venerdì 20 gennaio 2023

Legge di Planck. - Wikipedia

Di Paperoastro - Black_body.svg: Darth Kulederivative work: Paperoastro (talk), Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=72751440

La legge di Planck, formulata da Max Planck nel 1900, afferma che l'energia associata alla radiazione elettromagnetica è trasmessa in unità discrete o quanti, successivamente identificati nei fotoni.

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mercoledì 18 gennaio 2023

CASA DELLE STREGHE. Monti Tatra, Polonia.

 

Casetta di legno soprannominata per l'architettura la CASA DELLE STREGHE.
Monti Tatra, Polonia.

La gola di #Garni.

 

La gola di #Garni si trova a 23 km a est di Yerevan, in #Armenia, appena sotto l'omonimo villaggio 🇦🇲

Su un promontorio sovrastante la gola è visibile il #Tempio di Garni del I secolo d.C. Lungo i lati della gola ci sono pareti rocciose di colonne di #basalto ben conservate, scavate dal #fiume #Goght 🏞

#ScienceCuE #CuE #scienze #scienza #fisica #chimica #natura #ambiente #geologia #vulcanologia #astrofisica

https://www.facebook.com/cuenews.it/photos/a.1505201263051397/3435308350040669/

I SUMERI NON FURONO I PRIMI.

 

Fino a circa 20 anni fa, si riteneva che la "civiltà" avesse avuto origine con i Sumeri circa 7000 anni fa. Poi furono scoperti Göbekli Tepe e gli insediamenti vicini, al confine tra Siria e Turchia. Da allora, tutto è cambiato.
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I resti più antichi di Göbekli Tepe risalgono ad almeno 12.000 anni fa. Ma alcuni dei monoliti trovati nelle rovine mostrano persone vestite solo con un perizoma. Tuttavia, 12.000 anni fa eravamo nel bel mezzo dello Younger Dryas (una mini era glaciale). Pertanto, è impossibile che le persone andassero in giro vestite solo con il perizoma. Per poter andare in giro vestiti così, le temperature dovevano essere miti. Ma l'ultimo periodo "mite" prima della Young Dryas è terminato intorno al 110.000 a.C., quando è iniziata l'ultima era glaciale. È vero che ci potrebbero essere stati dei climi locali più miti. Resta di fatto che quella è l’unica scultura risalente ad oltre 12.000 anni fa che raffigura esseri umani in perizoma. Pertanto, almeno alcune parti di Göbekli Tepe potrebbero risalire a prima dello Younger Dryas.
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A Göbekli Tepe sono stati incisi ideogrammi, ossia sculture che non rappresentano né animali né cose, ma concetti astratti. Potrebbero essere il più antico esempio di scrittura umana, almeno 5.000 anni più antica di quella dei Sumeri. Gli edifici di Göbekli Tepe non sono fatti di legno o di paglia, ma di pietra calcarea. Alcuni pilastri pesano quasi 20 tonnellate. Gli abitanti di Göbekli Tepe furono in grado di costruire case e villaggi in pietra migliaia di anni prima dei Sumeri.
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Su una lastra di pietra chiamata 'Stele della Gru', i saggi di Göbekli Tepe raccontano di un incontro tra loro e 'esseri esterni' che vennero dal cielo quando una cometa attraversò il cielo. Inoltre, la narrazione incisa si riferisce a un periodo in cui, circa 12.000 anni fa un bombardamento di comete ha causato una tremenda distruzione sulla Terra. Questo bombardamento è stato confermato recentemente dagli astrofisici. Circa 12.000 anni fa una o più comete sono esplose nelle vicinanze della nostra atmosfera, e i loro frammenti ci hanno “bombardato a tappeto”. Ma allora, anche il resto della storia incisa a Göbekli Tepe è vera?
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Questo argomento è trattato a fondo nel libro
12.794 ANNI FA – VISITATORI A GÖBEKLI TEPE
Lo può trovare al seguente link
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https://www.facebook.com/photo?fbid=403393305298998&set=a.403392468632415

martedì 17 gennaio 2023

Matteo Messina Denaro - arresto.

 

Un uomo, tanti uomini.

E' difficile definire la personalità di un uomo che non nutre alcun rispetto nei confronti di chi lo circonda, dotato di un egocentrismo spiccato, di un bisogno di potere illimitato, scevro da regole di ogni tipo sia legali che affettive.

Un uomo cosi' è anaffettivo, ama solo se stesso ed il potere che prende a piene mani senza mai porsi domande su quali e quanti danni possa provocare questa voglia frenetica di ricchezza e predominanza.

In quanto al suo arresto, io non credo che sia il frutto di indagini, credo, invece, che sia stato tradito da qualcuno dei suoi adepti, cosi' come lui stesso fece, a suo tempo, ne sono convinta, con Totò Riina.

Chi è stato latitante per trent'anni non lo è stato senza l'aiuto di qualcuno e, se viene arrestato, succede solo perché chi lo aiutava lo ha abbandonato.

Il fatto che, appena arrestato, abbia detto "Sapete già chi sono, io sono Matteo Messina Denaro" è un'incognita da risolvere conoscendo il gergo mafioso; per me, che non conosco il gergo, potrebbe anche significare che abbia deciso di mollare la presa e rilassarsi essendo affetto da cancro, oppure, volendo azzardare un 'ipotesi fantasiosa, che "cosa nostra (tutta loro e non nostra)" abbia consegnato alla giustizia un Bonafede qualsiasi (approfittando della strabiliante somiglianza del tizio con la ricostruzione del volto invecchiato) affetto da cancro al colon, in cambio della somministrazione di cure adeguate, ponendo termine, al contempo, alla ricerca di un latitante trentennale.  

Il covo di mattia Messina Denaro a Campobello di Mazzara












Oltretutto, quest'uomo si muoveva tranquillamente ed indisturbato tra Campobello di Mazzara, dove viveva, e Palermo... da circa due anni... è difficile pensare che nessuno ne sapesse nulla...

Cetta.

Mafia: trovato e perquisito il covo di Matteo Messina Denaro. - Lara Sirignano

 

È a Campobello di Mazara nel trapanese.

I carabinieri del Ros e la procura di Palermo hanno individuato il covo del boss Matteo Messina Denaro, arrestato ieri alla clinica Maddalena di Palermo.

E' a Campobello di Mazara, nel trapanese, paese del favoreggiatore Giovanni Luppino, finito in manette insieme al capomafia.

Il nascondiglio, secondo quanto si apprende, è nel centro abitato. Le ricerche sono state coordinate dal procuratore aggiunto Paolo Guido.

La perquisizione del covo è durata tutta la notte. Ha partecipato personalmente il procuratore aggiunto Paolo Guido che da anni indaga sull'ex latitante di Cosa nostra.

Messina Denaro è sbarcato ieri sera con un volo militare all'aeroporto di Pescara. L'ipotesi più accreditata, come anticipato da La Repubblica e il Centro, è che il boss venga detenuto nel carcere dell'Aquila poiché è una struttura di massima sicurezza, ha già ospitato personaggi di spicco ed anche perché nell'ospedale del capoluogo c'è un buon centro oncologico. Non è escluso che il boss sia stato trattenuto altrove per la notte, o in una caserma o nei vari penitenziari della zona. Secondo quanto si è appreso, autorità ed istituzioni sarebbero state allertate.

Matteo Messina Denaro è stato arrestato ieri dai carabinieri del Ros, dopo 30 anni di latitanza. L'inchiesta che ha portato alla cattura del capomafia di Castelvetrano (Tp) è stata coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dal procuratore aggiunto Paolo Guido. "Mi chiamo Matteo Messina Denaro", dice con fare arrogante al carabiniere del Ros che sta per arrestarlo. Finisce così la latitanza trentennale del padrino di Castelvetrano, finito in manette alle 8.20 mentre stava per iniziare la seduta di chemioterapia alla clinica Maddalena di Palermo, una delle più note della città. Quando si è reso conto d'essere braccato, ha accennato ad allontanarsi.

Non una vera e propria fuga visto che decine di uomini del Ros, armati e col volto coperto, avevano circondato la casa di cura. I pazienti, tenuti fuori dalla struttura per ore, si sono resi conto solo dopo di quanto era accaduto e hanno applaudito i militari ringraziandoli. Stessa scena fuori dalla caserma Dalla Chiesa, sede della Legione, dove nel pomeriggio il procuratore di Palermo Maurizio de Lucia, l'aggiunto Paolo Guido, il generale del Ros Pasquale Angelosanto e il comandante palermitano del Raggruppamento Speciale Lucio Arcidiacono hanno tenuto una conferenza stampa.

LA CONFERENZA STAMPA DEI CARABINIERI

Una piccola folla ha atteso i pm e mostrato uno striscione con scritto: "Capaci non dimentica". In mattinata in Procura era arrivata la premier Giorgia Meloni che ha voluto incontrare i magistrati per congratularsi con loro. "Siamo orgogliosi di un risultato costato tanta fatica", dicono i pm che sottolineano come si sia trattato di una indagine tradizionale. Nessun pentito, nessun anonimo. Messina Denaro è stato preso grazie alla stessa strategia che portò all'arresto del boss Bernardo Provenzano. Prosciugare l'acqua attorno al latitante, disarticolando la rete dei favoreggiatori. Favoreggiatori anche eccellenti: "una fetta della borghesia lo ha aiutato", dice il procuratore de Lucia. E' accaduto questo. E i familiari del boss stretti dalla morsa degli investigatori alla fine hanno fatto l'errore fatale.

Parlando tra loro, pur sapendo di essere intercettati, hanno fatto cenno alle malattie del capomafia. L'inchiesta è partita da lì. E indagando sui dati della piattaforma del ministero della Salute che conserva le informazioni sui pazienti oncologici, si è riusciti a stilare una lista di pazienti sospettati. Un nome ha fatto saltare sulla sedia gli inquirenti: Andrea Bonafede, parente di un antico favoreggiatore del boss. Avrebbe un anno fa subito un intervento al fegato alla Maddalena. Ma nel giorno in cui doveva trovarsi sotto ai ferri, hanno scoperto i magistrati, Bonafede era a casa sua a Campobello di Mazara. E allora il sospetto che il latitante usasse l'identità di un altro si è fatto forte. La prenotazione di una seduta di chemioterapia a nome di Bonafede ha fatto scattare il blitz.

Messina Denaro, trasferito subito in una località segreta, sarà destinato ad un carcere di massima sicurezza, un istituto che gli possa permettere di seguire le sue cure, come ad esempio Parma, dove già furono reclusi Riina e Provenzano: la premier parla di regime di "carcere duro" e il procuratore de Lucia scandisce che le condizioni del boss "sono compatibili col carcere". Ma le indagini non si sono fermate con l'arresto. Perquisizioni sono in corso da ore nel trapanese: Castelvetrano e Campobello di Mazara vengono setacciate palmo a palmo. Gli inquirenti cercano e sarebbero ad un passo dal covo. Quel nascondiglio che avrebbe ospitato il boss negli ultimi mesi e potrebbe custodire i segreti dell'ex primula rossa di Cosa nostra che, dicono i pentiti, avrebbe conservato il contenuto della cassaforte di Totò Riina portata via dalla casa di via Bernini, mai perquisita. Decine le dichiarazioni di politici di tutti gli schieramenti dopo l'arresto. "Oggi è una giornata storica - ha detto il procuratore de Lucia - che dedichiamo a tutte le vittime della mafia". Parole simili a quelle pronunciate dalla premier che ha aggiunto: "mi piace immaginare che il 16 gennaio possa essere il giorno nel quale viene celebrato il lavoro degli uomini e delle donne che hanno portato avanti la guerra contro la mafia. Ed è una proposta che farò".

 

COME SI E' ARRIVATI ALL'ARRESTO. "Matteo Messina Denaro è stato catturato grazie al metodo Dalla Chiesa, cioè la raccolta di tantissimi dati informativi dei tanti reparti dei carabinieri, sulla strada, attraverso intercettazioni telefoniche, banche dati dello Stato, delle regioni amministrative", ha detto il comandante dei carabinieri Teo Luzi, arrivato a Palermo. "Una grande soddisfazione perché è un risultato straordinario. Messina Denaro era un personaggio di primissimo piano operativo, ma anche da un punto di vista simbolico perché è stato uno dei grandi protagonisti dell'attacco allo Stato con le stragi. Risultato reso possibile dalla determinazione e dal metodo utilizzato. Determinazione perché per 30 anni abbiamo voluto arrivare alla sua cattura, soprattutto in questi ultimi anni con un grandissimo impiego di personale e di ricorse strumentali". "Un risultato - conclude Luzi - grazie al lavoro fatto anche dalle altre forze di polizia, in particolare dalla polizia di Stato. La lotta a Cosa nostra prosegue. Il cerchio non si chiude. E' un risultato che dà coraggio che ci dà nuovi stimoli ad andare avanti e ci dà metodo di lavoro per il futuro, la lotta alla criminalità organizzata è uno dei temi fondamentali di tutti gli stati".

"E' il risultato di un lavoro corale che si è svolto nel tempo, che si è basato sul sacrificio dei carabinieri in tanti anni. L'ultimo periodo, quelle delle feste natalizie, i nostri lo hanno trascorso negli uffici a lavorare e a mettere insieme gli elementi che ogni giorno si arricchivano sempre di più e venivano comunicati", ha detto Pasquale Angelosanto, comandante del Ros.

LE FASI DELL'ARRESTO. Il blitz è scattato quando "abbiamo avuto la certezza che fosse all'interno della struttura sanitaria". Quando è stato bloccato, hanno aggiunto, Messina Denaro "non ha opposto alcuna resistenza" e "si è subito dichiarato, senza neanche fingere di essere la persona di cui aveva utilizzato l'identità". Alla domanda se Messina Denaro abbia tentato la fuga, gli investigatori hanno affermato di "non aver visto tentativi di fuga" anche se, hanno aggiunto, "sicuramente ha cercato di adottare delle tutele una volta visto il dispositivo che stava entrando nella struttura". "Fino a ieri era certamente il capo della provincia di Trapani, da domani vedremo", ha spiegato il procuratore aggiunto Paolo Guido sugli assetti dei vertici di Cosa nostra dopo l'arresto di Messina Denaro.

"Abbiamo catturato l'ultimo stragista responsabile delle stragi del 1992-93", ha detto il procuratore di Palermo Maurizio De Lucia. "Siamo particolarmente orgogliosi del lavoro portato a termine questa mattina che conclude un lavoro lungo e delicatissimo. E' un debito che la Repubblica aveva con le vittime della mafia che in parte abbiamo saldato". "Catturare un latitante pericoloso senza ricorso alla violenza e senza manette è un segno importante per un paese democratico". "Allo stato non abbiamo elementi per parlare di complicità del personale della clinica anche perchè i documenti che esibiva il latitante erano in apparenza regolari, ma le indagini sono comunque partite ora" ha aggiunto il procuratore.

"Ci è apparso in buona salute e di buon aspetto non ci pare che le sue condizioni siano incompatibili con il carcere", ha spiegato l'aggiunto di Palermo Paolo Guido alla conferenza stampa. "Era di buon aspetto, ben vestito, indossava capi di lusso ciò ci induce a dire che le sue condizioni economiche erano buone", ha aggiunto. "Ovviamente sarà curato come ogni cittadino ha diritto essere curato", ha concluso. Al momento della cattura indossava anche un orologio molto particolare del valore di 30-35mila euro.

CHI E' IL FIANCHEGGIATORE DEL BOSS. E' un commerciante di olive, agricoltore di mestiere, incensurato. È il profilo di Giovanni Luppino, l'uomo arrestato insieme al superlatitante Matteo Messina Denaro. È stato lui a portarlo in macchina presso la clinica privata di Palermo per le cure. Luppino è di Campobello di Mazara, paese vicino a Castelvetrano. Da qualche tempo gestiva, insieme ai figli, un centro per l'ammasso delle olive cultivar Nocellara del Belìce proprio alla periferia di Campobello di Mazara. La sua funzione era quello di intermediario tra i produttori e i grossi acquirenti che, in zona, arrivano dalla Campania.

Chi e' Messina Denaro (e perché la sua cattura è importante)

L'arresto di Matteo Messina Denaro in una clinica oncologica è coerente con risultati investigativi, anche molto datati che lo indicavano affetto da serie patologie. Tracce del boss superlatitante risalenti al gennaio del 1994, lo collocavano infatti in Spagna, a Barcellona, dove si sarebbo sottoposto, presso una nota clinica oftalmica, ad un intervento chirurgico alla retina. Ma non solo: avrebbe accusato - sempre secondo risultanze investigative di alcuni anni fa - una insufficienza renale cronica, per la quale avrebbe dovuto ricorrere a dialisi. Per non rischiare l'arresto durante gli spostamenti per le cure ed i trattamenti clinici, il boss avrebbe installato nel suo rifugio le apparecchiature per la dialisi. Una importante conferma sulle patologie accusate dal superlatitante giunse nel novembre scorso dal pentito Salvatore Baiardo, che all'inizio degli anni '90 gestì la latitanza dei fratelli Graviano a Milano. In un'intervista televisiva, su La7 a Massimo Giletti il pentito rivelo' che Matteo Messina Denaro era gravemente malato e che proprio per questo meditava di costituirsi.

Meloni: 'La mafia si puo' battere ma non e' sconfitta' 

Figlio del vecchio capomafia di Castelvetrano Ciccio, storico alleato dei corleonesi di Totò Riina, Matteo Messina Denaro era latitante dall'estate del 1993, quando in una lettera scritta alla fidanzata dell'epoca, Angela, dopo le stragi mafiose di Roma, Milano e Firenze, preannunciò l'inizio della sua vita da Primula Rossa. "Sentirai parlare di me - le scrisse, facendo intendere di essere a conoscenza che di lì a poco il suo nome sarebbe stato associato a gravi fatti di sangue - mi dipingeranno come un diavolo, ma sono tutte falsità". Il capomafia trapanese è stato condannato all'ergastolo per decine di omicidi, tra i quali quello del piccolo Giuseppe Di Matteo, il figlio del pentito strangolato e sciolto nell'acido dopo quasi due anni di prigionia, per le stragi del '92, costate la vita ai giudici Falcone e Borsellino, e per gli attentati del '93 a Milano, Firenze e Roma. Messina Denaro era l'ultimo boss mafioso di "prima grandezza" ancora ricercato. Per il suo arresto, negli anni, sono stati impegnati centinaia di uomini delle forze dell'ordine. Oggi la cattura, che ha messo fine alla sua fuga decennale. Una latitanza record come quella dei suoi fedeli alleati Totò Riina, sfuggito alle manette per 23 anni, e Bernando Provenzano, riuscito a evitare la galera per 38 anni.

https://www.ansa.it/sito/notizie/cronaca/2023/01/17/mafia-trovato-e-perquisito-il-covo-di-matteo-messina-denaro_74e6d708-8d40-4406-92bc-d9ea7caa7e27.html

Covi, pizzini e coperture: la vita “al buio” di Matteo Messina Denaro. - Giovanni BIanconi

 


Cercato anche all’estero,  era nascosto nella sua Sicilia. Con i gli affari illeciti avrebbe accumulato un tesoro di 4 miliardi di euro.

Trent’anni di latitanza sono un segno di potere e di esercizio del potere; una sfida nella quale Matteo Messina Denaro non è soltanto sfuggito alla cattura, ma ha continuato a guidare un pezzo importante di Cosa nostra contando sul prestigio derivante anche dall’essere l’ultimo latitante della mafia stragista che aveva messo in ginocchio lo Stato. All’appello mancava solo lui, Matteo Messina Denaro, uno dei «rampolli» di Totò Riina, ricercato dal 1993 da subito dopo l’arresto del «capo dei capi», mentre era in corso l’attacco terroristico della mafia corleonese alle istituzioni e alla convivenza civile, di cui il boss di Castelvetrano è stato uno dei protagonisti. 

Per gli inquirenti e gli investigatori che l’hanno cercato così a lungo era una sfida da vincere; per il «popolo di Cosa nostra» un legame col passato e con la storia. Al punto da essere chiamato in causa forse perfino strumentalmente, da chi pensava di spendere il suo nome per conservare la propria influenza. Era il sospetto di un mafioso di medio calibro della provincia trapanese, che — intercettato da una delle migliaia di microspie che in questi anni hanno invaso la Sicilia nel tentativo di raccogliere una voce che potesse portare al superlatitante — diceva: «Io sono del parere che questo qualche giorno, a meno non lo abbia già fatto, si ritira… e gli altri vanno a fare cose a nome suo quando lui ormai non c’è più qua…». 

Invece non si era ritirato, ed era ancora là. Ha continuato a gestire il potere e il patrimonio accumulato grazie agli affari: droga, estorsioni, riciclaggio, investimenti nell’eolico, nei supermercati, nel turismo e in altri settori. Un tesoro stimato da qualcuno in 4 miliardi di euro, sebbene avventurarsi in cifre e calcoli sia un esercizio rischioso. Una latitanza trascorsa in Sicilia e in altre parti d’Italia, forse con qualche puntata fuori dai confini.

 Di Matteo Messina Denaro rifugiato all’estero s’è parlato spesso: una volta in Spagna, un’altra in Albania. Ma tutte le indagini, alla fine, ritornavano sempre in Sicilia, nel triangolo fra Castelvetrano, Marsala e Trapani che fu il suo regno e prima ancora del padre Francesco, morto latitante nel 1998, per il quale Matteo ha continuato a far pubblicare l’annuale necrologio di ricordo insieme al resto della famiglia, firmato «i tuoi cari». In quella terra e in quel legame hanno germinato le radici mafiose di un boss che è sempre stato «nel cuore» di Totò Riina. 

Il legame stretto dei Messina Denaro con il «capo dei capi» corleonese lo confermò lo stesso Riina nei suoi colloqui con il compagno di detenzione, intercettati in carcere nel 2013: «Suo padre buonanima era un bravo cristiano, un bel cristiano ‘u zu Ciccio di Castelvetrano… ha fatto tanti anni di capomandamento… a lui gli ho dato la possibilità di muoversi libero… però era un cristiano perfetto, un orologio». Poi passò a parlare del figlio: «Lo ha dato a me per farne quello che ne dovevo fare, è stato qualche 4 o 5 anni con me, impara bene, minchia…». Finché non cominciò a pensare prima di tutto a sé, a investire per conto proprio, quasi dimenticando il destino dell’organizzazione. Guadagnandosi per questo i rimbrotti di Riina, che sui giornali ha letto degli investimenti nell’energia eolica ed è sbottato: «A me dispiace dirlo, questo fa il latitante, fa questi pali… eolici, i pali della luce… Questo si sente di comandare, si sente di fare luce ovunque, fa pali per prendere soldi, ma non si interessa di…».

  Fu quasi una scomunica nei confronti del figlioccio che dopo il ‘93 non decise di proseguire con la strategia delle bombe: «Se ci fosse stato qualcun altro avrebbe continuato. E non hanno continuato, non hanno intenzione di continuare…». Si sentiva tradito, Totò Riina: «Una persona responsabile ce l’ho, e sarebbe Messina Denaro, però che cosa per ora questo…. Io non so più niente… Potrebbe essere pure all’estero… L’unico ragazzo che poteva fare qualcosa perché era dritto… Non ha fatto niente… io penso che se n’è andato all’estero». 

Invece era ancora in Italia, e aveva messo in piedi un sistema di comunicazione attraverso pizzini recapitati e ritirati in aperta campagna, con i postini che andavano e venivano parlandosi con linguaggio cifrato («il macellaio sono, mi aveva ordinato la fiorentina si ricorda? Domani alle 9.30 se la può venire a prendere») finché le indagini della Procura di Palermo nel 2015 smantellarono anche quel «fermo posta».

Costringendo il latitante a inventarne uno nuovo per restare fuggitivo. Contando su appoggi che non prevedessero più i legami con la famiglia d’origine (finita in galera quasi per intero), ma conservando — anche a distanza — quelli con chi ha continuato a garantirgli protezione: compresi forse pezzi di potere istituzionale o massonico, come ipotizzato più volte dagli inquirenti che gli davano la caccia. Di sicuro ha avuto dalla sua parte qualcuno che gli ha procurato i documenti semi-autentici (con la sua foto e il nome di un altro, ma il timbro regolare del Comune di Campobello) che aveva in tasca al momento dell’arresto.

Catturato Riina e salito al trono Bernardo Provenzano, Matteo si adeguò alla metamorfosi della «mafia sommersa» messa in pratica dall’ultimo padrino, con il quale interloquiva con i pizzini firmati «Alessio» e sequestrati nel rifugio corleonese dove l’altro padrino fu arrestato nel 2006: «Quello che lei decide per me va bene… I suoi amici sono i miei amici…», scriveva con deferenza Messina Denaro. Sempre a proposito di affari e spartizioni.

I pizzini recapitati a mano sono sempre stati la garanzia migliore per comunicare tentando di sfuggire alle indagini; ancora lo scorso anno gli investigatori ne hanno intercettato qualcuno in cui parlava dei suoi movimenti. Scriveva, dava indicazioni e si lamentava. Persino di come i familiari tenevano la tomba del padre; o della figlia Lorenza, nata durante la sua latitanza, che non lo avrebbe «onorato» come altri figli o nipoti di boss mafiosi. Un anno e mezzo fa quella donna l’ha reso nonno, ma il bambino non si chiama Matteo.

https://infosannio.com/2023/01/17/covi-pizzini-e-coperture-la-vita-al-buio-di-matteo-messina-denaro/