martedì 12 maggio 2020

"Il riscatto di Silvia: tocca arrestare Sgarbi e Sallusti". - Daniele Luttazzi

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- Silvia Romano è stata liberata, e da destra sono subito arrivate le “felicitazioni, ma”. Maria Giovanna Maglie è trasecolata per via dell’abito tradizionale somalo indossato da Silvia, come se Silvia fosse una corrispondente Rai all’estero che poteva fare shopping compulsivo gonfiando la nota spese. 
Vittorio Feltri l’ha buttata sui soldi del riscatto, perché in questo modo lo Stato ha finanziato i terroristi. Ma se oggi Aldo Moro è vivo, è perché lo Stato pagò il riscatto. Scusate, esempio sbagliato. 
Ha ragione Feltri: non finanziando i terroristi di destra, lo Stato impedì le stragi di piazza Fontana, piazza della Loggia, Italicus e stazione di Bologna. Scusate, altro esempio sbagliato. Insomma, quanti soldi sono? 53 milioni? Ah no, quelli sono i soldi pubblici presi da Libero dal 2003 al 2017. 49 milioni? Ah, no, quelli deve restituirceli la Lega. 21 milioni? Ah no, quelli sono i soldi buttati dalla Regione Lombardia per l’inutile ospedale alla Fiera. Insomma, quanti? 

4 milioni. Siamo 60 milioni di italiani, quindi 0,06 euro a testa. Vittorio, stacce. Per dirottare l’attenzione su di sé (ne era in astinenza, dato che tutti stavano parlando di Silvia e non di lui), Sgarbi ha proposto che Silvia venga arrestata perché complice dei terroristi, visto che si è convertita all’Islam. Ma l’equazione Islam = al Qaeda è islamofobia; ed è grazie all’islamofobia che al Qaeda fa proseliti. Ovvero, Sgarbi sta facendo il gioco dei terroristi: arrestiamo anche lui? 
Lo stilista Sallusti, buttandola sul vestito come la Maglie (“È stato come vedere tornare un prigioniero dei campi di concentramento orgogliosamente vestito da nazista. Non capisco, non capirò mai”), non capisce neppure che sta facendo la stessa equazione di Sgarbi (Islam = al Qaeda), che fa il gioco dei terroristi. Arrestiamo pure Sallusti, Vittorio? Alessandro Meluzzi, psichiatra, sminuisce la conversione religiosa di Silvia parlando di “sindrome di Stoccolma”. 
Ma Meluzzi, che in gioventù ha militato nel Pci, poi nel Psi, poi è diventato parlamentare di Forza Italia, poi è entrato nell’Udr di Cossiga, poi in Rinnovamento Italiano, poi nei Verdi, poi ha fondato i Cristiano Democratici Europei aderendo all’Udeur di Mastella, infine è approdato a Fratelli d’Italia, ma ammira Putin, è stato massone e console onorario del Paraguay, s’è convertito al cristianesimo, è stato diacono cattolico di rito greco-melchita, poi presbitero della Chiesa ortodossa italiana autocefala, poi primate, metropolita e arcivescovo di tale Chiesa con il nome di Alessandro I, e quando va in tv tuona contro l’aborto, il matrimonio omosessuale e l’eutanasia, sostenendo pure che “certi pedofili non commettono reato e nemmeno peccato”, e che Bergoglio è promotore del piano Kalergi (sostituire gli europei con africani e asiatici); 
Meluzzi, dicevo, di che sindrome soffrirà?Tuttolibri. Titolo: “Cara sinistra, smetti di deprimerti: per il capitalismo c’è un’alternativa”. Incipit: “Tre anni fa, a 49 anni, si ammazzava Mark Fisher, critico culturale, insegnante, teorico, attivista”.Cronache dalla Fase 2. Mi sembra che la mia ragazza me lo succhi con più gusto, da quando le ho detto in quali culi famosi l’ho infilato.

L’agguato a Bonafede. - Tommaso Merlo

Violenza donne: Bonafede, aumenteremo indennizzi per vittime

La lotta alla mafia non c’entra nulla, l’obiettivo è Bonafede e quindi il Movimento. Siamo alle solite. Vogliono far fuori l’unica forza politica che ha osato dire di no al partito di Berlusconi e Dell’Utri. Tutti gli altri ci sguazzano da sempre. A destra come a sinistra ai tempi degli inciuci. Il parlamento italiano è sempre stato zeppo di mafiosi e di loro referenti anche ad altissimo livello. Mentre i magistrati morivano in nome della legge, la vecchia politica ha fatto sempre il doppio gioco. A Roma come nei comuni di provincia dove i vecchi partiti non hanno mai schifato soldi e i pacchetti di voti sporchi di mafia. Un rapporto consolidato e basato sul mutuo interesse. Dal profondo sud fino al profondo nord. Il virus della mafia ha infettato ogni angolo dello stivale. Per combatterlo serve un rigoroso distanziamento sociale soprattutto da parte della politica. Ma l’unica forza che ha avuto il coraggio di farlo davvero è stato il Movimento 5 Stelle. Selezionando accuratamente i suoi portavoce, cacciando i collusi e rifiutando ogni opacità. Un essere antimafia a fatti, non a chiacchiere. Tutti i giorni. Una linea legalitaria e di assoluta trasparenza portata avanti al governo dal ministro Bonafede, questo mentre Salvini e Meloni sono alleati con Berlusconi che ha pagato la mafia per anni e il cui braccio destro Dell’Utri è stato condannato per associazione mafiosa. Roba che in una democrazia sana Berlusconi e il suo seguito non dovrebbero più mettere nemmeno piede nelle istituzioni. Ed invece sono ancora tutti lì, come nulla fosse. Il suo partito, il suo impero mediatico e i suoi alleati politici Salvini e Meloni che hanno anche il coraggio di spacciarsi come “nuovi” e paladini della legalità. Ogni tanto pizzicano per mafia qualche loro esponente ma ormai la notizia dura qualche oretta. Dal profondo sud come al profondo nord. Mele marce. Normalità. L’antimafia a chiacchiere in attesa che tutto torni presto come prima. A causa della pandemia è scoppiato un caos scarcerazioni a cui Bonafede sta cercando di porvi rimedio. Senza nemmeno leggere le carte, le destre si sono scatenate. Ormai si attaccano a tutto per far cagnara, figurarsi se si facevano sfuggire questa ghiotta occasione. E così siamo al paradosso farsesco, Berlusconi e i suoi alleati che sfiduciano Bonafede con l’appoggio dei giornalai delle lobby. Ovviamente il merito della questione non c’entra nulla, vogliono riprendersi le poltrone e ogni scusa è buona. Quanto alla lotta alla mafia c’entra ancora meno, l’obiettivo è colpire il ministro e quindi il Movimento. L’obiettivo è boicottare il cambiamento e tornare ai bei tempi dell’antimafia a chiacchiere. Davvero un paradosso. Invece di prendere l’esempio e distanziare socialmente la mafia, la vecchia politica vuole far fuori il Movimento. L’unica forza politica che ha osato dire di no al partito di Berlusconi e Dell’Utri.

https://repubblicaeuropea.com/2020/05/09/lagguato-a-bonafede/

Lo Stato fermi la speculazione sulle mascherine. - Gaetano Pedullà

MASCHERINE


Stavolta non basteranno tutte le mascherine del mondo per coprire le vergogne del mercato. Facciamo una premessa: nulla ci piace meno dell’economia di Stato e dei carrozzoni che sono state molte vecchie partecipazioni statali. Ci sono però cicli economici che impongono ai governi di sostenere le imprese, dai campioni nazionali a quelle più piccole e diffuse, anche con iniezioni di capitale. Se questi sostegni saranno temporanei e senza contropartite nella governance delle aziende, ben vengano. Anzi: che vengano presto!

Ma per quanto regolato, talvolta il mercato sfugge al controllo e la vicenda delle mascherine introvabili ai prezzi calmierati ne è la prova. I produttori e i distributori, fino alle farmacie, sostengono che quelle chirurgiche non si possono vendere a meno di due euro, perché se no ci perdono. Ma prima della pandemia, le stesse farmacie le vendevano a 0,1 euro, e nessuno gli puntava la pistola per farlo, sicuramente guadagnandoci già a quel prezzo. Ora è plausibile che si siano alzati i costi di filiera, ma il prezzo aumentato più di venti volte non è giustificabile se non con la speculazione.
In questi casi perciò non possiamo farci prendere in giro sorbendoci alibi ridicoli, come le spedizioni irregolari bloccate alle dogane, ma dobbiamo chiederci perché le mascherine e tanta altra dotazione sanitaria non le fabbrichi lo Stato, togliendo ai furbi la voglia di rubare. Perché se i privati non si accontentano del giusto guadagno, ma pensano di approfittare su di un bene primario, vanno considerati ladri. E lo Stato fa bene a togliergli questa mangiatoia.

Ceo Ericsson: legame Covid-5G? È stupido. -

 © ANSA
Börje Ekholm, ceo di Ericsson

Stabili grazie a 3 mld liquidità, in telelavoro 85mila impiegati.

Le teorie cospirazioniste sul legame tra le reti 5G alla diffusione del coronavirus, che hanno portato alla distruzione di torri di tlc e alle minacce ad alcuni lavoratori, sono idee "stupide" e smentite dall'Oms, che "riflettono la paura che si avverte nella nostra società". Lo ha affermato stamani il presidente e ceo di Ericsson, Borje Ekholm, nel corso di una videoconferenza dell'azienda svedese.
"Il 5G sbloccherà il potenziale della quarta rivoluzione industriale", ha detto Ekholm, evidenziando che lo sviluppo del 5G è nell'Interesse pubblico, perché consentirà di erogare servizi in settori come sanità, istruzione e trasporti, e permetterà ai governi di ridurre il digital divide.
In merito all'impatto del Covid-19, "i 3 miliardi di dollari di liquidità ci danno stabilità. Continueremo a investire in ricerca e sviluppo", ha detto Ekholm. Al momento sono 85mila i dipendenti di Ericsson in smart working. La compagnia a fine 2019 contava poco meno di 100mila dipendenti.

Tirrenia, il governo ridà 73 milioni al debitore Onorato. - Andrea Moizo

Tirrenia, il governo ridà 73 milioni al debitore Onorato

La Convenzione - Nel “dl rilancio” è previsto il rinnovo del contratto per un altro anno. Il gruppo dei traghetti deve allo Stato 180 milioni.
Da quattro anni deve 55 milioni di euro allo Stato e da un anno altri 65 che continua a non saldare. Eppure, è scritto nella bozza del decreto “rilancio”, il governo vuole rinnovargli il contratto per il servizio di continuità territoriale marittima da 73 milioni di euro all’anno, in scadenza a luglio. Stiamo parlando di Cin, società controllata dalla Moby di Vincenzo Onorato, già finanziatore della fondazione Open, di quella di Giovanni Toti e poi cliente di Beppe Grillo Srl (che gestisce il blog del fondatore del M5S) e della Casaleggio Associati.
Cin nel 2012 rilevò gli asset della Tirrenia in via di privatizzazione e si assicurò 8 anni di convenzione. I 380 milioni del prezzo sarebbero dovuti servire a coprire in parte i circa 700 milioni di euro di debiti lasciati a una bad company statale facente capo al ministero dello Sviluppo economico. Ne vennero pagati subito 200, gli altri furono rateizzati con versamenti nel 2016, 2019 e 2021. Ma mentre il debito contratto per l’operazione cominciava a rivelarsi insostenibile – tanto che oggi l’intero gruppo Moby è in gravi difficoltà e ha già sventato un’istanza di fallimento –, Cin non ha pagato le prime due rate, adducendo una controversa clausola della privatizzazione legata alle procedure di Bruxelles sulla gestione pubblica di Tirrenia. La clausola è intanto decaduta per la conclusione di quelle indagini, ma lo Stato continua a mostrarsi accomodante.
A dispetto di questa situazione, pochi giorni fa il ministero dei Trasporti ha aggiudicato a Moby l’appalto da 1,2 milioni per la fornitura di un traghetto da usare come alloggio per la quarantena dei migranti salvati nelle nostre acque. Quanto a Cin, solo nell’autunno 2018 la bad company – alla cui guida il governo Renzi aveva posto all’inizio del 2016 Beniamino Caravita, già avvocato di Onorato – si è decisa a portarla in Tribunale per il mancato pagamento della prima e poi della seconda.
Partito il contenzioso, a fine 2018 Moby ha prelevato da Cin 85 milioni di euro fra riserve e dividendi, senza che il Mise ha eccepito. Nei primi mesi di quest’anno il Tribunale di Roma ha spiccato i provvedimenti di sequestro per l’equivalente delle due rate saltate (120 milioni), ma la bad company, d’accordo con Mit e Mise, non ne ha chiesto l’esecuzione, cioè non ha bloccato i conti correnti né fatto mettere all’incanto le navi. In proposito i ministeri non hanno risposto alle domande del Fatto. Secondo indiscrezioni la bad company si è accontentata del riconoscimento da parte di Cin del debito (e quindi della rinuncia a impugnare i provvedimenti) e dell’iscrizione di ipoteche non di primo grado. La bad company vi ha rinunciato nel 2016 e Onorato ha potuto utilizzare la flotta come garanzia per rifinanziarsi su quelle navi per cui il debito esiste.
Le casse di Cin sarebbero vuote. Ma dove è finito il 70% della convenzione che il Mit paga entro la fine di marzo? Se Cin lo ha ceduto a sconto, rendendo così insequestrabile il suo credito, perché il Mit non s’è opposto? Non sono le uniche domande senza risposta. Che la convenzione sia in scadenza lo si sa da 8 anni. A marzo 2019 Antitrust e Authority dei Trasporti, evidenziando l’illegittimità (rispetto alle norme Ue) di una proroga, hanno messo a punto ogni dettaglio della gara che hanno invitato il Mit ad avviare a breve. La ministra Paola De Micheli ha sempre soprasseduto e mercoledì in audizione alla Camera e poi nella relazione tecnica al decreto ha spiegato che la convenzione sarà prorogata a causa del Covid-19, “perché la necessaria analisi di mercato sarebbe falsata dal contesto”. Un contesto di servizi ridotti, non fosse altro per lo stop al traffico passeggeri, per cui lo Stato, Bruxelles permettendo, decide di pagare (per almeno un anno) altri 73 milioni. In 9 anni solo dallo Stato Cin incasserà così 650 milioni per navi avute dallo Stato e mai finite di pagare.

I senzavergogna. - Marco Travaglio


La liberazione di “Aisha” Romano e i nodi geopolitici da sciogliere. Analisi di Ricci
Era un bel po’ che non ci vergognavamo di essere italiani per colpa di nostri connazionali, a parte qualche politico senza vergogna che ci fa vergognare in permanenza da quando è nato. Ieri, a leggere dichiarazioni leghiste e deliri social di conigli da tastiera sulla liberazione di Silvia Romano, la vergogna è tornata. Perché c’è chi è riuscito a sporcare una notizia che tutti avrebbero dovuto salutare con gioia e anche con un pizzico di orgoglio nazionale. Se la nostra cooperante si è convertita all’Islam sono fatti suoi. Se l’ha fatto per costrizione, se non fisica, almeno psicologica, oppure per una scelta “autoprotettiva” come dice il primo referto psicologico, sono ancora fatti suoi. Se resterà per sempre Aisha o un giorno tornerà Silvia sono sempre fatti suoi. Nessuno ha il diritto di intrufolarsi nella sua psiche: per farlo bisognerebbe aver vissuto un anno a mezzo in mezzo alla foresta nelle grinfie di feroci terroristi. Chi non ha subìto quell’atroce esperienza, cioè tutti, dovrebbe solo tacere.
Poi c’è la questione del riscatto, probabilmente pagato dai nostri servizi segreti con fondi riservati (che servono anche a questo) dietro autorizzazione del delegato del governo agli 007: il premier Conte. Su questo ogni opinione è legittima, anche se il dibattito si ripropone sempre uguale dai tempi dei sequestri anni 70 e 80 a opera dei terroristi rossi e delle Anonime calabrese e sarda e di nuovo dopo il 2001, quando ci imbarcammo con Usa e altri alleati nelle guerre in Afghanistan e in Iraq. Ai tempi del terrorismo, lo Stato decise quasi sempre di “pagare”, fuorché per Aldo Moro (ma, quando fu ucciso, il presidente Leone era pronto a liberare una brigatista malata e il Vaticano a versare una grossa somma). E proprio il contraccolpo del suo cadavere segnò l’inizio della fine delle Br. Nel caso delle Anonime Sequestri, erano i famigliari, spesso aiutati da servizi e faccendieri vari, a pagare i riscatti. Poi la legge sul sequestro dei beni e la linea dura di certe Procure, come quella di Palermo in Sardegna (dov’era coinvolto un pm, che poi si suicidò), resero improduttiva quell’attività criminale, che si esaurì. Poi iniziarono i sequestri di nostri contractor, giornalisti e cooperanti in Iraq e Afghanistan e anche allora i nostri governi (il Berlusconi-2 con FI-Lega-An-Udc e il sottosegretario Gianni Letta delegato ai servizi, e poi anche il Prodi-2) decisero di pagare sempre i riscatti. Ma non sempre riuscirono a salvare la vita agli italiani rapiti (il reporter Baldoni e il contractor Quattrocchi furono uccisi, altri come i giornalisti Sgrena e Mastrogiacomo tornarono illesi).
La cosa creò furibonde frizioni con gli alleati americani e inglesi, che invece non pagavano riscatti e sacrificavano i propri ostaggi (ci andò di mezzo il dirigente del Sismi Nicola Calipari, ucciso dal fuoco “amico” made in Usa dopo il riscatto per la Sgrena). Quando a pagare i riscatti era il centrodestra, per non discutere la scelta incoerente e paradossale di B.&C. di entrare in guerra contro il terrorismo e poi di foraggiare i terroristi che si diceva di combattere mettendo vieppiù in pericolo i nostri uomini sul campo, i partiti e i giornali di destra riempivano di insulti gli ostaggi (a parte i contractor) perché “se l’erano cercata”, erano “vispe terese” (le due Simona) e “pirlacchioni in vacanza” (Baldoni). Ora il caso di Silvia Romano, come quelli degli altri ostaggi sequestrati in guerre per bande che non ci riguardano, è totalmente diverso sia da quelli dell’Iraq e dell’Afghanistan, sia da quelli del brigatismo e delle Anonime. Stavolta le ragioni umanitarie non confliggono con gli interessi nazionali. I terroristi islamisti somali di al-Shabaab, impegnati nell’eterna guerra civile del Corno d’Africa, sequestrano occidentali per legittimarsi e arricchirsi, ma non sono una minaccia diretta per l’Italia, come invece lo erano le Br che avevano dichiarato guerra allo Stato, le Anonime Sequestri che esistevano proprio grazie ai riscatti pagati e anche gli islamisti di al Qaeda e delle altre sigle mediorientali che avevano esportato in Occidente la loro folle guerra santa. Dunque pagare un riscatto, come peraltro sempre si è fatto anche nei confronti di nemici diretti e dichiarati, era doveroso.
Ma su questo le opposizioni, se non avessero fatto lo stesso in circostanze molto diverse, sarebbero libere di polemizzare quanto vogliono. Anche di accusare Conte di non aver condannato a morte una ragazza di 20 anni. Purché non mentano. Le polemiche sul ruolo della Turchia, che ha aiutato nelle indagini l’Aise con i suoi servizi molto presenti in Somalia, fanno ridere, visto che è nostra alleata nella Nato. E quelle sulla “passerella” di Conte e Di Maio denotano un tragicomico crollo della memoria. Il 5 marzo 2005, quando a Ciampino atterrò la Sgrena, trovò ad attenderla una delegazione politica ben più pletorica del duo Conte-Di Maio domenica accanto a Silvia: c’erano Berlusconi, Letta, il presidente della Camera Casini, il sindaco Veltroni, il segretario del Quirinale Gifuni e il direttore del Sismi Pollari. Mancava solo Salvini, che si rifece con gl’interessi all’arrivo di Cesare Battisti. E ora chiede “sobrietà” agli altri. Ma va a ciapà i ratt.

Piano pandemico, ora lo scaricabarile. E ombre sull’Oms. - Marco Franchi

Piano pandemico, ora lo scaricabarile. E ombre sull’Oms
Ranieri Guerra - Direttore, Centro Collaborativo OMS per la formazione sanitaria, e Direttore, Ufficio Relazioni Esterne; dirigente tecnologo ente di ricerca pubblico.

Mai aggiornato dal 2010, quando poi è servito non c’era Guerra (2014-2017): “Non so cos’abbiano fatto dopo”.
L’Italia, come rivelato a marzo dal Fatto, aveva un Piano pandemico. È un documento che viene compilato dai Paesi aderenti all’Organizzazione Mondiale della Sanità fin dall’epidemia di influenza aviaria del 2003 e riporta le azioni e le contromisure da mettere in atto in caso di eventi epidemici su larga scala. “Esso – si legge sul sito del ministero della Salute – rappresenta il riferimento nazionale in base al quale saranno messi a punto i Piani operativi regionali” e l’Oms “ha raccomandato “a tutti gli Stati “di aggiornarlo costantemente seguendo linee guida concordate”. Al di qua delle Alpi il compito spetta al Dipartimento Prevenzione del ministero. Tra il 2014 e il 2017, ha raccontato Report nella puntata di ieri, a guidarlo c’era Ranieri Guerra, oggi direttore aggiunto dell’Oms e a inizio marzo inviato a Roma per volere del direttore generale Tedros Adhamon Ghebreyesus in supporto al governo contro l’emergenza Covid-19. Sotto la sua direzione i Piani non sono stati aggiornati né le autorità sanitarie hanno pensato di fare stock di mascherine e altri Dpi per fronteggiare l’epidemia.
Interpellato sull’argomento, racconta il programma di Sigfrido Ranucci, Guerra preferisce non rispondere. Non lo fa neanche quando Serena Bortone durante la puntata di Agorà del 31 marzo gli fa notare che “il piano pandemico italiano non è stato aggiornato dal 2010”. “Non è così – si schermisce il professore – ci sono dei livelli di confidenzialità che devono essere rispettati”. Raggiunto poi dal cronista di Report Giulio Valesini, l’esponente dell’Oms scarica tutto su chi è venuto dopo di lui: “Non so nulla di quello che il governo italiano ha fatto negli ultimi tre anni”. Ma lo sapeva o no che l’Italia non aveva stoccato mascherine e non era pronta rispetto ai piani pandemici? “Non lo so, io non sono parte del governo”. Non lo è, ma il Piano pandemico è fermo dal 2010 e tra il 2014 e il 2017 a guidare il Dipartimento di Lungotevere Ripa che avrebbe dovuto aggiornarlo sedeva proprio lui, l’uomo inviato a Roma dal direttore generale Ghebreyesus. Sul cui operato aleggiano ormai da tempo diversi dubbi.
Ex ministro della Salute e degli Esteri dell’Etiopia, , ricorda Report, è uno dei leader del partito il Fronte Popolare di Liberazione del Tigray, è legato a doppio filo con il Partito comunista cinese e oggi ancora di più al presidente Xi Jinping per via dei pesanti investimenti fatti da Pechino nel Paese africano, in particolare nel settore delle infrastrutture. Primo africano a salire ai vertici dell’Oms, fin dall’inizio dell’emergenza Tedros ha lodato la gestione dell’epidemia messa in atto dal governo cinese e ha chiuso gli occhi sui ritardi delle comunicazioni diramate da Pechino sulla sua diffusione. Riavvolgendo il nastro: l’8 dicembre si ha la notizia del primo contagio (poi fatto risalire al 17 novembre) ma solo il 23 le autorità cinesi annunciano il lockdown di Wuhan. Eppure l’Oms non si scompone. Solo il 30 gennaio per Ginevra il covid-19 diventa “emergenza sanitaria globale”. Ancora: è il 14 gennaio quando l’Oms dal suo account ufficiale twitta che “dalle indagini condotte dalle autorità cinesi non emergono evidenze di una trasmissione da uomo a uomo del virus”. Le prime ammissioni arrivano il 22 gennaio, quando si contano già migliaia di contagiati.
I dubbi si estendono anche ai finanziatori dell’agenzia Onu. Il suo bilancio è stato di 5,6 miliardi di dollari lo scorso biennio, ma neanche il 20% di questi sono fondi pubblici. L’80% arriva da privati come Bill Gates la cui fondazione versa più mezzo miliardo di dollari ogni biennio e decide le priorità dell’agenzia. Ora il magnate ha annunciato di voler contribuire alla ricerca di un vaccino anti-Covid-19 ma i fondi che dà all’Oms provengono dal trust di famiglia, che investe centinaia di milioni (323 nel 2018) nelle case farmaceutiche, da Novartis a Pfizer. Ha anche investito 237 milioni solo nella Walgreen Boots Alliance società che distribuisce farmaci in mezzo mondo.