mercoledì 15 luglio 2020

Autostrade, passo indietro dei Benetton. Entra Cdp, sarà una public company. - Serenella Mattera e Michele Esposito

L'esterno della sede di 'Autostrade per l'Italia', Roma.


Ingresso di Cdp con il 51%. Alla famiglia veneta resta il 10%, non saranno neanche in Cda. Balzo in Borsa di Atlantia, +21%.

Arriva il passo indietro dei Benetton che apre all'accordo su Autostrade per l'Italia. L'intesa passa dall'ingresso di Cdp con il 51%, che renderà di fatto Aspi una public company. E da una revisione complessiva della concessione, dai risarcimenti alle tariffe. E' l'alba quando, dopo sei ore di riunione assai tesa e dure discussioni, il Consiglio dei ministri dà mandato a Cassa depositi e prestiti per avviare, entro il 27 luglio, il percorso che dovrebbe portare all'uscita progressiva dei Benetton, prima scendendo al 10-12% dell'azionariato, poi con un'ulteriore diluizione in coincidenza con la quotazione in borsa di Aspi. Tra i punti della proposta transattiva di Aspi arrivata in Cdm c'è la "rinuncia a tutti i giudizi promossi in relazione alle attività di ricostruzione del ponte Morandi, al sistema tariffario, compresi i giudizi promossi avverso le delibere dell'Autorità di regolazione dei trasporti (ART) e i ricorsi per contestare la legittimità dell'art. 35 del decreto-legge "Milleproroghe"". Inoltre è prevista la "riscrittura delle clausole della convenzione al fine di adeguarle all'articolo 35 del dl "Milleproroghe"", che ha ridotto l'indennizzo in caso di revoca da 23 a 7 miliardi.
Balzo in Borsa di Atlantia.  Non riesce a fare prezzo Atlantia in Piazza Affari dopo l'intesa in Cdm raggiunta nella notte. Ammessa agli scambi, il titolo guadagna il 21% a 13,9 euro. 
Nel comunicato del Cdm si legge che per l'ingresso di Cassa depositi e prestiti in Aspi, la proposta transattiva prevede un aumento di capitale per l'acquisizione del controllo da parte di Cdp e l'uscita di Aspi dal perimetro di Atlantia. "In alternativa Atlantia ha offerto la disponibilità a cedere direttamente l'intera partecipazione in Aspi, pari all'88%, a Cdp e a investitori istituzionali di suo gradimento". Lo si legge nel comunicato stampa del Cdm.
Nella proposta transattiva sono previste anche - secondo quanto si legge nel comunicato del Cdm - "misure compensative ad esclusivo carico di Aspi per il complessivo importo di 3,4 miliardi di euro" e "accettazione della disciplina tariffaria introdotta dall'ART (Autorità di regolazione dei trasporti, ndr) con una significativa moderazione della dinamica tariffaria" è uno degli altri punti.
Ai ministri Roberto Gualtieri, che ha portato sul tavolo del Cdm la proposta finale dell'azienda, e Paola De Micheli viene dato il mandato a definire gli altri aspetti dell'accordo. Sul tavolo il premier Giuseppe Conte fino all'ultimo tiene l'arma della revoca: "Se gli impegni assunti questa notte non vengono rispettati, sarà revoca", spiega un ministro.
L'ultima trattativa tra il premier e i Benetton si consuma nella notte, nel corso di un Consiglio dei ministri infuocato che vede il capo del governo stretto tra sospetti interni alla maggioranza, l'irritazione di Iv e un M5S che assomiglia ogni giorno di più a un vulcano pronto a ribollire. In Cdm Gualtieri, che descrivono non contrario in principio alla revoca ma convinto di poter trovare una soluzione migliore, porta una nuova proposta di Aspi. Ma non basta, e parte così una lunga e durissima negoziazione, che porta l'azienda a inviare al governo quattro diverse lettere nel corso della notte per perfezionare una bozza di intesa.
Conte e anche i Cinque stelle, per la parte dell'assetto societario, si dichiarano subito insoddisfatti: l'uscita graduale di Benetton richiederà una negoziazione dai tempi troppo lunghi, secondo fonti pentastellate. "Nessuna divisione", fa sapere una fonte di governo Pd. Ma tra gli stessi Dem il dossier porta tensioni. E il clima a Palazzo Chigi si fa pesante. Salta una riunione dei capi delegazione che era stata convocata prima del Cdm: raccontano sia stato Dario Franceschini a chiedere di confrontarsi direttamente in Consiglio, dove siedono anche De Micheli e Gualtieri.
Il Cdm viene aperto intorno alle 23 e sospeso poco dopo. La cosa non va giù a Teresa Bellanova, che ne fa una questione di metodo: quando Conte e Gualtieri si riuniscono per decidere come condurre la trattativa finale, la capo delegazione di Iv, l'unico partito apertamente contro la revoca, fa trapelare la sua irritazione. Ma è soprattutto l'irritazione nel Movimento a emergere durante la lunga notte di Chigi: è rivolta anche - forse soprattutto - al premier, in un crescendo che fa ipotizzare a qualche esponente di maggioranza come possibile addirittura lo scenario un ribaltone estivo. Al di là di trame e suggestioni, Conte sul dossier Autostrade si gioca molto.
L'intervista al Fatto Quotidiano ha segnato un cambio di passo nella sua strategia. E, prima del Cdm, il premier non cambia linea. "O Aspi accetta le condizioni che il governo le ha già sottoposto o ci sarà la revoca", è l'ultimo avvertimento con cui Conte entra alla riunione di Palazzo Chigi. Anche perché, dice ai suoi, "non si può tergiversare". Il premier non è disposto a fare passi indietro sul taglio delle tariffe autostradali, sulla modifica dell'articolo 35 del decreto Milleproroghe che riduce da 23 a 7 miliardi l'indennizzo in caso di revoca, sulla manleva per sollevare lo Stato dalle richieste risarcitorie legate al ponte Morandi e sul diritto di recesso, per il futuro, in caso di gravi inadempienze del concessionario risarcendo solo gli investimenti non ammortizzati. Ma la novità che permette alla trattativa di sbloccarsi riguarda l'azionariato: i Benetton danno la disponibilità allo scorporo di Autostrade rispetto ad Atlantia, al contemporaneo ingresso di Cdp in Aspi e alla successiva quotazione in Borsa.
Il processo, che secondo fonti di governo si consumerebbe nel giro di sei mesi o un anno, avverrebbe in due fasi: nella prima Cdp entrerebbe con il 51% e ci sarebbe lo scorporo che porterebbe il peso della famiglia Benetton tra il 10 e il 12%, soglia sotto la quale non si entra in Cda; nella seconda ci sarebbe la quotazione in che dovrebbe portare a una società con un azionariato diffuso alto, fino al 50%, in cui potrebbero entrare nuovi soci, con un'operazione di mercato, abbassando ulteriormente il peso della famiglia Benetton. Ma sul range temporale dell'uscita dei Benetton il M5S mostra subito un evidente scetticismo.
"E' un tempo troppo lungo", spiega una fonte autorevole del Movimento. Che, già nel pomeriggio, non nascondeva l'irritazione per la gestione di De Micheli, inserita - nelle ipotesi pentastellate - nella casella degli addii in un eventuale rimpasto a settembre. Trapela in giornata una lettera di marzo in cui la ministra spingeva per un accordo e chiedeva a Conte di agire ma la cosa non piace ad alcuni tra i Dem: "Non è iniziativa del Pd", dicono dal partito, mentre tra le fila parlamentari emergono diverse anime. Attorno alla mezzanotte, quando il Cdm viene sospeso, la proposta dell'azienda non convince ancora il governo: "Non è abbastanza", osserva il premier. Ma si decide di trattare, fino in fondo, per evitare la revoca: il negoziato con gli "sherpa" dei Benetton continua in parallelo. All'alba in Consiglio dei ministri, dopo un cornetto offerto a tutti i colleghi da Vincenzo Spadafora, si legge l'ultima lettera inviata dall'azienda: "Accoglie tutte le richieste del governo", dice un ministro. Il M5s chiede fino all'ultimo garanzie che Benetton esca davvero dall'azienda. La revoca della concessione non viene tolta dal tavolo, visto che gli aspetti tecnici del negoziato dovranno essere perfezionati, ma appare ormai molto lontana.

martedì 14 luglio 2020

Anche gli alberi praticano "il distanziamento sociale” per evitare le malattie. - KATHERINE J. WU

Nella foto gli alberi della canfora del Borneo (Dryobalanops aromatica) mostrano la cosiddetta “timidezza della corona” ...
Nella foto gli alberi della canfora del Borneo (Dryobalanops aromatica) mostrano la cosiddetta “timidezza della corona” presso il Forest Research Institute Malaysia. Questo fenomeno si verifica in alcune specie di alberi quando compaiono spazi tra le chiome che impediscono ai rami di toccarsi, formando spazi vuoti simili a canali. FOTOGRAFIA DI IAN TEH, NATIONAL GEOGRAPHIC

In una calda giornata di Marzo del 1982, il biologo Francis “Jack” Putz passeggiava nella foresta tra gli alberi di mangrovia nera in cerca di refrigerio dalla calura pomeridiana. Assonnato dopo il pranzo e stanco per le ore di lavoro sul campo nel Guanacaste National Park in Costa Rica, Putz decise di sdraiarsi per riposare. 
Guardò in alto verso il cielo: il vento agitava le cime delle mangrovie sopra di lui, facendo sì che le estremità degli alberi vicini si scontrassero, perdendo alcune foglie e spezzando alcuni dei rami più esterni. Putz notò che questa “potatura reciproca” aveva lasciato tracce di spazio vuoto tra le chiome.
Questa rete formata dagli spazi vuoti tra le cime degli alberi, nota come la “timidezza della corona”, è stata documentata in foreste di tutto il mondo. Dalle mangrovie del Costa Rica agli imponenti alberi della canfora del Borneo in Malesia, tutti disegnano linee di spazi vuoti tra le reciproche verdi chiome. Ma gli scienziati ancora non comprendono appieno il motivo per cui così spesso le cime degli alberi evitano di toccarsi.
40 anni fa, sotto le mangrovie, mentre si apprestava al suo riposino post pranzo, Putz pensò che anche gli alberi hanno bisogno del proprio spazio personale, ed è stato un ragionamento fondamentale verso la spiegazione dell’origine del “comportamento schivo” dei rami degli alberi.
“Faccio spesso grandi scoperte durante il momento del sonnellino”, afferma. 
Oggi, un corpus crescente di ricerche continua a sostenere le prime osservazioni di Putz e dei suoi colleghi. Il vento, a quanto pare, svolge un ruolo cruciale nell'aiutare molti alberi a mantenere le distanze. I confini “scavati” dagli scontri tra i rami possono migliorare l’accesso delle piante alle risorse, come ad esempio alla luce. Gli spazi tra le cime degli alberi potrebbero anche ridurre la diffusione di insetti che mangiano le foglie, piante rampicanti parassite o malattie infettive.
In un certo senso, la “timidezza della corona” è la versione arborea del distanziamento sociale, afferma Meg Lowman, biologa forestale e direttrice della TREE Foundation. “Impedendo alle piante di toccarsi fisicamente si può aumentare la loro produttività”, afferma. “Questo è il lato positivo dell’isolamento...gli alberi stanno in effetti proteggendo la propria salute”.

Zuffe in cima agli alberi 

Sebbene la letteratura scientifica abbia riportato descrizioni sul fenomeno della timidezza della corona fin dagli anni ‘20, sono passati diversi decenni prima che i ricercatori iniziassero ad approfondire sistematicamente gli studi sulla causa di questo fenomeno. Alcuni scienziati inizialmente ipotizzarono che gli alberi semplicemente evitassero di riempire gli spazi tra le loro chiome per non creare una mancanza di luce – risorsa fondamentale per la fotosintesi – nei punti in cui le fronde si sovrapponevano.
Ma nel 1984 il team di Putz pubblicò una ricerca che indica che in alcuni casi la “timidezza della corona” può essere semplicemente il risultato di una “battaglia” tra gli alberi mossi dal vento, ognuno dei quali fa a gara per far germogliare nuovi rami e parare i colpi degli alberi vicini. Questa ricerca mostrava che più le mangrovie erano soggette al movimento indotto dal vento, più le loro chiome apparivano distanziate dagli esemplari vicini. Questi sono alcuni dei primi risultati a sostegno della cosiddetta “ipotesi di abrasione” per spiegare le strutture di questi alberi.
Circa due decenni dopo, un team guidato da Mark Rudnicki, biologo presso la Michigan Technological University, misurò le forze che muovevano i Pinus contorta ad Alberta, in Canada. Scoprirono che le foreste ventose piene di tronchi alti, affusolati e di altezza simile erano particolarmente inclini al fenomeno della timidezza della corona. E quando Rudnicki e il suo team usarono corde di nylon per evitare che i pini vicini si scontrassero, questi crescevano intrecciando le chiome, riempiendo gli spazi tra le loro corone.
Altri scienziati hanno trovato prove che esistono probabilmente diversi motivi per cui gli alberi arrivano a creare questa “timidezza della corona”, e alcuni sono forse meno aggressivi dell’ipotesi delle baruffe ventose. Ad esempio, Rudnicki afferma che alcuni alberi potrebbero aver imparato a smettere proprio di crescere alle estremità, rilevando il fatto che le nuove fronde verrebbero comunque spogliate. 
Gli alberi potrebbero così evitare danni inutili, afferma Inés Ibáñez, ecologa forestale presso l’Università del Michigan. “La formazione di nuovi tessuti è un processo molto dispendioso per le piante... è come se gli alberi fossero previdenti: qui è meglio non crescere perché non ne vale la pena”.
Alcuni alberi potrebbero essere in grado di spingersi oltre in questo comportamento previdente, utilizzando uno specifico sistema sensoriale per rilevare le sostanze chimiche rilasciate dalle piante vicine. “C’è una crescente raccolta di studi sul sistema cognitivo delle piante”, afferma Marlyse Duguid, silvicoltrice e orticoltrice presso l’Università di Yale. I dati sulla comunicazione chimica tra le piante arboree sono scarsi, ma se gli alberi riescono a percepirsi a vicenda, potrebbero essere in grado di arrestare la crescita della canopia prima di essere costretti a scontrarsi.

I vantaggi del proprio spazio personale. 

Indipendentemente da come si verifichi il fenomeno della timidezza della corona, la separazione tra le chiome probabilmente porta dei vantaggi. “Le foglie sono come i diamanti più preziosi dell’albero, vanno protetti a tutti i costi”, afferma Lowman. “Quando un’intera fronda viene eliminata, è un terribile disastro per l’albero”.
Il fogliame più rado potrebbe anche aiutare a far penetrare la luce del sole fino a raggiungere il suolo della foresta, nutrendo la vegetazione che cresce a terra e gli animali che a loro volta sostengono la vita arborea. Putz pensa che gli spazi vuoti tra le chiome possano persino aiutare gli alberi a evitare le invasive piante rampicanti legnose chiamate liane, comuni nelle foreste tropicali e temperate di tutto il mondo, o a proteggere le piante da microbi patogeni e insetti incapaci di volare che usano la canopia come passaggio tra gli alberi (alcuni germi e insetti potrebbero teoricamente saltare quando le fronde degli alberi si intersecano nella brezza del vento).
Molti di questi possibili vantaggi, tuttavia, devono ancora essere definitivamente collegati al fenomeno della timidezza della corona. Lo strato canopico delle foreste, ovvero le cime di alcune delle piante più alte del mondo, non è facile da studiare, afferma Lowman, sedicente “arbonauta” e una delle poche scienziate che si è costruita una carriera studiando le volte delle foreste. Esaminare la cima degli alberi richiede un bel po’ di abilità nell’arrampicata, equilibrio e coraggio. “Il fattore limitante è rappresentato dalla forza di gravità che ci impedisce di raggiungere agilmente quei punti”, afferma.
Eppure, ignorare la canopia di un albero è come cercare di capire il corpo umano studiandolo soltanto dalla vita in giù, afferma Lowman. Le corone degli alberi pullulano di vita, e gran parte di questa biodiversità potrebbe essere ancora da scoprire, specialmente nelle aree tropicali.
Per fortuna, “non è necessario prendere l’aereo” per ammirare il fenomeno della timidezza della corona, afferma Putz, “è qualcosa che accade tutto intorno a noi, e uno spettacolo sorprendente per le persone che alzano lo sguardo e lo notano”.

“Il mercato non è Dio e la meritocrazia è solo un grande bluff ”. - Antonella Caporale.

“Il mercato non è Dio e la meritocrazia è solo un grande bluff ”

Pietro Modiano - Il banchiere turbo milanese.
“Il mercato non è Dio, come si pensava, e dovrà vedersela con lo Stato. Il Covid ha ammaccato il turbo capitalismo. E per me è una buona notizia”.
lIl banchiere Pietro Modiano, che ha appena ridato da commissario straordinario un po’ di fiato al corpo quasi esanime di Carige, la banca di Genova caduta sotto il ponte dei suoi crediti ammalorati, era – prima del Covid – un turbo milanese.
“Anch’io pensavo che fosse giusto dire ‘Milano non si ferma’. Anch’io pensavo che il virus non potesse intaccare una cultura, una modalità di vita, il rating sociale ed economico della città”.
La capofila del Pil.
L’idea sbagliata ma consacrata nei sacri testi del “turbocapitalismo” di una ascesa senza limiti, senza correzioni, senza condizioni.
Il Covid ha messo in mutande le economie più ricche del mondo.
Ha disvelato la fragilità della convinzione posta a premessa: la certezza che il mercato – grazie anche alla crisi dei titoli sovrani del 2011 – fosse l’unico altare al quale inginocchiarsi. E le sue regole fossero così perfette che niente poteva ingiuriarlo. Mercato uguale Dio.
Voi banchieri ne avete di colpe.
Io ho fatto carriera durante gli anni di tangentopoli. Le privatizzazioni significavano anche (e giustamente) la liberazione dalla manomorta dello Stato e da un po’ di giudici. Era un processo di emancipazione civile contro il clientelismo di Stato, l’etica macchiata dalle mazzette, il risultato operativo dalle convenienze.
Il privato bello e pulito, il pubblico sporco e cattivo.
Ecco la lezione del Covid.
Il Covid ha preso di mira voi ricchi.
Wuhan, Milano, Londra, New York. Ha messo paura anche perché ha colpito gli anziani, e la classe dirigente mondiale è over sessanta. Non so se questo ha contribuito ad attivare una risposta così possente. Ci sarebbe stata la stessa risposta se invece fosse toccato ai giovani? Adesso il virus fa strage nei Paesi poveri e continua la sua rivoluzione.
Negli anni Settanta e oltre per garantire la pace si investiva nell’industria bellica.
Quanti miliardi spesi! Vinceva l’idea che più armi girassero meno voglia di fare guerre ci sarebbe stata. Io mi riarmo, tu anche. L’equilibrio della forza. Ora il Covid ci ingiunge di badare di più alla nostra salute e a evitare la catastrofe ecologica. Mi sembra che il punto di vista stia cambiando di molto.
Voi banchieri ve ne accorgete sempre per ultimi delle rivoluzioni.
Le banche procedono come un gregge, non hanno politiche diversificate, processi autonomi e originali di decisione. L’apertura o la chiusura del rubinetto dei finanziamenti è un procedimento quasi collettivo, una spedizione comunitaria. Non li troverà mai in ordine sparso. Le banche come tanti altri soggetti hanno creduto che non ci fosse altro Dio che il mercato.
E invece ci sono gli ospedali da riparare.
Ecco, per esempio. Noi lombardi vivevamo l’età dell’eccellenza. Increduli, abbiamo notato quante falle avesse il sistema sanitario.
Vi siete stupiti che toccasse a voi e non ai napoletani.
Anche molto stupiti, sì.
C’è stato il tracollo della supremazia, dell’idea della vita verticale, una corsa a gonfiare il conto in banca senza mancare l’aperitivo delle sette di sera.
E infatti ora siamo a dire che la crescita economica dev’essere sostenibile con l’ambiente, e che alcuni compiti non possono essere delegati ai privati ma garantiti dal pubblico. Che dev’essere un competitor e non una macchietta.
Quante cose dovremo cambiare.
Tra le tante cose da cambiare c’è anche la professione di fede assoluta nella meritocrazia.
Ah, il merito!
Le società più ferme, dove l’ascensore sociale è bloccato al pian terreno, sono le britanniche e le statunitensi perché la diseguaglianza tra le classi sociali lì è più evidente. E perciò il merito, tra diseguali, avvantaggia spesso chi ne ha di meno. Dobbiamo spiegarlo una buona volta.
Nell’Italia di oggi lei verrebbe classificato come un pericoloso estremista di sinistra.
Lei dice?
Leggi un articolo e, già alle prime battute, ti rendi conto che tutto ciò che ci circonda, a cominciare dal libero pensiero, e finendo al comportamento umano, è sbagliato.
Che importanza può avere essere miliardario se poi basta un piccolo virus a mettere in discussione tutto il tuo operato?
Forse bisognerebbe fare mente locale e dedicarsi ad altre attività più appaganti, più meritorie.
Che senso ha assistere a gente che specula ed arricchisce a dismisura quando c'è chi non ha nulla e manca dell'indispensabile? Che senso ha fare guerre per appropriarsi di altri territori se la terra, mugnifica, è tanto grande da poterci ospitare e sostenere tutti nel migliore e soddisfacente dei modi?
Siamo stupidi ingrati, potremmo godere ogni attimo della nostra vita vivendo liberi di godere del paradiso che la terra ci offre, ma dedichiamo il nostro tempo a massacrarci in attività improduttive per l'anima e produttive per le tasche di ingordi shiavisti. c.

Decapitazioni, suicidi e stupri di bambini. La chat dell’orrore dei venti minorenni. - Giacomo Salvini

Decapitazioni, suicidi e  stupri di bambini. La chat dell’orrore dei venti minorenni
A scoprire che il figlio, un 15enne di Lucca, era l’amministratore della “chat dell’orrore”, è stata la madre. Una volta scoperti quei video pedopornografici con protagoniste delle minorenni, si è insospettita e ha denunciato tutto alla polizia postale. Solo che in quella conversazione non c’erano solo immagini di abusi su bambini molto piccoli (tra i 2 e i 4 anni), ma anche – ed è questa la novità su cui si concentrano gli investigatori – uno scambio frequente di immagini gore, video amatoriali di persone e animali uccisi in maniera truculenta, provenienti dal deep web. Così è partita l’indagine “Dangerous Images” della polizia postale della Toscana, coordinata dalla Procura dei minori di Firenze guidata da Antonio Sangermano, che dopo cinque mesi ha portato alla denuncia di 20 adolescenti tra i 13 e i 17 anni in tutta Italia. Al momento la Procura indaga per detenzione e divulgazione di materiale pedopornografico e istigazione a delinquere, ma non è escluso che l’inchiesta possa estendersi ad altre persone maggiorenni: in quel caso a intervenire sarebbe la magistratura ordinaria.
La madre, prima si è fatta raccontare da dove provenissero quei video e poi ha consegnato lo smartphone alla polizia postale. Grazie all’analisi delle chat di Whatsapp e Telegram, gli investigatori sono riusciti a ricostruire gli iscritti al gruppo, che non si conoscevano tra loro, e chi si scambiava il materiale. Da qui ieri mattina sono scattate le perquisizioni della polizia postale, coordinate dal Centro nazionale contrasto alla pedopornografia online (Cncpo), nei confronti di 20 minorenni in tutta Italia, da Milano, Pavia, Varese, passando per Pisa, Lucca, Roma, Lecce e Napoli. Sette sono tredicenni quindi non imputabili. Nei telefoni dei ragazzini sono stati ritrovati “elementi di riscontro inconfutabili”: da una parte lo scambio frequente di materiale pedopornografico con scene di abusi su bambini piccoli anche tramite stickerse, dall’altra decapitazioni di uomini e animali, suicidi, mutilazioni e stupri di bambini. Tutti file provenienti dal deep web estrapolati anche dallo stesso 15enne e condivisi su Telegram. Nella chat valeva la “legge del prestigio”: chi era in grado di condividere con maggior frequenza i video più rari e truculenti assumeva più rispettabilità nei confronti degli altri membri della chat. Una volta condiviso un video di uno sgozzamento o di una mutilazione partiva una sorta di competizione per trovare immagini ancora più violente generando una spirale senza fine.

Le mani della 'ndrangheta sui fondi per l'emergenza Covid: otto arresti per fatture false e autoriciclaggio. - Sandro De Riccardis

Le mani della 'ndrangheta sui fondi per l'emergenza Covid: otto arresti per fatture false e autoriciclaggio

Dalle indagini della Dda di Milano è emerso che una persona inserita in una cosca ha ottenuto i contributi a fondo perduto e voleva beneficiare anche dei finanziamenti per le imprese previsti per l'emergenza Covid.

Una frode fiscale nel settore del commercio di acciaio, con società produttrici di fatture false e prestanome, che ha portato all'arresto di otto persone legate alla 'ndrangheta, e sequestri per 7,5 milioni di euro. Con uno degli affiliati alle cosche calabresi che ha presentato e ottenuto per tre società che hanno partecipato alla frode i contributi a fondo perduto per l'emergenza Coronavirus del decreto legge 34 del 19 maggio 2020. Tentando anche di ottenere, e ne avevano fatto richiesta, i finanziamenti per il sostegno alle imprese dovute alla crisi del Covid previsti dal decreto legge 23 dell'8 aprile 2020.

Nell'indagine della Direzione distrettuale antimafia di Milano, con il procuratore aggiunto Alessandra Dolci e il pm Bruna Albertini, il Nucleo di polizia economico tributaria della Guardia di Finanza di Milano ha individuato le infiltrazioni della 'ndrangheta nel tessuto economico lombardo, con uomini del clan Greco di San Marco Marchesano, in provincia di Crotone, federato col potente clan Grande Aracri di Cutro, potentissimo in Emilia Romagna e al centro del maxiprocesso Emilia.

Attraverso diverse imprese, tutte gestiti da uomini della cosca attraverso prestanome, sono state svelate dagli investigatori condotte di autoriciclaggio dei proventi illeciti per oltre mezzo milione di euro, in parte trasferiti in Bulgaria e Inghilterra. Il clan ha incassato fondi attestando un volume d'affari non veritiero, perché basato su fatture false.

https://milano.repubblica.it/cronaca/2020/07/14/news/coronavirus_ndrangheta_alla_ndrangheta_i_fondi_per_l_emergenza_coronavirus_otto_arresti_per_fatture_false_e_autoriciclaggio-261883938/?ref=RHPPTP-BH-I261866455-C12-P1-S1.8-T1 

Autostrade: Guerra Conte-Aspi.Muro Iv,tensioni governo su revoca. - Michele Esposito


La situazione Autostrade.

Attesa per il Cdm. Sponda Pd al premier. Timori soci stranieri. Colle segue vicenda.

I Benetton fuori dalla gestione di Autostrade. L' obiettivo di Giuseppe Conte, dopo il cambio di passo sul dossier Aspi, è innanzitutto questo. Ed è un obiettivo sul quale si innesca una guerra totale tra il capo del governo e Atlantia, la holding che gestisce l'88% delle quote di Autostrade.
Intanto parla il presidente di Edizione. "Quello che è accaduto - dice Gianni Mion - il crollo del ponte di Genova, le vittime e le sofferenze provocate, quello che è emerso dopo la tragedia, rende comprensibile la posizione del Presidente del Consiglio. E' tuttavia nostro dovere difendere le due aziende, Aspi ed Atlantia, ed i loro dipendenti, finanziatori ed azionisti. Mi auguro che si possa trovare una soluzione equa nell'interesse di tutti: cittadini, lavoratori, risparmiatori ed investitori".
Conte sceglie di rigare dritto, mettendo sul tavolo la concreta possibilità della revoca e azzerando i mugugni del Movimento. Ma quando oggi il premier farà la sua informativa in Cdm, il rischio della conta è dietro l'angolo.
Perché il dossier Aspi riapre la falla tra Conte e Iv. "No a slogan populisti, la revoca è facile da dire, difficile da fare", sottolinea Matteo Renzi mentre in serata Michele Anzaldi, schierandosi di fatto al fianco di Matteo Salvini che annunciava una segnalazione alla Consob sulle parole del premier, attacca: "il crollo di Atlantia in Borsa ha danneggiato migliaia di piccoli azionisti.E' inevitabile una verifica dell'organo di vigilanza".
Sulla linea dura, oltre a Leu si allinea anche il Pd, e lo fa con Nicola Zingaretti: "La lettera di Aspi è deludente, i rilievi del premier sono giusti", spiega il segretario Dem, che chiede un assetto societario che veda lo Stato al centro di una nuova compagine azionaria. Rilievi, quelli di Conte, che il premier in una doppia intervista a La Stampa e al Fatto Quotidiano, mette nero su bianco: "I Benetton ci prendono in giro, questo governo non accetterà di sacrificare il bene pubblico sull'altare dei loro interessi privati". L'intervista arriva come un macigno nel dibattito politico e sui mercati con il tonfo del titolo di Aspi in Borsa. E la replica dei Benetton non si fa attendere.
"Abbiamo sempre rispettato le istituzioni: quando in passato è stata sollecitata ad entrare in diverse società così come oggi", è il messaggio che filtra da ambienti vicini agli imprenditori veneti. Ma Conte va per la sua strada. E il dossier Autostrade lo "segue" anche al castello di Meseberg, nel bilaterale con la cancelliera Angela Merkel. Fonti qualificate di governo negano che il nodo Aspi sia stato oggetto del colloquio tra Conte e Merkel ma, di certo, è tra i protagonisti della conferenza stampa congiunta che segue al bilaterale. Prima di salutare il suo omologo italiano, la cancelliera si lascia scappare una battuta: "sono molto curiosa di sapere come andrà il Cdm".
Forse perché dentro c'è anche, come socio di minoranza, la tedesca Allianz. Il blitz di Conte, di certo, mette in allarme l'altro socio di minoranza, il fondo cinese Road Silk, che, chiede "notizie" all'ambasciatore italiano a Pechino.
Alle 11 (ma il Cdm potrebbe slittare nel pomeriggio) il dossier ci sarà. "Tutti i ministri saranno nelle condizioni di conoscere i dettagli" della vicenda, "ora è necessaria una decisione", ribadisce il premier. Riunione che non sarà decisiva per le sorti di Aspi ma durante la quale non è esclusa una conta con tanto di nuovo scontro interno al governo. "Non arretreremo", avverte il capo politico Vito Crimi. "Abbiamo massima fiducia nelle parole di Conte", sottolinea Luigi Di Maio attaccando, allo stesso tempo, Matteo Salvini: "falso e ipocrita, al governo era alleato dei Benetton".
"Se sei un uomo delle istituzioni, non fai come al bar, aspetti la magistratura", è invece l'attacco che Renzi, in serata, recapita a Palazzo Chigi. La linea di Conte, al di là delle tensioni, ha tuttavia delle affinità sia con quella del Pd e anche con quella di Iv: la centralità dello Stato, magari attraverso Cdp (citata da Renzi), nella futura società di gestione di Autostrade.
Il nodo sta nella quota che, nelle strategie dei partiti, deve restare nelle mani dei Benetton: Pd - e soprattutto Iv - sono più possibilisti laddove il M5S li vuole letteralmente fuori dal Cda di Aspi. La vicenda, non a caso, viene seguita con attenzione anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che auspica che la questione si risolva nel migliore dei modi e senza contraccolpi nel governo. Contraccolpi che, nel M5S, sono ben evidenti. Tanto che, a sera, un'autorevole fonte pentastellata spiega: "se superiamo lo scoglio Aspi il governo avrà vita lunga, magari con la possibilità di un rimpasto a settembre".
Resta da vedere se davvero il governo arriverà ad imporre una revoca ( o una decadenza del contratto, che potrebbe avere ripercussioni finanziarie minori). Il dl milleproroghe dà a Conte la possibilità di farlo. Le conseguenze economiche e politiche sono tutte da decifrare. "In caso di revoca abbiamo delle soluzioni", assicura il premier gettando acqua sul fuoco dalla Germania.

Rumori fuori scena. - Marco Travaglio

Dissonanza Cognitiva: Contraddizioni, Incoerenze, Comportamento
L’altroieri, mentre Giuseppe Conte rispondeva alle mie domande sulla faccenda Autostrade facendo a pezzi i Benetton con la durezza ponderata e documentata che tutti i lettori hanno potuto constatare, si accavallavano un bel po’ di pensieri.
1) Mai un presidente del Consiglio italiano aveva detto parole così nette e definitive contro uno dei veri poteri forti che ammorbano l’Italia dalla notte dei tempi.
2) Chi dipinge Conte come un democristiano indeciso a tutto fuorché ai rinvii, che tira a campare a ogni costo senza mai decidere nulla per non scontentare nessuno, non ha capito nulla.
3) Forse non avevamo tutti i torti quando, in beata solitudine, tentavamo di spiegare a un Paese che ha digerito di tutto che l’attuale presidente del Consiglio, pur con i suoi errori, è la figura che più si avvicina a ciò che dovrebbe essere un presidente del Consiglio.
4) Per queste ragioni, il rischio di una crisi di governo è concretissimo, perché è su questioni di sostanza – quelle che toccano gli interessi privati e le pretese di impunità del Partito degli Affari&Malaffari, non le chiacchiere politichesi dei retroscenisti da giornalone – che in Italia cadono i governi: il Conte1 venne giù sul Tav e la prescrizione; il Conte2 sarebbe caduto sulla prescrizione se non fosse arrivato il Covid-19; ora le concessioni autostradali miliardarie ai prenditori trevigiani sono un’ottima ragione per un ribaltone (basta misurare i litri di bava alla bocca di Sabino Cassese, grande sponsor dei Benetton dopo aver fatto parte del Cda del gruppo autostradale dal 2000 al 2005, per poi uscirne – secondo dati mai smentiti – con 700 mila euro fra gettoni di presenza e consulenze). Così come potrà esserlo il Mes, il prestito europeo (da restituire) che tutti dipingono come manna dal cielo perché troppi sognano di mettere le mani su quei 37 miliardi destinati alla sanità: i ras delle cliniche private (spesso editori di giornali), i presidenti di Regione e i loro partiti a caccia di un bancomat per le loro campagne elettorali, non avendo fra l’altro capito che quei soldi non andrebbero comunque in spese e debiti aggiuntivi (i nuovi investimenti nella sanità sono già stati finanziati dal governo e il Mes, se mai arriverà, andrà a coprire tutt’altre spese).
5) Il vero discrimine che fende trasversalmente la politica italiana non è né quello tra destra e sinistra, né quello fra populisti e antipopulisti, ma quello fra chi persegue l’interesse pubblico e chi gli interessi privati. E qui, oltre alle reazioni ampiamente prevedibili del Pd (svenimenti e pigolii in ordine sparso) e dell’Innominabile (Forza Benetton) all’intervista di Conte, colpisce quella dei 5Stelle. Che non hanno proprio reagito: encefalogramma piatto.
Fra i big solo Di Battista – quello che nel fumettone retroscenistico sarebbe il più anti-Conte e comunque non sta né nel Parlamento né al governo – plaude al premier, notando che parla come dovrebbe parlare un 5Stelle, ma come nessun 5Stelle parla più. Dagli altri, solo silenzi: come se Conte non l’avessero scelto loro, con formidabile ritorno di immagine e di sostanza che ha spazzato via tutti i luoghi comuni sul M5S inaffidabile e incompetente. Se il premier, anche due mesi dopo la fine del lockdown, mantiene consensi così alti (ben oltre il recinto la coalizione giallorosa), chi lo ha scelto dovrebbe sventolarlo come una bandiera. Invece, anziché vantarsene e appropriarsene, è come se i 5Stelle non lo sentissero come il “loro” premier e temessero la sua popolarità: un “premier amico” e nulla più, per usare la gelida definizione che De Gasperi diede nel 1953 del governo Pella per prenderne le distanze (“governo amico”). Anche quando Conte parla la loro lingua delle origini e mette la testa sul tagliere di una loro battaglia identitaria come quella su Autostrade. Colpisce soprattutto il silenzio di Luigi Di Maio. Non che il suo nuovo stile di ministro degli Esteri sia sbagliato, anzi. Un anno fa inseguiva il Cazzaro Verde nelle gare di rutti e perdeva sempre, perché il campione nazionale di quello sport è solo uno. Ma un conto è parlare poco e soprattutto di affari internazionali, un altro è incontrare Mario Draghi e Gianni Letta senza spiegare il perché. Che c’entra l’ex governatore Bankitalia ed ex presidente Bce con la Farnesina? E che ci azzecca il vecchio lobbista del Partito Mediaset, privo d’incarichi politici e istituzionali? Lo sanno anche i bambini scemi che Draghi è suo malgrado il candidato dei poteri forti per il governo di larghe imprese che nei loro sogni dovrebbe rovesciare il Conte 2; e che Letta sr. è l’emissario (reo confesso di una tangente e salvato dalla prescrizione) del pregiudicato B., delle sue aziende e delle sue trame per rientrare in gioco, farsi gli affari suoi nelle tv e nella fibra e magari scegliersi pure gli arbitri dell’Agcom.
Due anni fa Di Maio si giocò la premiership per non stringere la mano pubblicamente né parlare privatamente a B.. Ora si scopre che, tra il lusco e il brusco, stringe la mano e parla segretamente al braccio destro di B.. Intanto, da dieci giorni, né lui né alcun altro big M5S dicono una parola contro la vergognosa riabilitazione di B. a opera di mezzo Pd, dell’Innominabile e dei giornaloni al seguito. Gli elettori, se non alle mitiche dirette streaming, avrebbero diritto almeno a una spiegazione. Diceva Agatha Christie: “Un indizio è un indizio, due indizi sono una coincidenza, ma tre indizi fanno una prova”.