla normalità. E che riguarderà poco meno di 3 milioni di lavoratori, un terzo di quelli attualmente sospesi dall’emergenza coronavirus.
NIENTE “LIMITI”
Il premier boccia l’idea di tenere a casa gli over 60. Ancora nessun accordo sui trasporti.
D’altronde, al termine di una giornata di riunioni con i rappresentanti delle task force, i capidelegazione della maggioranza, le parti sociali e gli enti locali, è la stessa Presidenza del Consiglio a chiarire che tra due lunedì non ci sarà nessuno “stravolgimento”: la fase 2 comincia, ma nessuno immagini di tornare alla vita che faceva a febbraio. Già domani il premier dovrebbe essere pronto a illustrare agli italiani il dettagliato piano che allenterà – ma solo un po’ – le misure imposte dal decreto in vigore. Tornano al lavoro le aziende manifatturiere e quelle edili, riapre qualche negozio, si stempera leggermente l’imperativo del “restate a casa”, ma di fatto la parola d’ordine resta la solita: prudenza.
Perché le indiscrezioni che in questi giorni hanno riguardato le nuove misure del lockdown rischiavano di far passare il messaggio che il peggio è passato. E, purtroppo, così ancora non è. Non che si fosse parlato del ritorno alla normalità, sia chiaro: le passeggiate al massimo in due, la mascherina ovunque, le metropolitane con i distanziometri a terra, niente viaggi extra-regione. Eppure, il rischio che segnali di distensione eccessivi facciano breccia nell’opinione pubblica è avvertito un po’ da tutti: da Palazzo Chigi, dalla task force, figuriamoci dal comitato tecnico scientifico che rappresenta gli scienziati. E che infatti ieri sera ha invitato tutti a rispettare la “gradualità” delle riaperture.
Sarà così, d’altronde, anche secondo gli esperti che hanno scritto il primo paper per la fase 2: la mission che Conte gli aveva affidato era circoscritta, per il momento, all’organizzazione delle attività produttive costrette alla convivenza con il virus. Per questo i tecnici si sono concentrati sugli strumenti di “rarefazione” del numero di persone nei luoghi di lavoro: lo smart working innanzitutto, ma anche una tabella oraria che permetta di non concentrare nelle medesime fasce della giornata l’ingresso e l’uscita da fabbriche, uffici e negozi.
Un tema, come vi abbiamo raccontato più volte, che si incrocia inevitabilmente con quello dei trasporti: non ci sono ancora soluzioni sulla nuova organizzazione dei mezzi pubblici. Per ora, la previsione e l’auspicio, è che chi torna al lavoro non li usi proprio: la task force ha elaborato dei flussi secondo cui, con la riapertura delle attività del 4 maggio, autobus e treni resteranno più o meno vuoti come adesso, anche perché si tratta di imprese dislocate fuori dalle città. Il tema del trasporto pubblico si porrà con la ripresa della vita sociale che, ribadiamo, non è in programma per le prossime settimane. E riguarderà anche una questione sollevata ieri dalla sindaca di Roma Virginia Raggi: il “ristoro” dei mancati introiti di questi mesi. Nel capitolo dedicato ai trasporti della relazione consegnata ieri, comunque, si fa riferimento anche all’incentivo di nuove forme di mobilità, come la bici elettrica (non proprio la soluzione per Roma).
La cornice di ogni ragionamento, come ovvio, resta il controllo della curva epidemiologica: sono stati predisposti alcuni indicatori, delle clausole di salvaguardia, superati i quali si tornerà a provvedimenti restrittivi. Anche per questo i tecnici della task force avevano inserito un consiglio: vietare la ripresa del lavoro a chi ha più di 60 anni. Non solo perché si tratta della categoria più a rischio, ma anche perché è quella che – se si ammala – necessita con maggior probabilità del ricovero in terapia intensiva e rischia così di mandare di nuovo in sofferenza le strutture ospedaliere.
È l’unica misura, però, che Conte in persona ha bocciato: indigeribile per l’opinione pubblica italiana che ha pur sempre un terzo di popolazione in quella fascia d’età, tuttora attiva in molti servizi e professioni.